La differenza tra Fini e Berlusconi
di Florian
Chi ha ascoltato almeno una volta Fini non può non convenire, a prescindere dalla sua collocazione politica, sul fatto che si tratti oggi del migliore oratore della politica italiana. Oltretutto Fini ha una cultura istituzionale e un physique du role che gli permettono di non sfigurare dinanzi a leaders europei quali un Cameron, una Merkel o un Sarkozy.
Contrapposto a Berlusconi, invece, Fini sembra vincere facilmente la sfida. Sul piano dell’oratoria non c’è confronto, tanto è modesto il tasso di cultura politica e tanto discutibile è l'immagine pubblica e privata del secondo. Tuttavia Berlusconi può contare, da sempre, su di un seguito politico notevolmente maggiore di quello di Fini. Perché piace Berlusconi, allora, e a chi?
Berlusconi piace a chi trova Fini indifferente o persino noioso, “grigio”. E viceversa i supporters di Fini considerano da sempre Berlusconi più un barzellettiere (talvolta di cattivo gusto) che un politico vero. E’ una diversità, quella tra i due leaders, che si riscontra nei rispettivi elettorati ed è una diversità ancor prima che politica, antropologica.
Potremmo dire, per sbrigarla in una battuta, che Fini piace in quanto politico e Berlusconi in quanto antipolitico. E nel dirsi entrambi liberali si ricollegano a due tipi di liberalismo assai diversi, incarnati nel dopoguerra da un Benedetto Croce e un Guglielmo Giannini.
Fini, dopo un lungo percorso politico all'ombra del nazionalismo e del gollismo, ha ripreso quel filone di liberalismo risorgimentale, di destra storica, che ha avuto in Benedetto Croce il massimo rappresentante nell’Italia del Novecento. Un liberalismo legato allo Stato nazionale e alle istituzioni. Un liberalismo che pur fondandosi necessariamente sulla persona non per questo dimentica la dimensione comunitaria.
Viceversa Berlusconi si ricollega ad un altro tipo di liberalismo che in Italia ha assunto i caratteri del qualunquismo. Il movimento dell’Uomo Qualunque di Giannini si rifaceva ad una tradizione più libertaria che liberale, allo stesso tempo anarcoide e plebiscitaria in luogo di quella parlamentarista.
Se il modello di Fini è tipicamente europeo, quello di Berlusconi invece smaccatamente americano. Per il primo la politica deve guidare l’economia e la cultura determinare la politica. Per il secondo invece cultura e politica sono optional, vale solo l’economia.
E qui arriviamo al cuore del berlusconismo, ai motivi del successo antipolitico del Cavaliere. Berlusconi affascina in quanto tycoon, in quanto imprenditore immensamente ricco e potente. Chi lo vota lo invidia e lo identifica come un modello.
Dal canto suo invece Fini gioca la sua leadership tutta sul campo della politica, risultando “grigio” a chi non ha alcun interesse a sorbirsi discorsi programmatici che durano quanto una partita di pallone.
Tutto il liberalismo di Berlusconi si riduce fondamentalmente in due slogan: “meno tasse” e “ghe pensi mi”, che suonano melodiosamente all’orecchio di chi non ha alcuna intenzione di occuparsi personalmente alla vita politica e che preferisce la tv alla militanza.
Fini invece attira quanti credono ancora alla politica intesa come partecipazione. Il suo è perciò un liberalismo attivo e non meramente negative. Meno tasse, certo, ma anche senso dello Stato, patriottismo ed etica pubblica, un linguaggio questo del tutto estraneo all’individualismo “bottegaio” dei berlusconiani doc.
Questo spiega più di ogni altra cosa perché il finismo e il berlusconismo fossero destinati a configgere prima ancora di incontrarsi. Il matrimonio contratto nel ’93 fu un matrimonio d’interesse subìto più che accettato da entrambe le parti. In cuor loro i finiani mirarono a sbarazzarsi del Cav. già dopo il primo avviso di garanzia, ritenendo – come tanti, allora – che Berlusconi sarebbe stato spazzato subito via dalla scena politica italiana. Il che, sappiamo bene, non è successo. Mentre è accaduto, al contrario, che buona parte della classe dirigente e dell’elettorato di destra si è lasciato sedurre col tempo da quest’uomo ricco, potente e decisionista che assicurava loro molto più di quanto avessero mai sperato in tanti anni di politica attiva.
Berlusconi ha corrotto l’anima della destra italiana che solo a fatica e in proporzioni decisamente ridotte è riuscita a ritrovare se stessa svincolandosi da un abbraccio che rischiava di annullarne storia e identità. E lo ha fatto, questa destra antiberlusconiana, ricollegandosi a quei valori liberali e repubblicani che inconsapevolmente le erano propri anche durante gli anni del neofascismo. E’ paradossalmente accaduto quindi che i neofascisti, grazie anche alla lezione di un Gentile rimasto al fondo un liberale - abbiano accettato la Costituzione con maggiore serietà di quanto potessero fare i qualunquisti e le varie maggioranze silenziose. La “pancia” della destra italiana si è ritrovata così con Berlusconi, mentre la “testa” è andata con Fini.
Il tempo dirà se queste due anime potranno mai ricongiungersi o se invece, come già accade in molte parti d’Europa, saranno destinate a confliggere in uno scontro politico che oppone non tanto la destra e la sinistra quanto, trasversalmente, le forze moderate alle forze populiste e radicali. La politica contro l’antipolitica.