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Discussione: Fini re dei furbetti.

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    Predefinito Fini re dei furbetti.

    Un Fini all’angolo dopo la batosta della spallata andata a vuoto a Berlusconi, prova a rilanciare dal palco dell’Assemblea costituente del Fli. I
    In un intervento fiume di un’ora e mezza, sfida il Cavaliere:
    «Dimettiamoci tutti e due»; cerca di rompere il patto Berlusconi-Bossi:
    «Sì al federalismo in cambio di una nuova legge elettorale e poi voto nella primavera dell 2012»;
    cavalca il bunga bunga: «Siamo diventati lo zimbello del mondo occidentale»; rinsalda l’asse con le Procure: «Occorre garantire ai magistrati di indagare»; bastona il premier: «La sovranità popolare non significa impunità, infischiarsene della Costituzione ed essere al di sopra della legge»; cerca di riposizionare il suo Fli a destra: «Nasciamo per coerenza al progetto del Pdl» e distrugge il terzo polo: «Vogliamo costruire un bipolarismo vero».

    Abbandonato il Pdl accusandolo di essere un partito monarchico, Fini si fa incoronare re del Fli in maniera cesaristica.
    «Volete che Fini sia il presidente di Futuro e libertà?».
    L’assemblea alza in cielo il badge con su scritto Fini all’unisono. Un metodo di elezione da far invidia alla Siria di Assad.
    Il raìs indiscusso di Fli è lui.
    Però, come preannunciato, Gianfranco finge di risolvere il problema della sua doppia veste ruolo: «Non posso mettere insieme il ruolo politico e il ruolo di presidente della Camera. Oggi stesso mi autosospenderò da presidente di Fli».

    Poi lancia il guanto di sfida a Berlusconi:
    «Sono pronto a dimettermi domani mattina se prende atto che se io sono presidente della Camera anche perché ho preso i voti di Forza Italia, lui è premier anche perché lo hanno votato tanti uomini e donne di An. Credo che faremmo entrambi una splendida figura nel momento in cui dicessimo “Ci si dimette”».

    Poi graffia:
    «Ma non illudiamoci, Berlusconi non si dimetterà e qui è la differenza: se lui non sta a palazzo Chigi ha qualche problema che invece noi non abbiamo se stiamo o meno alla Camera».

    È proprio sulla giustizia che Gianfranco picchia duro:
    «Se i ministri della Repubblica dicono che i primi che devono abbassare i toni sono i magistrati è di tutta evidenza che c’è un approccio che non può portare ad alcun tipo di raffreddamento dei toni.
    La politica non può attaccare frontalmente la magistratura».

    Indossa la toga, Gianfranco in versione Ilda la rossa:
    «Occorre garantire ai magistrati di indagare. Che la legge è uguale per tutti e che il principio di legalità è il caposaldo dell’Italia e che la legalità è la precondizione assoluta della libertà e della democrazia: questo bisogna dire di fronte all’ultima crociata del berlusconismo contro i magistrati».

    Sebbene il capo dello Stato abbia chiesto di abbassare i toni, troppo ghiotta l’occasione per graffiare anche sul caso sputtanopoli:
    «Credo che sia un motivo di profondo dolore per tutti, e in particolar modo per gli elettori del centrodestra e motivo di profondo imbarazzo apprendere che siamo diventati lo zimbello del mondo Occidentale, e non solo, per comportamenti che nulla hanno a che vedere con la politica».

    Già, il centrodestra.
    Accortosi di essere diventato la ruota di scorta di Casini, Fini cerca di riposizionarsi nello spazio politico occupato dal Pdl:
    «Futuro e libertà nasce per coerenza al progetto del Popolo della libertà che avevamo contribuito a fondare».

    Poi, stretto nella prospettiva limitata del terzo polo, Fini prova a lanciare un patto per le riforme, nel tentativo di scardinare l’asse di ferro Berlusconi-Bossi: «Impegniamo i prossimi mesi per la riforma parlamentare che porti alla nascita della Camera delle regioni o Senato federale che dir si voglia - butta lì Gianfranco -. Naturalmente dopo aver cambiato la struttura del Parlamento nell’agenda deve cambiare anche la legge elettorale. Poi, si vada pure al voto nella primavera del prossimo anno».

    Ma il ricatto finiano viene già respinto dal Carroccio:
    «Nulla di nuovo dal discorso di Fini, semmai le solite contraddizioni»,
    lo gela il leghista Reguzzoni.
    Per il Fli, quindi, il primo e forse ultimo congresso.

    Francesco Cramer pg.6 de ilgiornale.it pg.6 del 14 02 2011

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Rif: Fini re dei furbetti.

    Il valzer degli intellettuali nei partiti.

    È un momento duro per gli intellettuali, agitati da una domanda fondamentale: ma chi comanda?
    Cioè con chi piazzarsi, visto che Fini è già franato su se stesso ma Berlusconi ha i suoi bei guai, visto però pure che Casini (con la sua bella galassia editorial-cementizia Caltagirone) sta con Fini, e Rutelli conta zerovirgola, e il Pd è diviso in diciotto correnti?
    Bel dilemma.
    L’incertezza regna soprattutto in area Fli, partito nato per spazzare via Berlusconi ma già in preda a defezioni, tradimenti, fughe in avanti e indietro, sabotatori, Barbareschi.

    Così l’ideologo (tra i tanti) Alessandro Campi ha già dato l’arrivederci a Fini, passando al Mattino del suocero di Casini, dove mena fendenti ai pasticcioni di Futuro e libertà a partire dal leader, suo faro in una vita precedente che risale a qualche settimana fa.
    Lo stesso smarcamento per l’ideologa (sono parecchi...) del Fli, Sofia Ventura, delusa dalla deriva democristiana degli ex camerati liberisti.
    Per approdare dove?
    Non si capisce ancora ma il radar è acceso.

    Quante notti insonni anche per l’economista Nicola Rossi, che abbiamo ammirato per l’eroica scelta di dimettersi da senatore del Pd e tornare alle virtù civili («Mi dimetto per recuperare libertà di giudizio»).
    Sì ma nel giro di qualche ora l’ex consigliere economico di D’Alema quindi veltroniano (nel 2008) si è buttato tra le braccia di Montezemolo, che è in piena campagna acquisti in vista dell’imminente discesa in campo (che potrebbe coincidere con la partenza del suo primo treno Ntv).

    Walter Veltroni è l’uomo che a sinistra è stato più di tutti coccolato (per non dire di peggio) e scaricato nel momento della disgrazia dagli intellettuali da riporto.
    Il suo apice è stato nella campagna elettorale del 2008, quando sembrava potesse anche vincere. Allora filosofi, cantanti e attori si erano manifestati nel loro grande amore per Walter.
    Per poi dimenticarlo fatalmente solo un anno dopo.

    Anche Andrea Camilleri lo votò, anche se «malvolentieri», prima di passare nell’ala più dura (genere Palasharp) che al momento è quella più cool per le teste fini (da Eco in giù, tutti benedetti dal tycoon De Benedetti).
    I furbetti del libriccino hanno fiutato che l’onda giusta per farsi più belli ora è quella del Fatto e delle piazze viola.
    Almeno per il momento è più carino farsi vedere lì, poi quando cambia il vento vedremo.
    I politici hanno trovato dei trasformisti più professionali di loro.
    Al povero Veltroni è toccato in sorte anche di peggio, tipo vedere Tiberio Timperi leggere accorato l’elenco degli «artisti per Veltroni» in piazza del Popolo a Roma nell’aprile 2008, e poi rivederlo in tv prendere la parola sul palco di Bastia Umbra, alla convention fondativa di Futuro e libertà.

    Agli artisti (e agli uomini di lettere) non bisogna chiedere coerenza, ma solo brillanti idee.
    Sennò sono guai (vedi cosa capita a chi imbarca Barbareschi).
    Però i partiti hanno sempre la fortissima tentazione di ammantarsi di cultura reclutando qualche tipo di culturame, di solito gli stessi 20-30 intellettuali che pian pianino girano tutte le parrocchie.
    Così quando Repubblica lancia l’ennesima raccolta firme, accorrono a frotte gli artisti per apporre il loro sigillo democratico.
    Lo stesso è accaduto nei tempi eroici di Fli, cioè le 4-5 settimane in cui sembrava una cosa seria.
    Al teatro Franco Parenti di Milano, a ottobre, una pattuglia di intellettuali ha firmato il Manifesto della razza finiana e nell’elenco c’erano, ohibò, ex o post marxisti, filosofi progressisti tipo Giacomo Marramao, Giulio Giorello, registi molto impegnati come Luca Ronconi.

    Questo in autunno, ora le foglie sono cadute e anche Fini è pericolante, che pensano?
    Chissà.
    Anche la Lega ha i suoi nuovi intellos.
    Grazie al libro sul Cavour nordista Arrigo Petacco, già socialista craxiano, ha fatto breccia nei duri cuori leghisti, e con lui anche Sabino Acquaviva, sociologo.

    E il Pdl? Nessun vero coming out, ma delle effusioni culturali ci sono e da aree molto lontane.
    La coppia Velardi e Rondolino, che chiede alla sinistra giustizialista di fermarsi, l’ex direttore di Liberazione Sansonetti, anche lui sinistro-scettico.
    E liberali pro-Cav (anche in versione notturna) come Piero Ostellino.
    Ah, che fatica fare l’intellettuale.

    di Paolo Bracalini pg.6 de ilgiornale.it 14 febb. 2011

    saluti

  3. #3
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    Predefinito Rif: Fini re dei furbetti.

    Proposta indecente!

    di Marcello Veneziani pg.1 e pg. 7 de ilgiornale.it 14 febb. 2011

    Su, moriamo abbracciati.
    È questa la proposta costruttiva che Fini ha saputo fare a Berlusconi, come quegli uxoricidi-suicidi.
    Io mi dimetto se tu ti dimetti, dice Fini, ma dietro il kamikaze si nasconde il furbetto: se si dimette Berlusconi si va alle urne, le Camere si sciolgono e loro, i presidenti, vanno comunque a casa.
    Il suo appello sa di falso. E pure di indecente, quando si appella all’etica.

    La parabola incresciosa di Fini sembra quella di un Nicolazzi della Seconda Repubblica.
    Chi di voi ricorda Nicolazzi, uno degli ultimi segretari del sole malato, come da noi a Sud si chiamava l’estrema stagione del Partito socialdemocratico?
    Forse nessuno, ed è una ragione in più per accostarlo alla parabola di Fini.
    Un alleato minore, di basso profilo.
    La parabola di Fini ricorda quasi un racconto di Buzzati: da direttore a vice, da vice a impiegato, da impiegato a usciere.
    Da delfino di Berlusconi a vice di Casini, da leader della destra a iscritto del partito di Bocchino, da riferimento per un terzo degli italiani a riferimento per un trentesimo dei medesimi, stando alle previsioni a lui favorevoli.

    Fini somiglia davvero a Mariotto Segni, che, come tutti dissero, vinse la lotteria ma perse il biglietto vincente.
    Al di là dei suoi meriti, Fini era destinato per la legge del vuoto e del video a diventare l’erede di Berlusconi.
    Era stato con lui per sedici anni e la sua scelta di sciogliere An e di confluire, di malavoglia, nel Popolo della libertà, diversamente da Casini, lasciava intuire un ragionamento: stringo i denti perché poi toccherà a me.

    Certo, non tutti sarebbero stati d’accordo, a cominciare dalle Lega, ma il numero 2 del Pdl, anche nei sondaggi, era comunque il favorito.
    Anche perché si era tolto di mezzo il concorrente diretto, Casini.
    E invece cominciò a rendere vistosa e radicale la sua opposizione interna. Attacchi inconcepibili da chi aveva sottoscritto tutto quel che fino allora si era fatto.
    Eccetto una critica, a mio parere fondata, all’evanescenza del Pdl, che poteva essere un buon punto di partenza per ricucire il dissidio, dandogli ragione e chiedendo a lui di occuparsi del partito, lasciando immune il governo e la leadership.
    Ma i due ormai non si sopportavano più e il lato personale prevalse sul calcolo politico. Ora la collocazione extraterrestre del Fli, il suo forzato alloggio in un seminterrato del Terzo polo, i suoi ondeggiamenti tra la sinistra e la ritirata, fotografano un partito avvitato nella tattica e incapace di strategia.
    Diviso in quattro-cinque correntine, peggio dei vecchi partitini, con Granata che gode perché così «ci liberiamo della zavorra»: ma sì, continuate a liberarvi della zavorra, fino alla scissione finale, quella dell’atomo.

    Il distacco di alcuni intellettuali lo conferma; ma anche il giudizio critico che della creatura finiana danno tutti i più significativi esponenti della destra pensante e della nuova destra.
    I più motivati del Fli, e vorrei dire i migliori, sono tutti di estrazione antifiniana, exrautiani, vecchi seguaci della nuova destra, tardivi sessantottini, trentennali sognatori di andare al di là della destra e della sinistra...

    C’è chi spolvera un nemico storico di Fini, il grande Beppe Niccolai, e lo usa per dare nobiltà al rancore; chi si impossessa di Giano Accame che con Fini non ha nulla da spartire, c’è chi ruba a Giorgio Pisanò la definizione di fascismo e libertà e viene elogiato dal Corriere della sera; c’è chi scippa a Generoso Simeone la paternità dei campi hobbit degli anni Settanta...

    E c’è persino chi aderisce a Fini nel nome di colui che è dal profilo umano, etico e ideale la sua Antitesi Radicale: Berto Ricci...
    Tutto un piccolo mondo antifiniano che, approfittando della proverbiale vacuità del suo leader, crede di poter riempire la scatola vuota finiana di ciò che a loro piace.
    Tra loro c’è anche gente di qualità e in buona fede, che identifica il berlusconismo con l’americanizzazione, il consumismo, il degrado del tempo nostro e lo avversa.
    Ma combattere una battaglia di civiltà sotto Fini, con Casini e Rutelli, e inevitabilmente dentro la santa alleanza antiberlusconiana, con Vendola e Bersani, con Di Pietro e Santoro, e contro un popolo misto ma nel complesso destrorso, mi pare una follìa.

    Le scelte realiste, dal loro punto di vista, a me sembrano due: proiettarsi nel futuro, e lavorare nel centro-destra perché dopo Berlusconi vi sia una presenza significativa di quelle idee che An di Fini non ha saputo rappresentare. O ritirarsi dalla politica perché il degrado è generale e non lascia speranze.
    Ma scegliere Fini, liquidatore di tutte le destre e manovrato da loschi burattinai, ieri alleato del Male Berlusconiano e oggi complice del Peggio Antiberlusconiano, mi pare idiota.
    Fini persegue un suo disegno e un suo rancore personale.

    Lasciatelo friggere.
    Quando parlava Fini è salito un mitomane sul palco.
    Ho avuto l’impressione che i mitomani sul palco fossero due.

    saluti

 

 

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