Il futuro e la libertà
Un partito nuovo per l’Italia di domani
di Florian
Sebbene i quotidiani italiani evidenzino oggi le spaccature del gruppo dirigente di FLI, seguite alla comunicazione dell’organigramma del neonato partito, vi è grande entusiasmo in chi intravvede nel progetto finiano un forte segno di novità politica. Quello di un partito nuovo, giovane che si propone di rappresentare l’Italia odierna nei suoi aspetti migliori e di superare le storture e le contraddizioni che le impediscono di tenere il passo con le altre realtà europee.
E’ importante che chi guarda con simpatia a Futuro e libertà abbia lo sguardo rivolto in avanti senza specchietti retrovisori. Questo vale anche per chi scrive, particolarmente sensibile ai discorsi identitari. Ma qui siamo di fronte ad una grande scommessa: non quella di rappresentare ciò che è stato e che magari resta, piuttosto quella di incarnare un sogno, un sogno che si chiama Italia, quell’Italia che esiste già ma la cui immagine e le cui esigenze non sono riconosciute dalla nostra politica e da essa vengono anzi deturpate.
Mentre si susseguivano gli interventi dell’Assemblea Costituente di FLI, a Milano, risultava evidente all’attento ascoltatore che non tutti i relatori di questo partito nuovo erano davvero consapevoli della reale posta in gioco. Una buona metà del dibattito è scorsa infatti via nel sottolineare ripetutamente l’identità di destra di un partito che avrebbe continuato a muoversi in un’ottica coalizionale di centrodestra. Poi, però, nella serata di venerdì, è arrivato l’intervento di Carmelo Briguglio, uno che non usa mai mezzi termini e che nemmeno in questa occasione si è smentito, a ravvivare una discussione che stava procedendo piuttosto stancamente, facendo capire a tutti qual era la battaglia che FLI si era data. Poi è venuto Della Vedova e quindi Fabio Granata, e finalmente l’assemblea costituente di FLI ha preso di petto molte questioni che erano state a lungo sottaciute per privilegiare la questione, irrisolta, dell’identità.
Come ha sottolineato poi Fini in chiusura dell’assise, obiettivo di FLI non è quello di riportare in vita la vecchia AN e il discutere ossessivamente di destra e sinistra in una situazione come questa rischia di risolversi in un puro esercizio retorico. Questa fase storica è una fase di transizione che vede impegnati i “fillini” non quale forza conservatrice dell’esistente (che a questo ci pensa Berlusconi) ma quale forza rivoluzionaria volta a superare tutte le contraddizioni di questa miserevole seconda repubblica in funzione dell’avvento di una terza. Una terza repubblica in cui l’Italia si scrolli definitivamente di dosso tutte quelle peculiarietà negative che oggi contraddistinguono il suo profilo istituzionale per assumere connotati finalmente europei. Chi segue Gianfranco Fini vorrebbe che un domani non lontano la nostra nazione non sfiguri al cospetto della Francia, della Germania, e della Gran Bretagna. Siamo stanchi di essere apprezzati per la nostra cucina e per il nostro paesaggio e allo stesso tempo denigrati e irrisi per chi politicamente ci rappresenta.
Sappiamo bene, noi finiani, che ogni questione politica passa oggi inevitabilmente dall’accettazione o dal rifiuto di Silvio Berlusconi. E’ inutile girarci attorno o assumere una posizione politicamente corretta di chi accusa ma non troppo, o di chi rilancia ma non strappa. Siamo o non siamo in una situazione di emergenza democratica? E’ questa la vera domanda a cui non ci si può sottrarre dal rispondere, e per quanto mi riguarda la risposta non può che essere affermativa. Un’emergenza non dettata certo da quei magistrati “puritani” contro i quali ha arringato l’astuto Ferrara, ma dal problema irrisolto e per troppo tempo disconosciuto, anche da molti di noi, riguardo chi governa il nostro paese nonostante un gigantesco conflitto d’interessi, l’uso politico dei media in suo controllo e soprattutto nonostante i processi che lo vedono coinvolto e ai quali tenta di sfuggirvi continuamente attraverso leggi ad personam o facendole finire in prescrizione.
Per questi motivi, in una situazione come quella attuale, non si può più parlare di destra e sinistra – dove sarebbe l’una e dove l’altra in merito ai temi della legalità e della giustizia, che dovrebbero essere trasversali -, ma solo di una posizione giusta e di una sbagliata (o di comodo). Il dramma di tante persone, politici quanto elettori, è di non capire che nel difendere Berlusconi per contrapporsi ai nemici di sempre (la sinistra) ci si rende compartecipi del fallimento politico di un uomo i cui vizi lo hanno reso oggettivamente indifendibile. E a maggior ragione indifendibile se si ragiona secondo schemi usuali “di destra”.
Per cui è inutile fingere di non vedere la situazione politica per quello che è. Forse ci troviamo alle porte di una rivoluzione e in ogni rivoluzione, si sa, destra e sinistra si trovano avvinghiate l’una all’altra che è quasi impossibile distinguerle.
E’ difficile dire se i “falchi” di FLI, da Granata a Briguglio o allo stesso Bocchino, rappresentino la destra o, come solitamente si dice, la sinistra del partito. Assumere queste categorie in riferimento all’asse Berlusconi-Bossi è profondamente sbagliato e non ci fa capire nulla di quanto sta accadendo. Berlusconi e Bossi non possono in alcun modo essere considerati dei liberali, dei moderati o dei conservatori. Sono dei populisti la cui azione politica travalica la destra e la sinistra comunemente intese. Né si possono in alcun modo definire di destra i Tremonti, i Brunetta, i Sacconi, i Frattini, i Bondi… tutta gente con un passato di sinistra alle spalle, una sinistra nella maggior parte dei casi “craxiana”.
Forza Italia nacque infatti come scialuppa di salvataggio degli scampati di Mani Pulite, pur avendo Berlusconi, in un primo tempo, cercato di servirsi dell’azione dei magistrati per mettersi spudoratamente dalla parte del nuovo, quando era parte integrante del vecchio. La destra invece stava senza se e senza ma dalla parte dei magistrati, consapevole di avere nel suo dna la battaglia per la legalità. Per questo guardò con favore alla caduta della Prima Repubblica nel momento in cui, senza sapere a cosa andava incontro, accettava la mela avvelenata del Cavaliere. Questo è stato lo “sdoganamento” tanto osannato dai La Russa, una mela avvelenata.
Oggi, a posteriori, vedendo il pessimo risultato che ha dato di sé la destra postfascista al potere è lecito dirsi se ne sia valsa la pena. Anche Fini si è accorto, e non da oggi, che i colonnelli di AN erano nient’altro che zavorra, gente solo affamata di rendite di posizione, incapace di seguirlo in quel difficile cammino politico che in una quindicina d’anni ha portato l’ex leader lepenista a darsi un rigoroso taglio liberalconservatore di stampo europeo. Ma pochissimi della vecchia classe dirigente di AN sono riusciti a stare al passo di Fini, il grosso ha continuato a impersonare una caricatura della “vecchia destra” vendendosi alfine per un miserevole piatto di lenticchie. Ché questo hanno ottenuto gli ex postfascisti accasatisi con Berlusconi e che sono destinati prima di quanto credano a venir messi ai margini dal loro attuale padrone a vantaggio degli ex Forza Italia che non ne possono più di loro e che stanno già cercando in tutti i modi di levarseli di mezzo.
Per anni Fini ha dovuto tirarsi dietro questa recalcitrante zavorra, finchè non se n’è finalmente liberato con la nascita fusionista del Popolo della Libertà. Solo allora Fini ha potuto giocarsi la sua partita libero da ingombranti eredità e persistenti tic psicologici, attraverso la Fondazione FareFuturo e il quotidiano, rinnovato graficamente e nei contenuti, del Secolo d’Italia. Dando vita ad un percorso liberale e riformista dentro il Pdl, magari con qualche forzatura avanguardista e qualche stonatura prefascista di troppo, ma comunque sempre qualcosa di vivo e di interessante se paragonato alla pochezza culturale espressa dal corpaccione berlusconiano.
Quel percorso innovativo ci ha portati alla nascita di Futuro e libertà, maturata in seguito all’espulsione voluta da Berlusconi e al fango dei suoi organi di stampa. Ma nonostante si sia scelto di navigare in mare aperto, dentro FLI ancora continua ad esservi gente che insegue vecchie logiche politiche e partitocratiche, come dimostrano le penose vicende a margine dell’Assemblea Costituente che purtroppo hanno catalizzato l’attenzione dei media a danno dei contenui squisitamente politici della stessa. In proposito, se Fini avesse mediato tra le diverse posizioni non avrebbe fatto altro che perseguire la strada viziosa che segnò Alleanza Nazionale dalla sua nascita. Per evitare che in FLI si alimentassero quelle contrapposizioni intestine già viste e subìte, Fini ha preferito dare un taglio netto al vecchio giochino correntizio favorendo coloro che esprimono la vera anima del partito, in termini sia teorici che numerici.
Cosicchè, per quanto gli antipatizzanti dicano già che FLI è un partito “nato morto”, per nostra fortuna e purtroppo per loro è l’esatto contrario. FLI è vivo grazie all’entusiasmo dei circoli di Generazione Italia (creatura di Bocchino e non di Viespoli), grazie a think tanks come Libertiamo (Della Vedova) e alla consapevolezza che un centrodestra normale potrà avere in Italia un futuro solo quando si sarà finalmente superato l’impasse del berlusconismo. Il nostro futuro passa, necessariamente, per una riconquistata libertà.