Negli ultimi anni la distanza tra Roma e Mosca si è accorciata a seguito di una serie di scelte strategiche da parte dei governi italiani, specialmente di quelli a guida Berlusconi, amico personale di Vladimir Putin: in economia, partecipando a progetti energetici impostati dal Cremlino, in varie crisi geopolitiche, optando per un appoggio alle scelte russe, anche in contrasto con gli Stati Uniti. Un rapporto, quello tra Berlusconi e la Russia, iniziato nel 1988, quando la Publitalia 80, anche grazie alla mediazione di dirigenti del PCI, divenne la sola concessionaria di pubblicità per le aziende di tutta Europa sui canali televisivi sovietici: un mercato, allora, di 280 milioni di utenti, attraverso 100 milioni di televisori. Cavaliere a parte, nessun governo italiano ha mai ignorato ieri l’URSS, oggi la Russia: è sotto il governo Prodi che Eni e Gazprom hanno stretto accordi per la costruzione del gasdotto South Stream (di cui si parlerà più ampiamente nel prossimo articolo).
Ma andiamo con ordine. E partiamo dal vertice N.A.T.O. dell’aprile 2008, quando il governo italiano si schierò contro la proposta statunitense di concedere a Georgia e Ucraina, appena uscite dalle rispettive rivoluzioni colorate, la Membership Action Plan per agevolarne l’ingresso nell’Alleanza Atlantica. E arriviamo alla guerra georgiana dell’agosto 2008, quando Berlusconi si impegnò per una soluzione diplomatica del conflitto e, soprattutto, evitare al Cremlino sanzioni internazionali. L’indipendenza del Kosovo e il progetto di scudo antimissile da posizionarsi tra Varsavia e Praga sono, per il premier Berlusconi, continue provocazioni. E come se non bastasse, in qualità di presidente di turno del G8, nel 2009, il governo italiano ha rilanciato i lavori per la creazione di un comune spazio euroasiatico, sancito da un trattato sulla sicurezza paneuropea.
Intanto, in attesa dell’auspicata futura integrazione della Russia in Europa, l’Italia continua a correre da sola verso Mosca. L’interscambio commerciali supera i 25 miliardi di euro, con più di 10 miliardi di esportazioni tricolori. A legarci a doppio filo sono sicuramente le materie prime combustibile: il 70% delle importazioni dalla Russia è costituito da gas e petrolio. Ma, come già detto, ai rapporti tra Eni e Gazprom dedicheremo un capitolo a parte, la prossima settimana.
Prescindendo, quindi, per il momento, dal settore energetico, altra realtà di punta dell’imprenditoria italiana in Russia è Finmeccanica: tra gli altri, ha siglato accordi per la costruzione e la vendita di velivoli per il trasporto regionale, per l’assemblaggio di elicotteri civili, l’installazione di un sistema di controllo e sicurezza del traffico su rotaie. Anche l’Enel è fortemente radicata con interessi che spaziano dai campi di gas siberiani al settore nucleare alla distribuzione e vendita di energia elettrica. E poi automobili, elettronica, abbigliamento, calzature, mobili. Ma anche edilizia, metallurgia, ceramica, agroalimentare, banche. E nello stesso tempo aziende russe fanno affari nello Stivale, rilevando aziende siderurgiche, gestendo porti (Rimini), costruendo, acquistando e vendendo immobili. E l’elenco potrebbe continuare ancora per molto.
Insomma: nei confronti della Russia, l’Italia ha decisamente intrapreso una propria politica estera indipendente. Quanto basta per dar fastidio a Washington.