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Visualizza Versione Completa : La crisi libica, l' imperialismo e le menzogne dei media occidentali



Murru
26-02-11, 01:18
Un altro punto di vista sulla Libia
Trovo quasi sempre persuasive e documentate le analisi e gli interventi di Enea Bontempi, sicché, leggendo la sua ultima lettera sul “Quarantotto arabo” (cfr. lettera n. 394), mi trovo ancora una volta a concordare con la sua impostazione e con le sue considerazioni, tranne una: quella riguardante la Libia, che egli accomuna alle altre rivolte dell’area nord-africana e del Vicino Oriente. Non sono d’accordo: la Libia è un’altra cosa. A mio giudizio, fra tutte le lotte in corso nell’area testé citata la più difficile da interpretare è proprio quella libica.

Ragioniamo: la città orientale di Bengasi pare che sia sotto il controllo dell’opposizione al regime di Gheddafi. Orbene, è solo una coincidenza che la ribellione sia iniziata a Bengasi, che si trova a nord dei più ricchi campi petroliferi della Libia e nelle vicinanze della maggior parte degli oleodotti, dei gasdotti, delle raffinerie e del porto per il gas liquefatto? È solo un’ipotesi accademica pensare che vi sia un piano di spartizione del paese? La Libia, infatti, non è come l’Egitto. Il suo leader, Muammar Gheddafi, non è stato un burattino nelle mani dell’imperialismo
come Hosni Mubarak. Per molti anni, Gheddafi è stato un alleato di paesi e movimenti di lotta contro l’imperialismo. Quando assunse il potere nel 1969 con un colpo di stato militare, nazionalizzò il petrolio libico e usò gran parte delle risorse petrolifere per sviluppare l’economia del paese elevando in misura notevole le condizioni di vita della popolazione.

Ragioniamo: è solo un’ipotesi accademica pensare che l’imperialismo americano (e questa volta, caro Bontempi, non “solo in seconda battuta”) abbia deciso di schiacciare la Libia. La memoria degli italiani è piuttosto labile a causa della disinformazione creata dai ‘mass media’, ma forse qualcuno è ancora in grado di ricordare che gli Stati Uniti nel 1986 lanciarono attacchi aerei su Tripoli e Bengasi uccidendo 60 persone, tra cui la figlia più piccola di Gheddafi. All’attacco aereo
seguirono pesanti sanzioni da parte degli Usa e dell’Onu, il cui obiettivo era sostanzialmente quello di distruggere l’economia libica.

Ragioniamo: dopo che gli Stati Uniti ebbero invaso l’Iraq nel 2003, Gheddafi cercò di allontanare la crescente minaccia di aggressione contro la Libia facendo grandi concessioni politiche ed economiche agli imperialisti. Aprì l’economia alle banche e alle società straniere, accettò le richieste di “aggiustamento strutturale” del Fmi, privatizzò molte imprese di proprietà statale e tagliò le sovvenzioni statali per generi di prima necessità come il cibo e il carburante. La conseguenza fu che il popolo libico, che aveva fino ad allora beneficiato di condizioni economiche e sociali di relativo benessere, si è trovato esposto al rincaro dei prezzi e all’aumento della disoccupazione, due fattori che hanno causato le ribellioni in altri paesi e che derivano dalla crisi economica mondiale del capitalismo.

L’interesse dell’imperialismo americano per la Libia non è di tipo turistico. Conviene allora ricordare alcuni dati oggettivi: la Libia è il terzo produttore di petrolio dell’Africa, ma è anche quello con le maggiori riserve del continente (44,3 miliardi di barili). È un paese che con il suo potenziale produttivo costituisce un boccone succulento per le grandi compagnie petrolifere. Dietro alla ‘propaganda dell’orrore’ che i ‘mass media’ hanno scatenato, dietro alla campagna per i diritti democratici del popolo libico che gli imperialisti improvvisamente hanno lanciato
vi è una precisa strategia di sovversione del regime e di acquisizione del controllo delle enormi risorse di un paese molto esteso ma con una popolazione numericamente esigua e divisa da conflitti tribali. L’Iraq ‘docet’. Il trattamento a cui si vuole sottoporre Gheddafi è lo stesso a cui fu sottoposto Saddam Hussein. Il vero nemico dell’imperialismo nel Vicino Oriente è infatti il nazionalismo panarabo, non il fondamentalismo islamico.

Concludiamo: le concessioni ottenute da Gheddafi non sono sufficienti per l’imperialismo. L’obiettivo di quest’ultimo è fare della Libia una colonia di produzione e sfruttamento dell’‘oro nero’, più o meno ammantata da qualche orpello formalmente ‘democratico’. L’imperialismo non ha mai perdonato a Gheddafi di aver rovesciato la monarchia e nazionalizzato il petrolio, così come non ha mai tollerato che l’Italia, grazie all’Eni di Mattei, abbia realizzato con i paesi arabi
del Mediterraneo e in particolare con la Libia una politica autonoma dalle ‘sette sorelle’ nel campo degli approvvigionamenti energetici. Fidel Castro, che ha una certa esperienza in questo campo, sottolinea in un suo commento la fame di petrolio dell’imperialismo e lancia l’allarme per l’intervento militare che gli Stati Uniti potrebbero attuare in Libia adducendo il solito pretesto ‘umanitario’. La Sesta Flotta americana, come è noto, incrocia nel Mediterraneo. Forse quello a cui ci toccherà di assistere in Libia sarà (non un “Quarantotto” ma) un “Ottantanove” arabo.

- Un altro punto di vista sulla Libia | Lettere al direttore | Varese News (http://www3.varesenews.it/comunita/lettere_al_direttore/articolo.php?id=196859)

Murru
15-03-11, 13:27
DALLA LIBIA UN DURO COLPO ALL’ITALIA.

Una intensa e martellante campagna propagandistica sta accreditando la menzogna di un leader che massacra il suo popolo con una repressione feroce fatta anche di bombardamenti aerei.
Si parla di diecimila morti che naturalmente si attribuiscono a responsabilità di Gheddafi e del suo governo. Una potente e quasi impenetrabile cortina fumogena si è alzata sugli avvenimenti.
Filtrano solo le “notizie” confezionate dalla batteria massmediatica occidentale.
Gheddafi si trova nella condizione in cui venne a trovarsi Milosovic durante la crisi del Kossovo nella quale fu fatto credere all’opinione pubblica mondiale un genocidio a danno degli albanesi quando invece erano i serbi ad essere rastrellati, uccisi o costretti a scappare dalle loro case.
I massmedia arabi più importanti di proprietà dell’Arabia Saudita forniscono la versione quotidiana degli avvenimenti e partecipano attivamente alla congiura mediatica.
Gli insorti vengono fatti passare per inermi cittadini amanti della libertà e della democrazia e non viene spiegato come abbiano fatto a conquistare militarmente tante città.
Si tratta di un colpo di Stato con epicentro in Cirenaica che è stato minuziosamente preparato dagli USA e da Israele che in questo modo regolano i conti con una realtà nazionale da sempre autonoma e non asservita come la Tunisia, l’Egitto, il Marocco, lo Yemen, la Giordania, agli interessi coloniali e geostrategici dell’Occidente.
La posta in gioco è una profonda modificazione degli equilibri politici che non mette in discussione il lager di Gaza e che probabilmente si estenderà al controllo di tutto il Libano.
Da questa crisi abilmente manovrata dagli USA esce anche una Italia più debole che dovrà rinegoziare gli accordi sugli approvvigionamenti di gas e di petrolio con i nuovi padroni americani ed i loro prestanomi. L’Italia e la Libia hanno realizzato per tantissimi anni una politica di pace e di cooperazione basata sulla esistenza del metanodotto ideato e concepito in Sicilia dall’Ente Minerario Siciliano a suo tempo proposto come alternativa vincente al trasporto del gas con navi. E’ un durissimo colpo alla economia italiana ed alla sua sicurezza energetica. L’Italia uscirà da questa crisi con le ossa rotte. Questa crisi si sommerà alle tante altre che riguardano la nostra industria manifatturiera a cominciare dalla Fiat e renderà assai difficile e problematico il recupero. I guai non arrivano mai da soli!
Non sappiamo quale sarà il destino della Libia e se resterà unita o si frammenterà in due o tre staterelli secondo la tecnica del salame affettato che gli USA praticano con successo da anni a cominciare dalla Corea.
Può darsi che Gheddafi non sarà in grado di continuare a controllare la Tripolitania anche perchè ha gestito il governo soltanto in termini familistici e senza proporsi la costruzione di un gruppo dirigente forte e preparato per lo Stato.
Gheddafi è anziano e non ha successione dentro l’attuale dirigenza.
Ha fatto una politica che ha garantito ricchezza ed indipendenza alla Libia ma non ha curato lo Stato che è sempre stato una specie di masseria.
Ma certamente le condizioni del suo popolo sono migliori di quelle che hanno portato alla rivolta i tunisini e gli egiziani.
La Libia ha sempre avuto un grande numero di lavoratori stranieri ai quali ha dato da mangiare per tanti decenni ed il reddito dei suoi sei milioni di abitanti è stato di 15 mila dollari contro gli 8 mila della Tunisia, i 4.300 del Marocco ed i 5000 mila dell’Egitto.
Certamente ci sono problemi di diseguale distribuzione del reddito e di riforme ma non si può dire che la popolazione libica non abbia fruito dei proventi del petrolio in misura certamente maggiore di quella che gli USA concedono in Iraq.
La fine della Libia indipendente si rifletterà sull’Europa che dovrà fare i conti con una nuova situazione per gli approvvigionamenti energetici dal Sud e non è detto che gli USA non preparino un colpo per spezzare le reni alla Russia che non ha voluto fare gestire agli oligarchi integrati nelle multinazionali di Wall Street le sue risorse petrolifere ed i suoi gasdotti.
Tutte le pedine che gli USA muovono sullo scacchiere mondiale sono finalizzate agli interessi particolari del suo imperialismo.
Sono tutte pedine.
Non c’è e non ci sarà mai una politica di pace ed Obama non solo non è diverso da Bush nel suprematismo a stelle e strisce ma è ancora più pericoloso per la capacità di manipolazione.
Ricordate che fece credere di essere con il Presidente dell’Honduras nello stesso giorno in cui questi veniva rapito da un aereo militare americano!
Continua una guerra senza fine in Afghanistan ed a diffondere la favole di AlQaeda e del terrorismo per giustificare il lager e le torture di Guantanamo.

Pietro Ancona

DALLA LIBIA UN DURO COLPO ALL’ITALIA. (http://pdcimilena.wordpress.com/2011/02/26/dalla-libia-un-duro-colpo-allitalia/)

Murru
15-03-11, 13:29
Romania, Iraq, Kosovo... Libia: nelle fosse comuni si seppellisce la verità

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

25-02-2011/12:22 --- Di che paese si parla nelle citazioni tratte da due importanti quotidiani italiani?
“...Ieri sono arrivate altre conferme delle manifestazioni che sabato e domenica hanno sconvolto le città di * e * che sarebbero state represse nel sangue dalla polizia con l'appoggio dell'esercito” (Corriere della sera **/**/****) e ancora “...Fonti dell'opposizione interna parlano di scontri violentissimi e di 300 morti...” (La Repubblica).
Semplice, risponderete voi. Della Libia! Negli ultimi giorni notizie di stragi, di bombardamenti aerei sui manifestanti e sui civili inermi, di possibile uso delle armi chimiche contro la popolazione che si oppone al regime di Gheddafi, di stragi di medici e di feriti negli ospedali, di colonne di migliaia di profughi in fuga dai combattimenti e dagli eccidi bombardano le opinioni pubbliche occidentali e, quindi, anche italiana.
Torniamo alle citazioni di cui sopra: non si riferiscono a quanto sta accadendo in Libia, bensì a quanto stava – secondo i media internazionali – accadendo a Timisoara e ad Arad ai tempi delle rivolte contro Ceaucescu, nel 1989. L’episodio che più impatto ebbe sull’opinione pubblica italiana e occidentale fu il ‘massacro di Timisoara’ del Natale del 1989. Per giorni si parlò di un vero e proprio eccidio costato la migliaia di civili inermi, passati per le armi dalle truci milizie del regime nella città romena, e le immagini di ‘migliaia’ di cadaveri sepolti in una ‘fossa comune’ fecero più volte il giro del mondo diventando il simbolo di quanto accadeva in uno dei paesi dell’Europa orientale che si stava liberando dall’odiato comunismo di stampo sovietico. Ad un certo punto comparve anche un filmato che mostrava i primi corpi riesumati con evidenti tracce di “torture spaventose”; i cadaveri avevano in comune un taglio malamente ricucito che andava dal collo all'inguine...
Il presunto eccidio del Natale del 1989 a Timisoara, ‘incontrovertibilmente vero’ in quanto raccontato dalle tv e dai giornali di tutto il mondo con ‘testimonianze particolareggiate’ ed immagini a profusione, in poche settimane venne smascherato e divenne una delle bufale più inquietanti nella storia del giornalismo. I cadaveri ritratti erano solo 13 ed erano morti di morte naturale. I segni delle torture erano in realtà conseguenza delle autopsie praticate da un medico legale. Niente stragi, niente fosse comuni. Il 24 gennaio del 1990 una tv tedesca e la France Press denunciarono la messa in scena: “Tre medici di Timisoara hanno affermato che i corpi di persone decedute in modo naturale sono stati prelevati dall'istituto medico legale e dall'ospedale per essere esposti alle telecamere come vittime della Securitate”.
Ma l’industria internazionale delle bufale non si diede per vinta, avendo sperimentato la facilità con cui qualche agenzia di stampa e qualche fotoreporter possono di punto in bianco, in assenza di prove e di conferme incrociate, creare un caso e mobilitare le opinioni pubbliche. E quindi fornire ai governi e agli Stati Maggiori di Washington e dell’Unione Europea il là per potersi imbarcare in bombardamenti umanitari, invasioni preventive, occupazioni democratiche. Paradossalmente la censura, la verve propagandistica parca di notizie e il dilettantismo tipici dei media del paese preso di mira dalla ‘disinformatia’ contribuiscono a concedere credibilità alle esagerazioni e alle invenzioni prodotte con maestria professionale dall’industria internazionale della menzogna.
Scrive Federico Povoleri in un pezzo dedicato ai meccanismi della disinformazione:“Le cose da considerare in questa storia sono allo stesso tempo importanti e quasi incredibili: 1) La capacità di raggiungere in pieno un obiettivo di disinformazione a livello internazionale 2) L'accettazione acritica da parte dell'opinione pubblica di notizie che mancavano di fonti certe e attendibili 3) L'incredibile capacità di penetrazione della notizia che crebbe a dismisura attraverso leggende e false notizie di supporto 4) La dimostrazione di quanto un'informazione manipolata possa trasformare o addirittura costruire la realtà.”
Il modello, sperimentato con successo in Romania, venne infatti utilizzato di nuovo, ed in grande stile, per altri quadranti del globo dove la sete di petrolio e di territori da conquistare imponevano sanzioni prima e interventi militari poi.
Vi ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, con i giornali che svelavano una compravendita di materiale radioattivo con un piccolo e sconosciuto paese africano mai avvenuta? Giornalisti affermati affermavano che nel Kuwait occupato i soldati iracheni al servizio di Saddam Hussein uccidevano i neonati nelle incubatrici…
Prima ancora la fabbriche delle menzogne aveva funzionato egregiamente per giustificare i bombardamenti sulla Serbia e l’invasione della provincia del Kosovo. Si cominciarono a descrivere con dovizia di particolari le esecuzioni sommarie, le colonne di profughi bombardati dai caccia (questo avveniva davvero, solo che i caccia erano quelli della NATO decollati dalle basi militari italiane...), gli stupri di massa contro le donne kosovare, i villaggi distrutti. Siccome le opinioni pubbliche si dimostravano ancora troppo tiepide nei confronti di un intervento militare di terra, si cominciò a parlare di milioni di profughi in pericolo di vita, di eccidi indiscriminati, di pulizia etnica. A invasione conclusa le squadre forensi della FBI e della Polizia spagnola, inviate in Kosovo a caccia delle fosse comuni dove sarebbero stati sepolti decine di migliaia di civili kosovari, non ne trovarono, ma si imbatterono nei campi di prigionia e nelle sale della tortura allestite dai ‘liberatori’ dell’UCK, riconvertitisi nel frattempo nei nuovi padroni della provincia sottratta a Belgrado. (Vi consigliamo la lettura dell’articolo ‘La bufala delle fosse comuni in Kosovo. Assordante silenzio degli invasori ‘umanitari’ del Kosovo’ di John Pilger).
A quanto pare le smentite e le prove della manipolazione delle opinioni pubbliche da parte dell’industria della guerra non sono servite a molto. Oggi, di fronte a ciò che accade a Tripoli, il meccanismo all’opera è sempre lo stesso e le opinioni pubbliche - soprattutto quelle più sensibili alle tematiche umanitarie e orientate a ‘sinistra’ - sembrano accettare le varie ‘informazioni’ riportate dai media senza porsi particolari domande sulla loro veridicità. Che la maggior parte di queste siano precedute dal ‘sembra che…’, ‘si dice che...’, testimoni che vogliono rimanere anonimi affermano che…’ poco importa. Il meccanismo emotivo prende il sopravvento e rende alle cancellerie occidentali molto facile giustificare operazioni militari presentate come finalizzate a proteggere le popolazioni mentre in realtà mirano ad intervenire in territori dalle quali gli interessi dell’imperialismo erano stati esclusi od in parte limitati.
Paradossalmente sono spesso ingenue (o a volte prezzolate) Ong e associazioni di massa a pressare i governi affinché intervengano il prima possibile con sanzioni o interventi militari contro i regimi responsabili degli eccidi.
Nel caso della Libia milizie armate fino ai denti e ben organizzate vengono descritte come ‘manifestanti inermi’; non ci sono colonne di centinaia di migliaia di profughi che tentano di fuggire verso i paesi confinanti eppure la notizia continua a rimbalzare sui media italiani ed esteri; le cifre dei morti – che evidentemente comprende anche quelli di parte governativa – crescono iperbolicamente senza che se ne abbia nessuna conferma, e per giustificare che le strade non sono lastricate di cadaveri come detto nei giorni scorsi da alcuni ‘testimoni oculari’ via facebook o via twitter alcuni quotidiani hanno affermato oggi che i mercenari avrebbero scaricato i morti nel deserto gettandoli dagli aerei… Ma le prime crepe nel meccanismo della produzione di massa delle bufale di guerra cominciano ad aprirsi. E non solo sui media alternativi o più critici nei confronti del meccanismo dominante.
Oggi Il Manifesto riporta questa notizia: “Su nostra sollecitazione si è avuta la smentita ufficiale della Corte Penale Internazionale che il signor Sayed Al Shanuka o El-Hadi Shallouf non figurano né come impiegati né come responsabili di organi della Corte Penale Internazionale. Si tratta di un gravissimo episodio di disinformazione poiché da tali individui era stata fatta arrivare tramite la Tv Al Arabiya la notizia di 10 mila morti e di 50 mila feriti”. La denuncia, incredibilmente, arriva da alcuni esponenti del Partito Radicale, in prima fila nel chiedere un intervento deciso dell’Europa contro Gheddafi… Possibile che nessuno a Rainews 24, che ha dato per due giorni in tutti i suoi notiziari questa cifra sulla vittime, si sia preoccupato di verificarne la veridicità? Possibilissimo…
Anche sui tanto sbandierati bombardamenti aerei sui civili nei quartieri di Tripoli e Bengasi, più volte smentiti dagli italiani arrivati in Italia dalla Libia in questi giorni e da numerosi testimoni - questa volta forniti di nome e cognome - qualche dubbio ce lo ha anche il corrispondente de La Repubblica. Inoltre sul quotidiano in edicola oggi scrive l’inviato a Tripoli Salvatore Nigro : “Un libico (...) guardando le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime dice: “Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie sullo sfondo”. Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono delle notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri”…
Dicendo questo non vogliamo assolutamente negare la gravità di quello che sta accadendo a Tripoli: in Libia sono in atto cruenti combattimenti tra due fazioni delle classi dirigenti all’interno di un sistema tribale che la rivoluzione di Gheddafi, degradatasi da anni in dittatura personale e famigliare, non è riuscita a scalzare. Come accade spesso nelle zone di guerra i civili sono i primi a fare le spese della violenza. Il problema è non lavorare, come si dice in questi casi, per il ‘re di Prussia’, avallando un intervento militare e neocoloniale contro il popolo libico - mascherato da operazione umanitaria -che rappresenta esattamente il contrario rispetto a quelle aspirazioni alla libertà, alla democrazia e alla giustizia sociale che stanno animando le rivolte dei popoli e dei lavoratori in tutto il Maghreb e nella penisola arabica.

Radio - Romania, Iraq, Kosovo... Libia: nelle fosse comuni si seppellisce la verit (http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5985&Itemid=9)



Ecco nel dettaglio la bufala sulle fosse comuni

Dal blog di Debora Billi


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Questo è il video che sta facendo il giro del mondo. La fonte è OneDayOnEarth, e mostra lo scavo di "fosse comuni" per le vittime delle rivolte in Libia. Si tratta di centinaia di tombe, e sembrano scavate con cura.

Non so se queste immagini siano vere oppure no, e non posso giudicarlo da qui. In entrambi i casi, non ho parole.

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Update. Come si sospettava, non si tratta di una distesa di fosse comuni ma di un cimitero già esistente a Tripoli. Si chiama Sidi Hamed Cemetery*, e si trova vicino al mare (qui la verifica col satellite Google Maps). Nel video, si vedono aggiungere due file per le vittime di questi ultimi giorni; ma tutte le tombe che si vedono intorno sono tombe che esistevano già. Insomma, niente fosse comuni d'emergenza. Ricordatevelo stasera, quando le vedrete al telegiornale.

*Grazie a Medo per la segnalazione.

Update 2. Gianluca Freda, con cui litigo sempre ma che spesso apprezzo, offre qui ulteriori dettagli sulla faccenda e una spiegazione plausibile delle immagini.

E' perfino lecito sospettare che non si tratti affatto di immagini riprese di recente, bensì della documentazione di una delle numerose "sepolture collettive" dei migranti africani le cui imbarcazioni si capovolgono di frequente in prossimità delle coste libiche e i cui corpi vengono poi sospinti sulla spiaggia dalla marea. In particolare, proprio il cimitero di Sidi Hamed ha dovuto spesso occuparsi di questi incresciosi compiti, vista la frequenza di tali incidenti. Il fatto che nel filmato l'atmosfera appaia rilassata, che non si vedano manifestanti furenti o esagitati, né donne, né parenti piangenti o urlanti, fa pensare che si tratti appunto dei lavori di sepoltura di queste vittime sconosciute.

Libia, le fosse comuni. Non ho parole. - Petrolio (http://petrolio.blogosfere.it/2011/02/libia-le-fosse-comuni-non-ho-parole.html)

Murru
15-03-11, 13:33
I militari Russi assicurano che Gheddafi non ha bombardato i civili



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Murru
15-03-11, 13:36
Ecco in che modo i media orchestrano, inventano, falsificano ed esagerano le immagini e le notizie che provengono dalla Libia. Prego di notare, nel filmato, la troupe di Al Jazeera che incita la folla di Bengasi a fare casino per poter offrire ai videopecori occidentali il loro grido di guerra.

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Murru
15-03-11, 13:39
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Il video di alcuni soldati libici giustiziati in modo cruento dai rivoltosi. La parte del video in cui si vedono solo i corpi è stata utilizzata dai media occidentali per far passare il messaggio contrario. Infatti secondo i nostri medi quei corpi sarebbero stati di rivoltosi giustiziati dall'esercito o, in altri casi, di soldati uccisi da Gheddafi perché si erano rifiutati di bombardare la popolazione.
Visita il sito Il Brigante Rosso (http://www.ilbriganterosso.info/)

SteCompagno
15-03-11, 22:58
impressionanti questi articoli :giagia: ottimo lavoro Murru

io non sono particolarmente pro-Gheddafi,ma sono d'accordo che quella della Libia è tutto tranne che una rivoluzione popolare e sociale :giagia:

Murru
17-03-11, 13:49
Grazie per i complimenti SteDiessino :)

Ecco un interessante articolo dell' 8 marzo


Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?*


di Diana Johnstone**

su GlobalResearch.ca - Centre for Research on Globalization (http://www.globalresearch.ca) del 16/03/2011

I cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue. Gli USA portarono all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia

Somiglianze inquietanti tra la “guerra umanitaria” per il Kosovo e l’attuale situazione libica: martellante campagna di menzogne mediatiche, demonizzazione del leader, ricorso al Tribunale Penale Internazionale, strumentalizzazione dei profughi, rifiuto dei negoziati…


Meno di 12 anni dopo che la NATO ha bombardato una Jugoslavia a pezzi e distaccato la provincia del Kosovo dalla Serbia, ci sono segni che l’alleanza militare si prepara ad un’altra piccola vittoriosa “guerra umanitaria”, questa volta contro la Libia. Le differenze sono, ovviamente, enormi. Ma diamo un’occhiata ad alcune somiglianze inquietanti.

Un leader demonizzato
Come “nuovo Hitler”, l’uomo che amate odiare e avete necessità di distruggere, Slobodan Milosevic, era un neofita nel 1999 rispetto a Muammar Gheddafi oggi. I media ebbero meno di un decennio per trasformare Milosevic in un mostro, mentre con Gheddafi, hanno avuto diversi decenni. E Gheddafi è più esotico, parla poco l’inglese e compare davanti al pubblico in abiti che potrebbero essere stati creati da John Galliano (recentemente smascherato come un altro mostro). Questo aspetto esotico suscita derisione e disprezzo verso le culture native su cui l’Occidente ha ottenuto le sue vittorie, con cui ha colonizzato l’Africa, con cui il Palazzo d’Estate a Pechino è stato devastato dai soldati occidentali, che combattevano per rendere il mondo sicuro per la dipendenza da oppio.

Il coro del “dobbiamo fare qualcosa”
Come con il Kosovo, la crisi in Libia è vista dai falchi come un’opportunità per affermare la propria potenza. L’ineffabile John Yoo, il consulente legale che ha allenato l’amministrazione Bush II sui benefici della tortura dei prigionieri, ha usato il Wall Street Journal per consigliare l’amministrazione Obama ad ignorare la Carta dell’ONU e a saltare nella mischia libica. “Mettendo da parte le regole arcaiche delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti possono salvare vite umane, migliorare il benessere generale e al tempo stesso servire i propri interessi nazionali”, ha dichiarato J. Yoo. E un altro teorico dell’imperialismo umanitario, Geoffrey Robertson, ha detto a The Independent che, nonostante le apparenze, violare il diritto internazionale è legale.

Lo spettro dei “crimini contro l’umanità” e del “genocidio” è invocato per giustificare la guerra.
Come con il Kosovo, un conflitto interno tra governo e ribelli armati è presentato come una “crisi umanitaria” in cui solo una parte, il governo, viene considerata “criminale”. Questa criminalizzazione a priori è espressa, facendo appello a un organo giudiziario internazionale per indagare su presunti crimini che avrebbe commesso o starebbe sul punto di commettere. Nel suo editoriale, Geoffrey Robertson chiarisce cristallinamente come il Tribunale penale internazionale sia utilizzata per preparare il terreno a un possibile intervento militare. Ha spiegato come il TPI possa essere utilizzata dall’Occidente per aggirare il rischio di un veto da parte del Consiglio di Sicurezza sull’azione militare. “Nel caso della Libia, il Consiglio ha almeno un precedente importante, approvando all’unanimità un riferimento al Tribunale penale internazionale. [...] Allora, che cosa succede se gli accusati libici non-arrestati aggravano i loro crimini – ad esempio con l’impiccagione o la fucilazione a sangue freddo di loro avversari, potenziali testimoni, civili, giornalisti e prigionieri di guerra?” [Notare che finora non ci sono “imputati” né vi è evidenza alcuna di “crimini" che questi supposti imputati potrebbero "aggravare" in diversi modi immaginari. Ma Robertson è desideroso di trovare un modo affinché la NATO "accetti la sfida", se il Consiglio di Sicurezza decidesse di non fare nulla]. “Le imperfezioni del Consiglio di sicurezza richiedono il riconoscimento ad una alleanza come la NATO di un diritto limitato, senza mandato, ad usare la forza per prevenire la commissione di crimini contro l’umanità. Tale diritto sorge quando il Consiglio ha individuato una situazione come minaccia alla pace nel mondo (e quindi individua la Libia, deferendola, all’unanimità, al procuratore del Tribunale penale internazionale)”.
Quindi, deferire un paese davanti a un procuratore del TPI può essere un pretesto per fare la guerra contro questo paese! Per inciso, la giurisdizione del Tribunale penale internazionale è destinata ad applicarsi a stati che hanno ratificato il trattato che la istituisce, il che, a mio avviso, non è il caso della Libia – o degli Stati Uniti Stati. Una grande differenza, tuttavia, è che gli Stati Uniti sono stati in grado di convincere, intimidire o corrompere molti degli Stati firmatari ad accettare degli accordi nei quali mai, in nessuna circostanza, si deferiscono per un qualsiasi reato degli statunitensi davanti al Tribunale penale internazionale. È un privilegio negato a Gheddafi.
Robertson, membro del consiglio di giustizia delle Nazioni Unite, conclude che: «il dovere di fermare un massacro di innocenti, come meglio possiamo fare, se chiedono il nostro aiuto, ha “cristallizzato” il fatto che per la NATO utilizzare la forza non è solo “legittimo”, ma “legale”».

L’idiozia della sinistra
Dodici anni fa, la maggior parte della sinistra europea ha sostenuto “la guerra in Kosovo”, che ha messo la NATO sulla strada senza fine che segue ancora oggi in Afghanistan. Non avendo imparato nulla, molti sembrano pronti a ripetersi. Una coalizione di partiti che si autodefinisce Sinistra europea, ha pubblicato una dichiarazione che “condanna fermamente la repressione perpetrata dal regime criminale del colonnello Gheddafi” e invitano la UE a condannare “l’uso della forza e ad agire rapidamente per proteggere coloro che dimostrano pacificamente e combattono per la loro libertà”. Nella misura in cui l’opposizione a Gheddafi non è esattamente una “protesta pacifica”, ma ha in parte preso le armi, ciò significa condannare l’uso della forza da parte di alcuni e non di altri – ma è improbabile che i politici che hanno redatto questa dichiarazione si rendano conto di ciò che dicono.
I paraocchi della sinistra sono illustrati dalla dichiarazione di un documento trotskista secondo cui: “Di tutti i crimini di Gheddafi, senza dubbio il più grave e meno conosciuto è la sua complicità nella politica migratoria della UE…”. Per l’estrema sinistra, il più grande peccato di Gheddafi è quello di cooperare con l’Occidente, e anche l’Occidente deve essere condannato per aver cooperato con Gheddafi. Questa è una sinistra che finisce nella pura confusione; è come fare il tifo per la guerra.

I rifugiati
La massa di profughi in fuga dal Kosovo, quando la NATO ha iniziato la sua campagna di bombardamenti, è stata utilizzata per giustificare i bombardamenti, senza un’indagine indipendente sulle diverse cause di questo esodo temporaneo – una delle cause principali fu probabilmente il bombardamento stesso. Oggi, dai report dei media sul numero di profughi che lasciano la Libia da quando sono iniziate le agitazioni, il pubblico potrebbe avere l'impressione che essi stiano fuggendo dalla persecuzione di Gheddafi. Come spesso accade, i media si concentrano solo sull’immagine superficiale, senza cercare una spiegazione. Un po’ di riflessione può colmare il vuoto informativo. È molto improbabile che Gheddafi abbia respinto i lavoratori stranieri che il suo governo ha fatto giungere in Libia per lavorare ai grandi progetti infrastrutturali. Invece, è chiaro che alcuni dei ribelli ‘democratici’ hanno attaccato i lavoratori stranieri per pura xenofobia. L’apertura di Gheddafi agli africani neri in particolare, ha sconvolto un certo numero di Arabi. Ma non bisogna dire troppo su ciò, poiché ora sono i nostri "bravi ragazzi". È un po’ il modo in cui le aggressioni albanesi ai Rom in Kosovo, furono trascurate o giustificate dagli occupanti della NATO, con la motivazione che “i Rom avevano collaborato con i serbi”.

Osama bin Laden
Un’altra somiglianza tra l’ex Jugoslavia e la Libia, è che gli Stati Uniti (e i loro alleati della NATO) si ritrovano dalla stessa parte del loro vecchio amico dai tempi dei Mujahidin afghani, Osama bin Laden. Osama bin Laden è stato un discreto alleato del partito islamista di Alija Izetbegovic, durante la guerra civile in Bosnia, un fatto che è stato completamente trascurato dalle potenze della NATO. Naturalmente, i media occidentali hanno in gran parte respinto come il delirio di un pazzo la tesi corrente di Gheddafi, secondo cui egli sta combattendo contro bin Laden. Tuttavia, la lotta tra Gheddafi e bin Laden è molto reale ed è precedente agli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono.
In effetti, Gheddafi è stato il primo a cercare di segnalare all’Interpol bin Laden, ma non ha ottenuto la collaborazione da parte degli Stati Uniti. Nel novembre 2007, l'agenzia di stampa francese AFP ha riferito che i leader del “Gruppo islamico combattente” in Libia avevano annunciato che aderivano ad al-Qaeda. Come i mujahidin che hanno combattuto in Bosnia, il gruppo islamista libico è stato creato nel 1995 da veterani della lotta - sponsorizzata dagli USA - contro i sovietici in Afghanistan, negli anni ‘80. Il loro obiettivo dichiarato era quello di rovesciare Gheddafi e di creare uno stato islamico radicale. La base dell’Islam radicale è sempre stata la parte orientale della Libia, dove è scoppiata la rivolta in corso. Poiché questa ribellione non ha niente delle manifestazioni di massa pacifiche che hanno rovesciato i dittatori in Tunisia ed Egitto, ma ha visibilmente una componente di militanti armati, si può ragionevolmente presumere che gli islamisti stiano prendendo parte alla ribellione.

Il rifiuto dei negoziati
Nel 1999, gli Stati Uniti erano disposti ad utilizzare la crisi in Kosovo per dare al nuovo ruolo “fuori area” della NATO il battesimo del fuoco. La farsa dei colloqui di pace di Rambouillet fu affondata dal segretario di Stato USA Madeleine Albright, che mise da parte i dirigenti albanesi del Kosovo più moderati a favore di Hashim Thaci, il giovane leader dell’”Esercito di Liberazione Kosovo” [UCK], una rete notoriamente legata ad attività criminali. C’era un po’ di tutto tra i ribelli albanesi del Kosovo, ma come spesso accade, gli Stati Uniti arrivarono e scelsero il peggio.
In Libia, la situazione potrebbe essere peggiore.
La mia impressione, anche in seguito alla mia visita a Tripoli quattro anni fa, è che nella ribellione attuale vi sia una ben maggiore varietà di componenti, con gravi potenziali contraddizioni interne. A differenza dell’Egitto, la Libia non è uno stato molto popoloso, con migliaia di anni di storia alle spalle, un forte senso dell’identità nazionale e una cultura politica consolidata. Mezzo secolo fa, era uno dei paesi più poveri del mondo, e non è ancora completamente uscita dalla struttura clanica. Gheddafi, con i suoi modi di fare eccentrici, è stato un fattore di modernizzazione, utilizzando i proventi del petrolio per elevare il tenore di vita a un livello tra i più alti del continente africano. L’opposizione viene, paradossalmente, sia da tradizionalisti islamici reazionari da un lato, che lo considerano un eretico per le sue vedute relativamente progressiste, sia, dall’altro, dai beneficiari della modernizzazione occidentalizzati, che sono ostacolati dall’immagine di Gheddafi e desiderano ancora più modernizzazione. E ci sono altre tensioni che possono portare alla guerra civile e, addirittura, alla frattura del paese lungo linee geografiche.
Fino ad ora, i cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue di quello che si è attualmente verificato. Gli Stati Uniti hanno portato all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia, dove è ancor più grande l’ignoranza dell’Occidente su ciò che essi starebbero facendo.
La proposta di Chavez di una mediazione neutrale per evitare il disastro, è la via della saggezza. Ma in NATOland la nozione stessa di risoluzione dei problemi attraverso la mediazione pacifica, piuttosto che con la forza, sembra essersi volatilizzata.

8 marzo 2011

Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?* (http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20721)

Murru
19-03-11, 19:50
Una nuova operazione coloniale contro la Libia


di Domenico Losurdo

Dopo aver bloccato con un veto solitario una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condannava l’espansionismo coloniale di Israele nella Palestina occupata, ora gli Usa si atteggiano di nuovo a interpreti e campioni della «comunità internazionale». Hanno convocato il Consiglio di sicurezza, ma non per condannare l’intervento delle truppe saudite in Bahrein ma per esigere e infine imporre il varo della «no-fly zone» e di altre misure di guerra contro la Libia.

Peraltro, alcune misure di guerra erano state già intraprese unilateralmente da Washington e da alcuni dei suoi alleati: lo dimostrano l’addensarsi della flotta militare statunitense al largo delle coste libiche e il ricorso al classico strumento colonialista della politica delle cannoniere. Ma Obama non si era fermato qui: più volte nei giorni scorsi aveva intimato minacciosamente a Gheddafi di abbandonare il potere; aveva fatto appello all’esercito libico a inscenare un colpo di Stato. Ma l’aspetto più grave è un altro. Assieme a Gran Bretagna e Francia, gli Usa hanno da un pezzo sguinzagliato i loro agenti per porre i funzionari libici dinanzi a un dilemma: o passare dalla parte dei ribelli oppure essere deferiti alla Corte penale internazionale e trascorrere il resto della loro vita in galera, in quanto responsabili di «crimini contro l’umanità».

Al fine di coprire la ripresa delle più infami pratiche colonialiste, si è scatenato il consueto, gigantesco apparato multimediale di manipolazione e disinformazione. E, tuttavia, basta leggere con un minimo di attenzione la stessa stampa borghese per accorgersi dell’inganno. Giorno dopo giorno si è ripetuto che gli aerei di Gheddafi bombardavano la popolazione civile. Ma ecco cosa scriveva Guido Ruotolo su «La Stampa» del 1 marzo (p. 6): «E’ vero, probabilmente non c’è stato nessun bombardamento». La situazione è radicalmente cambiata nei giorni successivi? Sul «Corriere della Sera» del 18 marzo (p. 3) Lorenzo Cremonesi riferisce da Tobruk: «E come è già avvenuto nelle altre località dove è intervenuta l’aviazione, sono stati per lo pù raid di avvertimento. “Volevano spaventare. Tanto rumore e nessun danno”, ci ha detto per telefono uno dei portavoce del governo provvisorio». Dunque, sono gli stessi rivoltosi a smentire il «genocidio» e i «massacri» invocati come giustificazione dell’intervento «umanitario».

A proposito di rivoltosi. Giorno dopo giorno vengono celebrati quali campioni della democrazia nella sua purezza, ma ecco in che termini la loro ritirata dinanzi alla controffensiva dell’esercito libico è stata raccontata da Lorenzo Cremonesi sul «Corriere della Sera» del 12 marzo (p. 13): «Nella confusione generale anche episodi di saccheggio. Quello più visibile nell’albergo El Fadeel, dove hanno portato via televisioni, coperte, materassi e trasformato le cucine in pattumiere, i corridoi in bivacchi sporchi». Non sembra essere il comportamento proprio di un movimento di liberazione! Il meno che si possa dire è che la visione manichea dello scontro in Libia non ha alcun fondamento.

Ancora. Giorno dopo giorno vengono denunciate le «atrocità» della repressione in Libia. E ora leggiamo quello che sull’«International Herald Tribune» scrive, a proposito del Bahrein, Nicholas D. Kristof: «Nelle scorse settimane ho visto cadaveri di manifestanti, colpiti a breve distanza con colpi d’arma da fuoco, ho visto una ragazza contorcersi per il dolore dopo essere stata bastonata, ho visto il personale di ambulanze picchiato per aver tentato di salvare manifestanti» E ancora: «Un video dal Bahrein sembra mostrare forze di sicurezza che a pochi metri di distanza colpiscono al petto con un candelotto lacrimogeno un uomo di mezza età e disarmato. L’uomo cade a terra e cerca di rialzarsi. Ed ecco allora che lo colpiscono con un candelotto alla testa». Se tutto questo non bastasse, si tenga presente che «negli ultimi giorni le cose vanno molto peggio». Prima ancora che nella repressione, la violenza si esprime già nella vita quotidiana: la maggioranza sciita è costretta a subire un regime di «apartheid».

A rafforzare l’apparato di repressione provvedono «mercenari stranieri» e «carri armati, armi e gas lacrimogeni» statunitensi. Decisivo è il ruolo degli Usa, come chiarsice il giornalista dell’«International Herald Tribune», riferendo di un episodio che è di per sé illuminante: «Alcune settimane fa il mio collega del “New York Times” Michael Slackman fu catturato dalle forze di sicurezza del Bahrein. Egli mi ha raccontato che esse puntarono le armi contro di lui. Temendo che stessero per sparare, egli tirò fuori il passaporto e gridò che era un giornalista americano. A partire da quel momento l’umore cambiò in modo improvviso; il leader del gruppo si avvicinò e prese la mano di Slackman, esclamando con calore: “Non si preoccupi! Noi amiamo gli americani!”».

In effetti in Bahrein è di stanza la Quinta flotta Usa: Non c’è neppure bisogno di dire che essa ha il compito di difendere o imporre la democrazia: ovviamente, non in Bahrein e neppure nello Yemen, ma soltanto … in Libia e nei paesi di volta in volta presi di mira da Washington.

Per ripugnante che sia l’ipocrisia dell’imperialismo, essa non è un motivo sufficiente per passare sotto silenzio le responsabilità di Gheddafi. Se anche storicamente ha avuto il merito di aver spazzato via il dominio coloniale e le basi militari che pesavano sulla Libia, egli non ha saputo costruire un gruppo dirigente sufficientemente largo. Per di più, ha utilizzato i profitti petroliferi per inseguire improbabili progetti «internazionalisti» all’insegna del «Libro verde», piuttosto che per sviluppare un’economia nazionale, moderna e indipendente. E così è stata persa un’occasione d’oro per mettere fine alla struttura tribale della Libia e al dualismo di vecchia data tra Tripolitania e Cirenaica e per contrapporre una solida struttura economico-sociale alle rinnovate manovre e pressioni dell’imperialismo.

E, tuttavia, da un lato abbiamo un leader del Terzo Mondo che in modo rozzo, confuso, contraddittorio e bizzarro persegue una linea di indipendenza nazionale; dall’altro un leader che a Washington esprime in modo elegante, levigato e sofisticato le ragioni del neo-colonialismo e dell’imperialismo: ebbene, solo chi è sordo alla causa dell’emancipazione dei popoli e della democrazia nei rapporti internazionali, oppure solo chi si lascia guidare dall’estetismo piuttosto che dal ragionamento politico può schierarsi con Obama (e Cameron e Sarkozy)!

Ma poi è realmente elegante e fine Obama che, pur insignito del premio Nobel per la pace, neppure per un attimo prende in considerazione la saggia proposta dei paesi latino-americani, l’invito cioè da Chavez ed altri rivolto alle parti in lotta in Libia perché compiano uno sforzo per la composizione pacifica del conflitto e per la salvezza e l’integrità territoriale del paese? Subito dopo il voto all’Onu, andando oltre la risoluzione appena votata, il presidente Usa ha lanciato un ultimatum a Gheddafi e ha preteso di lanciarlo in nome della «comunità internazionale». Da sempre l’ideologia dominante rivela il suo razzismo identificando l’umanità con l’Occidente; ma questa volta dalla «comunità internazionale» sono esclusi non solo i due paesi più popolosi del mondo, ma persino un paese-chiave dell’Unione europea. Attegiandosi a interprete della «comunità internazionale», Obama ha mostrato un’arroganza razzista persino peggiore di quella di cui davano prova nel passato coloro che schiavizzavano i suoi antenati.

E’ elegante e fine Cameron che, per sconfiggere l’opposizione interna alla guerra, ripete ossessivamente che essa risponde agli «interessi nazionali» della Gran Bretagna, come se non fossero già chiari gli appetiti per il petrolio libico? Chi non sa che questi appetiti sono diventati ancora più voraci, una volta che la tragedia del Giappone ha gettato un’ombra pesante sull’energia nucleare?

E che dire poi di Sarkozy? Sui giornali si può leggere tranquillamente che egli, oltre che al petrolio, pensa alle elezioni: quanti libici il presidente francese ha bisogno di ammazzare per far dimenticare i suoi scandali e le sue gaffes e assicurarsi così la rielezione?

I giornalisti e gli intellettuali di corte amano dipingere un Gheddafi isolato e incalzato da un popolo coralmente unito, ma chi ha seguito gli avvenimenti non ha avuto difficoltà a rendersi conto del carattere grottesco di questa rappresentazione. Il recente voto al Consiglio di sicurezza ha smascherato un’altra manipolazione, quella che favoleggia di una «comunità internazionale» unita nella lotta contro la barbarie. In realtà, si sono astenuti, esprimendo forti riserve, Cina, Russia, Brasile, India e Germania! I primi due paesi non sono andati oltre l‘astensione e non hanno posto il veto per una serie di ragioni: intanto, non bisogna perdere di vista il fatto che tuttora non è facile e può comportare problemi di vario genere sfidare la superpotenza solitaria. Ma, ovviamente, non si tratta solo di questo: Cina e Russia hanno ottenuto in cambio la rinuncia all’invio di truppe di terra (e di occupazione coloniale); hanno evitato interventi militari unilaterali di Washington e dei suoi più stretti alleati, come quelli messi in atto contro la Jugoslavia nel 1999 e nell’Irak nel 2003; hanno cercato di contenere le manovre dei circoli più aggressivi dell’imperialismo che vorrebbero delegittimare l’Onu e mettere al suo posto la Nato e l’«Alleanza delle democrazie»; per di più si è aperta una contraddizione nell’ambito dell’imperialismo occidentale guidato dagli Usa, come dimostra il voto della Germania.

Con riferimento in particolare a un paese come la Cina diretto da un partito comunista, va osservato che il compromesso che esso ha ritenuto di accettaree non vincola in alcun modo i popoli del mondo. Come ai suoi tempi ha spiegato Mao Zedong, una cosa sono le esigenze di politica internazionale e i compromessi propri di paesi di orientamento socialista o progressista, altra cosa è invece la linea politica di popoli, classi sociali e partiti politici che non hanno conquistato il potere e non sono quindi impegnati nella costruzione di una nuova società. Una cosa è chiara: l’aggressione che si prepara contro la Libia rende più che mai urgente il rilancio della lotta contro la guerra e l’imperialismo.

18 marzo 2011


Domenico Losurdo: Una nuova operazione coloniale contro la Libia (http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/03/una-nuova-operazione-coloniale-contro.html)

Murru
20-03-11, 18:19
E' veramente sconcertante la follia razzista e guerrafondaia che ha preso gran parte della sinistra italiana. Perchè non è solo una questione di propaganda, di subalternità culturale alle campagne mass-mediatiche televisive. C’è anche questo, ma non solo. Non è solo questione di ingenuità, di pensare che davvero l’interesse della Francia sia di sostenere il popolo libico e non di sostituire l’Italia nel controllo del petrolio libico. Di aver creduto che la Germania avesse riconosciuto negli anni ’90 la secessione della Croazia e della Slovenia per bontà e non per portarle nell’area di influenza del Marco o che la Nato avesse bombardato la Serbia per ragioni umanitarie, che gli Usa avessero fatto la guerra a Saddam Hussein per trovare le armi di distruzione di massa, che gli Usa avessero invaso l’Afghanistan per trovare Bin Laden e non per installarsi militarmente nel cuore dell’Eurorasia, ai confini con India, Cina e Russia, eccetera, eccetera. Non è solo questo, segno che questa sinistra, e non solo quella presente in parlamento, è allo sbando completo e alla mercè di tutte le ideologie capitalistiche, dei Marchionne e dei vari Emilio Fede televisivi. Secondo me non è solo questo. In questi giorni ho sentito emergere anche un vero e proprio razzismo, una sorta di superiorità bianca su un mondo che non è tutto "civile", bianco e cristiano come quel piccolo manipolo di paesi capitalisti dominatori da secoli del mondo, che ha colonizzato, oppresso, sfruttato, schiavizzato, rapinato a mano armata la stragrande maggioranza del mondo. Tant’è vero che per giustificare l'ennesima guerra neocoloniale delle potenze europee in concorrenza fra di loro e con gli Usa, si giudica il regime di Gheddafi, "incivile", africano, con le amazzoni, i cammelli, gli anelli da baciare e quant'altro, e che per questo merita di essere annientato, anche dalla Nato, dagli Usa, dalla Francia, da chiunque ! E’ un delirio razziale innanzitutto.

Alla fine dell'800 i civilissimi inglesi, nella guerra coloniale del capitalismo alla ricerca di materie prime da rubare e di schiavi da deportare, invasero e occuparono il territorio degli incivili Zulù. Faccio questo esempio estremo, perché gli Zulù erano una popolazione semi-primitiva, la più lontana dalle nostre concezioni marxiste, che opprimeva a sua volta altre popolazioni con metodi terribili, altro che il regime di Gheddafi ! Gli Zulù si difesero come poterono con archi e frecce contro le armi allora moderne e potenti dell'esercito inglese, e dettero anche delle sonore lezioni di dignità e di coraggio agli inglesi, che poi però con la forza delle armi e della violenza li sconfissero e stabilirono in Sudafrica la vergogna del regime bianco dell’apartheid. Noi comunisti da che parte saremmo stati ? In tutte le guerre coloniali e imperialistiche siamo stati sempre, sempre, dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, dalla parte dei popoli africani, molto più "incivili" e contro le potenze europee civilissime, democraticissime, ma che hanno per secoli applicato persino lo SCHIAVISMO agli altri popoli "inferiori" perchè più "incivili". Dalla parte degli indiani e indios d'America contro i colonizzatori inglesi, francesi, spagnoli. Dalla parte dei popoli latinoamericani contro l’oppressore, torturatore, nord-americano. Dalla parte degli indiani e dei cinesi contro le civilissime e criminalissime potenze europee sfruttatrici. Dalla parte degli "incivili" palestinesi, un po' scuri in faccia e governati da Hamas, contro il civilissimo stato bianco israeliano. Mettendo in primo piano la contraddizione principale, che è quella dell'oppressore colonialista e imperialista contro il popolo oppresso, colonizzato, occupato, invaso, sfruttato, senza per questo aderire ai regimi sociali o alle culture dei popoli oppressi, a volte lontane anni luce dalla nostra concezione comunista. Senza mai farci bloccare nella lotta contro le occupazioni e le guerre imperialiste dall'analisi dei regimi dei paesi oppressi. Se sulla base della critica e della nostra opposizione all’incivile regime di Gheddafi dovessimo parteggiare con i civili bombardieri francesi, allora non capisco perché critichiamo la "missione" in Afghanistan contro il regime terribile, fanatico, integralista dei Talebani! Altro che bombardamenti sui matrimoni, sui funerali, sui bambini che giocano ci vorrebbero, bisognerebbe raderli a zero e gasarli tutti questi incivili e barbari popoli del mondo, così brutti, sporchi e cattivi, così diversi da noi bianchi, democratici, occidentali, cristiani ! E' veramente sconcertante questa follia razzista e guerrafondaia che sento in giro anche fra di noi, premessa classica per ben più gravi altre tragedie.

Fra l’altro faccio notare agli ingenui di sinistra che, come si legge da tutti i giornali, è in corso una guerra commerciale fra l'Italia e la Francia. Tremonti prepara un decreto per impedire la scalata dei francesi in importanti aziende italiane. C'entra qualcosa questo scontro economico-commerciale fra Francia e Italia con la vicenda libica? E dico di più, che potrà scandalizzare gli ingenui antiberlusconiani e filo-Pd: c'entra qualcosa l'asse Italia-Russia-Turchia sul gasdotto con l'attacco dei mesi scorsi a Berlusconi (la Turchia accetta di far passare il gasdotto South Stream sulle sue acque territoriali e in cambio i russi accettano di partecipare al progetto dell'oleodotto che collegherà il Mar Nero al Mar Mediterraneo, il tutto con la partecipazione dell’Eni e con la mediazione del governo italiano, cosa che ha irritato molto contemporaneamente gli Usa e Israele) ? C'entra qualcosa con la vicenda libica l'asse Usa-Francia contro l'asse Russia-Germania, come è chiaramente emerso nel voto all'Onu (da cui si spiega la posizione della Lega da sempre filo-tedesca e la ritorsione anti-francese di Tremonti) ? Questa non è geopolitica astratta, è analisi concreta dei conflitti economici e commerciali fra le diverse potenze capitalistiche, che hanno portato il mondo altre volte a guerre mondiali. Invece non è da marxisti, di qualunque tendenza, ma è proprio da ingenui credere che le potenze capitalistiche come quelle europee o come gli Usa siano interessati ai diritti del popolo libico.



Leonardo Masella, 19 marzo 2011.


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Stalinator
21-03-11, 12:23
LE ONG "AMICHE" DI ONE DAY ON EARTH

1+1 non può che fare 2

Friends and Supporters - One Day On Earth (http://www.onedayonearth.org/page/friends-and-supporters#)

Murru
22-03-11, 11:49
Manipolate le parole di Gheddafi


Rainews, grazie al giornalista Zouhir Louassini, traduce correttamente le parole di Gheddafi.
Non è vero quanto riportato da Al Jazeera e dalla stampa, anche italiana, Gheddafi non ha detto "se il popolo non mi ama merita di morire", ha detto "se il popolo non mi ama, MERITO di morire".


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Murru
25-03-11, 12:30
Zyuganov parla della guerra in Libia e degli interessi della Russia

Il 18 marzo c.a. il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, su iniziativa di USA, Francia, Regno Unito e Libano ha adottato la risoluzione n.1973, che obbliga le forze armate del governo della Libia e gli oppositori ad un immediato cessate il fuoco. Il documento, dalle formulazioni poco chiare, è stato adottato con 10 voti “contro” un minimo di 9 voti.

Russia, Cina, India, Brasile e Germania si sono astenuti dal voto. Questi stessi paesi, la cui popolazione costituisce la maggior parte degli abitanti del pianeta, privano i promotori della risoluzione della possibilità di parlare in nome di tutta la società mondiale.
Questa risoluzione prevede un intervento militare diretto in Libia. Tuttavia non impedisce che vi siano ripercussioni sul paese. D’ora in poi lo spazio aereo in Libia va considerato chiuso. Tuttavia la risoluzione non fornisce risposte a domande concrete e assolutamente legittime su come verrà garantito il regime della no fly zone, quali saranno le regole e i limiti nell’uso della forza.
D’altro canto, Francia e Inghilterra si sono già dichiarate pronte a bombardare la Libia, il che significa l’inizio di una guerra della NATO contro un solo stato ancora sovrano. Il governo libico ha annunciato che ci saranno contraccolpi sui tribunali militari e civili. Il fuoco della guerra potrebbe diffondersi in tutto il Sud del Mediterraneo.
A Tripoli questo documento viene considerato come una minaccia all’unità del paese. Sembra che l’Occidente cerchi di attuare un suo remoto progetto per mano del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – realizzare “il cambio di regime” in Libia, mettere propri vassalli al posto dell’attuale legittimo governo, dividere il paese.
Questo è un classico modello della politica coloniale del “divide et impera”. Dopo tutto è noto che proprio la Libia miri all’unità dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina nella resistenza al neocolonialismo e alla globalizzazione all’americana.
Nel corso della votazione sono state ammesse violazioni senza precedenti della procedura stabilita. Alla bozza concordata del documento, immediatamente prima della votazione, sono state apportate modifiche, che creavano delle scappatoie per un intervento di terra su larga scala. Questo spiana il terreno all’arbitrarietà dell’America e dei suoi alleati.
È deplorevole che la Russia non abbia usato il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per impedire l’adozione di un documento che aggrava aspramente la situazione dell’Africa settentrionale, che scioglie le mani della NATO per prossime spedizioni punitive e che minaccia seriamente gli interessi strategici della Russia in quella regione.
In tal modo, la Russia si sta trasformando in un complice dell’operazione per la creazione di un “Grande Medio Oriente”, controllato dall’America. Questa è la prosecuzione della pericolosissima politica che ha portato ai bombardamenti delle pacifiche città della Jugoslavia, al sanguinoso intervento in Iraq e all’instaurazione in Afghanistan di un centro mondiale del narcotraffico sotto l’egida statunitense.
Occorre tener presente che negli ultimi giorni si è rafforzata la pressione sulla Siria – fidato alleato della Russia in Medio Oriente. USA e UE esasperano la situazione in questo paese. È chiaro che le legittime misure del governo siriano per impedire i disordini, istigati dall’esterno, condurranno ad un simile tentativo di ricatto, come avvenuto in Libia.
Quindi la votazione senza scrupoli e miope della Russia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla risoluzione antilibica crea un pericoloso precedente, che minaccia la pace e la stabilità del Medio Oriente e gli interessi a lungo termine della Russia.
Il Partito Comunista Russo chiede al governo della Federazione Russa di interrompere la politica di concessioni all’Occidente e di adottare una linea protezionistica degli interessi nazionali russi.

informazione rossa (http://inforossa.altervista.org/home/2011/03/22/zyuganov-parla-della-guerra-in-libia-e-degli-interessi-della-russia/)

Murru
25-03-11, 12:41
Guerra di Libia: la verità comincia ad affiorare. Obama è vittima o complice? di Antonio de Martini

Oggi il SOLE24 ore a pagina 3 racconta finalmente la storia della SAS Special Air Service inglese e della sua presenza in terra di Libia da prima dell’inizio delle “manifestazioni” di opposizione da parte dei “patrioti insorti”. Dello stesso tono le rivelazioni di ”La Repubblica” ( che personalmente non ho letto, ma mi viene riportata) che riecheggia quanto scritto da “Libero” di ieri. Chi ci segue, conosce questi fatti dal 24 febbraio in cui scrivevamo che erano sbarcati il 2 febbraio. Abbiamo anche detto, la scorsa settimana che la NATO ha esaurito il suo ciclo e vedete coi vostri occhi che anche questa previsione si sta concretizzando. Non sono un profeta, sono gli altri che vi nascondono le notizie.

Adesso diventa più facile spiegarsi come mai i ”manifestanti” siano riusciti ad impadronirsi di caserme e manovrare carri armati sopraffacendo le autorità e le forze di polizia di città come Tobruk o Benghazi. Avete mai visto dei manifestanti trasformarsi in un esercito armato senza che un paese straniero ci mettesse lo zampino?

Resta adesso da capire se giornalisti italiani che riproducono fedelmente tutto e soltanto quel che viene da Londra, lo facciano perché privi di senso critico o perché schiavi dei loro bisogni.

In più i commandos del SAS si sono attivati nella specialità di ogni intelligence addestrato al sabotaggio e al terrorismo: far saltare depositi di munizioni, infrastrutture e compiere assassinii mirati di seguaci del Colonnello. Alcuni capi di tribù favorevoli al governo, sono stati vittime di assassini misteriosamente comparsi e subito svaniti. Gli elicotteri servono alla esfiltrazione dei colpevoli dal luogo del delitto e a recuperare piloti caduti e non certo a effettuare bombardamenti. Ma il primo elicottero è stato bloccato oltre un mese prima della decisione di effettuare bombardamenti….

Si delinea quindi il quadro di un attacco premeditato da parte della triplice a danno di un paese sovrano e l’intervento dell’ONU a favore degli insorti altro non è se non l’esecuzione di un desiderio degli Stati Uniti. Lecito a questo punto chiedersi a che pro si è sostituito George Bush jr con il democratico di colore che prometteva di metter fine alla politica dello sceriffo.

Intanto le tribù libiche sembrano non essere in grado di contrattaccare anche se appoggiate dalle forze aeree di sei nazioni. Allego ( http://corrieredellacollera.files.wordpress.com/2011/03/letribulibiche1.pdf ) un elenco ragionato delle tribù della Libia che consente di far capire a tutti che a parte le vecchie tribù della setta senussita, non ci sono adesioni alla “rivoluzione”. Non ci sono mai state, se si eccettuano alcuni amici , vecchi e nuovi, della Gran Bretagna.

Quando non si fabbrica più nulla, quel che si può esportare è la democrazia. A questo proposito, se interessa, leggete il libro del premio Nobel Amartya Sen – già rettore di Oxford – su questo tema ” La democrazia degli altri“.


Guerra di Libia: la verità comincia ad affiorare. Obama è vittima o complice? di Antonio de Martini (http://corrieredellacollera.com/2011/03/23/guerra-di-libia-la-verita-comincia-ad-affiorare-obama-e-vittima-o-complice-di-antonio-de-martini/#more-2615)

Murru
25-03-11, 22:45
Ecco tutte le bugie che ci hanno raccontato sulla Guerra libica


Intervista ad Amedeo Ricucci, giornalista RAI.
Servizio di Jacopo Venier
Immagini di Roberto Pietrucci
Montaggio di Simone Bucci


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Murru
26-03-11, 15:20
La Libia, la sinistra e la guerra imperialista


di Domenico Moro

23/03/2011

Fino ad ora, il movimento per la pace è rimasto praticamente senza voce di fronte alla guerra contro la Libia. Anche la sinistra non è stata all’altezza. Perché? La ragione principale sta nel fatto che chi ha scatenato la guerra, cioè gli Usa, la Gran Bretagna e la Francia, sono riusciti a mettere al centro dell’attenzione mondiale un uomo, il colonnello Gheddafi. La “storia” che si è venduta all’opinione pubblica mondiale è quella di un dittatore, al potere da ben quaranta anni, e del suo popolo, che chiede democrazia e libertà, e che per questo viene massacrato. Si è persino parlato di genocidio. L’accettazione acritica di questa versione ha disarmato la sinistra o almeno ne ha indebolito le motivazioni. Ed anche se i massacri di civili si sono rivelati, dopo un po’, perlomeno dubbi, a sinistra ci si è sentiti in imbarazzo a prendere le parti di un “dittatore”, scervellandosi su come contrastare la guerra e nello stesso tempo difendere la “rivoluzione democratica” libica.

Se la “storia” raccontata dai mass media occidentali è stata venduta così efficacemente è stato anche grazie al contesto in cui i fatti libici si sono inseriti, ovvero la cosiddetta rivoluzione democratica araba, che si sarebbe affermata in Tunisia e in Egitto. Su questo, però, bisogna fare chiarezza. In Egitto e in Tunisia non si è verificata alcuna rivoluzione. In primo luogo, la rivoluzione non è il rovesciamento di un uomo, ma di un sistema di rapporti di potere, politici ed economici. In secondo luogo, in Egitto si è solo iniziato un processo potenzialmente rivoluzionario, che corre il rischio di essere volto a favore di forze reazionarie. Come ha rilevato Samir Amin, in Egitto Mubarak è stata dimissionato dall’esercito egiziano e dagli Usa, che hanno mantenuto ben salda la loro presa sul paese africano. Anzi, l’esercito, con l’avallo Usa, ha permesso ai Fratelli musulmani e all’ex partito di Mubarak di conseguire un grosso risultato tattico con la vittoria al referendum di modifica della Costituzione, che ha segnato invece la sconfitta di tutti quelli che erano per il no, i partiti della sinistra, il movimento democratico, quello operaio e la minoranza copta, fatta oggetto di veri e propri pogrom negli ultimi mesi. La vittoria del sì apre la strada ad elezioni immediate, che la sinistra e il movimento democratico non sono in grado di affrontare, e quindi all’affermazione dell’ex partito di Mubarak e dei Fratelli musulmani. Questi ultimi, che sono finanziati dall’Arabia Saudita, sono stati per l’occasione accreditati dagli Usa come moderati, ma moderati non sono come provano le vicende relative ai copti. Sempre l’Arabia Saudita, dittatura familiare e retrograda nonché migliore alleato arabo degli Usa, ha invaso il Bahrein, reprimendone i moti popolari. Ma su questo massacro di civili la propaganda occidentale non ha avuto niente da eccepire, forse perché in Bahrein c’è la base della V flotta Usa.

Quanto accaduto in Libia nell’ultimo mese ha pochissimo a che spartire con il movimento democratico d’Egitto e Tunisia. Bocca ha affermato su “il manifesto” che i ribelli libici sono degli sconosciuti. In effetti, se facciamo attenzione sono meno sconosciuti di quanto sembri. Innanzi tutto, in Libia non c’è un movimento democratico e tanto meno un movimento operaio e partiti e sindacati di sinistra. La direzione del movimento anti Gheddafi è passata immediatamente alla rivolta armata, dando luogo ad una guerra civile. Inoltre, la dirigenza ribelle è quantomeno infarcita di elementi che hanno fatto la loro esperienza militare di combattenti jihadisti in Iraq ed in Afghanistan. Basti leggere l’articolo del Sole24ore del 22 marzo, “Noi ribelli, islamici e tolleranti”, dove si intervista il comandante ribelle di Derna, catturato nel 2002 dagli americani a Peshawar mentre era in fuga dall’Afghanistan. Solo con un grande sforzo di immaginazione si può pensare che la rivolta libica esprima valori democratici e di libertà, avendo invece radici nel separatismo tribale e nell’islamismo estremista tradizionali della Cirenaica. Secondo un documento, circolato nelle ultime settimane a Whashington, tra i combattenti jihadisti in Afghanistan i libici della Cirenaica erano uno dei gruppi nazionali maggiormente rappresentati. Non a caso alcuni settori della loro dirigenza – il segretario alla difesa Robert Gates al primo posto - sono stati scettici fin dall’inizio verso l’intervento militare.

Perché allora nonostante tutto gli Usa hanno premuto per intervenire in Libia? L’obiettivo in tutto il Medio Oriente è, in primo luogo, eliminare qualsiasi soggetto politico indipendente o potenzialmente pericoloso per la ridefinizione di un assetto di controllo Usa ed Europeo su di un’area che vale le maggiori riserve energetiche del mondo. Se questo significa appoggiarsi ad elementi islamici, come i Fratelli musulmani e i ribelli libici, e dargli la patente di moderati, non importa. Del resto, dai talebani, usati contro l’URSS, in poi, gli Usa non si sono mai fatti scrupolo di usare l’estremismo islamico. Ad ogni modo, i rischi di un intervento in Libia sono agli occhi statunitensi ampiamente compensati non solo dal petrolio e dal gas libico sui quali mettere le mani. Soprattutto, sono compensati dal fatto che la Libia è fondamentale da un punto di vista geostrategico, perché è la porta che mette in collegamento Mediterraneo e Africa sub-sahariana. Qualcuno ricorda le guerre in Ciad degli anni ’80, nelle quali la Francia combatté contro il colonnello? Se la Francia è al primo posto nei bombardamenti è non solo perché spera di insediare le sue multinazionali petrolifere in Libia al posto dell’Eni, ma anche perché vuole rilanciare il suo ruolo nelle sue ex colonie dell’Africa sub-sahariana. L’obiettivo strategico degli Usa è, quindi, il controllo dell’Africa, che da alcuni anni è l’ultima frontiera di una rinnovata competizione per le materie prime tra le vecchie potenze colonialistiche e gli Usa, da una parte, e la Cina e l’India dall’altra. Non a caso in Africa, nel 2008, gli Usa hanno costituito il loro ultimo comando regionale, “AFRICOM”, che oggi dirige i bombardamenti sulla Libia. Obiettivo di questa guerra è eliminare il colonnello, ma solo perché è condizione necessaria per la distruzione della Libia come entità statuale indipendente.

La guerra di Libia, la sua prima guerra, è il capolavoro di Obama. Mentre Bush ha agito unilateralmente, Obama, gettando il sasso e nascondendo la mano, ha mandato avanti la Francia e la Gran Bretagna e ha ottenuto la risoluzione “storica” dell’Onu “a difesa dei civili libici”. Una risoluzione votata nel giorno in cui un aereo senza pilota Usa uccideva quaranta civili in Pakistan, notizia praticamente ignorata dai media. Del resto, al contrario di quanto promesso in campagna elettorale, Obama non ha chiuso Guantanamo, non si è ritirato dall’Iraq, nel quale mantiene 48mila soldati, ha triplicato il numero dei soldati in Afghanistan, ha bombardato 117 volte nel 2010 in territorio pakistano (815 vittime accertate) e 19 volte nel 2011 (104 morti). Ma forse bombardare i civili degli altri è permesso. Il premio Nobel per la pace non solo non ha chiuso le guerre di Bush, ma ne ha aggiunta un’altra. Una bella dimostrazione del funzionamento della “democrazia” Usa, che mantiene una sostanziale continuità di linea politica senza il bisogno di affidarsi ad alcun “dittatore”. Il fatto è che non c’è cambiamento di persona che tenga, se il sistema rimane quello che è, cioè un capitalismo finanziario decadente e pertanto sempre più fondato sulla forza militare.

Quella in atto in Libia è una guerra tipicamente imperialista, cioè una guerra per il saccheggio delle risorse mondiali. Ed è tipicamente imperialista anche perché è una guerra per la spartizione delle ricchezze mondiali tra gli imperialismi e le potenze mondiali. Infatti, a farne le spese è l’imperialismo più debole, quello italiano, che rischia di essere estromesso dalla sua principale fonte di rifornimento energetico e che, con l’Eni, ha probabilmente commesso l’errore di flirtare troppo con la Russia e con Gazprom, cui stava aprendo la via del petrolio libico. Ma debole, a proposito di imperialismo, non vuol dire meno aggressivo, come dimostra la fregola di partecipare ai bombardamenti per non farsi escludere dalla spartizione della torta.

Il punto vero col quale si scontra la capacità della sinistra di reagire correttamente a quanto avviene è la mancata comprensione dell’imperialismo come sistema economico, politico e militare, il cui obiettivo è il dominio e non la libertà. E la mancata percezione che non c’è proporzionalità tra la dittatura esercitata dal “tiranno” di volta in volta nel mirino della macchina propagandistica occidentale e la dittatura esercitata dall’imperialismo col sistematico saccheggio delle risorse mondiali e con la sua immane potenza distruttiva. Ne è dimostrazione evidente la tempesta di fuoco scaricata dalle navi e dagli aerei occidentali sulle città libiche, ben oltre il mandato dell’Onu e l’istituzione di qualunque no-flying-zone, tanto da sollevare le proteste anche della Lega Araba tutt’altro che favorevole a Gheddafi.

Del resto, il messaggio doveva essere chiaro a tutti, comprese Russia e Cina, che troppo tardi si sono accorte dell’errore dell’astensione in Consiglio di sicurezza dell’Onu. È grottesco che molti tra i “difensori della pace” nostrani non si rendano conto che in Libia i massicci bombardamenti occidentali uccidono più popolazione di quanto abbia fatto la guerra civile fino ad ora. L’imperialismo Usa ed europeo in Medio Oriente ed in Nord Africa non sta aiutando alcun “risorgimento” arabo, al contrario sta cercando di affossarlo, dall’Egitto al Bahrein, schierandosi con i regimi e le forze sociali e politiche più retrive. La guerra in Libia si inserisce in tale tendenza ed è per questo che opporsi all’intervento è fondamentale.

La Libia la sinistra e la guerra imperialista (http://www.resistenze.org/sito/te/pe/im/peimbc23-008622.htm)

Murru
31-03-11, 14:03
LETTERA APERTA DEI MEDICI RUSSI IN LIBIA
AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA

24 marzo 2011, Tripoli, Libia

Al Presidente della Federazione Russa D. Medvedev
Al Primo Ministro della Federazione Russa V. Putin

dai cittadini di Ucraina, Bielorussia e Russia che lavorano in Libia


Gentili Sig. ri Medvedev e Vladimir Putin,

Ci avete spiegato che i cittadini della ex Unione Sovietica erano destinati a divenire oggi cittadini di una comunità comprendente differenti stati slavi: Ucraina, Bielorussia, Russia. Nonostante questo, noi crediamo che sia la Russia, in quanto erede dell’URSS, la nostra sola protezione per gli interessi delle nostre nazioni e per la sicurezza dei nostri cittadini. E’ per questo che ci appelliamo a voi, in cerca di aiuto e di giustizia.

Oggi assistiamo ad una plateale aggressione degli USA e della NATO contro un paese sovrano, la Libia. E se qualcuno ancora ne dubita, noi affermiamo trattarsi di un fatto ovvio e ben noto, poiché tutto sta accadendo sotto i nostri occhi e le azioni degli USA e della NATO minacciano la vita non solo dei cittadini della Libia, ma anche di noi che ci troviamo sul suo territorio. Siamo indignati per i barbari bombardamenti della Libia perpetrati in questo momento dalla coalizione USA-NATO.

Il bombardamento di Tripoli e di altre città della Libia non ha per obiettivo soltanto i sistemi di difesa aerea e i velivoli dell’aviazione libica e non è rivolto soltanto contro l’esercito, ma ha preso di mira anche le infrastrutture civili e militari. Oggi, 24 marzo 2011, gli aerei degli USA e della NATO hanno bombardato per tutta la notte e tutta la mattina un quartiere di Tripoli, Tajhura (dove si trova fra l’altro il Centro di Ricerca Nucleare libico). Le difese aeree e i velivoli situati a Tajhura erano già stati distrutti nei primi 2 giorni di attacchi e in città rimanevano altre installazioni militari in attività, ma oggi l’obiettivo dei bombardamenti sono le baracche dell’esercito libico, intorno alle quali vi sono quartieri residenziali densamente popolati; lì vicino si trova anche il più grande centro di cardiologia del paese. I civili e i medici non avrebbero mai potuto immaginare che si sarebbe arrivati a distruggere normali quartieri residenziali, perciò nessuno dei residenti o dei pazienti dell’ospedale era stato evacuato.

Le bombe e i missili hanno colpito le abitazioni civili e sono caduti vicino all’ospedale. I vetri del centro cardiologico sono andati in frantumi e nell’edificio riservato alle partorienti con problemi cardiaci sono crollati un muro e parte del tetto. Ciò ha provocato dieci aborti, la morte dei neonati e il ricovero delle madri nel reparto di cura intensiva; i medici stanno lottando per salvare loro la vita. Noi e i nostri colleghi stiamo lavorando sette giorni alla settimana nella speranza di salvare qualcuno. E tutto questo è la diretta conseguenza del lancio di bombe e di missili contro edifici residenziali, che hanno provocato dozzine di morti e di feriti che il nostro personale cerca di operare e visitare. Un numero così enorme di morti e di feriti, come quello registrato oggi, non si era avuto durante l’intera durata delle insurrezioni in Libia. E questo lo chiamano “proteggere la popolazione civile”?

Con la piena responsabilità di testimoni e di persone partecipi di quanto sta accadendo, noi dichiariamo che gli Stati Uniti e i loro alleati stanno perpetrando un genocidio contro il popolo libico, come già avvenuto in Yugoslavia, Afghanistan e Iraq. I crimini contro l’umanità compiuti dalle forze della coalizione ricordano quelli commessi in Germania, dove pure i civili venivano fatti a pezzi allo scopo di suscitare orrore e di spezzare la resistenza del popolo (la Germania lo ricorda e per questo ha deciso di non partecipare a questo nuovo massacro). Oggi essi mirano, con metodi simili, a far sì che il popolo libico rinunci al proprio capo e al proprio legittimo governo e ceda senza fiatare la propria ricchezza nazionale alle forze della coalizione.

Comprendiamo bene che appellarsi alla “comunità internazionale” per salvare il popolo della Libia e tutti coloro che vivono in Libia sarebbe perfettamente inutile. La nostra sola speranza è la Russia, che possiede diritto di veto all’ONU, e in particolare i suoi capi, il Presidente e il Primo Ministro.

Confidiamo ancora in voi, come in voi abbiamo confidato in passato, quando prendemmo la decisione di restare in Libia per aiutare il suo popolo, dedicandoci anima e corpo al dovere medico. Dopo il fallito colpo di stato alla fine di febbraio, la situazione in Libia si era calmata e il governo era riuscito a ripristinare l’ordine. Tutti in Libia sapevano che senza l’intervento americano, il paese sarebbe ben presto ritornato alla sua vita normale. Convinti che la Russia, col suo potere di veto, non avrebbe permesso l’aggressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati, abbiamo deciso di restare in Libia, ma ci siamo sbagliati: la Russia, sfortunatamente, ha creduto alle false rassicurazioni degli americani e non si è opposta alla decisione criminale di Francia e Stati Uniti.

Noi siamo ucraini, russi e bielorussi, persone di diverse professioni (soprattutto medici) che lavorano in Libia da oltre un anno (da 2 a 20 anni). In tutto questo tempo abbiamo imparato a conoscere il modello di vita del popolo libico e dichiariamo che pochi cittadini, in altre nazioni del mondo, possiedono le comodità di cui possono godere i libici. Tutti hanno diritto a cure gratuite e i loro ospedali sono dotati del miglior equipaggiamento medico del mondo. In Libia l’istruzione è gratuita e le persone capaci hanno la possibilità di studiare all’estero a spese del governo. Ogni coppia che si sposa, riceve 60.000 dinari libici (circa 50.000 dollari USA) come assistenza economica. Lo stato concede prestiti senza interesse e spesso senza scadenza fissa. Grazie ai sussidi governativi, il prezzo delle automobili è molto più basso che in Europa e ogni famiglia può permettersi di acquistarle. Benzina e pane costano pochi centesimi, gli agricoltori non pagano tasse. Il popolo libico è tranquillo e pacifico, poco incline all’alcool e molto religioso.

Oggi questo popolo sta soffrendo. In febbraio, la vita pacifica di questa gente è stata violata da bande di criminali e da giovani pazzi e drogati, che i media occidentali hanno chiamato per qualche motivo “manifestanti pacifici”. Costoro hanno iniziato a usare armi e ad attaccare stazioni di polizia, sedi governative, reparti militari, provocando una carneficina. Coloro che li guidano, perseguono un obiettivo assai chiaro: creare il caos e impadronirsi del petrolio libico. Hanno raccontato menzogne alla comunità internazionale, dicendo che i libici stanno lottando contro il regime. Diteci, a chi non piacerebbe un “regime” del genere? Se avessimo avuto un simile “regime” in Ucraina o in Russia, non saremmo venuti qui a lavorare, ci saremmo goduti le comodità che potevano offrirci i nostri paesi e avremmo fatto ogni sforzo possibile per far sì che tale “regime” continuasse ad esistere.

Se gli USA e l’UE non hanno nulla da fare, che rivolgano la loro attenzione all’emergenza in Giappone, ai bombardamenti israeliani sulla Palestina, alla sfrontatezza e all’impunità dei pirati somali o alle condizioni degli immigrati arabi in Francia e lascino che siano gli stessi cittadini libici a risolvere i propri problemi interni. Oggi noi vediamo che vogliono trasformare la Libia in un nuovo Iraq. Perpetrare il genocidio di un intero popolo e di coloro che ad esso sono legati. Noi abbiamo prestato il GIURAMENTO MEDICO e non possiamo abbandonare i libici al loro destino, lasciandoli distruggere dalle forze della coalizione; inoltre, sappiamo che quando tutti gli stranieri se ne saranno andati e non sarà rimasto più nessuno a raccontare la verità (il piccolo staff delle missioni diplomatiche è stato ridotto al silenzio già da tempo), gli americani faranno qui una carneficina.

La nostra unica speranza di sopravvivere è una ferma presa di posizione della Russia presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Speriamo che Lei, Signor Presidente, e Lei, Signor Primo Ministro, in quanto cittadini russi e in quanto persone coscienziose, non permettiate ai fascisti americani ed europei del 21° secolo di distruggere questo popolo che ama la libertà e chi ha scelto di restare con lui.

Chiediamo perciò con urgenza che la Russia utilizzi il suo diritto di veto, un diritto conquistato con milioni di vite del popolo sovietico durante la II Guerra Mondiale, per fermare questa aggressione contro uno stato sovrano, per chiedere l’immediata cessazione dei bombardamenti degli USA e della NATO e per richiedere l’intervento delle truppe dell’Unione Africana nella zona di conflitto in Libia.


Nota: ai delegati del Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana, accettati tanto dal governo libico quanto dai capi dei ribelli per arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto, non è stato consentito l’ingresso in Libia dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questo atto dovrebbe essere condannato da Russia e Cina, che dovrebbero studiare le risoluzioni dell’UA e sostenere le sue sagge decisioni.



GIU’ LE MANI DALLA LIBIA!

Con rispetto e speranza
nella Vostra saggezza e onestà
i cittadini di Ucraina, Russia e Bielorussia di stanza in Libia

Bordovsky S., Vasilenko, S., Vegerkina A., Henry IV, Henry H., L. Grigorenko, DraBragg, A., Drobot V. Drobot, N., Yemets E., Kolesnikova, T., Kuzin, I., Kuzmenko, B., Kulebyakin V. Kulmenko T., Nikolaev AG, Papelyuk V. Selizar V. Selizar About . Smirnov, O. Smirnova, R., Soloviev DA, Stadnik VA, Stolpakova T. Streschalin G. Stakhovich Yu, Sukacheva L. Sukachev V. Tarakanov, T., Tikhon N. Tikhonov VI, Tkachev AV, Hadareva E., Tchaikovsky, O., Chukhno D. Chukhno O. Yakovenko D. ecc.

[L’elenco completo delle firme sotto l'appello ai capi della Russia e sotto la richiesta di un tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di USA e NATO in Libia].

(fonte: Uruknet.info)

Murru
01-04-11, 18:37
PERCOLATO TROTSKISTA (o della “Rivoluzione libica” di Ferrando e delle “Brigate Internazionali” di Rossanda)

Oggi, 31 marzo 2011 nella prima pagina del New York Times (si può leggere su internet) c’è un articolo dal titolo: “LIBIA – SPIE DELLA CIA LOCALIZZANO GLI OBIETTIVI DA BOMBARDARE E AIUTANO GLI INSORTI ANTI-GHEDDAFI”.

Vi si legge:

“La Central Intelligence Agency ha inviato suoi agenti segreti in Libia per raccogliere informazioni sugli obiettivi da bombardare e per contattare e passare in rassegna i ribelli assediati dalle forze armate del Colonnello Muhammar Gheddafi.

“Mentre il Presidente Obama ha ripetuto più volte che su suolo libico non vi sono truppe americane combattenti, tuttavia gruppi di agenti della CIA stanno operando in Libia già da molte settimane in quanto parte di una forza coperta di Occidentali che l’Amministrazione Obama spera sia di aiuto nel dissanguare (bleed) gli effettivi dell’esercito del Colonnello Gheddafi.

“In aggiunta alla presenza CIA, composta da un numero imprecisato di americani che già svolgevano il proprio lavoro presso agenzie spionistiche operanti a Tripoli e da altri giunti più recentemente, sono presenti in Libia, secondo quanto affermato da ufficiali inglesi, dozzine di appartenenti a Forze Speciali britanniche e ufficiali del Servizi di Spionaggio M16 (armi speciali in dotazione all’Esercito Usa – n.d.t.)

Questa “rivelazione” del New York Times (che è un segreto di pulcinella per chi conosce l’imperialismo e solo un suonato trotskorossandiano può rimanere ‘sbalordito’ dal fatto che la Libia pulluli di CIA!) è un pugno in bocca sia per Ferrando, discepolo del Profetatrotski, sia per la ossequiata politologa simil-marxista Rossanda. Costei arrivò finanche a fare un accenno a “Brigate Internazionali” da mandare in Libia, ma lo fece sotto la forma apparente di un diniego :”Non dico -scrisse sul Manifesto- che bisogna mandare in Libia le Brigate Internazionali”, ma…. se si fossero costituite davvero legioni di giovani pronti ad attraversare il Mediterraneo per andare a combattere contro Gheddafi la vecchia manifestina e l’ispirato discepolo di Trotski li avrebbero di sicuro applauditi fino a spellarsi le mani.

In effetti in Libia già ci sono le brigate internazionali (con le iniziali minuscule): sono costituite dagli spioni della Cia in numero “imprecisato” ma sicuramente cospicuo; dagli agenti segreti britannici; certamente da quelli francesi; quasi certamente da quelli spagnoli e italiani. Per la legge dantesca del contrappasso Ferrando (e non la Rossanda, per motivi di genere e di età) andrebbe collocato in un’imprecisata enclave libica con il compito di “contattare e passare in rassegna”, a suon di calci nel sedere da parte degli agenti dei servizi segreti imperialisti, i “rivoluzionari” anti-Gheddafi.

Ma fuori da ogni scherzo: non sarebbe ora di farla finita con questi scimpanzé che hanno guadagnato la scena politica per alcuni decenni (parliamo soprattutto del Manifesto e di Liberazione, non all’inutile Ferrando inutile discepolo di un vecchio arnese controrivoluzionario che fece la brutta fine che meritava), scimpanzé che hanno trombonato scemenze trotskiste (con successo, dobbiamo ammettere!) al solo scopo (consapevole o inconsapevole: poco importa) di seminare rassegnazioni e disfattismi compatibili con la “cultura” del mondo occidentale-imperialista, e hanno disseminato queste luride idee truccate da radicalismo spacciandole per marxismo, scimpanzé dalla smisurata presunzione che un giorno osarono dichiarare che si accingevano a rifondare il comunismo.

Non sarebbe ora che le giovani leve del marxismo leninismo impugnassero la penna e imparassero a scrivere contro questi scimpanzé? Non sanno forse, i giovani rivoluzionari che, le rivoluzioni si fanno prima con la penna e poi con le armi? Basta! A fare da pubblico plaudente a questi quadrumeni scriventi! Spodestiamoli, impossessiamocene noi della scrittura rivoluzionaria!

http://lanostralotta.org/?p=207

Monsieur
01-04-11, 18:50
Molto meglio sostenere un dittatore terrorista e sanguinario.

Leader Maximo
01-04-11, 21:34
Molto meglio sostenere un dittatore terrorista e sanguinario.

difesa dei civili

http://4.bp.blogspot.com/-GH_rgDZFJc4/TZNgMZFUxwI/AAAAAAAABww/HzaxMzzAtck/s320/Morti-in-Libia.jpg

avete veramente la faccia come il culo...

Monsieur
01-04-11, 23:51
difesa dei civili

http://4.bp.blogspot.com/-GH_rgDZFJc4/TZNgMZFUxwI/AAAAAAAABww/HzaxMzzAtck/s320/Morti-in-Libia.jpg

avete veramente la faccia come il culo...

La faccia come il culo l'avrai tu a postare foto di cui non sai niente solo per sostenere l'insostenibile.
L'intervento militare ha impedito a Gheddafi di poter continuare la sua repressione nel disinteresse completo della comunità internazionale e ha salvato con ogni evidenza innumerevoli vite umane, di cui tu evidentemente te ne freghi.
Quella foto di cui sono risalito alla fonte è proprio frutto della repressione di Gheddafi, come pare dal sito da cui è presa.
Vergogna!

vota dc
02-04-11, 01:16
Con gli USA disinteressati però la partita è aperta.
A questo punto se Gheddafi vincerà o si accorderà la repressione non sarà peggiore? Si è partiti dal complotto di qualche militare francofilo che doveva fare un colpo di mano (Tripoli all'inizio era sotto assedio), ma quando sono entrati in gioco gli alleati della NATO una grossa fetta della popolazione ha saggiamente deciso di sostenere i futuri capi della Libia mettendosi in gioco perché tanto la vittoria era imminente.

Non bisogna confondere i risultati con le intenzioni. Poi immagina di essere un sostenitore di Gheddafi. All'inizio pensi: come si permettono di criticare il nostro leader? Però poveracci, trattarli così. In questo caso uno potrebbe anche tollerare la secessione della Cirenaica. Poi vedi che cercano di invaderti con l'aiuto degli ex colonizzatori. Beh...dovessero andare via gli ex colonizzatori la reazione più naturale sarebbe seguire questa gente con il forcone.

Gianky
02-04-11, 09:36
La faccia come il culo l'avrai tu a postare foto di cui non sai niente solo per sostenere l'insostenibile.
L'intervento militare ha impedito a Gheddafi di poter continuare la sua repressione nel disinteresse completo della comunità internazionale e ha salvato con ogni evidenza innumerevoli vite umane, di cui tu evidentemente te ne freghi.
Quella foto di cui sono risalito alla fonte è proprio frutto della repressione di Gheddafi, come pare dal sito da cui è presa.
Vergogna!

Repressione in che senso? Se la foto mostra delle vittime della guerra civile, come penso, la colpa dei morti è di chi ha scatenato la guerra civile o sbaglio? Frena i tuoi slanci guerreschi!

Leader Maximo
02-04-11, 13:32
La faccia come il culo l'avrai tu a postare foto di cui non sai niente solo per sostenere l'insostenibile.
L'intervento militare ha impedito a Gheddafi di poter continuare la sua repressione nel disinteresse completo della comunità internazionale e ha salvato con ogni evidenza innumerevoli vite umane, di cui tu evidentemente te ne freghi.
Quella foto di cui sono risalito alla fonte è proprio frutto della repressione di Gheddafi, come pare dal sito da cui è presa.
Vergogna!

siete l'emblema di come la sinistra italiana sia andata ormai in putrefazione... e poi vi chiedete pure come mai Berlusconi nonostante vada con le minorenni a pagamento alle tornate elettorali vi faccia il culo. Io un'idea sul motivo ce l'avrei... ed è legato al fatto che l'unica cosa che gli italiani hanno capito è che tra la destra originale e quella che la scimmiotta dopo aver cambiato nella propria storia più volte schieramento forse forse è più salutare scegliere la prima... comunque torniamo in topic.
Quelle sono foto delle vittime della "repressione" di Gheddafi?? lo sono anche queste??

lwQnleWyKgQ

ah già ora mi dirai che è Gheddafi che ha giustiziato membri dell'esercito libico.... un po' come le minchiate su Saddam e Milosevic... prima spariamole, poi una volta intervenuti anche se si scopre che sono cazzate in piena regola non importa.. si vedano le pulizie etniche di Milosevic, le armi di distruzione di massa in Iraq, il mullah Omar e i talebani dietro l'11/9, etc..

quello che poi mi fa andare in bestia è sentire la cazzata dell'intervento umanitario salva civili... ma poca puttana quando a Gaza durante Piombo fuso sono stati trucidati 1000 civili e stati feriti altri 5000 in meno di un mese dai nazisti dell'IDF nessuno ha mosso un cazzo di dito... nel continente africano ci sono guerre civili che continuano da più di 20 anni fomentate proprio da coloro che hanno votato la risoluzione sulla Libia per fottersi le risorse naturali e rimettere piede nei Paesi che una volta erano loro colonie.. anche qui nessuno muove un cazzo di dito... in Bahrein l'esercito saudita invade il Paese per reprimere le proteste contro l'emiro e nessuno dice o fa un cazzo.
In Paesi come la Nigeria quelli che vogliono mandare via a calci in culo coloro che gli fottono il petrolio (tra cui l'ENI) vengono bollati come terroristi e ammazzati da eserciti finanziati dagli sfruttatori (noi) e da contractors che invece sono osannati come eroi..

quindi, se vuoi raccontare cazzate è meglio se lo fai nella sede del tuo partito dove probabilmente l'unica geopolitica che conoscono è quella di Risiko

Murru
02-04-11, 16:00
siete l'emblema di come la sinistra italiana sia andata ormai in putrefazione... e poi vi chiedete pure come mai Berlusconi nonostante vada con le minorenni a pagamento alle tornate elettorali vi faccia il culo. Io un'idea sul motivo ce l'avrei... ed è legato al fatto che l'unica cosa che gli italiani hanno capito è che tra la destra originale e quella che la scimmiotta dopo aver cambiato nella propria storia più volte schieramento forse forse è più salutare scegliere la prima... comunque torniamo in topic.
Quelle sono foto delle vittime della "repressione" di Gheddafi?? lo sono anche queste??

lwQnleWyKgQ

ah già ora mi dirai che è Gheddafi che ha giustiziato membri dell'esercito libico.... un po' come le minchiate su Saddam e Milosevic... prima spariamole, poi una volta intervenuti anche se si scopre che sono cazzate in piena regola non importa.. si vedano le pulizie etniche di Milosevic, le armi di distruzione di massa in Iraq, il mullah Omar e i talebani dietro l'11/9, etc..

quello che poi mi fa andare in bestia è sentire la cazzata dell'intervento umanitario salva civili... ma poca puttana quando a Gaza durante Piombo fuso sono stati trucidati 1000 civili e stati feriti altri 5000 in meno di un mese dai nazisti dell'IDF nessuno ha mosso un cazzo di dito... nel continente africano ci sono guerre civili che continuano da più di 20 anni fomentate proprio da coloro che hanno votato la risoluzione sulla Libia per fottersi le risorse naturali e rimettere piede nei Paesi che una volta erano loro colonie.. anche qui nessuno muove un cazzo di dito... in Bahrein l'esercito saudita invade il Paese per reprimere le proteste contro l'emiro e nessuno dice o fa un cazzo.
In Paesi come la Nigeria quelli che vogliono mandare via a calci in culo coloro che gli fottono il petrolio (tra cui l'ENI) vengono bollati come terroristi e ammazzati da eserciti finanziati dagli sfruttatori (noi) e da contractors che invece sono osannati come eroi..

quindi, se vuoi raccontare cazzate è meglio se lo fai nella sede del tuo partito dove probabilmente l'unica geopolitica che conoscono è quella di Risiko

Quoto, inoltre quel video mostra la vera natura di questi ribelli tra le cui fila non c' è ombra di movimenti democratici e tanto meno di movimenti operai e partiti e sindacati di sinistra. La loro natura è reazionaria.
Attualmente in Libia non c' è nessuno che può dare più di Gheddafi benessere economico e indipendenza al popolo libico, e pazienza se Gheddafi non è molto democratico (anche se sicuramente non è , come la propaganda nazista ci vuole far credere, un mostro un pazzo e un dittatore sanguinario )

Stalin disse

Nelle condizioni dell'oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l'esistenza di elementi proletari nel movimento, l'esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l'esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell'emiro afghano per l'indipendenza dell'Afghanistan é oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell'emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l'imperialismo, mentre la lotta di certi «ultra» democratici e «socialisti» «rivoluzionari» e repubblicani dello stampo, ad esempio, di Kerenski e Tsereteli, Renaudel e Scheidemann, Cernov e Dan, Henderson e Clynes durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l'imperialismo.
La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l'indipendenza dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza social e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano «per» il socialismo. E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi coloniali e dipendenti, più grandi, come l'India e la Cina, ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, é un colpo di maglio assestato all'imperialismo, ed é perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario.
Lenin ha ragione quando afferma che il movimento nazionale dei paesi oppressi si deve considerare non dal punto di vista della democrazia formale, ma dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio generale della lotta contro l'imperialismo, cioè «non isolatamente, ma su scala mondiale» .

Monsieur
02-04-11, 18:05
Repressione in che senso? Se la foto mostra delle vittime della guerra civile, come penso, la colpa dei morti è di chi ha scatenato la guerra civile o sbaglio? Frena i tuoi slanci guerreschi!

Come saprai la guerra c'era già prima dell'intervento dell'ONU. C'era la guerra tra un dittatore nazionalsocialista (nazionalsocialista, non nazista) con leggi barbare e una massa di ribelli dalle idee più varie, esattamente come i partigiani italiani, le cui autorità provvisorie hanno dichiarato di voler costruire uno stato laico e democratico, aggettivi che anche un marxista-leninista consapevole dovrebbe supportare. E probabilmente tornare a rendere legale il Partito comunista libico, messo fuori legge dall'islamista Gheddafi.

Monsieur
02-04-11, 18:12
siete l'emblema di come la sinistra italiana sia andata ormai in putrefazione... e poi vi chiedete pure come mai Berlusconi nonostante vada con le minorenni a pagamento alle tornate elettorali vi faccia il culo. Io un'idea sul motivo ce l'avrei... ed è legato al fatto che l'unica cosa che gli italiani hanno capito è che tra la destra originale e quella che la scimmiotta dopo aver cambiato nella propria storia più volte schieramento forse forse è più salutare scegliere la prima... comunque torniamo in topic.
Yawn... Sbadigli a volontà, dopo questa propaganda da sentito dire e da vuoto pneumatico.


Quelle sono foto delle vittime della "repressione" di Gheddafi?? lo sono anche queste??

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ah già ora mi dirai che è Gheddafi che ha giustiziato membri dell'esercito libico.... un po' come le minchiate su Saddam e Milosevic... prima spariamole, poi una volta intervenuti anche se si scopre che sono cazzate in piena regola non importa.. si vedano le pulizie etniche di Milosevic, le armi di distruzione di massa in Iraq, il mullah Omar e i talebani dietro l'11/9, etc..

quello che poi mi fa andare in bestia è sentire la cazzata dell'intervento umanitario salva civili... ma poca puttana quando a Gaza durante Piombo fuso sono stati trucidati 1000 civili e stati feriti altri 5000 in meno di un mese dai nazisti dell'IDF nessuno ha mosso un cazzo di dito... nel continente africano ci sono guerre civili che continuano da più di 20 anni fomentate proprio da coloro che hanno votato la risoluzione sulla Libia per fottersi le risorse naturali e rimettere piede nei Paesi che una volta erano loro colonie.. anche qui nessuno muove un cazzo di dito... in Bahrein l'esercito saudita invade il Paese per reprimere le proteste contro l'emiro e nessuno dice o fa un cazzo.
In Paesi come la Nigeria quelli che vogliono mandare via a calci in culo coloro che gli fottono il petrolio (tra cui l'ENI) vengono bollati come terroristi e ammazzati da eserciti finanziati dagli sfruttatori (noi) e da contractors che invece sono osannati come eroi..

quindi, se vuoi raccontare cazzate è meglio se lo fai nella sede del tuo partito dove probabilmente l'unica geopolitica che conoscono è quella di Risiko


Tu sei stato gravemente disonesto, avendo postato per rendere effetto foto di cui non sai niente, solo per sostenere tesi traballanti e ideologiche nel senso più deteriore del termine, visto che con la vera ideologia niente hanno a che fare. Che Gheddafi abbia fatto ammazzare membri del suo esercito mi sembra abbastanza provato...


Per il resto:
Rimani in topic appunto, se vuoi proporre altri interventi militari ti risponderò lì, magari sarò d'accordo con te, chissà o sostenere che i talebani erano progressisti o estranei al terrorismo oppure che Milosevic non aveva compiuto crimini.

Gianky
02-04-11, 21:03
Yawn... Sbadigli a volontà, dopo questa propaganda da sentito dire e da vuoto pneumatico.


Tu sei stato gravemente disonesto, avendo postato per rendere effetto foto di cui non sai niente, solo per sostenere tesi traballanti e ideologiche nel senso più deteriore del termine, visto che con la vera ideologia niente hanno a che fare. Che Gheddafi abbia fatto ammazzare membri del suo esercito mi sembra abbastanza provato...


Per il resto:
Rimani in topic appunto, se vuoi proporre altri interventi militari ti risponderò lì, magari sarò d'accordo con te, chissà o sostenere che i talebani erano progressisti o estranei al terrorismo oppure che Milosevic non aveva compiuto crimini.

Vedi quale è il vostro problema, vostro di voi sinistrati filoamericani, è che con la parola "crimini" vi riempita la bocca e addebitate sempre i crimini ai vostri avversari, ma non sapete o volete guardare ai crimini dei vostri idoli. Ad esempio Harry Truman presidente delle democraticissima America come viene da te giudicato per le bombe di Hiroshima e Nagasaki. E non parlerò del bombardamento della citta di Dresda nel 1945 ad opera della democraticissim Gran Bretagna, per rispetto del forum marxista-leninista.

Come dobbiamo, quindi giudicare, Truman e Churcill?

Leader Maximo
02-04-11, 21:07
Yawn... Sbadigli a volontà, dopo questa propaganda da sentito dire e da vuoto pneumatico.

propaganda da sentito dire?? no, solo numeri :postridicolo:

Leader Maximo
02-04-11, 21:24
Come saprai la guerra c'era già prima dell'intervento dell'ONU. C'era la guerra tra un dittatore nazionalsocialista (nazionalsocialista, non nazista) con leggi barbare e una massa di ribelli dalle idee più varie, esattamente come i partigiani italiani, le cui autorità provvisorie hanno dichiarato di voler costruire uno stato laico e democratico, aggettivi che anche un marxista-leninista consapevole dovrebbe supportare. E probabilmente tornare a rendere legale il Partito comunista libico, messo fuori legge dall'islamista Gheddafi.

poveri partigiani... la maggior parte staranno a rivoltarsi nella tomba dopo questo paragone.
sulla laicità (che sinceramente mi frega poco, ma visto che ne sei interessato tu...) mi viene da ridere poi, visto che quando questi ribelli vengono intervistati ogni 5 parole ci infilano un "Allah"... per non parlare delle preghiere in piazza di massa e le esortazioni al martirio contro il dittatore Gheddafi (si veda YouTube - BENGHAZI FRIDAY PRAYERS - ISLAM UNITES THE PEOPLE (http://www.youtube.com/watch?v=KXnhfgv40rw)).

Sulla democrazia se intervenissi sarebbe come sparare sulla croce rossa... la democrazia dell'Afghanistan e dell'Iraq odierno?? perché se volete eliminare Gheddafi con la forza è questo che otterranno i libici.

I fatti sono abbastanza chiari... e oggi pure questi fantomatici ribelli hanno sbugiardato i tuoi amici della NATO sui bombardamenti a Brega. I ribelli a quanto pare hanno detto che i bombardamenti hanno fatto vittime civili... la NATO ha risposto che non era vero e che hanno solo colpito dei fantomatici fedelissimi di Gheddafi che attaccavano civili. La cosa è surreale, ma venire qui a raccontare che l'intervento è per la democrazia, la pace e il salvataggio dei civili libici è un insulto all'intelligenza dei comunisti che scrivono qui... al massimo cazzate del genere si possono raccontare alla massaia che si rincoglionisce 10 ore al giorno davanti alle merdate che passano la Tv di Stato e Mediaset... voi con gli F-16 ed i Tornado ci andate soltanto se ci sono risorse naturali da depredare, del resto non vi frega nulla... i fatti e l'attualità mondiale (vedi esempi che avevo fatto) parlano da soli

Murru
03-04-11, 00:13
La cosa è surreale, ma venire qui a raccontare che l'intervento è per la democrazia, la pace e il salvataggio dei civili libici è un insulto all'intelligenza dei comunisti che scrivono qui...

Perfettamente d' accordo.
Infatti ho tollerato anche troppo ma adesso basta, i prossimi messaggi demenziali di Monsieur verranno cancellati. :giagia:

Murru
03-04-11, 00:38
Orwell, la Nato e la guerra contro la Libia


Domenico Losurdo, 2 aprile 2011

Nel 1949, mentre infuria una guerra fredda che rischia di trasformarsi da un momento all’altro in olocausto nucleare, George Orwell pubblica il suo ultimo e più celebre romanzo: 1984. Se anche il titolo è avveniristico, il bersaglio è chiaramente costituito dall’Unione Sovietica, raffigurata come il «Grande fratello» totalitario, che vanifica la stessa possibilità di comunicazione, stravolgendo il linguaggio e creando una «neo-lingua» (newspeak), nell’ambito della quale ogni concetto si rovescia nel suo contrario. Pubblicando il suo romanzo l’anno stesso della fondazione della Nato (l’organizzazione militare che pretendeva di difendere anche la causa della morale e della verità), Orwell dava così il suo bravo contributo alla campagna dell’Occidente. Egli non poteva certo immaginare che la sua denuncia sarebbe risultata molto più calzante per descrivere la situazione venutasi a creare, pochi anni dopo il «1984», con la fine della guerra fredda e il trionfo degli Usa. Come la strapotenza militare, così la strapotenza multimediale dell’Occidente non sembra più incontrare nessuno ostacolo: lo stravolgimento della verità viene imposto con un bombardamento multimediale incessante e onnipervasivo, di carattere assolutamento totalitario. E’ quello che emerge con chiarezza dalla guerra in corso contro la Libia.


Guerra

E’ vero, è all’opera il più potente apparato militare mai visto nella storia; certamente non mancano le vittime civili dei bombardamenti della Nato; vengono utilizzate armi (all’uranio impoverito) il cui impatto è destinato a prolungarsi nel tempo; oltre agli Usa, nello scatenamento delle ostilità e nella conduzione delle operazioni militari si distinguono due paesi (Francia e Inghilterra), che hanno alle spalle una lunga storia di espansione e dominio coloniale in Medio Oriente e in Africa; siamo in un’area ricca di petrolio e i più autorevoli esperti e mezzi di informazione sono già impegnati ad analizzare il nuovo assetto geopolitco e geoeconomico. E, tuttavia – ci assicurano Obama, i suoi collaboratori e i suoi alleati e subalterni – non di guerra si tratta, ma di un’operazione umanitaria che mira a proteggere la popolazione civile e che per di più è autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.
In realtà, come nei confronti delle sue vittime, anche nei confronti della verità la Nato procede in modo assolutamente sovrano. In primo luogo è da notare che le operazioni militari dell’Occidente sono iniziate prima e senza l’autorizzazione dell’Onu. Sul «Sunday Mirror» del 20 marzo Mike Hamilton rivelava che già da «tre settimane» erano all’opera in Libia «centinaia» di soldati britannici, inquadrati in uno dei corpi militari più sofisticati e più temuti del mondo (SAS); fra di loro figuravano «due unità speciali, chiamate “Smash” a causa della loro capacità distruttiva». Dunque, l’aggressione era già iniziata, tanto più che a collaborare con le centinaia di soldati britannici erano «piccoli gruppi della Cia», nell’ambito di «un’ampia forza occidentale in azione nell’ombra» e dall’«ammnistrazione Obama» incaricata, sempre «prima dello scoppio delle ostilità il 19 marzo», di «rifornire i ribelli e dissanguare l’esercito di Gheddafi» (Mark Mazzettti, Eric Schmitt e Ravi Somaiya in «International Herald Tribune» del 31 marzo). Si tratta di operazioni tanto più rilevanti, in quanto condotte in un paese già di per sé fragile a causa della sua struttura tribale e del dualismo di lunga data tra Tripolitania e Cirenaica.
In secondo luogo, anche quando si rivolgono all’Onu, gli Usa e l’Occidente continuano a riservarsi il diritto di scatenare guerre anche senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza: è quello che è avvenuto, ad esempio, nel 1999 in occasione della guerra contro la Jugoslavia e nel 2003 in occasione della seconda guerra contro l’Irak. Ora nessuna persona sensata definirebbe democratico un governo che si rivolgesse al Parlamento con questo discorso: vi invito a votarmi la fiducia, ma anche senza la vostra fiducia io continuerei a governare come meglio ritengo… E’ in questi termini che gli Usa e l’Occidente si rivolgono all’Onu! E cioè, le votazioni che si svolgono nel Consiglio di sicurezza sono regolarmente viziate dal ricatto a cui costantemente fanno ricorso gli Usa e l’Occidente.
In terzo luogo: appena strappata al Consiglio di sicurezza (grazie al ricatto appena visto) la risoluzione desiderata, gli Usa e l’Occidente si affrettano a interpretarla in modo sovrano: l’autorizzazione per imporre la «no fly zone» in Libia diviene di fatto l’autorizzazione a imporre una sorta di protettorato.
Per potente che sia, l’apparato multimediale degli aggressori non riesce ad occultare la realtà della guerra. E, tuttavia, la neo-lingua si ostina a negare l’evidenza: preferisce parlare di operazione di polizia internazionale. Ma è interessante notare la storia alle spalle di questa categoria. Riallacciandosi alla dottrina Monroe, da lui reinterpretata e radicalizzata, nel 1904 Theodore Roosevelt (presidente degli Usa) teorizza un «potere di polizia internazionale» che la «società civilizzata» deve esercitare sui popoli coloniali e che, per quanto riguarda l'America Latina, spetta agli Usa. Siamo così ricondotti alla realtà del colonialismo e delle guerre colonialismo, alla realtà che invano la neo-lingua cerca di rimuovere.
In prima fila nel promuovere la neolingua e lo stravolgimento della verità è disgraziatanente il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napoletano, più eloquentemente di ogni altro impegnato a dimostrare che quella in corso contro la Libia…non è una guerra! Se appena rievocasse i ricordi della militanza comunista che è alle sue spalle, egli capirebbe che la tentata rimozione della guerra è in realtà una confessione. Come a suo tempo ha spiegato Lenin, le grandi potenze non considerano guerre le loro spedizioni coloniali, e ciò non soltanto a causa dell’enorme sproporzione di forze tra le due parti in campo, ma anche perché le vittime «non meritano nemmeno l'appellativo di popoli (sono forse popoli gli asiatici e gli africani?)» (Opere complete, vol. 24, pp. 416-7).


Civili

La guerra, anzi l’operazione di «polizia internazionale», scatenata contro la Libia mira a proteggere i «civili» dal massacro progettato da Gheddafi. Sennonché, la neo-lingua è immediatamente smentita dagli stessi organi di stampa che sono impegnati a diffonderla. Il «Corriere della Sera» del 20 marzo riporta con evidenza la foto di un aereo che precipita in fiamme dal cielo di Bengasi. Sia la didascalia della foto sia l’articolo relativo (di Lorenzo Cremonesi) spiegano che si tratta di un «caccia» pilotato da uno dei «piloti più esperti» a disposizione dei ribelli e abbattuto dai «missili terra-aria di Gheddafi». Ben lungi dall’essere disarmati, i rivoltosi dispongono di armi sofisticate e di attacco e per di più risultano assistiti sin dall’inizio dalla Cia e da altri servizi segreti, da «un’ampia forza occidentale che agisce nell’ombra» e da corpi speciali britannici famosi o famigerati a causa della loro «capacità distruttiva». Sarebbero questi i «civili»? Ora poi, con l’intervento di una poderosa forza internazionale a fianco dei rivoltosi, è semmai il fronte contrapposto a risultare sostanzialmente disarmato.
Ma può essere opportuna un’ulteriore riflessione sulla categoria qui in discussione. Come osserva un docente (Avishai Margalit) dell’Università ebraica di Gerusalemme, nel conteggio ufficiale degli «attacchi terroristi ostili» il governo israeliano include anche il «lancio di pietre». E – si sa – contro i «terroristi» non ci può fermare a mezza strada. Sulla più autorevole stampa statunitense («International Herald Tribune») possiamo leggere di «scene orripilanti di morte», che si verificano «allorché un carro armato e un elicottero israeliani aprono il fuoco su un gruppo di dimostranti palestinesi, compresi bambini, nel campo di rifugiati di Rafah». Sì, anche un bambino che lancia pietre contro l’esercito di occupazione può essere considerato e trattato quale «terrorista». Un’avvocatessa israeliana (Leah Tsemel) impegnata a difendere i palestinesi riferisce di un «bambino di dieci anni ucciso vicino a un check point all’uscita di Gerusalemme da un soldato a cui aveva semplicemente lanciato una pietra» (su tutto ciò cfr. D. Losurdo, Il linguaggio dell’Impero, Laterza, Roma-Bari, 2007, cap. I, § 13). Qui la neo-lingua celebra i suoi trionfi: un pilota esperto che combatte alla guida di un aereo militare è un «civile», ma un bambino che lancia pietre contro l’esercito di occupazione è chiaramente un «terrorista»!


Giustizia internazionale

Se i campioni della lotta contro i bambini «terroristi» e palestinesi possono dormire sonni tranquilli, coloro che si schierano contro i «civili» all’opera in Libia saranno deferiti alla Corte penale internazionale. A rischiare di essere deferiti (e condannati) non saranno soltanto i militari e i politici che comandano l’apparato militare. No, ad essere preso di mira è uno schieramento molto più ampio. Spiegavano Patrick Wintour e Julian Borger su «The Guardian» già del 26 febbraio: «Ufficiali britannici stanno contattando personale libico di grado elevato per metterlo alle strette: abbandonare Muammar Gheddafi o essere processati assieme a lui per crimini contro l’umanità». In effetti, su questo punto non si stancano di insistere i governanti di Londra e occidentali in genere. Essi considerano il Tribunale Penale Internazionale alla stregua di Cosa nostra, ovvero alla stregua di un «tribunale» mafioso. Ma il punto più importante e più rivoltante è un altro: ad essere minacciati di essere rinchiusi in carcere per il resto della loro vita sono funzionari libici, ai quali non viene rimproverato alcun reato. E ciè, dopo essere intervenuti in una guerra civile e averla probabilmente attizzata e comunque alimentata, dopo aver dato inizio all’intervento militare ben prima della risoluzione dell’Onu, Obama, Cameron, Sarkozy ecc. continuano a violare le norme del diritto internazionale, minacciando di colpire con la loro vendetta e la loro violenza, anche dopo la fine delle ostilità, coloro che non si arrendono immediatamente alla volontà di potenza, di dominio e di saccheggio espressa dal più forte. Sennonché, la neo-lingua oggi in vigore trasforma le vittime in responsabili di «crimini contro l’umanità» e i responsabili di crimini contro l’umanità in artefici della «giustizia internazionale».
Non c’è dubbio: assieme a un apparato di distruzione e di morte senza precedenti nella storia oggi infuria la neo-lingua, ovvero il linguaggio dell’Impero

http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/04/orwell-la-nato-e-la-guerra-contro-la.html

Stalinator
03-04-11, 15:31
C'è del lavoro lassù... servono braccia forti...

http://2.bp.blogspot.com/_MmSY-zIZnI8/TITitSFyt1I/AAAAAAAAAMo/T5JaWKGo5gM/s1600/stalin_gulag.jpg

Murru
03-04-11, 19:28
C'è del lavoro lassù... servono braccia forti...

http://2.bp.blogspot.com/_MmSY-zIZnI8/TITitSFyt1I/AAAAAAAAAMo/T5JaWKGo5gM/s1600/stalin_gulag.jpg

:sofico:

Murru
05-04-11, 13:10
Rivoltosi obbligano soldati libici a mangiare carne di cane (e a baciargli il muso)


q61o9DNaNvI

Murru
05-04-11, 21:32
L'intervento di Giulietto Chiesa sulla guerra contro la Libia e la risposta di Losurdo

Giulietto Chiesa ha detto...

Caro Losurdo, molte grazie per il suo commento sulla guerra. Purtroppo, avrà notato, una discreta fetta della rimanente sinistra, oltre a Napolitano, si è schierata a favore della guerra. E anche il fronte ex pacifista si è sfilaccianto in molti rivoletti, spesso liquamosi, di sostenitori vari del diritto occidentale di portare la nostra democrazia ai popoli arretrati e tribali. Ho l'impressione che bisogni ricominciare a raccogliere le idee e le forze, prima che l'Impero morente ci collochi tutti nel cestino delle cose da gettare nel camino.
Cordiali saluti, Giulietto Chiesa


Caro Chiesa,
sono felice della nostra consonanza non solo sul carattere colonialista della guerra contro la Libia ma anche sullo stato confusionale della sinistra. Non c’è dubbio: «occorre ricominciare a raccogliere le idee e le forze»! In attesa di dare un contributo più articolato in questa direzione, mi limito a due osservazioni rapidissime:

1) Quella che un tempo era la sinistra, ha dimenticato persino la grammtica e la sintassi del discorso politico. Allorché siamo chiamati a rispondere ad una guerra come quella in corso, si tratta non di fare un confronto tra la Libia di Gheddafi e l’Occidente di Obama, Cameron e Sarkozy, bensì di analizzare la natura della contraddizione che ha condotto alla guerra. Questo ci insegna la storia del colonialismo. Ad esempio, quando si impegnava nella conquista dell’Algeria, la Francia della monarchia di luglio era probabilmente una società più «liberale» e più «moderna» del paese arabo. Resta il fatto che per assoggettare l’Algeria, un autore quale Tocqueville lanciava una terribile una parola d'ordine: «Distruggere tutto ciò che rassomiglia ad un’aggregazione permanente di popolazione o, in altre parole, ad una città. Credo sia della più alta importanza non lasciar sussistere o sorgere alcuna città nelle regioni controllate da Abd-el-Kader» (il leader della resistenza). E cioè, pur più «liberale» e più «moderna» delle sue vittime, la Francia esprimeva il colonialismo in tutta la sua barbarie bellicista e genocida.

2) Tutti ricordiamo che in Italia (e in Occidente) una certa sinistra radicale ha lanciato a suo tempo la parola d’ordine del «ritorno a Marx» (espungendo indirettamente Lenin e la sua analisi dell’imperialismo). Ormai è sempre più chiaro che il presunto «ritorno a Marx» è in realtà un approdo a (Leonida) Bissolati, il socialista «riformista» che un secolo fa prese posizione a favore della missione civilizzatrice dell’Italia in Libia! E dunque, persino sul piano geografico chiara è la linea di continuità che da Bissolati conduce a…
Ma, come ho già detto, si tratta di due riflessioni a caldo, sull’onda dell’indignazione non solo morale ma anche intellettuale per la miseria della sinistra. Resta il compito, difficile ma ineludibile, del «raccogliere le idee e le forze». Spero che questo nostro scambio di idee possa servire di stimolo.

Con un cordiale saluto, Domenico Losurdo

L'intervento di Giulietto Chiesa sulla guerra contro la Libia e la risposta di Losurdo (http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20819)

Murru
09-04-11, 22:56
L'esercito mercenario di Gheddafi: la disinformazione made in CIA

Esperti del continente africano, che conoscono molto bene la situazione libica, sostengono che le storie diffuse dai media occidentali, i quali raccontano che il leader libico, Muammar Gheddafi, si affida anche ai servizi di mercenari di colore provenienti dal Sahara e dall’Africa sub-sahariana, sono una manovra di disinformazione da parte della CIA per alimentare i ribelli libici contro Gheddafi con un’ondata di razzismo.

Le fonti occidentali "riferiscono" che Gheddafi ha assoldato mercenari di colore africani per la lotta contro i ribelli libici. Il risultato è stato che migliaia di lavoratori neri africani in Libia sono stati attaccati da folle inferocite che hanno creduto alla propaganda occidentale.

Il ruolo del presidente Obama nel sostenere questa macchinazione della CIA per alimentare la rabbia dei ribelli libici non è stato preso bene dalla comunità afro-americana. Un leader attivista afro-americano di Washington ha scritto una e-mail che dichiarava: "non esigete maggiore senso di responsabilità da parte di un presidente nero rispetto ad uno bianco, perché riceverete solo una cosa: niente”.

Le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che i ribelli libici hanno cominciato la "caccia" al nero.
Pensando di catturare collaborazionisti pro-Gheddafi, imprigionano invece semplici lavoratori che si trovano in Libia in cerca di lavoro nel campo petrolifero, agricolo e edilizio, scappati dai loro paesi economicamente depressi. Ironia della sorte, la maggior parte dei neri cacciati vengono dal Kenya, la terra che secondo le affermazioni di Obama è la sua “casa paterna dei suoi antenati”.

Altri africani, bloccati in Libia e sottoposti all'assalto razziale degli arabi libici, provengono dal Sud Sudan, dall’Uganda, dalla Sierra Leone, dalla Tanzania, dalla Somalia, dall’Etiopia, dal Ghana, dal Ruanda, dal Burundi, dall’Uganda, dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Lesotho, dallo Zimbabwe, dallo Zambia e dalla Nigeria. Un milione e mezzo di lavoratori neri africani sono vissuti in pace in Libia prima dello scoppio della guerra tra Gheddafi e le forze ribelli. Solo pochi africani sono riusciti a scappare, ma la maggior parte di loro sono costretti a nascondersi nelle loro case e fuggire verso squallidi campi profughi in Egitto, in Tunisia e in Sudan. Anche i lavoratori dalla pelle scura non africani provenienti dal Bangladesh, non sfuggono all'ira dei ribelli libici.

Altri africani, in particolare quelli provenienti dal Niger, dal Mali, dal Gabon, dal Ciad e, sono lì in seguito ai progetti di sviluppo finanziati nei loro paesi da Gheddafi ed essi hanno risposto andando in Libia come volontari a sostegno di Gheddafi. Tuttavia, questi volontari sono stati bollati come mercenari dai media occidentali e dall’intelligence. L’Algeria ha respinto le accuse che i suoi cittadini siano stati inviati in Libia per combattere come mercenari per Gheddafi.

Il Sunday Mirror di Londra ha pubblicato un articolo discutibile, il quale sosteneva che il 27 marzo il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam Gheddafi, era andato in Zimbabwe, ad arruolare un esercito africano per aiutare le forze di suo padre. La relazione afferma che il vecchio dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, era pronto a mandare truppe dell'esercito dello Zimbabwe in Libia per combattere a fianco dell'esercito di Gheddafi.

La propaganda di guerra della CIA contro i neri africani in Libia non si è limitata agli editoriali e ai telegiornali di Washington, Londra, Parigi e New York. Un candidato alla presidenza della Liberia, TQ Harris, ha accusato Gheddafi dell’arruolamento forzato di giovani uomini e ragazzi nel suo esercito. La dichiarazione è stata ripresa dai giornali della Liberia, da sempre influenzati dalla CIA.

Il 16 marzo, The Guardian (UK), ha pubblicato la notizia che Gheddafi stava reclutando mercenari dalla tribù dei Zaghawa che vivono nel Darfur e nel Ciad. The Guardian ha scritto che non vi era "alcuna prova che i membri della tribù Zaghawa siano realmente coinvolti nel conflitto in corso".

Non solo si trattava di lavoratori provenienti dal Ciad, Etiopia, Somalia quelli braccati dai ribelli libici impiccati ai lampioni e feriti a morte con asce e machete, ma anche libici neri, per lo più della provincia meridionale del Fezzan hanno subito lo stesso trattamento.
I neo-conservatori di Washington e New York, grazie ai loro media, hanno ignorato la situazione di questi lavoratori neri e hanno continuato ad aizzare la folla, sostenendo che qualsiasi nero presente in Libia fosse un mercenario di Gheddafi, infischiandosene che ciò non fosse vero. Tant’è che i media occidentali non hanno mai dato notizia di lavoratori uccisi “per sbaglio” dagli insorti.

Il New York Times, in un articolo del 16 marzo intitolato "Libyan Oil Buys Loyal African Allies for Qaddafi", ha scritto che Gheddafi stava arruolando "circa 200" giovani del Mali per combattere in Libia. Il Times ha dato credibilità alla non-notizia costruita ad arte dalla CIA ed ha rilanciato sostenendo che dai 3.000 ai 4.000 mercenari erano stati reclutati dal governo di Gheddafi dal Mali, dal Darfur e dal Niger con un salario di 1.000 dollari al giorno.
Tuttavia, in una notizia pubblicata l'11 marzo dal Times, è stato riportato che in effetti i funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti non sono riusciti a trovare conferma alla notizia dei 4.000 e 5.000 mercenari dal Niger, dal Mali e dal Justice and Equality Movement del Darfur erano stati assunti da Gheddafi per 1.000 dollari al giorno. Nonostante viviamo in un'epoca di guerra fondata anche e soprattutto sull’informazione mediatica, la CIA non riesce a tenere la barra a dritta.

L'ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, Susan Rice, in una dichiarazione del 17 marzo sull'adozione da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu della risoluzione che consentiva la creazione di una no-fly zone sopra la Libia, ha dichiarato che uno dei motivi della creazione di quella zona era quello di impedire che arrivassero a destinazione gli aerei che trasportavano i "mercenari" in Libia.

È stato anche riferito che i gruppi wahabiti dell'Arabia Saudita legati ai ribelli, tra cui il Gruppo combattente islamico libico, hanno giustiziato lavoratori neri africani di fede cristiana, condannandoli come "infedeli" che sostenevano Gheddafi.

Inoltre sono girate voci che Gheddafi, con il sostegno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, e il capo dell'intelligence Aman (acronimo ebraico per la direzione dell’Intelligence, ndt) Aviv Kokhavi, avesse organizzato, tramite la società di sicurezza israeliana Global CST, il trasporto segreto di 50.000 mercenari africani in Libia. Il costo: 5 miliardi di dollari.
La connessione tra israeliani e mercenari neri pro-Gheddafi ha alimentato la rabbia degli islamici radicali tra i ribelli libici, i quali erano convinti che Gheddafi non solo avesse un accordo segreto con Israele, ma che fosse un "cripto Ebreo", perché sua nonna era ebrea. L'accusa è stata trasmessa sulla televisione nazionale israeliana da una donna ebrea libica che sosteneva di essere dell’entourage di Gheddafi. Altre fonti di ispirazione sionista hanno riferito che Gheddafi stava reclutando serbi, ucraini, piloti siriani e un gruppo di feroci guerrieri Tuareg tribali del deserto del Sahara.

Il Washington Times, un giornale di destra di proprietà di un auto-proclamato "Messia" coreano, Sun Myung Moon, il 21 marzo ha pubblicato un articolo del principe Mohamed Hilal Al Senussi, un membro della famiglia reale cacciata da Gheddafi durante il colpo di stato del 1969. Senussi paragona i ribelli libici ai membri del "Tea Party" repubblicano degli Stati Uniti e ha ripetuto l'accusa che Gheddafi stava usando mercenari africani: "In Baida, oltre 100 persone sono state massacrate da mercenari africani legati a Gheddafi provenienti dal Ciad, Niger e dal Mali, spingendo le forze di polizia locali e l'esercito a proteggere i loro connazionali inermi».

La connivenza delle agenzie di intelligence occidentali, di concerto con elementi israeliani e media occidentali, ha posto le basi per la strage dei libici neri anche in altre parti dell'Africa. Tutto ciò ha fatto infuriare gli afro-americani, che in precedenza avevano sostenuto Obama nelle sue campagne politiche in Illinois e alle presidenziali. Obama, il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti, ha ora il primato di essere l'unico presidente americano a lanciare una guerra sanguinosa in un paese africano. Agli occhi di molti attivisti politici afro-americani, Obama si è rivelato essere tanto uno strumento della CIA, che di Wall Street, che delle compagnie petrolifere, come i passati presidenti americani bianchi.

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Murru
13-04-11, 11:43
L'attacco alla Libia era stato deciso da anni!



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Murru
26-04-11, 22:11
Perchè l’ occidente vuole la caduta di Gheddafi?


di Jean-Paul Pougala

E ‘stata la Libia di [Mouammar] Gheddafi che ha offerto a tutta l’ Africa la sua prima rivoluzione nei tempi moderni – collegando tutto il continente tramite telefoni, televisioni, trasmissioni radiofoniche e diverse altre applicazioni tecnologiche come la telemedicina e l’insegnamento a distanza. E grazie al ponte radio WMAX è stata resa disponibile una connessione a basso costo in tutto il continente, anche nelle zone rurali.

Iniziò tutto nel 1992, quando 45 nazioni africane stabilirono il Rascom (Regional African Satellite Communication Organization), facendo cosi in modo che l’Africa potesse avere il proprio satellite e poter quindi abbattere i costi di comunicazione nel continente. Questo è stato un momento in cui le telefonate da e verso l’Africa erano le più costose del mondo a causa dei 500 milioni di dollari annui di tassa intascati dall’ Europa per l’utilizzo dei suoi satelliti (come l’Intelsat) per le conversazioni telefoniche, comprese quelle all’interno del paese stesso.

Per il proprio satellite gli Africani hanno sborsato 400 milioni di dollari, non dovendo più pagare cosi 500 milioni di dollari di locazione annuale. Quale banchiere non finanzierebbe un progetto del genere? Ma il problema è rimasto – come possono gli schiavi che cercano di liberarsi dallo sfruttamento del loro padrone chiedere aiuto al padrone stesso per conseguire tale libertà? Non sorprende che la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, gli Stati Uniti e l’ Europa hanno fatto solo vaghe promesse per 14 anni. Gheddafi ha posto fine a queste richieste inutili ai benefattori occidentali con i loro tassi di interesse esorbitanti, mettendo sul piatto 300 milioni di dollari, insieme ai 50 milioni dell’ African Development Bank e gli ulteriori 27 milioni della West African Development Bank - ed è così che l’Africa ha avuto il suo primo satellite per le comunicazioni, il 26 dicembre 2007.

La Cina e la Russia hanno seguito l’esempio ed hanno condiviso la propria tecnologia contribuendo a lanciare satelliti per il Sud Africa, la Nigeria, l’Angola e l’Algeria, mentre un secondo satellite africano è stato lanciato nel luglio 2010. Il primo satellite costruito e totalmente realizzato sul suolo africano, in Algeria, è fissato per il 2020. Questo satellite è destinato a competere con i migliori del mondo, ma con un costo dieci volte inferiore, una vera e propria sfida.

Questo mostra come un gesto simbolico di soli 300 milioni di dollari ha cambiato la vita di un intero continente. La Libia di Gheddafi ha tolto all’Occidente non solo i 500 milioni di dollari all’anno d’affitto dei satelliti, ma anche i miliardi di dollari di debito e degli interessi che il prestito iniziale avrebbe generato per gli anni a venire e in maniera esponenziale, contribuendo in tal modo a mantenere un sistema occulto al fine di saccheggiare il continente.



Fondo Monetario Africano, Banca Centrale Africana, Banca africana per gli investimenti

I 30 miliardi di dollari congelati da Obama appartengono alla Banca centrale libica ed erano stati stanziati come contributo libico a tre progetti chiave che avrebbero aggiunto il tocco finale alla federazione africana – l’ African Investment Bank a Sirte, (Libia), l’istituzione con 42 miliardi di dollari di fondi di capitale nel 2011 dell’ African Monetary Fund a Yaounde e dell’ African Central Bank ad Abuja, in Nigeria. Quando si inizia a stampare denaro africano suonerà la campana a morto per il franco CFA attraverso il quale Parigi è stato in grado di mantenere la sua presa su alcuni paesi africani per gli ultimi cinquant’anni. E’ facile capire l’ira francese contro Gheddafi.

L’ African Monetary Fund dovrebbe sostituire completamente le attività del Fondo monetario internazionale in Africa, il quale, con soli 25 miliardi di dollari, è stato in grado di portare un intero continente in ginocchio facendogli ingoiare privatizzazioni discutibili come ,ad esempio,costringere i paesi africani a passare dal settore pubblico a monopoli privati​​. Non sorprende quindi che il 16-17 dicembre 2010 gli africani all’unanimità hanno respinto i tentativi da parte dei paesi occidentali di aderire al Fondo Monetario Africano, facendogli sapere che questo era aperto solo alle nazioni africane.

E ‘sempre più evidente che dopo la Libia la coalizione occidentale andrà in Algeria, perché, a parte le proprie enormi risorse energetiche, il Paese ha riserve di liquidità di circa 150 miliardi di euro. Questo è ciò che attira i paesi che stanno bombardando la Libia, i quali hanno una cosa in comune – sono praticamente in bancarotta. Gli Stati Uniti da soli, hanno un debito impressionante di 14, 000 miliardi di dollari; la Francia, la Gran Bretagna e l’ Italia hanno ciascuno 2.000 miliardi di deficit pubblico rispetto ai meno 400 miliardi di dollari del debito pubblico di 46 paesi africani messi insieme.

Incitare false guerre in Africa, nella speranza che ciò possa rivitalizzare le loro economie che stanno sprofondando sempre più nella depressione,finirà per accelerare il declino occidentale , effettivamente iniziato nel 1884 durante la famigerata conferenza di Berlino. [LEGGI: La guerra contro la Libia in una prospettiva storica ] Come l’economista americano Adam Smith predisse nel 1865 quando ha pubblicamente sostenuto Abraham Lincoln per l’abolizione della schiavitù, l’ economia di ogni paese basata sulla schiavitù dei neri è destinata a scendere negli inferi il giorno che questi paesi si risveglieranno”.



L’unità regionale come un ostacolo alla creazione degli Stati Uniti d’Africa

Per destabilizzare e distruggere l’ Unione africana la quale stava virando pericolosamente (per l’Occidente) verso gli Stati Uniti d’Africa sotto la guida di Gheddafi, l’ Unione europea ha provato, senza successo, di creare l’Unione per il Mediterraneo (UPM). Il Nord Africa in qualche modo doveva essere tagliato fuori dal resto dell’Africa, utilizzando il vecchio cliché razzista dei secoli 18 e 19: cioè che gli africani di origine araba erano più evoluti e civilizzati rispetto al resto del continente. Questo non è riuscito grazie a Gheddafi che ha capito ben presto a che gioco si stava giocando quando solo una manciata di paesi africani erano stati invitati ad aderire al gruppo del Mediterraneo senza informare l’Unione africana mentre erano invitati tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea.

Senza la forza trainante della Federazione africana, l’ UPM è fallita ancora prima di iniziare, mentre il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, sta ora tentando di rilanciare l’idea. Ciò che i leader africani non riescono a capire è che, fintanto che l’Unione europea continuerà a finanziare l’Unione africana, lo status quo rimarrà, perché non ci sarà nessuna vera indipendenza. Per questo motivo l’ Unione europea ha promosso e finanziato raggruppamenti regionali in Africa.

E ‘ovvio che la West African Economic Community (ECOWAS), che ha un’ambasciata a Bruxelles e, per la maggior parte, i suoi finanziamenti giungono dall’Unione europea, è un avversario rumoroso alla federazione africana. Questo il motivo per cui Lincoln ha combattuto nella guerra di secessione degli Stati Uniti.Infatti nel momento in cui un gruppo di paesi si riuniscono in una organizzazione politica regionale si indebolisce il gruppo principale. Questo è ciò che l’Europa ha voluto e gli africani non hanno mai capito il piano di gioco, creando una pletora di gruppi regionali come il COMESA, l’ UDEAC, il SADC e il Great Maghreb, il quale non vide mai la luce grazie a Gheddafi che capi’ quello che stava succedendo.



Gheddafi, l’africano che ripuli’ il Continente dall’umiliazione dell’ Apartheid

Gheddafi per la maggior parte degli africani è un uomo generoso, un umanista, conosciuto per il suo sostegno disinteressato verso la lotta contro il regime razzista in Sud Africa. Se fosse stato un egoista, lui non avrebbe rischiato di provocare l’ira dell’Occidente per aiutare l’ANC sia militarmente che finanziariamente nella lotta contro l’apartheid. Questo è il motivo per cui Mandela, subito dopo la sua liberazione da 27 anni di carcere, ha deciso di rompere l’embargo delle Nazioni Unite e viaggiare in Libia il 23 ottobre 1997. Per cinque lunghi anni, nessun aereo ha potuto atterrare in Libia a causa dell’embargo. Era necessario prendere un aereo per la città tunisina di Jerba e proseguire su strada per cinque ore in modo da arrivare a Ben Gardane, da qui attraversare il confine e proseguire su una strada nel deserto per tre ore prima di raggiungere Tripoli. L’altra soluzione era quella di passare per Malta e prendere un traghetto notturno fino a raggiungere la costa libica. Un viaggio infernale per un intero popolo, semplicemente per punire un uomo.

Mandela parlò chiaro quando l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton disse che la visita era stata ‘sgradita’ – ‘Nessun paese può pretendere di essere il poliziotto del mondo e nessuno Stato può dettare all’altro ciò che deve fare’ -, aggiungendo che ‘quelli che ieri erano amici dei nostri nemici hanno oggi la faccia tosta di dirmi di non andare a visitare il mio fratello Gheddafi e avvisandoci ora di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici del passato.’

Infatti, l’ Occidente ha sempre considerato i razzisti sudafricani di essere loro fratelli che avevano bisogno di essere protetti. Ecco perché i membri dell’ANC, tra cui Nelson Mandela, sono stati considerati pericolosi terroristi. E’ stato solo il 2 luglio 2008, che il Congresso degli Stati Uniti alla fine ha votato una legge per rimuovere il nome di Nelson Mandela e dei suoi compagni dell’ ANC dalla lista nera ma non perché si siano resi conto di quanto stupido era tale elenco, ma solo perché volevano celebrare il 90 ° compleanno di Mandela. Se l’Occidente era veramente dispiaciuto per il suo passato sostegno ai nemici di Mandela e veramente sincero quando inaugura strade e piazze col suo nome, come può continuare a fare la guerra contro qualcuno che ha aiutato Mandela e il suo popolo ad essere vittoriosi, ovvero Gheddafi?



Quelli che vogliono esportare la democrazia sono realmente democratici?

Il 19 marzo 2003, il presidente George Bush ha cominciato a bombardare l’Iraq con il pretesto di portare la democrazia. Il 19 marzo 2011, esattamente otto anni dopo, è stato il turno del presidente francese di dover sganciare bombe sulla Libia, ancora una volta, sostenendo che era per portare la democrazia. Il presidente Usa, nonchè Premio Nobel per la Pace , dice che scatenando i missili cruise dai sottomarini si può spodestare il dittatore e introdurre la democrazia.

La domanda che chiunque abbia un minimo di intelligenza non può non porsi è la seguente: paesi come la Francia, l’ Inghilterra, gli USA, l’ Italia, la Norvegia, la Danimarca, la Polonia, che difendono il loro diritto a bombardare la Libia sulla forza del loro auto-proclamato stato democratico sono davvero democratici ? Se sì, sono più democratici della Libia di Gheddafi? La risposta in realtà è un clamoroso NO, per la pura e semplice ragione che la democrazia non esiste. Questo non è un parere personale, ma una citazione di qualcuno la cui città natale, Ginevra, ospita la maggior parte delle istituzioni delle Nazioni Unite. La citazione è di Jean Jacques Rousseau, nato a Ginevra nel 1712 e che scrive nel quarto capitolo del terzo libro del famoso Contratto Sociale che ‘non c’è mai stata una vera democrazia e non ci sarà mai.’

Rousseau ha precisato i seguenti quattro punti affinchè un paese possa essere identificato come una democrazia e secondo questi la Libia di Gheddafi è molto più democratica degli USA, della Francia e degli altri che sostengono di esportare la democrazia:

Lo Stato: più grande è il paese, tanto meno potrà essere democratico. Secondo Rousseau, lo Stato deve essere estremamente piccolo in modo che le persone possono incontrarsi e conoscersi. Prima di chiedere alla gente di votare, si deve garantire che tutti conoscono tutti, altrimenti il voto sarà un atto senza alcuna base democratica, un simulacro della democrazia per eleggere un dittatore.

Lo stato libico si basa su un sistema di alleanze tribali, che per definizione raggruppano insieme gente in piccole entità. Lo spirito democratico è molto più presente in una tribù, in un villaggio, che in un grande paese, semplicemente perché le persone si conoscono, condividono un comune ritmo di vita che comporta una sorta di auto-regolamentazione o addirittura auto-censura, in quanto la reazioni e le contro-reazioni di altri membri provocano ripercussioni sul gruppo. Da questa prospettiva, sembrerebbe che la Libia si adatti meglio alle condizioni poste da Rousseau rispetto agli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna; tutte società altamente urbanizzate dove la maggior parte dei vicini di casa non si dicono nemmeno ciao e quindi non si conoscono, anche se hanno vissuto fianco a fianco per 20 anni. Questi paesi sono passati direttamente alla fase successiva – ‘il voto’- che è stato abilmente santificato per offuscare il fatto che votare sul futuro del paese è inutile se l’ elettore non conosce gli altri cittadini e spingendo ciò ai limiti del ridicolo con il diritto di voto dato alle persone che vivono all’estero.

La semplicità nelle abitudini e nei modelli di comportamento sono inoltre essenziali se si vuole evitare di spendere la maggior parte del tempo a discutere procedure legali e giudiziarie al fine di far fronte alla moltitudine di conflitti di interesse inevitabili in una società grande e complessa. I Paesi occidentali si definiscono nazioni civili con una struttura sociale più complessa mentre la Libia è descritta come un paese primitivo con un semplice set di costumi. Questo aspetto indica anche che la Libia risponde meglio ai criteri democratici di Rousseau di tutti coloro che cercano di dare lezioni di democrazia. I conflitti nelle società complesse sono frequentemente vinti da chi ha più potere, motivo per cui i ricchi riescono a evitare la prigione, in quanto possono permettersi di assumere i migliori avvocati. Nella città di New York, per esempio, dove il 75 per cento della popolazione è bianca, l’80 per cento dei posti di direzione sono occupati da bianchi che rappresentano solo il 20 per cento delle persone incarcerate.

Parità di status e di ricchezza: Uno sguardo alla lista 2010 di Forbes mostra chi sono le persone più ricche in ciascuno dei paesi che attualmente stanno bombardando la Libia e la differenza tra loro e quelli che guadagnano i salari più bassi in quelle nazioni; se si fa lo stesso per la Libia,questo rivelerà che in termini di distribuzione della ricchezza, la nazione di Gheddafi ha molto di più da insegnare a coloro che ora la combattono, e non il contrario. Quindi anche qui, utilizzando i criteri di Rousseau, la Libia è più democratica delle nazioni che pomposamente fingono di esportare la democrazia. Negli Stati Uniti, il 5 per cento della popolazione possiede il 60 per cento della ricchezza nazionale, il che rende la società più ineguale e squilibrata nel mondo.

Niente lussi: secondo Rousseau non ci può essere alcun lusso se ci deve essere la democrazia. Il lusso, dice, fa la ricchezza una necessità che diventa poi una virtù in sé, e non diventa il benessere del popolo ad essere l’obiettivo da raggiungere a tutti i costi ;il lusso corrompe sia i ricchi che i poveri, i primi attraverso il possesso e i secondi per l’ invidia, rende la nazione morbida e preda di vanità, distanzia il popolo dallo Stato e lo schiavizza, rendendo la gente “schiavi di opinione”.

C’è più lusso in Francia che in Libia? Le relazioni sui lavoratori dipendenti che si suicidano a causa di stressanti condizioni di lavoro anche in società pubbliche o semi-pubbliche, tutto in nome della massimizzazione del profitto per una minoranza e il loro mantenimento nel lusso, accade nell’ Occidente, non certo nella Libia.

Il sociologo americano C. Wright Mills scrisse nel 1956 che la democrazia americana è stata una ‘dittatura della elite ‘. Secondo Mills, gli Stati Uniti non rappresentano una democrazia perché è il denaro che parla durante le elezioni e non il popolo. I risultati di ogni elezione sono l’espressione della voce dei soldi e non della voce del popolo. Dopo Bush junior e Bush senior, già si sta parlando di un più giovane Bush per le primarie repubblicane del 2012 . Inoltre, come Max Weber ha sottolineato, dal momento che il potere politico dipende dalla burocrazia, gli Usa hanno 43 milioni di burocrati e di personale militare che effettivamente governano il paese, ma senza essere eletti e senza essere responsabili verso il popolo per le loro azioni. Una persona (un ricco) viene eletto, ma il potere reale sta con la casta dei ricchi, che quindi ottengono le nomine di ambasciatori, generali, ecc..

Quante persone di queste sedicenti democrazie sanno che la Costituzione del Perù vieta al presidente uscente di provare a candidarsi per un secondo mandato consecutivo? Quanti sanno che in Guatemala, non solo un presidente uscente non può cercare la rielezione per la stessa carica,ma nessuno della famiglia di quella persona può aspirare al suo posto? O che il Ruanda è l’unico paese al mondo che ha il 56 per cento di donne parlamentari? Quante persone sanno che nel 2007 nell’l’indice della CIA i quattro miglior paesi governati al mondo erano in Africa? Che il primo premio va alla Guinea Equatoriale il cui debito pubblico rappresenta solo il 1,14 per cento del PIL?

Rousseau sostiene che le guerre civili, le rivolte e le ribellioni siano gli ingredienti dell’ inizio della democrazia. Perché la democrazia non è un fine, ma un processo permanente della riaffermazione dei diritti naturali degli esseri umani che nei paesi di tutto il mondo (senza eccezioni) sono calpestati da un pugno di uomini e donne che hanno dirottato il potere del popolo per perpetuare la loro supremazia. Ci sono qua e là, gruppi di persone che hanno usurpato il termine ‘democrazia’ – invece di essere un ideale da perseguire è diventata un’etichetta da assegnare o uno slogan che viene utilizzato da persone che possono gridare più forte di altri. Se un paese è calmo, come la Francia o gli Stati Uniti, vale a dire senza ribellioni, significa solo, dal punto di vista di Rousseau, che il sistema dittatoriale è sufficientemente repressivo per prevenire qualsiasi rivolta.

Non sarebbe una cattiva cosa se i libici si ribellassero. Quello che è sbagliato è affermare che la gente stoicamente accetta un sistema che li reprime ovunque, senza reagire. Rousseau conclude: ‘quam periculosam Malo libertatem servitium quietum – traduzione – Se gli dei fossero persone, si sarebbero governate democraticamente. Un tale governo perfetto non è applicabile agli esseri umani. Pretendere che qualcuno sta uccidendo i libici per il loro bene è una bufala.



Quali insegnamenti per l’Africa?

Dopo 500 anni di un rapporto profondamente iniquo con l’ Occidente, è chiaro che non abbiamo gli stessi criteri su ciò che è buono e cattivo. Abbiamo interessi profondamente divergenti. Come si può non deplorare il ‘sì’ di tre paesi sub-sahariani (Nigeria, Sud Africa e Gabon) alla risoluzione 1973 che ha inaugurato l’ultima forma di colonizzazione battezzando ‘la protezione dei popoli’, che legittima le teorie razziste che hanno comunicato gli Europei dal 18 ° secolo e secondo le quale il Nord Africa non ha nulla a che fare con l’Africa sub-sahariana, che il Nord Africa è più evoluto, colto e civilizzato rispetto al resto dell’Africa?

Come se la Tunisia, l’Egitto, la Libia e l’Algeria non abbiano fatto parte dell’Africa, anche le Nazioni Unite sembrano trascurare il ruolo dell’Unione Africana negli affari degli stati membri. Lo scopo è quello di isolare i paesi africani sub-sahariani per controllarli. Effettivamente, l’Algeria (16 miliardi di US$ ) e la Libia (10 miliardi di US$) insieme contribuiscono al 62 per cento dei 42 miliardi di dollari che costituiscono il capitale del African Monetary Fund (AMF). Il paese più grande e popoloso dell’Africa sub sahariana, la Nigeria, seguita poi dal Sud Africa, sono molto indietro con solo 3 miliardi di dollari ciascuno.

E ‘sconcertante, per non dire altro, che per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, la guerra è stata dichiarata contro un popolo senza avere esplorato la minima possibilità di una soluzione pacifica della crisi. La Nigeria e il Sud Africa sono disposte a votare ‘sì’ ad ogni richiesta dell’ Occidente perché ingenuamente credono alle vaghe promesse di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza con diritto di veto. Entrambi dimenticano che la Francia non ha alcun potere di offrire nulla. Se così fosse, Mitterand avrebbe a lungo fatto il necessario per la Germania di Helmut Kohl.

Una riforma delle Nazioni Unite non è all’ordine del giorno. L’unico modo per fare qualcosa è di utilizzare il metodo cinese – tutte e 50 le nazioni africane dovrebbero uscire dalle Nazioni Unite e tornare solo se la loro richiesta di lunga data sia finalmente soddisfatta, ovvero un seggio per l’intera federazione africana o niente. Questo metodo non-violento è l’unica arma a disposizione della giustizia per noi poveri e deboli. Dovremmo semplicemente smetterla con le Nazioni Unite, perché questa organizzazione, attraverso la sua stessa struttura e gerarchia, è al servizio dei più potenti.

Dovremmo lasciare le Nazioni Unite per far registrare il nostro rifiuto di una visione del mondo basata sulla distruzione di coloro che sono più deboli. Sono liberi di continuare come prima, ma almeno non saremo parte di essi e non potranno dire che siamo d’accordo quando invece non ci hanno mai chiesto il nostro parere. E anche quando abbiamo espresso il nostro punto di vista, come abbiamo fatto sabato 19 marzo a Nouakchott quando ci siamo opposti all’azione militare, il nostro parere è stato semplicemente ignorato e le bombe hanno cominciato a cadere lo stesso sul popolo africano.

Gli eventi di oggi ricordano quello che è successo in passato con la Cina. Oggi, si riconosce il governo di Ouattara o il governo ribelle in Libia, come hanno fatto alla fine della Seconda Guerra Mondiale con la Cina. La cosidetta comunità internazionale ha scelto Taiwan come l’unico rappresentante del popolo cinese invece della Cina di Mao. Ci sono voluti 26 anni affinchè, il 25 ottobre 1971, le Nazioni Unite lasciassero passare la risoluzione 2758 che tutti gli africani dovrebbero leggere per porre fine alla follia umana. La Cina venne ammessa e alle proprie condizioni, rifiutandosi di essere membro se non avesse avuto il diritto di veto. Quando tale domanda venne soddisfatta e la risoluzione presentata, il ministro degli esteri cinese impiegò un anno a rispondere per iscritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite il 29 settembre 1972, con una lettera che non era di ringraziamento, ma che precisava le garanzie richieste affinchè la dignità della Cina fosse stata rispettata.

Che cosa spera di raggiungere l’Africa dalle Nazioni Unite senza giocare duro? Abbiamo visto come in Costa d’Avorio un burocrate delle UN considera se stesso al di sopra della costituzione del paese. Siamo entrati in questa organizzazione, accettando di essere schiavi e di credere che saremmo stati invitati a cenare al loro stesso tavolo…

Quando l’Unione africana ha approvato la vittoria di Ouattara e ha trascurato le relazioni contrarie provenienti dai suoi osservatori elettorali, proprio per soddisfare i nostri ex padroni, come possiamo pretendere di essere rispettati? Quando il presidente sudafricano Zuma dichiara che Ouattara non ha vinto le elezioni e poi dice l’esatto contrario durante un viaggio a Parigi, si ha diritto di mettere in dubbio la credibilità di questi leader che pretendono di rappresentare e di parlare a nome di un miliardo di africani.

La forza dell’Africa e la sua reale libertà arriveranno solo se si possono prendere ben ponderate decisioni e assumersene le conseguenze. Dignità e rispetto hanno un prezzo. Siamo pronti a pagarlo? In caso contrario, il nostro posto è in una cucina e nei bagni, al fine di rendere comodi gli altri.

Perchè l' occidente vuole la caduta di Gheddafi? | Cori in tempesta (http://coriintempesta.altervista.org/blog/perche-l-occidente-vuole-la-caduta-di-gheddafi/)

Murru
28-04-11, 16:21
QUELLO CHE HO VISTO IN LIBIA


di Paolo Sensini, mercoledì 27 aprile 2011



«La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza»
George Orwell, La teoria e la pratica del collettivismo oligarchico,
in 1984 (parte II, capitolo 9)

Sono ormai trascorsi più di due mesi da quando è scoppiata la cosiddetta «rivolta delle popolazioni libiche». Poco prima, il 14 gennaio, a seguito di ampi sollevamenti popolari nella vicina Tunisia, veniva deposto il presidente Zine El-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987.

È stata poi la volta dell’Egitto di Hosni Mubarak, spodestato anch’egli l’11 febbraio dopo esser stato, ininterrottamente per oltre trent’anni, il dominus incontrastato del suo paese, tanto da guadagnarsi l’appellativo non proprio benevolo di «faraone». Eventi che la stampa occidentale ha subito definito, con la consueta dose di sensazionalismo spettacolare, come «rivoluzione gelsomino» e «rivoluzione dei loti».

La rivolta passa quindi dalla Giordania allo Yemen, dall’Algeria alla Siria. E inaspettatamente si propaga a macchia d’olio anche in Oman e Barhein, dove i rispettivi regimi, aiutati in quest’ultimo caso dall’intervento oltre confine di reparti dell’esercito dell’Arabia Saudita, reagiscono molto violentemente contro il dissenso popolare senza che questo, tuttavia, si tramuti in una ferma condanna dei governi occidentali nei loro confronti. Solo il re del Marocco sembra voler prevenire il peggio e il 10 marzo propone la riforma della costituzione.

Due mesi in cui, una volta poste in standby le vicende di Tunisia ed Egitto, tutti i grandi media internazionali hanno concentrato il loro focus sull’«evidente e sistematica violazione dei diritti umani» (Risoluzione 1970 adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 26 febbraio 2011) e sui «crimini contro l’umanità» (Risoluzione 1973 adottata dal Consiglio di Sicurezza il 17 marzo 2011) perpetrati da Gheddafi contro il «suo stesso popolo».

Una risoluzione, quest’ultima, priva di ogni fondamento giuridico e che viola in maniera patente la Carta dell’ONU. Si tratta insomma di un vero e proprio pateracchio giurisprudenziale in cui una violazione ne richiama un’altra: la «delega» agli Stati membri delle funzioni del Consiglio di Sicurezza è a sua volta collegata alla «no-fly zone», che è anch’essa illegittima al di là di come viene applicata, perché l’ONU può intervenire ai sensi dell’articolo 2 e dello stesso Capitolo VII della Carta di San Francisco solo in conflitti tra Stati, e non in quelli interni agli Stati membri, che appartengono al loro «dominio riservato». Ma questa è storia vecchia: la prima no-fly zone (anch’essa illegale) risale al 1991, dopo la prima guerra all’Iraq, da cui si può far decorrere la crisi verticale del vecchio Diritto Internazionale sostanzialmente garantito dal bipolarismo Est-Ovest scomparso a cavallo tra i decenni Ottanta e Novanta del secolo scorso.

Ma torniamo ai momenti salienti della cosiddetta «primavera araba». Se nel caso tunisino ed egiziano le cancellerie occidentali si erano dimostrate molto prudenti circa i possibili sviluppi politici, economici e militari di questi paesi, con il riacutizzarsi dell’antagonismo storico tra la Cirenaica da un lato, dove si concentrano le maggiori ricchezze petrolifere della Libia, e la Tripolitania e il Fezzan dall’altro, potenze come Francia, Stati Uniti e Regno Unito si trovano subito concordi nel sostenere «senza se e senza ma» i rivoltosi in buona parte composti da islamisti radicali (particolarmente numerosi sarebbero i «fratelli musulmani» provenienti dall’Egitto, gli jihadisti algerini e gli afghani) capeggiati da due alti dignitari del passato governo libico come l’ex ministro della Giustizia Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil e dall’ex ministro dell’Interno, il generale Abdul Fatah Younis, oltre che da nostalgici di re Idris I, deposto militarmente da Gheddafi e dagli ufficiali nasseriani il 1° settembre 1969.

O, per essere ancora più precisi, come continua sistematicamente a ripetere il colonnello fin dall’inizio nei suoi accalorati speech alla nazione, una rivolta monopolizzata in gran parte da appartenenti ad «Al-Qāʿida». Già prima che l’insurrezione infiammasse la Cirenaica, tuttavia, manipoli di truppe scelte occidentali, con alla testa gli inglesi dei SAS, operavano segretamente in loco, con lo scopo di addestrare e organizzare militarmente le fila dei ribelli. Contemporaneamente, in maniera non ufficiale, alcuni paesi occidentali, Francia e Gran Bretagna in primis, rifornivano gli insorti di armi e automezzi che avrebbero dovuto consentire loro di marciare vittoriosamente fino a Tripoli.

Così, subito dopo i primi momenti in cui filtrano notizie piuttosto confuse e contraddittorie circa gli sviluppi della situazione sul campo, la Francia, alle ore 17,45 di sabato 19 marzo, due giorni dopo la promulgazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1973, rompe gli indugi e anticipa le mosse della «Coalizione dei volenterosi», in accordo con USA e Gran Bretagna, cui si aggiungono presto Spagna, Qatar, Emirati, Giordania, Belgio, Norvegia, Danimarca e Canada.

Per «proteggere la popolazione civile» di Bengasi e Tripoli dalle «stragi del pazzo sanguinario Gheddafi», il presidente francese Nicolas Sarkozy impone una no-fly zone ma – per carità, questo no – senza alcuna intenzione di detronizzare il «dittatore», ponendosi così di fatto come il capofila con l’operazione «Alba dell’Odissea», che ha portato finora a compimento più di ottocento missioni d’attacco.

È quanto assevera anche l’ammiraglio americano William Gortney, secondo cui il colonnello «non è nella lista dei bersagli della coalizione» pur non escludendo che possa venire colpito «a nostra insaputa». Anche il capo di stato maggiore britannico, sir David Richards, nega che l’uccisione di Gheddafi sia un obiettivo della coalizione perché la risoluzione dell’ONU «non lo consentirebbe».

La scelta degli alleati non può dunque che essere per i «ribelli», così fotogenici nelle riprese mentre sparacchiano in aria con i loro mitragliatori pesanti montati su pick-up a beneficio delle telecamere. Tuttavia la loro entità si è mostrata subito risibile, limitata e di poco peso nel Paese. Anche addestrata e armata fino ai denti, quella degli insorti rischia di rimanere un’armata Brancaleone che continuerà a infrangersi contro lo scoglio rappresentato dall’esercito fedele a Gheddafi, senza oltretutto godere dell’appoggio di larga parte della popolazione. E portare a termine una «rivolta popolare», senza essere sostenuti dall’appoggio del popolo, risulta impresa assai ostica oltre che originale.

Anche l’istituzione su loro richiesta di un fantomatico governo ombra denominato pomposamente Consiglio nazionale di transizione (CNT) e prontamente riconosciuto come legittimo dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, ha fatto sì che alcuni stati occidentali inviassero ufficialmente elementi di spicco dei propri eserciti con il compito di «addestrare gli insorti». Inoltre è stato reso ufficiale anche il rifornimento di armi e mezzi contro pagamento in petrolio, che prima avveniva segretamente.

La loro forza, come hanno scritto giornalisti inglesi, «sta interamente nel sostegno, politico e militare, di cui godono sul piano internazionale». Quanto a formare un governo funzionante, e soprattutto a conquistare qualche parvenza di vittoria – anche sotto il riparo della no-fly zone – ne sono del tutto incapaci.

Insomma, un’operazione dal sapore epico e romantico soltanto nel nome, ma nella sostanza un attacco militare in piena regola alla sovranità della Gran Jamahiriya Araba Libica Socialista.



I motivi della guerra raccontati dai grandi mezzi di comunicazione

Ma che cosa ha potuto realmente giustificare, al di là delle fumisterie mediatiche che sono state riversate in grandi dosi sulla pubblica opinione, la pretesa di una simile ingerenza armata contro il governo di Tripoli travestita da «intervento umanitario»?

Come sempre accade in simili casi, il tutto ha preso l’abbrivio da una potente campagna mediatica in cui, senza alcuna evidenza di prove ma solo in virtù di una ripetizione a nastro dello stesso messaggio, si è stabilito fin dal principio che «Gheddafi aveva fatto bombardare gli insorti a Tripoli» uccidendo «più di 10.000 persone». Una «notizia» di cui inizialmente si sono fatti latori i due più importanti media del mondo arabo: Al Jazeera e Al Arabiya, considerati una sorta di CNN del Vicino e Medio Oriente. Parliamo quindi d’informazioni provenienti direttamente dall’interno di quel mondo arabo controllato rispettivamente dalle aristocrazie sunnite del Qatar e di Dubai.

Dopo l’iniziale lancio informativo, il numero di «10.000 persone fatte bombardare da Gheddafi» è immediatamente rimbalzato su tutti i media internazionali fino a diventare un «fatto» indiscutibile quasi per postulato, anche se non vi era nessuna immagine o prova tangibile che potesse suffragare una simile carneficina. A supporto di tale onirismo informativo venivano poi presentate le immagini di supposte «fosse comuni» in cui erano stati seppelliti nottetempo, sempre secondo i corifei della disinformazione di massa, coloro che erano periti sotto i bombardamenti ordinati dal «dittatore pazzo e sanguinario». Tuttavia, com’è poi emerso quasi subito, si trattava d’immagini fuorvianti e decontestualizzate, visto che ciò che si mostrava al pubblico occidentale erano le riprese di un cimitero di Tripoli dove si espletavano le normali operazioni di inumazione dei deceduti.

Ma come ogni spin doctor sa benissimo, ciò che conta per plasmare l’opinione pubblica è la prima impressione che essa ne riceve, e che imprime il messaggio nel cervello in maniera indelebile. È successo per le narrazioni degli eventi storici più importanti, ultimo dei quali è senz’ombra di dubbio il capolavoro spettacolare passato alla storia come gli «attentati terroristici di Al-Qāʿida dell’11 settembre 2001».

Non poteva dunque che essere così anche in questo caso, dove la prima versione mediatica propalata con solerzia gobbelsiana ha ripetuto in continuazione la favola dei «10.000 morti» e del «genocidio» compiuto dal «dittatore pazzo e sanguinario» senza nessuna evidenza di prove, ma facendo leva unicamente sulla pura e ininterrotta circolazione dello stesso messaggio.

Fin da quei primi momenti, il mantra recitato infinite volte nelle redazioni del Big Brother è stato unicamente questo, diventando da subito la Versione Ufficiale. Non vi era più dunque nessuno spazio residuo per il dubbio, almeno sui grandi circuiti dell’informazione, giacché il fatto conclamato s’imponeva da sé, quasi per motu proprio. Il resto era solo dietrologia o, horribile dictu, nient’altro che «complottismo».

Un altro elemento che ha giocato un ruolo decisivo, anche in termini di avallo dei conflitti bellici degli anni passati, è stata poi la pressoché totale adesione della «sinistra» in quasi tutte le sue declinazioni – da quella moderata fino alle propaggini più estreme – alla Versione Mediatica Ufficiale, che nel caso italiano comprendeva anche la voce infondata su ipotetici «campi di concentramento» o «lager» destinati agli immigrati neri provenienti dalle zone subsahariane. Una specie di riflesso pavloviano che ha portato, senza alcun tipo di vaglio o discernimento critico e, cosa ancora più grave, senza neppure porsi la questione di chi fossero realmente «gli insorti di Bengasi», a fornire una sorta di tacito avallo alle operazioni dei manovratori. Il che, di fatto, ha agevolato la strada a quei poteri internazionali che lavoravano da tempo per un intervento militare contro la Libia.



Partenza per la Libia

Per tutte queste ragioni, o forse sarebbe meglio dire per la mancanza di esse, una volta offertami la possibilità dal tenore Joe Fallisi di recarmi a Tripoli per verificare insieme a un gruppo di autentici «volenterosi» denominati The Non-Governmental Fact Finding Commission on the Current Events in Libya come stavano realmente le cose, non ci ho pensato due volte e ho deciso immediatamente di prender parte alla spedizione.

Dopo essere arrivati nel tardo pomeriggio del 15 aprile a Djerba con un volo da Roma in ritardo di più di tre ore sull’orario prefissato, il viaggio in territorio libico ci ha presentato subito la dura realtà di uno scenario militare costellato da centinaia di posti di blocco che coprivano l’intero tracciato dal confine tunisino fino a Tripoli. Ma una volta giunti alle porte della capitale il contesto che si profilava angoscioso in quelle prime lunghe ore di viaggio muta di colpo in uno scenario di piena normalità. E anzi troviamo una metropoli perfettamente in ordine, bella, molto ben tenuta e senza alcun segno tipico di uno stato di guerra incipiente. Già questo primo impatto contraddiceva in nuce i racconti dei giornalisti embedded che avevano descritto con sussiego gli scenari caotici, foschi e sanguinolenti delle «stragi» volute dal raìs.

La prima sensazione che ho avuto la mattina del 16 aprile mentre attraversavamo le strade di Tripoli diretti verso il Sud-Est del paese, è stata quella di un forte appoggio popolare nei confronti di Gheddafi, un appoggio pieno, passionale e incondizionato, e non certo di «risentimento e ostilità della popolazione» nei suoi confronti come strillavano da settimane i media. Del resto, come fa giustamente rilevare l’analista politico Mustafà Fetouri, «una delle conseguenze inattese dell’intervento militare in Libia è quella di aver rafforzato la credibilità del regime conferendogli ancora più forza e legittimità nelle zone sotto il suo controllo. In più ora, dopo l’aggressione, ha ripreso massicciamente a battere il vecchio tasto sull’antimperialismo».

Arrivati nella città di Bani Waled, a circa 125 km a sud di Tripoli all’interno di un vasto distretto montagnoso, la nostra delegazione viene accolta calorosamente dai responsabili della locale Facoltà di ingegneria elettronica. Questo territorio ospita la più grande Tribù della Libia, i Warfalla o Warfella, che con i suoi 52 Clan e all’incirca un milione e cinquecentomila effettivi rappresenta la più grande Tribù della Tripolitania, dove si trova il 66 per cento della popolazione libica (nella Cirenaica vive il 26-27 per cento, il resto è nel Fezzan), estendendosi anche nel distretto di Misratah (Misurata) e, in parte, in quello di Sawfajjn.

Ci rechiamo poi nella piazza centrale della città, dov’è in corso una manifestazione contro l’aggressione della Coalizione occidentale nei confronti della Libia. Qui la sensazione avvertita qualche ora prima attraversando la capitale diventa realtà palpabile, e le dimostrazioni d’appoggio incondizionato a favore del leader libico non danno adito ad alcun possibile fraintendimento. Lo slogan che ci accompagna lungo tutto il nostro percorso è Allah – Muʿammar – ua Libia – ua bas! (Allah, Gheddafi, Libia e basta!), che è diventata una specie di colonna sonora scandita un po’ dovunque. Mentre, tra i nemici della Libia, Sarkozy è senz’altro quello più preso di mira e contro il quale si indirizzano la maggior parte degli sberleffi («Down, down Sarkozy!»). Seguono poi gli altri leaders occidentali che si sono distinti nell’aggressione «umanitaria», come il surrealistico Premio Nobel Barck Obama, soprannominato per l’occasione U-Bomba, e via via tutti gli altri.


Veniamo poi condotti in un ampio complesso abitativo circondato da mura, dove siamo accolti dai capi Tribù dei Warfalla, tutti quanti fasciati nei loro tradizionali abiti. Aiutati da interpreti ma anche da un anziano capo clan che parla un buon italiano, ci viene ribadita la stretta alleanza della tribù con Gheddafi e la loro completa determinazione a lottare, nel caso malaugurato fossero invasi militarmente, «fino alla fine». «Se decidessero di invadere la Libia, sapremo noi come rispondere», ci dice uno dei capo tribù brandendo in alto con le sue nodose mani un fiammante kalashnikov. Non c’è nessuna tracotanza nelle sue parole, ma solo la fermissima determinazione a non permettere che il loro paese venga gettato nel caos così com’è avvenuto per il Kosovo, l’Afghanistan e l’Iraq, che dall’occupazione militare anglo-americana sono diventati forse i luoghi più pericolosi della terra e in cui si può morire semplicemente andando al mercato, a un ristorante, in banca o anche solo camminando per strada. Questi i «risultati» a quasi un decennio dai primi interventi umanitari e dalle conseguenti operazioni di Peacekeeping, che oggi qualche zelante «esportatore di democrazia» vorrebbe replicare pure in Libia…


Dovunque ci si muova, sia a Tripoli che nelle sue immediate periferie, la domanda che ci viene continuamente rivolta dalle persone con cui veniamo in contatto è la seguente: «Perché Francia, Inghilterra e Stati Uniti ci bombardano? Che cosa gli abbiamo fatto? Perché l’Italia, dopo aver stipulato col nostro paese un trattato di amicizia e di non aggressione, ci ha fatto questo?». Domande sacrosante, a cui le aggressioni militari anglo-americane degli anni scorsi forniscono una risposta fin troppo scontata.

Nei giorni successivi continuiamo le nostre esplorazioni visitando scuole di vario ordine e grado a Tripoli e dintorni, dove ritroviamo le stesse manifestazioni di appoggio e partecipazione. Ciò che stupisce in questi ragazzi, che la stampa occidentale vorrebbe dipingere come scarsamente «emancipati» rispetto ai nostri selvaggi con telefonino, è la piena consapevolezza di ciò che sta avvenendo ai danni del loro paese e il pericolo che incombe sulle sorti della Libia nel caso venisse invasa militarmente. Ma nei loro volti non vi è nessuna arrendevolezza o rassegnazione al fato, quanto invece una ferma volontà di resistere «con ogni mezzo». E anche la voglia di tramutare la pesantezza delle circostanze, per quanto possibile, in momenti di passione condivisa.


Dai sobborghi di Tripoli, dove incontriamo le persone sulle strade, nelle loro abitazioni o sui luoghi di lavoro, passando per i medici feriti durante i bombardamenti e attualmente degenti in ospedale fino agli assembramenti nel cuore pulsante della città, dovunque è la stessa disposizione d’animo verso la leadership del proprio paese e la situazione che, giorno dopo giorno, viene angosciosamente profilata dai bollettini radio-televisivi.

Unico elemento davvero anomalo e per molti versi stupefacente, soprattutto perché stiamo parlando di uno dei grandi paesi produttori di petrolio al mondo, sono le file di chilometri e chilometri di automobili incolonnate ai bordi delle strade, e che cominciano già a formarsi nelle prime ore della notte, in attesa del proprio turno di rifornimento alle stazioni di servizio. Anche questo è un paradosso, uno dei tanti paradossi insensati di cui ogni guerra è prodiga.

Muovendoci in lungo e in largo per la capitale non riscontriamo nessun segno di bombardamenti contro la popolazione libica da parte di Gheddafi, che è poi il motivo scatenante per cui sono state promulgate le due Risoluzioni ONU che hanno di fatto aperto la strada all’aggressione militare. Eppure per fare più di «10.000 morti», soprattutto quando si parla di bombardamenti in una grande città come Tripoli, bisogna necessariamente aver prodotto gravi danni urbanistici e lasciato quantità e quantità di indizi disseminati per le strade. Ma questo è un dettaglio che poco importa ai signori dell’informazione: ciò che conta è il panico virtuale creato ad arte, che però sta già sortendo effetti concretissimi.

Gli unici riscontri tangibili di bombardamenti li troviamo invece in alcune località non distanti dai sobborghi di Tripoli, a Tajoura, Suk Jamal e Fajlum, dove a seguito di ripetuti bombardamenti NATO hanno trovato la morte oltre quaranta civili. Lo verifichiamo direttamente in loco, quando ci rechiamo nella fattoria in cui sono state sganciate alcune bombe che hanno causato ingenti danni agli edifici prospicienti, e in cui sono ancor ben visibili i frammenti degli ordigni deflagrati. Ne avremo convalida all’ospedale civile di Tajoura, dove ci vengono mostrati dalle autorità mediche i documenti ufficiali che attestano i decessi causati dalle bombe sganciate dalla Coalizione.



La conferma ufficiale della situazione che si è venuta determinando sul terreno ce la fornisce in un incontro all’Hotel Rixos anche Moussa Ibrahim, portavoce del governo libico, che ci illustra la posizione del governo a questo proposito. Dopo aver tracciato un quadro sugli sviluppi bellici e diplomatici negli ultimi due mesi, Ibrahim si domanda perché gli organismi internazionali preposti non abbiamo consentito, prima di dare inizio ai bombardamenti, l’invio in Libia di una missione d’inchiesta per verificare i fatti, come richiesto da Gheddafi a più riprese, e accertare di persona i seguenti punti: 1) la reale dinamica dei fatti su come è nata la ribellione, fin da subito armata; 2) quali sono i suoi veri obbiettivi, se per caso anche secessionisti al di là della bandiera prescelta e del suo apparente leader, l’ex ministro della Giustizia libico Jelil; 3) chi ha bombardato cosa; 4) fino a che punto e attraverso quali canali i ribelli si sono armati; 5) quante sono le vittime civili dei presunti bombardamenti di Gheddafi e di quelle dei cosiddetti “volenterosi”, e così via.

«Eppure – insiste Ibrahim – l’invio in Libia di una simile delegazione per verificare come stanno veramente le cose avrebbe avuto un costo inferiore a quello di un singolo missile da crociera Tomahawk, e di questi missili ne sono stati gettati oltre 250 in questi giorni. Perché questa ipocrisia dell’Occidente nei nostri confronti? Perché non è stata imposta una no-fly zone anche a Israele quando ha bombardato Gaza per oltre un mese senza che nessun paese avesse nulla da eccepire? Perché due pesi e due misure, quando è ormai stato appurato che non abbiamo mai bombardato, e lo ribadisco in maniera fermissima, la nostra popolazione».

Ma una commissione internazionale di osservatori, nonostante le reiterate richieste da parte delle autorità libiche, non è mai stata inviata e si è continuato a salmodiare l’ormai trita versione del «dittatore sanguinario Gheddafi» bombardatore e oppressore del «suo stesso popolo». L’Occidente, o quel ristretto novero di paesi che si è arrogato abusivamente il diritto di parlare a nome del mondo intero, ha anche rifiutato l’offerta di Chavez di fare da mediatore per la Libia, nonostante essa fosse sostenuta da molti paesi latino-americani e dalla stessa Unione Africana.

Possiamo verificare di persona la sera del 17 aprile a Bāb al ‘Azīzīyah, la residenza-bunker di Gheddafi, quanto siano fuorvianti le informazioni che circolano sui grandi media occidentali a proposito della popolarità di Gheddafi tra la gente di Tripoli e più in generale della Libia; nonostante gli strettissimi controlli delle forze di sicurezza, siamo gli unici occidentali a poter aver accesso al parco antistante il bunker del raìs. Lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi entrando nel parco dove si trova la vecchia abitazione di Gheddafi bombardata dagli americani il 15 aprile 1986 – in cui tra l’altro perse la vita sua figlia adottiva Hana – e lasciata volutamente in quello stato a mo’ di testimonianza storica, contraddice al primo colpo d’occhio le versioni propagandistiche circolanti in Occidente. Qui ogni sera, da quando sono iniziati i «bombardamenti umanitari» contro la Jamahiriya Araba Libica, va in scena un grande happening animato da migliaia di persone, dai neonati per cui è approntato un ampio kindergarten fino agli anziani che si ritrovano con i loro narghilè sotto una tenda ricolma di cuscini e tappeti. Un grande palco montato davanti alla vecchia casa del colonnello è il proscenio sul quale si alternano musica, parole, proclami e intrattenimento per riscaldare un’atmosfera che si fa di giorno in giorno sempre più plumbea.


Il senso vero di questo assembramento, di cui i mezzi di comunicazione occidentale si guardano bene dal dare conto, «è la vicinanza e l’affetto dei libici nei confronti di brother Gheddafi», come mi spiega un giovane e colto ingegnere elettronico che ci guida lungo tutta la nostra visita; un «fratello e un padre» verso il quale è percepibile l’affetto che gli è tributato dalla sua gente. Per questo si ritrovano lì tutte le sere, per fargli sentire con la loro viva presenza tutto il calore e far scudo con i loro stessi corpi a nuove possibili incursioni dopo quella del 21 marzo 2011, incursioni ripetute anche la sera del 25 aprile, quando un edificio adibito ad uso uffici situato nel complesso di Bāb al ‘Azīzīyah è stato distrutto da un missile da crociera Tomahawk lanciato da un sottomarino della Royal Navy su coordinate fornite dalle forze speciali di Londra infiltrate anche nella capitale.


L’ultimo appuntamento con membri del governo è con il vice ministro degli Esteri, Khaled Kaim, che con grande dovizia di particolari ripercorre istante per istante gli sviluppi della crisi, dalla presenza riscontrata fin dall’inizio dalle autorità libiche di vari elementi dei «fratelli musulmani» e altri jihadisti stranieri tra i «rivoltosi di Bengasi», alla strana sincronia con cui, il 26 febbraio, il personale di diverse ambasciate presenti a Tripoli è partito senz’alcuna spiegazione plausibile, fino alle ragioni geopolitiche che hanno fatto sì che la Libia diventasse un obbiettivo appetibile per le mire occidentali già da molti anni.

Kaim ci mette anche a disposizione tutto il materiale video e le rassegne stampa internazionali che coprono interamente la sequenza temporale presa in esame, in modo da poterle vagliare nella sua ampiezza per poi emettere un giudizio obiettivo sui fatti. Il suo auspicio, rivolto idealmente all’opinione pubblica occidentale, è quello di non farsi ipnotizzare dall’informazione ad usum delphini diffusa in questi mesi dai grandi media, ma di guardare la sostanza del contenzioso tra governo e «ribelli» che comunque, secondo la sua valutazione dell’intervento militare NATO nelle questioni interne libiche, ha reso più complicato e dilazionato nel tempo un possibile processo di pacificazione nazionale.

Non ci resta, prima di congedarci, che incontrare l’ultima personalità di rilievo in programma sulla nostra agenda, Monsignor Giovanni Martinelli, il vescovo di Tripoli, uno degli ultimi tra gli italiani rimasti in città dopo l’esplosione della crisi che, insieme alla combattiva rappresentante di import-export italo-libica Tiziana Gamannossi, ci conferma nel corso del colloquio quanto già avevamo accertato durante la nostra missione d’indagine: ossia che «il governo libico non ha bombardato la sua popolazione, ma che gli unici morti a causa dei bombardamenti sono stati provocati dalla NATO a Tajoura; che l’unica possibile soluzione del contenzioso è il dialogo, non le bombe»; che «i ‘ribelli di Bengasi’ si sono macchiati di gravi crimini gettando il paese nel caos».

Martinelli aggiunge anche che l’attacco militare alleato nei confronti della Libia è ingiusto e sbagliato sia da un punto di vista tattico che da quello strategico, perché «le bombe rafforzeranno Gheddafi e gli permetteranno di vincere». Il suo è un giudizio ponderato e sofferto, espresso tra l’altro da un uomo che non nutre nessun favore aprioristico nei confronti del colonnello, ma del quale riconosce con equilibrio meriti e demeriti nella sua conduzione del paese. «Un uomo dal carattere fortissimo e deciso – soggiunge padre Martinelli – che ha favorito, da quando ha iniziato la sua opera di governo, la libertà di movimento, la libertà politica, la libertà religiosa e che ha permesso che in Libia convivessero pacificamente ben cinque confessioni religiose». «In oltre quarant’anni – conclude il vescovo di Tripoli congedandosi da noi –, non ho mai subito alcuna provocazione da parte di nessuno, e la nostra comunità convive serenamente con tutte le altre. Trovatemi un altro luogo in cui tutto ciò sia possibile». E come dargli torto, visto il panorama attuale del Vicino Oriente.



Se in effetti vogliamo guardare la sostanza e non la propaganda bellica che alligna stabilmente sui media ai danni della Libia, l’aspettativa di vita dei suoi abitanti si aggira intorno ai 75 anni di età, un vero record considerando che in alcuni paesi del continente africano la media si aggira intorno ai 40 anni. Quando Gheddafi prese il potere, il livello di analfabetismo in Libia era del 94 per cento, mentre oggi oltre il 76 per cento dei libici sono alfabetizzati e sono parecchi i giovani che frequentano università straniere. La popolazione del paese, al contrario dei vicini egiziani e tunisini, non manca di alimenti e servizi sociali indispensabili. Prima dell’attacco franco-britannico, inoltre, era stato varato dal governo libico un programma di edilizia popolare agevolata in cui erano stati investiti oltre due miliardi di dinari, che doveva portare alla costruzione di circa 647 mila case in tutto il paese per una popolazione complessiva di sei milioni di abitanti. Un progetto che naturalmente ora è fermo, e che verrà riavviato – se mai lo sarà – chissà quando.

A questo punto il quadro che abbiamo davanti ai nostri occhi ha assunto dei contorni piuttosto delineati; sarebbe interessante proseguire verso la parte orientale del paese, dove si stanno consumando gli scontri più aspri, ma per ragioni di sicurezza ci viene vivamente sconsigliato di intraprendere un simile viaggio. Anche così, tuttavia, vi sono gli elementi necessari per capire che le Risoluzioni 1970 e 1973 promulgate dal Consiglio di Sicurezza sono destituite di ogni fondamento. E dunque che le ragioni di questo intervento armato vanno ricercate altrove.

L’incarico di riferire minuziosamente tutto ciò che è stato raccolto nel corso della missione viene affidato a David Roberts, portavoce del British Civilians For Peace in Libya, durante la conferenza stampa aperta a tutti i media internazionali presenti a Tripoli che si tiene nel lussuoso Hotel Rixos, in cui viene anche proiettato sullo schermo un documentario montato a tempo di record dal bravo videoreporter e attivista inglese Ishmahil Blagrove; la conferenza stampa è anche l’occasione per rendere noti ai media tutti i documenti, i riscontri probatori e le evidenze raccolti dalla «Fact Finding Commission» durante le sue indagini. Dopo l’esposizione dei risultati cui la commissione è pervenuta, si procede a evidenziare tutte le omissioni e le manipolazioni vere e proprie compiute dai media fin dall’inizio della guerra.


La cosa non è affatto gradita ad alcuni giornalisti e mezzobusti delle grandi testate inglesi e americane presenti in sala, i quali sentendosi chiamati in causa per le evidenti distorsioni a cui si erano prestati durante i loro servizi informativi e che le nostre ricerche sul campo mettevano giustamente a nudo, reagiscono in maniera indispettita e rabbiosa negando di aver compiuto un «lavoro sporco» e assicurando anzi di aver scrupolosamente fornito tutte le informazioni in loro possesso.

Una patente menzogna, visto e considerato che con i nostri pochi mezzi a disposizione avevamo quasi totalmente decostruito il castello montato per aria, è proprio il caso di dire, nei mesi precedenti. E che per un attimo, ancora infervorato da ciò che avevo visto e udito in quei giorni, ho pensato di comunicare alla zelante bombardatrice della Libia Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato del PD, che sedeva una fila dietro di me sull’aereo che mi riconduceva da Tunisi a Roma. Ma sarebbe stata tutta fatica inutile, mi sono poi subito detto, vista la determinazione assunta in prima persona dalla “sinistra” etimologica nel condurre a un punto di non ritorno questa sporca guerra.

Come notava invero il grande scrittore Mario Mariani, «i giornalisti e i politici non debbono intendersi di niente e debbono far conto d’intendersi di tutto». L’unica cosa che davvero conta per essi, è quella di possedere un buon fiuto per sapere in quale direzione is Blowing the Wind…



Le vere ragioni della guerra alla Libia

Ecco che così, a poco a poco, dopo aver verificato in prima persona come stavano realmente le cose sul posto, e grazie alla rete e ai molteplici siti o blog interessati a fare vera informazione e non propaganda, incominciavano a farsi largo analisi serie e documentate sull’eziologia dei fatti libici. E si facevano sempre più strada quelli che, verosimilmente, sembravano i reali motivi di un intervento occidentale contro la Libia pianificato da tempo. Ossia, in primo luogo, impossessarsi degli enormi giacimenti di petrolio libici, stimati in circa 60 miliardi di barili e i cui costi di estrazione sono tra i più bassi del mondo, senza contare le enormi riserve di gas naturale valutate in circa 1.500 miliardi di metri cubi.

Ma non è tutto. Dal momento in cui Washington ha cancellato la Libia dalla lista di proscrizione degli «Stati canaglia», Gheddafi ha cercato di ricavarsi uno spazio diplomatico internazionale con ripetuti incontri in patria e nelle maggiori capitali europee. Nel 2004, per esempio, Tony Blair, allora Primo Ministro britannico, è stato il primo leader occidentale a recarsi in Libia, divenuta così frequentabile. E nel dicembre 2007 Parigi si è presa la briga di stendere il tappeto rosso nel parco del Marigny Hotel, dove il colonnello aveva piantato la sua tenda. Cosa è cambiato da allora per giustificare l’accanimento di Gran Bretagna e Francia contro il regime di Tripoli quando prima andavano d’amore e d’accordo?

La risposta è stata data dal quotidiano statunitense «The Washington Times». Questo stesso giornale ha rivelato lo scorso marzo che sono i 200 miliardi di dollari dei fondi sovrani libici a fare andare in fibrillazione gli occidentali. Perché tale è il denaro che circola nelle banche centrali, in particolare in quelle britanniche, statunitensi e francesi. In preda a una crisi finanziaria senza precedenti, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti vogliono a tutti i costi impossessarsi di questi fondi sovrani. «Queste sono le vere ragioni dell’intervento della NATO in Libia», afferma Nouredine Leghliel, analista borsistico algerino trasferitosi in Svezia, che è stato uno dei primi esperti a sollevare la questione. Questi 200 miliardi di dollari, di cui gli occidentali non parlano che a mezza voce, sono al momento «congelati» nelle banche centrali europee. Il motivo? Che questa vera e propria montagna di denaro sia associata alla famiglia Gheddafi, «cosa che è totalmente falsa», come sottolinea Leghliel, il che però autorizza i pescecani della finanza decotta internazionale a voler stornare il gruzzolo nei loro caveau.

«Più continua il caos, più la guerra dura e più gli occidentali traggono profitto da questa situazione che torna a loro vantaggio», chiarisce ancora Leighliel. Il caos nella regione farebbe comodo a tutto l’Occidente. I britannici, soffocati dalla crisi della finanza, troverebbero così le risorse necessarie. Gli statunitensi, per mire squisitamente militari, si installerebbero in modo definitivo nella fascia del Sahel e la Francia potrà ricoprire il ruolo di subappaltatore in questa regione da lei considerata come una sua appendice.

L’assalto ai fondi sovrani libici, com’è facilmente prevedibile, avrà un impatto particolarmente forte in Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell’Africa subsahariana, programmando di accrescerli nei prossimi cinque anni soprattutto nei settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom (Regional African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita nell’agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi indipendenti dalle reti satellitari statunitensi ed europee, con un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.

Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione dei tre organismi finanziari varati dall’Unione africana: la Banca africana d’investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano (FMA), con sede a Yaoundé, la capitale del Camerun; la Banca centrale africana ad Abuja, la capitale nigeriana. Il Fondo sarà finanziato principalmente da Paesi africani e, a quanto si è appreso, l’Algeria darà 14,8 miliardi di dollari USA, la Libia 9,33, la Nigeria 5,35, l’Egitto 3,43 e il Sud Africa 3,4.

La creazione del nuovo organismo è (o era) ritenuta una tappa cruciale verso l’autonomia monetaria del continente. Infatti, secondo le Nazioni Unite per l’Africa, il peso sulla bilancia commerciale mondiale africana si è contratto notevolmente negli ultimi venticinque anni, passando dal 6 al 2 per cento; effetto dovuto, sempre secondo le Nazioni Unite, alla presenza di una cinquantina di monete nazionali non convertibili tra di loro. Ciò rappresenterebbe un freno agli scambi commerciali tra gli stati africani, perciò il principale compito del FMA è promuovere gli scambi commerciali creando il mercato comune africano. Un passo necessario alla stabilità finanziaria e al progresso dell’economia del continente che decreterebbe inoltre la fine del franco CFA, la moneta che sono costretti a usare 14 paesi, ex-colonie francesi.

Quanto appena esposto potrebbe essere la vera ragione, o una delle maggiori motivazioni, che hanno causato l’intervento armato, occulto prima, dichiarato ed esplicito dopo, delle vecchie potenze coloniali del Continente Nero: Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Comunque sia, il congelamento dei fondi libici e la conseguente guerra assestano un colpo durissimo all’intero progetto.

Ma se l’Occidente vuole veramente cacciare Gheddafi per appropriarsi della Libia e delle sue risorse, dovrà rassegnarsi presto a cambiare strategia. In altre parole dovrà far scendere i propri eroici soldati dagli aerei e dalle navi, dove bombardano comodamente seduti con in mano il joystick della playstation e mandarli in terra di Libia, a combattere, ammazzare e venire a loro volta ammazzati. A quel punto sarà tuttavia necessario gettare la maschera, evitare di nascondersi dietro il pretesto di «interventi umanitari», manifestare apertamente le proprie ambizioni e accettare la fila di bare che tornano a casa ogni settimana. Ma ne saranno capaci, dopo che il mondo assiste sbigottito all’impantanamento a cui sono costrette le più grandi potenze militari della storia dopo un conflitto che dura da più di dieci in Afghanistan e Iraq?


Civium Libertas: Paolo Sensini: Quello che ho visto in Libia (http://civiumlibertas.blogspot.com/2011/04/paolo-sensini-quello-che-ho-visto-in.html)

SteCompagno
28-04-11, 21:44
Mi ero perso l'incursione di quel guerrafondaio di Monsieur :sofico:

comunque sempre molto interessanti questi articoli :giagia:

Murru
30-04-11, 14:53
Gli Stati Uniti rischiano una guerra con Cina e Russia


Intervista a Paul Craig Roberts

Sebbene le rivolte in Tunisia ed Egitto abbiano colto di sorpresa gli Stati Uniti, qualcuno ipotizza che ci siano proprio loro dietro le ribellioni in Libia e Siria. Intanto, anche Cina e Russia osservano gli sviluppi della situazione.

Press TV: Si dice che ai vertici di Washington sia stato consigliato di armare i ribelli in Libia. Ritiene che sia una buona idea?

Paul Craig Roberts: Li stanno già armando. C’è qualcosa di unico nella rivolta in Libia. Non è una sollevazione pacifica; non sta avendo luogo nella capitale; si tratta di una ribellione armata della parte orientale del paese. Sappiamo che la CIA è coinvolta direttamente, sul campo, quindi sono già armati.

Press TV: Che analogie vede tra questo intervento militare e quello in Bahrein?

Paul Craig Roberts: Non vogliamo rovesciare il governo del Bahrein o dell’Arabia Saudita, due paesi i cui governi trattano con violenza i dissidenti, per il semplice fatto che entrambi sono nostri burattini e abbiamo una grande base navale in Bahrein.
Vogliamo rovesciare Gheddafi e Assad in Siria perché vogliamo tagliare fuori dal Mediterraneo la Russia e la Cina. La Cina ha fatto enormi investimenti in campo energetico nella Libia orientale e sta facendo affidamento sulla Libia, oltre che sull’Angola e la Nigeria, per soddisfare il suo fabbisogno energetico. L’America si impegna per negare l’accesso cinese alle risorse energetiche, proprio come hanno fatto Washington e Londra con i giapponesi negli anni trenta.
Wikileaks ha mostrato come ci sia l’America dietro alle proteste in Siria. Ci interessano perché i russi hanno una grande base navale in Siria, che garantisce loro la presenza nel Mediterraneo. Come vedete, Washington è decisa nell’intervento contro la Libia e spinge con sempre maggiore forza per quello in Siria: questo perché vogliamo liberarci dei russi e dei cinesi.
Non abbiamo nulla da dire sui sauditi o su come trattano i loro dissidenti, né abbiamo nulla da obiettare circa le violenze esercitate sui dimostranti in Bahrein.

Press TV: Sta dicendo che, in ultima analisi, l’attacco alla Libia è legato a questioni petrolifere?

Paul Craig Roberts: Non si tratta solo del petrolio, si tratta della penetrazione della Cina in Africa per assicurarsi le forniture di petrolio necessarie ai suoi bisogni. Dovreste essere a conoscenza del fatto che il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un documento in cui si dichiara che la ‘Age of America’ [“l’epoca americana”, il periodo di egemonia mondiale degli USA, ndt] è finita e che l’economia americana verrà sorpassata da quella cinese entro cinque anni, diventando così la seconda economia al mondo. Per questo, una delle cose che Washington sta cercando di fare è di utilizzare le sue superiori capacità militari e strategiche per bloccare l’acquisizione di risorse da parte della Cina, in modo da rallentarne lo sviluppo economico. Questa è la ragione principale per le attività della CIA nella Libia orientale, è la ragione per cui le proteste sono scoppiate nell’est del paese e non nella capitale, come invece è accaduto negli altri paesi arabi, ed è la ragione per cui si tratta di una rivolta armata.

Press TV: Pensa che l’isolamento diplomatico della Libia sia stato la ragione principale di questo intervento militare?

Paul Craig Roberts: Non penso che sia la ragione principale. Credo che la ragione principale sia quella di sfrattare la Cina dalla Libia, cosa che sta accadendo. C’erano 30.000 cinesi laggiù e ne hanno dovuti evacuare 29.000.
È anche una vendetta nei confronti di Gheddafi per essersi rifiutato di entrare a far parte dello US Africa Command (AfriComm) [comando delle forze armate USA, responsabile per le relazioni e le operazioni militari in 53 paesi africani, ndt] . È operativo dal 2008 ed è nato come risposta americana alla penetrazione cinese in Africa: abbiamo scelto una risposta militare e Gheddafi si è rifiutato di partecipare, dichiarando che si trattava di un atto imperialista mirato ad acquistare un intero continente.
Infine credo che la terza ragione sia il fatto che Gheddafi in Libia controlli un settore importante della costa mediterranea, e lo stesso vale per la Siria. Perciò credo che questi paesi rappresentino due ostacoli per il percorso egemonico degli Stati Uniti nel Mediterraneo e, di sicuro, gli americani non vogliono una robusta flotta russa in quell’area né vogliono che la Cina estragga risorse energetiche.
Lo scoppio delle rivolte in Tunisia e in Egitto ha colto Washington di sorpresa, tuttavia gli americani hanno capito in fretta che avrebbero potuto nascondersi dietro alle rivolte nei paesi arabi e utilizzarle per sfrattare Russia e Cina, riuscendo a evitare un indesiderabile confronto diretto. Perciò hanno organizzato queste proteste.
Sappiamo per certo che per un po’ di tempo la CIA ha seminato zizzania nella Libia orientale, è un dato di fatto. E la pubblicazione dei cablo di Wikileaks ha dimostrato il coinvolgimento degli americani nel fomentare disordini in Siria.
Non abbiamo innescato alcuna sollevazione in Egitto, in Bahrein, in Tunisia né in Arabia Saudita. Siamo probabilmente responsabili delle rivolte nello Yemen, perché siamo ricorsi a incursioni aeree e droni contro diversi elementi tribali.
Quindi, la grande differenza è che dietro ai disordini in Libia e Siria c’è la mano degli Stati Uniti, che hanno organizzato le manifestazioni, foraggiato le ribellioni e così via. Ci sono e ci saranno sempre persone scontente che possono essere comprate e promesse che possono essere fatte.

Press TV: I droni vengono ora utilizzati in Libia. Da dove decollano? Tecnicamente non possono arrivare dall’Italia per la scarsa capacità dei serbatoi, quindi da dove partono?

Paul Craig Roberts: Non lo so, forse da navi militari americane. Credo che l’ultimo rapporto sui droni arrivasse da un ufficiale della marina. Vorrei ancora aggiungere qualcosa. Forse il rischio maggiore, che nessuno ha preso in considerazione, è il caratteraccio della Cina. Con questo intervento, le aziende cinesi stanno perdendo centinaia di milioni di dollari. Hanno 50 massicci investimenti che stanno andando in malora e ciò viene chiaramente percepito dai cinesi come un atto ostile nei loro confronti. Non si fanno illusioni e di sicuro non si bevono le sciocchezze che leggono sul New York Times o sul Washington Post. Quello che vedono è una manovra americana contro la Cina.

Press TV: Sta suggerendo che gli americani vogliono far fuori la Cina e rimpiazzare gli investimenti cinesi con aziende americane?

Paul Craig Roberts: Americane o altro, esattamente. Penso anche che i russi inizino a percepire l’intera faccenda siriana come una manovra contro di loro e la base che hanno laggiù.
Dunque, quello che stiamo facendo in realtà è inimicarci due grandi nazioni: la Cina, la cui economia è probabilmente migliore di quella americana dal momento che i suoi abitanti hanno ancora un lavoro, e la Russia, che dispone di un arsenale atomico potenzialmente illimitato. Stiamo quindi iniziando a fare pressione, in un modo molto imprudente, su due paesi molto forti; ci stiamo comportando in maniera profondamente pericolosa e irresponsabile.
Una volta messo in moto tutto questo, e una volta che Russia e Cina arriveranno alla conclusione che non si può interagire in modo razionale con gli USA e che anzi gli americani sono determinati a fare qualunque cosa per sottometterli e danneggiarli, può succedere di tutto e può verificarsi qualunque escalation. È un pericolo reale, stiamo rischiando una guerra di portata mondiale.

Press TV: (l’Italia dipende in larga misura dal petrolio libico) Cosa può dire del ruolo dell’Italia (come membro della NATO) in Libia?

Paul Craig Roberts: C’è un altro aspetto unico di questo intervento in Libia. Cosa ci fa la NATO in una guerra in Africa? La NATO è stata formata per difendere da una possibile invasione sovietica i paesi dell’Europa occidentale. L’Unione Sovietica non esiste più da vent’anni. Sotto la guida degli Stati Uniti e del Pentagono, la NATO è stata trasformata in una forza ausiliaria, che ora è coinvolta in una guerra di aggressione in Africa. Perché qui stiamo parlando di una guerra di aggressione, un attacco militare.
Questa è una trasformazione straordinaria. Perché sta succedendo tutto questo? Non siamo ricorsi alla NATO in Egitto o in Tunisia e certamente non lo faremo in Arabia Saudita o in Bahrein, perciò stiamo assistendo a qualcosa di veramente strano: la NATO in una guerra in Africa. Questo meriterebbe una spiegazione.


Link: PressTV - US risks war with China and Russia (http://www.presstv.ir/detail/176776.html)
27.04.2011

Murru
19-06-11, 21:37
TG1:INCREDIBILE SERVIZIO-VERITA' SULLA LIBIA
ANCHE TUNISINI CON GHEDDAFI CONTRO NATO


ULTERIORE CONFERMA CHE IL POPOLO LIBICO E NON SOLO E' CON GHEDDAFI
QUESTO DIGNITOSO SERVIZIO DEL TG1 RISALE AL 27-03-2011


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SteCompagno
19-06-11, 23:11
Ma ci vuole tanto a capire, qui in Occidente, che se Gheddafi avesse avuto il disprezzo del suo popolo nelle forme in cui ci veniva detto oggi sarebbe già sconfitto ?
Questa guerra tra le ultime di questi anni è sicuramente la più ipocrita, a partire dalla storia dei Diritti Umani, balla colossale, se la Francia fosse davvero interessata ai Diritti Umani non ripristinerebbe le frontiere per evitare gli immigrati che le bombe della Nato provocano.