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27-02-11, 21:56
REPUBBLICA SOCIALISTA DEL VIETNAM


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Stalinator
28-02-11, 11:14
NGUYỄN TẤT THÀNH ovvero HỒ CHÍ MINH, il rivoluzionario


di Sandra Scagliotti [1]

L’eclettico Zio Hồ

Tutti coloro che hanno avuto occasione di dare uno sguardo ai materiali fotografici della Biblioteca Enrica Collotti Pischel di Torino - l’unica biblioteca espressamente rivolta al Việt Nam in Italia -, hanno potuto notare come, nelle immagini in cui il Presidente Hồ è raffigurato o ritratto, sia dato ben poco risalto al suo ruolo di leader combattente. Lo possiamo, infatti, vedere mentre chiacchiera con le donne delle minoranze etniche del Nord, mentre coltiva il suo piccolo orto, mentre gioca a bigliardo e perfino mentre dirige un’orchestra… Per questa ragione, i Vietnamiti - che vedono in lui il padre fondatore della Nazione -, amano talvolta scherzare su quel Vietnamita che fallì la sua missione di cuoco … Fra i molti ruoli che egli ebbe a svolgere, Hồ Chí Minh fu infatti allievo di un formidabile personaggio, Auguste Escoffier, maestro indiscusso dell’arte culinaria, che, si racconta, l'Imperatore di Germania Guglielmo II apostrofò con le parole: ”Se io sono l'Imperatore di Germania, tu sei l'imperatore degli Chefs”. Nel 1914, il Presidente, che si trovava a Londra per motivi di studio, per arrotondare le entrate, trovò lavoro al Carlton Hotel-Restaurant, dove Escoffier, era maître; divenne aiuto-pasticcere e lavorò a suo fianco. Si narra che lo Chef, colpito dal talento del giovane, avesse molto insistito per convincerlo ad abbandonare quelle sue “bizzarre idee rivoluzionarie” e dedicarsi alla confetteria. Hồ tuttavia declinò ogni invito. Aveva un sogno e una ben più impegnativa missione da svolgere.

Eclettico nelle attività così come nei nomi: a tutt'oggi non è ancora possibile avere un quadro chiaro degli pseudonimi ed appellativi segreti che Hồ Chí Minh utilizzò nel corso della sua vita; ne sono stimati centosessantacinque. Il primo nome di Hồ fu Nguyễn Sinh Cung, ma si faceva chiamare Van Ba quando fu ingaggiato come aiuto-cuoco a bordo del bastimento francese Latouche-Tréville nel giugno 1911. Ed era Lin nel periodo in cui fu studente a Mosca, negli anni Trenta. Del resto, lo stesso nome Hồ Chí Minh è in realtà uno pseudonimo; il suo nome anagrafico era Nguyễn Tất Thành. Per tutti i suoi compatrioti egli era ed è “Bác Hồ”, lo zio Hồ, l’espressione più comune per indicarlo, un appellativo affettuoso che, nella famiglia allargata vietnamita è anche segno di rispetto verso il fratello più anziano della madre, colui che supera il padre in saggezza e prestigio…

S’ipotizzano numerose ragioni per spiegare il ricorso a questi variegati nomi. Secondo la tradizione vietnamita, ad esempio, ogni fanciullo assumeva il nome definitivo solo all'inizio della pubertà; nell’antico Việt Nam v'era altresì l'uso di attribuirsi un secondo nome per simbolizzare una nuova attività intrapresa o caratterizzare una peculiare fase della propria vita - ed infatti sono molti i vecchi dirigenti rivoluzionari il cui nome pubblico è in realtà uno pseudonimo; la stessa cosa poteva accadere per un letterato, un poeta e così via. I due pseudonimi “storici” di Hồ sono: Nguyễn Ái Quốc (Nguyễn il Patriota), - nome con cui egli condusse tutta la sua attività di rivoluzionario comunista dal 1919 al 1941 - e Hồ Chí Minh (“colui che porta la luce”), il nome con cui egli svolse la sua opera di leader nazionale. Ovviamente, nel suo caso, il ricorso a pseudonimi derivava soprattutto dalla necessità di depistare i servizi segreti francesi (e di altri paesi) che gli davano la caccia.

Pino Tagliazucchi, nella sua meticolosa biografia di Hồ Chí Minh[2], ci ha spiegato che una delle ragioni fondamentali di questa gran copia di pseudonimi risiedeva nel proverbiale riserbo del Presidente, della cui vita - precisava - si sa ben poco, poiché egli preferiva non parlare di sé ed anche circondarsi di un alone di segretezza. Fu dunque per modestia, abitudine, necessità… E di modestia certamente si trattava nel caso dei suoi scritti. E’ noto infatti che le poesie del famoso Diario dal carcere[3] furono ritrovate per caso nel 1960, da un ricercatore vietnamita, sepolte in un archivio sperduto; l'autore non ne aveva mai fatto menzione. La modestia dunque era un sentimento che lo caratterizzava, come del resto l’autoironia; era un vero talento nel non prendersi mai troppo sul serio: Alloggio amministrativo/ - scriveva dal carcere - riso di Stato/ guardie che si danno il cambio ad ogni nostro passo/ meditazioni a volontà/ passeggiate…/ quanti onori nel mondo per un sol uomo, non vi pare?

Racconta Tagliazucchi che, quando si presentò alla nazione come Hồ Chí Minh, nessuno sapeva chi fosse. Sua sorella, Thi Thanh vide la sua foto sul giornale e si disse: “Ma è mio fratello!”; andò quindi a Hà Nội per abbracciarlo. Poi tornò a casa, come se nulla fosse e riprese la vita di tutti i giorni. Persino i membri del governo provvisorio non erano certi della sua reale identità; si sospettava ch’egli fosse il celebre Nguyễn Ái Quốc, ma non si poteva esserne sicuri. E’ celebre l’aneddoto del can go;una sera, a cena, uno dei suoi ministri azzardò una domanda: “Signor Presidente, qual è la sua provincia natale?” Hồ, che era nato nella provincia di Nghe An, non rispose direttamente. Disse invece: “Sono uno del can go”. Il “can go” è il pesce di legno che, secondo un antico detto popolare, gli abitanti dello Nghe An, poveri da generazioni, usavano per “condire” il loro riso, in mancanza di quello vero.

Lo studioso francese Charles Fourniau di Hồ Chí Minh mantiene un ricordo vivido e illuminante. Grande inviato del giornale L'Humanité in Việt Nam negli anni della guerra anti-americana, lo vide la prima volta nel 1960 e l’ultima nel 1969, con il triste privilegio di essere stato l’ultimo straniero ad incontrarlo, una settimana prima della sua morte. Ricorda Fourniau: “Si restava completamente dominati dalla sua personalità. E’ estremamente difficile spiegarne la ragione: era un uomo di media statura, generalmente riceveva i suoi ospiti con indosso la veste dei contadini vietnamiti; ai piedi portava sandali di gomma, ricavati da pneumatici. Aveva una voce sommessa, parlava in modo semplice e non faceva mai grandi discorsi; eppure, chiunque vi si trovasse di fronte rimaneva letteralmente catturato dal suo carisma straordinario”.

Hồ Chí Minh non amava mettersi in mostra. Si considerava un rivoluzionario, un capo di Stato “che agisce per una causa” e di conseguenza non riteneva interessante per gli altri parlare di sé. La maggior parte dei suoi ospiti non li accoglieva nell’imponente palazzo presidenziale - l’antico edificio che era stato dimora del governatore coloniale -, ma in una casetta costruita nel parco attiguo. Abitava lì, in quella piccola casa di legno che si era fatto costruire. Semplicità e impegno, questo il suo motto: come un buon padre di famiglia, ai giovani raccomandava di evitare la pigrizia, le spese inutili, la vanità, l’arroganza, l’ipocrisia. Li invitava a “non domandare cosa il Paese avesse fatto per loro, ma piuttosto chiedersi cosa essi avessero fatto per il Paese”.

Sono in molti a chiedersi da dove venisse “l’aura” che ben presto si collegò alla sua persona. Pierre Brocheux vietnamologo eminente che in una recente biografia ripercorre tutta la vita del leader[4], si domanda “in che cosa egli fu così rappresentativo da meritare di figurare nella galleria dei grandi uomini?” In fondo - scrive - Hồ Chí Minh non aveva “la profondità di spirito di un pensatore politico, il genio creativo di uno scrittore, l’abilità di uno stratega militare”… Di tali qualità si può discutere, ma qui risiede inevitabilmente il “mistero” del suo successo personale. Per comprenderne la personalità occorre quindi utilizzare parametri differenti da quelli solitamente impiegati per i “grandi uomini”. In questo dato Brocheux coglie il reale prodigio di Hồ Chí Minh che, in questa prospettiva, non sta tanto nei fatti della sua vita privata quanto nella sua personalità di uomo, di rivoluzionario capace di guidare individui e affrontare le sfide della Storia; non genio o condottiero, ma uomo, con la fierezza di essere anzitutto se stesso.

Hồ Chí Minh non incoraggiò mai la creazione del “mito Hồ Chí Minh”.
Forse, inconsapevolmente, “creò” una “figura”, indossando, ad esempio, semplici vesta e calzando poveri sandali. Certi episodi tuttavia manifestano una realtà, non una “creazione”. Il più famoso resta quello della lettura della dichiarazione d’indipendenza, in piazza Ba Đình, a Hà Nội il 2 settembre 1945, davanti ad una folla smisurata. Era il coronamento - impensabile sino a poco tempo prima - di una lotta di anni; quel testo denunciava una lunga oppressione, rivendicava un nuovo futuro. Fu un momento “storico”. Eppure, dalla tribuna, dinnanzi al microfono, a un tratto egli interruppe la lettura per chiedere: “Dong bao (compatrioti), mi sentite bene?” - e gli rispose un fragore di sì. L’altro episodio, meno noto, concerne il viaggio di ritorno dalla Francia, tra il settembre e l’ottobre del 1946: sull’incrociatore Dumont d’Urville, il Presidente del Việt Nam, ospite del governo francese quale passeggero d’onore di quella nave da guerra, si lavava la biancheria nel lavandino della cabina… Dai ricordi di Raymond Aubrac, amico personale del leader e intermediario nelle negoziazioni della guerra anti-americana, così come da altri personaggi di rilievo della politica francese, si apprendono numerosi altri episodi che vanno in questa stessa direzione.

Tutti coloro che lo hanno conosciuto lo ricordano come “l’esatta copia di un contadino vietnamita e, nel contempo, di un letterato della tradizione confuciana”. Era l’incarnazione stessa della nazione vietnamita e il suo carisma era dovuto probabilmente a questo. Sul piano della politica internazionale, occorre ricordare, era una figura dall’esperienza peculiare: fra i grandi dirigenti della Terza Internazionale, Hồ Chí Minh fu il solo ad avere soggiornato in vari paesi stranieri. Mao Tze Tung non uscì mai dalla Cina, né Stalin dalla Russia; Hồ per contro, conosceva il mondo, aveva navigato, aveva viaggiato e conosceva la condizione dei più poveri. Ciò rappresenta una caratteristica peculiare del suo pensiero così come dell’agire del Partito comunista vietnamita: il radicato patriottismo dei Vietnamiti e del Partito si ascrive nell’internazionalismo, ritenuto elemento fondamentale. L’esempio di Hồ Chí Minh e le sue convinzioni oggi, orientano il Đổi mới il processo di rinnovamento e lo orientano assai più della teoria marxista-leninista. Il Presidente riuscì a fondere armoniosamente l’analisi fondata su basi marxiste con la tradizione del suo paese e del suo popolo, cioè con la tradizione di lotta contro l’occupante e rivolta popolare, alimentate in parte dal Confucianesimo. E questa tradizione nazionale, che egli, come si è detto, incarnava fisicamente, si nutriva del pensiero marxista. Dobbiamo ricordarci di queste caratteristiche quando sentiamo qualcuno alludere alla guerra del Việt Nam come a una “guerra civile”. Questo è un termine profondamente inesatto. E’ vero che il governo di Sài Gòn -, che era organizzato, pagato e sostenuto dagli Stati Uniti -, seppe organizzare un esercito, così come il governo di Vichy aveva a sua volta in Francia una milizia e che, di conseguenza v’erano truppe vietnamite delle due diverse fazioni. Questa visione, tuttavia, tende ad offuscare il carattere essenziale di questa guerra, che è stata una guerra di aggressione straniera, contro un popolo in lotta. Un popolo, dobbiamo ricordare, che di quell’aggressione ancora subisce le conseguenze, come testimoniano dolorosamente le vittime dell’agente arancio che, a tre generazioni di distanza, soffrono ancora degli effetti tardivi delle sostanze chimiche sparse in terra vietnamita che influisco sull’uomo e sull’ambiente…[5]


Il pensiero di Hồ Chí Minh, pragmatico bolscevico giallo

Hồ Chí Minh, come abbiamo detto, personificava la “memoria autoctona”, in sintonia con il pensiero marxista; e autoctona e nazionale fu la rivoluzione dell’agosto 1945 che, occorre rilevare, non contemplò alcuna operazione congiunta con agenti sovietici: per anni l’Unione Sovietica, temendo difficoltà internazionali, del cui pondo non voleva farsi carico, fu reticente nei confronti del Việt Nam. Molto più consistente allora fu invece l’influenza del partito comunista francese, accanto al partito vietnamita, permeato dal pensiero di Hồ. E se è vero che Hồ Chí Minh non volle mai sentirsi definire un teorico e che non esiste alcun trattato da lui redatto sulla teoria marxista-leninista, è pur vero che il suo pensiero di teoria è profondamente intriso. Come pensare di realizzare un’opera rivoluzionaria efficace come quella che il leader conseguì, senza una teoria che la sostenga?

Resta il fatto che tentare di ricostruire il pensiero teorico e politico di Hồ Chí Minh è un’impresa complessa. Disponiamo, è vero, di vari scritti e discorsi che attestano una chiara visione strategica, ma le circostanze in cui ebbe ad operare e la natura stessa del suo carattere non ci consentono di tracciare un quadro completo. Come annotava Pino Tagliazucchi, “questo, forse, spiega perché rare siano le ricerche sul pensiero politico di Hồ Chí Minh e perchè, mentre numerosi sono stati i maoisti, nessuno si è mai dichiarato “hochiminista”...

Anche William Duiker nel suo saggio[6] - un imponente studio biografico che merita di essere segnalato per la vasta documentazione presentata -, rileva come non sia possibile concentrarsi sul pensiero di Hồ Chí Minh trascurando la sua vita privata. Occorre tuttavia fare una distinzione:se non esistonoscritti teorici redatti dal leader, vi sono per contro scritti strategici, anche se rari. La via della rivoluzione (1927) e La via della liberazione (1940), così come alcuni testi sulla guerriglia, sono tuttavia pressoché sconosciuti, anche perché non sono mai stati tradotti in lingue occidentali. Eppure questi scritti indicano chiaramente uno specifico carattere tattico, una precisa linea strategica, sebbene si tratti di indicazioni pratiche rivolte ai quadri politici. Tutto ciò è riconducibile ai contrasti, reali o apparenti, che rendono difficile la presentazione del personaggio Hồ Chí Minh. Del resto, osserva Duiker, “come molti grandi personaggi della storia, il vero Hồ Chí Minh fu un uomo pieno di complessità e di contrasti, con alcune doti e caratteristiche uniche che lo distinguono da altre personalità del suo tempo”.

Non resta quindi che valutare come la vita del leader s'intrecci con le vicende del suo popolo e con quelle del processo rivoluzionario mondiale. Senza pretendere l’esaustività e limitandoci a un tentativo d’interpretazione, è tuttavia possibile aprire un dibattito, ancora poco saggiato nel nostro Paese, sul percorso della sua azione e del suo pensiero, negli anni cruciali che vanno sino al 1945, cioè sino all'indipendenza del Việt Nam.

Conviene ragionare sul fatto che, negli anni successivi alla Grande guerra, oltre ai condizionamenti impliciti del regime coloniale, la società vietnamita aveva risentito dell'influsso di particolari cause esterne. La rivoluzione d'ottobre e la fondazione dei partiti comunisti nei paesi industriali dell'occidente avevano creato nuove prospettive per la liberazione delle colonie. I Vietnamiti residenti in Francia, a contatto con la realtà politica europea, compresero che questo nuovo assetto avrebbe potuto condurre alla liberazione nazionale; essi si organizzarono pertanto in gruppi di differenti tendenze. Fra questi, alcuni gravitavano nella sfera d’influenza dei partiti non rivoluzionari, ispirandosi ad ideali democratico - borghesi; Phan Chu Trinh, l'elemento più rappresentativo di questa corrente, teorizzò la necessità del superamento delle istituzioni di derivazione “feudale” in Việt Nam, in seno al regime coloniale, e la ricerca di una progressiva indipendenza senza dover ricorrere alla lotta armata. Nguyễn Ái Quốc, il futuro Hồ Chí Minh, organizzò per contro il gruppo più direttamente ispirato alla Rivoluzione d'Ottobre, in più stretto contatto con il movimento operaio francese; membro del Partito socialista d’Oltr’Alpe, nel dicembre 1920, al congresso di Tours, egli optò per l'adesione alla III Internazionale. Assertore della via rivoluzionaria quale unico mezzo per la liberazione dei paesi colonizzati, Hồ Chí Minh, dalle pagine dei quotidiani francesi, intraprese un'azione di propaganda sulle condizioni economiche e sociali dei “popoli oppressi” rivolta ai militanti dei partiti proletari europei. “Due temi, vicini e complementari - scrive lo storico Alain Ruscio - imperano senza cessa nei suoi articoli, come nei suoi interventi pubblici: la convergenza degli interessi dei popoli di Francia e delle colonie e l’internazionalismo. Quốc cercò di persuadere i suoi compagni di partito e i proletari di Francia che essi dovevano lottare a fianco dei popoli delle colonie, contro un unico nemico. E fu forse a questo punto che nacque in lui la forte immagine dell’imperialismo, piovra di cui occorre tagliare simultaneamente più tentacoli”.[7] Quốc, tuttavia enumerava problematiche assai distanti dall’ortodossia del tempo, affermando a più riprese come l’Asia conoscesse da secoli la comunione delle terre e la condivisione, il senso di eguaglianza e il valore della pace; inoltre, evitava le citazioni dei pilastri del credo comunista, convinto com’era dell’inutilità di ripetere all’infinito slogans “già mille volte letti”. Si riferiva invece a Confucio e Mencio e non esitava a mettere in guardia: “Marx ha costruito la sua dottrina su di una certa filosofia della Storia. Ma quale Storia? Quella dell’Europa. Ma che cos’è l’Europa? Solo una parte dell’Umanità”. La risposta dei partiti di Francia e d’Occidente fu tiepida e Quốc, probabilmente deluso, non potè che riflettere e meditare: l’internazionalismo non era forse che un’aspirazione?… Ora toccava pensare alla realtà.

Dal pensiero di Phan Chu Trinh, il giovane Nguyễn Tất Thành aveva condiviso l’idea di cercare la via della rinascita nazionale in una nuova universalità culturale, che aveva le sue radici non più in Cina, ma in Occidente, cui distaccandosi dalle idee di Trinh, opponeva la ricerca di una solidaretà di lotta con gli oppressi ed i colonizzati del mondo, ricerca che orientò tutta la sua vita, “anche nei labirinti dell’ideologia marxista fatta azione”. Nella lettera che il 15 settembre 1911 egli, da Marsiglia, inviò al Presidente della Repubblica per chiedere di essere ammesso all’École Coloniale, esprime il desiderio di rendersi utile nei confronti sia della Francia, sia dei suoi compatrioti…

Sin dagli inizi degli anni Venti il futuro presidente è già una sorta di mito, una leggenda vivente. Il suo compatriota Nguyễn TheTruyền, nel 1922, in un articolo intitolato “Il bolscevico giallo”, testimonia che il suo nome già noto sin nel profondo delle campagne vietnamite e si chiede “ Ma è davvero un uomo in carne ed ossa questo Signor Nguyễn Ái Quốc?” Grazie alla sua opera di informazione e divulgazione e sotto la direzione degli intellettuali ritornati dalla Francia, in Việt Nam sono diffusi numerosi giornali, redatti in francese e in vietnamita, che incitano alla lotta patriottica… La missione di Quốc, pur senza ch’egli avesse ottenuto tutti i risultati attesi, aveva preso avvio, in funzione modernista.


Difficili equilibri. E nessun mistero…

Il Việt Nam ha a lungo dovuto lottare e su vari fronti; contro i suoi nemici e talvolta anche contro i suoi amici. Con il grande scisma del mondo comunista, in cui la Cina maoista si poneva in ostilità con l’URSS, si trovò in una posizione critica: con il potente vicino del Nord - che aveva cominciato a fornirgli armi -, ad appena seicento chilometri dalle sue frontiere ma con l’esigenza del sostegno sovietico sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista degli armamenti. Fu grazie alla personalità eccezionale di Hồ Chí Minh e dei suoi successori in seguito, che il Paese poté condurre una politica acuta e lungimirante che consisteva nel… “navigare a vista”, tra i due opposti poli. Opponendosi a ogni compromesso, Hồ seppe combattere l’imperialismo, sia che esso fosse giapponese, francese o statunitense realizzare i suoi ideali: l’istruzione per tutto il popolo, il miglioramento delle condizioni di vita, l’unità del Paese, il rafforzamento delle strutture amministrative e lo sviluppo di una industria autoctona.

In tempi non molto lontani e per oltre dieci anni, il Việt Nam - “tutto un popolo in lotta per la salvezza nazionale, la libertà, la sovranità e la riunificazione” - dovette affrontare un esercito sofisticato e forze aeree, marittime e terrestri e armi chimiche, dalle bombe a frammentazione all’agente arancio, dal fosforo al napalm. L’uomo che proclamò la nascita della Repubblica vietnamita nel 1945, morì tuttavia il 9 settembre 1969, senza vedere la vittoria del suo popolo. Era contrario al mausoleo e all’esposizione del suo corpo, aveva chiesto di essere cremato e che le sue ceneri fossero diffuse ai “quattro angoli del Paese” quel Paese che - scriveva nel suo testamento -, avrà l’onore di essere una piccola nazione che, grazie alla sua lotta eroica, avrà trionfato su due grandi imperialismi - francese e statunitense - e avrà apportato un grande contributo al movimento di liberazione nazionale”. E aggiungeva: “La mia ultima volontà è che il nostro partito e il nostro popolo, strettamente uniti nella lotta, costruiscano un Paese pacifico, unificato, indipendente, democratico e prospero e contribuiscano in maniera preziosa alla Rivoluzione mondiale”.

Se oggi si può leggere con profitto gli scritti di Lenin e di Mao, di Hồ Chí Minh, nel complesso, resta ben poco; tuttavia, crediamo, non è per un riflesso puramente accademico che continuano ad apparire biografie a lui dedicate. Colui che “ha mosso un popolo, ha buttato all’aria il secolare sistema coloniale, si è mosso con sagacia e determinazione con e contro grandi potenze mondiali ed ha inciso, anche profondamente, sulla loro strategia politica - scriveva Pino Tagliazucchi -, è rimasto l’uomo che abitava in una casetta di due stanze e che la sera annaffiava le piante del suo giardino. È questo che continua ad attirare il lettore comune”...

L’odierno Việt Nam è molto diverso, per condizione e problematiche da quello che colpì l’immaginario del mondo intero sino al 1975. Attualmente il partito vietnamita si definisce ispirato al marxismo-leninismo e al pensiero di Hồ Chí Minh, il grande uomo che pone la maiuscola su Uomo e non su Grande. E’ un fatto raro, che suscita un interesse particolare e forse anche qualche perplessità; ma non è un “mistero”. Di quella personalità eccezionale, scopriamo col tempo sempre nuovi risvolti e se, citando l’ortodossia marxista, “sono gli uomini che fanno la Storia”, ci piace credere che il ruolo di individui eccezionali debba essere, oggi più che mai, conosciuto e ripensato.



[1] Sandra Scagliotti è membro del Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale Italia-Viet Nam.

[2] TAGLIAZUCCHI PINO, Ho Chi Minh, Biografia politica (1890-1945), L’Harmattan Italia, Torino 2004.

[3] HỒ CHÍ MINH, Diario dal carcere, Tindalo Editore, Roma 1968.
[4]BROCHEUX PIERRE, Ho Chi Minh. Du révolutionnaire à l’icône, Biographie Payot, Parigi 2003.

[5] Su questo tema si veda: SANDRA SCAGLIOTTI, NICOLA MOCCI, Oltre il silenzio delle armi. Le conseguenze della guerra chimica in Việt Nam, Aipsa, Cagliari 2009.
[6] DUIKER WILLIAM, Ho Chi Minh. A Life, Hyperson, New York 2000.
[7]Dalla prefazione di Alain Ruscio al volume HỒ CHÍ MINH, Le procès à la colonisation française at autres textes de jeunesse, Les temps de cerises, Paris 2007, pag. 19.

Stalinator
28-02-11, 11:17
Ho Chi Minh e la lotta contro l’imperialismo giapponese, francese e statunitense



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DI MARTA ROJAS

In occasione della celebrazione del trentesimo anniversario della liberazione di Saigon, pubblichiamo una presentazione della vita e dell’opera del fautore del Vietnam indipendente: Ho Chi Minh. Rifiutando qualsiasi compromesso nel quale si imbarcava una parte della sua generazione, Ho Chi Minh combatté senza tregua contro l’imperialismo, sia che esso fosse giapponese, francese o statunitense. Rimane uno dei simboli più forti della lotta per la libertà del XX secolo.

Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel 2 settembre 1945 quest’uomo minuto con la barba brizzolata, dai diversi nomi, tra cui quello di Ho Chi Minh, entrasse definitivamente nella storia mondiale come uno dei personaggi chiave del XX secolo.


Quel giorno, sulla piazza di Ba Dinh nel centro di Hanoi, una città del nord del Vietnam diventata la capitale del paese, Ho Chi Minh annunciava al mondo la creazione della Repubblica popolare democratica del Vietnam. Non c’è voluto molto per scoprire le sue eccezionali doti di tattico e di stratega rivoluzionario. Che fosse un innovatore lo sapevano già a Parigi, a Mosca, in Cina e nel suo paese, ma ignoravano ancora quasi tutto delle sue idee visionarie, della sua tenacia e, soprattutto, della capacità di raccogliere un intero popolo attorno ad una lotta contro gli ultimi ridotti del colonialismo francese e, in seguito, contro il potente imperialismo. Il mondo se ne sarebbe ben presto meravigliato.

Esistono testimonianze cinematografiche di questa moltitudine che invade la piazza Ba Dinh per ascoltare Ho Chi Minh che proclama la Repubblica con un microfono appoggiato su di una base circolare. Era la fine della seconda guerra mondiale. Gli alleati avevano battuto i nazisti e la Francia, capitale, all’epoca, di numerosi paesi d’«oltremare», era anche in un certo modo redenta. Il generale De Gaulle passava per un eroe della Resistenza. Il rivoluzionario Ai Quoc, o Ho Chi Minh, scelse proprio quel momento strategico per proclamare l’indipendenza del suo paese, da nord a sud, e assumere il potere che gli conferiva il suo ascendente sull’intero popolo. Per inciso, il Vietnam aveva appena abbandonato una guerra senza pietà contro il Giappone, entrato nell’Asse Roma-Berlino-Tokyo per impadronirsi dell’universo. Le carestie imperversavano in tutto il paese e provocavano milioni di morti. Negli anni in cui fu occupata dalla Germania, la Francia non riuscì ad inviare il minimo contributo alla sua colonia strategica del sud-est asiatico. Nel contesto di un paese esangue Ho Chi Minh e i suoi compagni del partito comunista d’Indocina, in seguito Vietnam, proclamano una repubblica sovrana e indipendente, pronta ad aiutare i fratelli del Laos e della Cambogia a liberarsi anche loro dal giogo coloniale nei tempi più brevi possibili.

Non si può davvero parlare della fondazione della Repubblica democratica del Vietnam – oggi Repubblica socialista del Vietnam – senza ricordare la saggezza politica di Ho Chi Minh e la perfetta conoscenza della vita nelle colonie. Durante la sua giovinezza, trascorsa a Parigi, Ho Chi Minh fu uno dei fondatori del Partito comunista francese. All’interno di questa organizzazione si pronunciò per la liberazione delle colonie francesi, col più grande stupore dei suoi compagni che finirono tuttavia, per la maggior parte, per capirlo. Avendo lavorato come cuoco e marinaio semplice a bordo di un cargo che toccava tutti i porti francesi dell’Africa (all’epoca aveva ventidue anni), conosceva bene la situazione delle colonie africane. In seguito, aveva dovuto prestare servizio a bordo di una nave da guerra francese che era ormeggiata nella rada di Shameen, nella concessione francese di Canton.

A Parigi, fu giornalista e ritrattista, e anche lettore insaziabile. Il giovane Nguyen Ai Quoc che, nel 1923 si recò da Parigi a Mosca al 5° Congresso internazionale comunista in qualità di delegato del Partito comunista francese, si interessava già al movimento rivoluzionario nelle colonie. Dal congresso ritornò con una doppia missione: decidere per la rivoluzione cinese e animare il movimento rivoluzionario nel suo paese, il Vietnam. Come primo passo fondò l’Associazione di giovani rivoluzionari del Vietnam. Per questo motivo doveva essere imprigionato; si pensò che fosse morto in Cina ma riapparve in Vietnam.

Questo breve excursus della sua giovinezza cerca di stabilire una verità indiscutibile: Ho Chi Minh era un uomo dalle idee innovatrici che, sin dagli anni della sua giovinezza, acquisì una conoscenza profonda e concreta del mondo in cui viveva. Era un letterato, insegnante e figlio di insegnante che conosceva benissimo il vietnamita, la lingua e la scrittura cinese, il francese e il russo. Quando lo intervistai a Hanoï, alcuni mesi prima di morire, mi salutò in uno spagnolo perfetto che sosteneva di aver imparato dal tempo in cui era marinaio.

Nell’euforia della vittoria contro il nazismo, la Francia, incoraggiata dagli Stati Uniti, si propone di prendere in mano la situazione delle sue colonie. Ma né Ho Chi Minh, né i suoi stretti collaboratori – il leggendario generale Giap, Phan Van Dong, Le Duan e tanti altri – furono colti di sorpresa: arruolarono un potente esercito di contadini che combatté contro le forze della riconquista. La guerra si estese da nord a sud del Vietnam e a Dien Bien Phu, nel 1954, le forze coloniali più allenate del mondo subirono una sconfitta spettacolare. I vietnamiti entrarono nell’ufficio del generale francese che comandava le operazioni e lo fecero prigioniero.

A partire da questa colossale vittoria, il Vietnam poteva indubbiamente pretendere di vivere in pace come un’unica famiglia da nord a sud. Tuttavia, il gioco delle alleanze internazionali tra gli Stati Uniti e la Francia, gioco al quale partecipò un gruppo di vietnamiti arricchiti, decise diversamente.

In virtù degli accordi della fine della guerra, che segnava anche la fine del colonialismo francese nel Vietnam, le truppe francesi dovevano concentrarsi a sud del diciassettesimo parallelo per suddividere il paese. Lo spostamento delle truppe avrebbe necessitato di un certo periodo di tempo che gli Stati Uniti, sostenuti da un governo «provvisorio» vietnamita, misero a profitto per dividere il Vietnam, aiutandosi con un vero e proprio fiume di soldi e di armi.

A nord, dunque, la Repubblica democratica del Vietnam con la capitale Hanoi e a sud, la Repubblica del Vietnam del Sud con capitale Saigon. Quest’ultima costituiva una forza temibile che si metteva contro un nord alle prese ancora con le carestie, in cui l’autorità si sforzava tuttavia di preparare un esercito capace di respingere qualsiasi minaccia mettendo in opera gli ideali di Ho Chi Minh e del Partito comunista del Vietnam: l’istruzione per tutto il popolo, il miglioramento delle condizioni di vita nei limiti del possibile, l’unità del popolo aldilà delle appartenenze religiose o etniche, il rafforzamento delle strutture amministrative e lo sviluppo di una industria nascente, in particolare con lo sfruttamento del carbone e dei porti.

A nord, quindi, Ho Chi Minh e il suo partito si apprestavano a mettere in opera gli ideali per cui avevano lottato. Il mondo non ci mise molto a capire che i rivoluzionari del sud si organizzavano in guerriglie che beneficiarono dell’appoggio del nord. Ho Chi Minh in persona ricevette una donna, Nguyen Thi Dinh, originaria della zona di Ben Tre, e venne messo in opera un ponte con una velocità vertiginosa e attraverso vie insospettabili: la celeberrima «Pista Ho Chi Minh» che attraversava fiumi, montagne e foreste impenetrabili e che il nemico non fu mai in grado di trovare. La guerra di liberazione del sud era un fatto, e il motto di Ho Chi Minh fu sempre lo stesso fin dal primo giorno: «Un solo Vietnam». Separato artificialmente, il Vietnam doveva riunificarsi.

Si trattò del peggiore dei genocidi del XX secolo da parte di una potenza contro un piccolo paese. Durante un periodo di oltre dieci anni il Vietnam del Nord dovette affrontare un esercito sofisticato composto da forze aeree, marittime e terrestri che disponevano di armi chimiche, di bombe a frammentazione, dell’agente arancio (agent orange, il terribile defogliante il cui nome proviene dal colore dei recipienti mentre il suo principio attivo era la terribile diossina, NdT), di fosforo, di napal e anche di uno schieramento elettronico che l’ingegnosità dei vietnamiti riuscì a superare. Contro il Nord, la guerra fu aerea. Secondo stime modeste, le vittime vietnamite furono due milioni. Agli Stati Uniti la guerra costò alcune migliaia di morti che fecero vacillare l’impero. La «sindrome del Vietnam» ha ispirato in seguito decine di film in cui si rivedono le immagini brutali della più incoerente delle guerre. Contro i bombardamenti, i vietnamiti ricorrevano ad armi che terrorizzavano i soldati statunitensi armati fino ai denti: trappole di bambù posizionate nella foresta e vespe pronte all’attacco. Questo è ciò che Ho Chi Minh ha chiamato "la guerra di tutto il popolo per la salvezza nazionale, la libertà, la sovranità e la riunificazione", e che costituisce una vera e propria dottrina militare.

Proclamata il 2 settembre 1945, la Repubblica democratica del Vietnam diventava una realtà indistruttibile. Ancora meglio: un bel giorno, il 30 settembre 1975, trenta anni fa quindi, le televisioni del mondo trasmettevano lo spettacolo senza precedenti di soldati appartenenti alle truppe scelte dell’esercito nord-americano che correvano come conigli sui tetti di una città, nella speranza di riuscire ad aggrapparsi ai pattini di un elicottero o a qualsiasi altro motore che potesse facilitare la loro fuga dal Vietnam. Fu un fuggi fuggi generale nel caos più assoluto! Nell’ufficio aperto a Parigi dai vietnamiti cominciarono i negoziati tra il governo degli Stati Uniti e il Fronte di liberazione del Vietnam del Sud, al quale, finalmente, erano riconosciute le prerogative di un governo. I dibattiti furono presieduti dalla celebre Thi Binh dei Dépêches internationales (Dispacci internazionali), il cui vero nome è Nguyen Thi Binh, un nome che assomiglia a quello della contadina di Ben Tre, Nguyen Thi Dinh, diventata vicecomandante supremo del Fronte nazionale di Liberazione.

La giusta causa del Vietnam sollevò un forte movimento di solidarietà in tutto il mondo. Cuba fu il primo paese al mondo a riconoscere l’FNL (Fronte nazionale di liberazione) del Vietnam e a dar vita a un comitato di solidarietà con il Vietnam del Sud, che avrebbe esteso in seguito il suo raggio d’azione a Laos e alla Cambogia. I più progressisti tra gli intellettuali, gli artisti, gli scienziati e gli insegnanti del mondo si riunirono in un Tribunale internazionale, costituito sotto la presidenza del Premio Nobel Bertrand Russell, che aveva sede a Stoccolma, Oslo, Parigi e in altre città. Alcuni uomini e donne di buona volontà degli Stati Uniti, tra cui alcuni soldati che combatterono in Vietnam, giocarono un ruolo importante nelle campagne di solidarietà con questo piccolo popolo aggredito brutalmente dalla più grande potenza militare del mondo.

L’uomo che proclamò la Repubblica del Vietnam il 2 settembre 1945 morì il 9 settembre 1969 e non fu, quindi, testimone della colossale vittoria del suo popolo. Lasciò però un testamento politico che fu percepito come un comandamento: il Vietnam sarà libero, indipendente e sovrano, il nemico sarà sconfitto e il popolo vietnamita costruirà un Vietnam dieci volte più bello. Sarà unito. «Il nostro paese avrà l’onore di essere una piccola nazione che, grazie alla sua lotta eroica, avrà trionfato su due grandi imperialismi – francese e statunitense – e avrà apportato un grande contributo al movimento di liberazione nazionale», scriveva testualmente.

Formulò anche la sua ultima volontà: «La mia ultima volontà è che il nostro partito e il nostro popolo, strettamente uniti nella lotta, costruiscano un Vietnam pacifico, unificato, indipendente, democratico e prospero, e contribuiscano in maniera preziosa alla Rivoluzione mondiale» (Hanoi, 10 maggio 1969).

Fonte:Réseau Voltaire (http://www.voltairenet.org)
Link:Réseau Voltaire (http://www.voltairenet.org/) article127579.html?var_recherche =Ho+Chi+Minh?var_recherche=Ho%20Chi%20Minh
7.10.05

Stalinator
28-02-11, 11:23
IL TESTAMENTO POLITICO DI HO CHI MINH

http://www.paolodorigo.org/1969_HoChiMinh-IlTestamento.pdf

Stalinator
28-02-11, 11:25
IL VIETNAM NEL NUOVO SECOLO: TRA SOCIALISMO CENTRALIZZATO E RIFORMISMO DI MERCATO

http://www.eastwestcenter.org/fileadmin/stored/pdfs/apb092_1.pdf

Stalinator
30-04-11, 19:54
30 APRILE 1975: LA CADUTA DI SAIGON

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UN GIORNO GLORIOSO

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TRIBUTO AL PRESIDENTE HO CHI MINH

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