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Visualizza Versione Completa : Contro il BARACCONE ELETTORALE



Anticapitaslista
12-05-11, 17:24
Sceneggiata elettoralesca fra trivialità e falsa indignazione

Ancora una volta siamo giunti ad una scadenza elettorale.

Non possiamo qui deprecare che la democrazia ha toccato il fondo perché la sua fase di decomposizione, iniziata da più di un secolo, potrebbe andare avanti ancora, forse, per lungo tempo. Per quanto la società borghese sia putrefatta il processo di disgregazione delle sue istituzioni e della sua fessa ideologia durerà fintanto che il proletariato, con la sua azione di classe, non ne decreterà la morte definitiva.

Archiviata da tempo la sostanza della democrazia, in certi momenti storici anche le sue forme e riti diventano di impaccio per il regime capitalista e la borghesia preferisce accantonarli. Ma è una icona della quale non si sbarazza definitivamente, la tiene in serbo perché è un inganno formidabile per il mantenimento del suo dominio di classe.

Lo Stato rivoluzionario del proletariato, al contrario, non saprà che farsene, e, in un unico funerale, accompagnerà al cimitero della storia, assieme, capitalismo e democrazia.

* * *

A cosa sono ridotte oggi le competizioni elettorali? I vari partiti propongono programmi, rapporti economici e interessi di classe contrapposti? Niente di tutto questo.

In Italia – modello ormai imitato da molti paesi al mondo – il governo borghese mette in mostra un Grande Comunicatore incaricato di profferire scempiaggini e facezie a ritmo quotidiano, sullo stile delle reclami, cui nessuno crede ma alle quali la massa finisce per conformarsi. Completa l'opera di riverberazione la reazione dei partiti della cosiddetta opposizione che fingono di prendere sul serio quelle irriverenti esternazioni, cui fingono di opporre una loro moralità, rigore e fedeltà alle istituzioni: o che tempi! che costumi! Ne risulta che il governo non solo non perde consensi, anzi si rafforza, come Pulcinella, maschera che rappresenta il tipo d'uomo della società borghese e nel quale il borghese si riconosce, che più imbroglia più è simpatico.

Quali sono i motivi per cui l'elettorato si dovrebbe allontanare dal partito di Berlusconi? Per la candidatura delle “veline”? Il presunto satiro-Berlusca le avrebbe proposte, ma a votarle ci avrebbero pensato gli elettori “sovrani”. La trovata ha fatto indignare gli oppositori non perché la morale democratica ne avrebbe sofferto, ma semplicemente perché sarebbero state tutte quante elette, proprio come nel 1987 venne eletta Ilona Staller e nel 2006 Vladimiro Guadagno, “in arte” Luxuria.

Il corrosivo cannibalismo che apprezziamo nella classe borghese ha ridotto a “velino” anche l'ultimo rampollo di Casa Savoia che così infine ben rappresenta gli onori di quel casato che, da un capo all'altro d'Italia si distinse per le stragi di proletari ed affamati, discendente di quel Vittorio, capo dell'esercito, che con la sua diserzione causò la tribolazione e la morte ad un numero impressionante di proletari in divisa abbandonati a se stessi. La Repubblica post fascista, che non fu capace di fucilare il Vittorio disertore, coerentemente ne ingaggia il discendente nel reality del suo parlamento.

Insomma, la “opposizione” accusa Berlusconi di avere, con il suo comportamento personale, stravolto, svilito, degenerato le basi stesse della democrazia avviando la pratica politica italiana su un percorso tendente a delle conclusioni catastrofiche, democraticamente parlando, s'intende. “Il Cavaliere” alimenta questi fantasmi affermando quello che tutti già conoscono e, apertamente o meno, condividono: che sono del tutto inutili il parlamento, i partiti, etc. La borghesia, come il nazionale Pulcinella, si confessa ridendo.

L'Unità del 22 maggio è uscita riportando in prima pagina due fotografie affiancate: a destra l'attuale parlamento, con la seguente didascalia “Il parlamento è pletorico, inutile e controproducente – Silvio Berlusconi 21 maggio 2009”; a sinistra il parlamento del 1922, con la didascalia: “potevo fare di quest'aula [sorda e grigia] un bivacco di manipoli – Benito Mussolini 16 novembre 1922”. Pudicamente L'Unità ha omesso le parole “sorda e grigia” .

Noi comunisti nel 1922 non ci scandalizzammo affatto per l'affermazione di Mussolini e non rimpiangemmo mai la democrazia liberale. Ci dispiacque soltanto che una tale affermazione non avessimo potuto farla noi che, se ne avessimo avuta la forza, avremmo intimato come in Russia: “Signori, si chiude”.

* * *

Citiamo un piccolo esempio fra i tanti di come procedono i “lavori parlamentari”.

Il 28 gennaio scorso alla Camera dei Deputati viene messa ai voti una mozione di sfiducia nei confronti del Sottosegretario Nicola Cosentino accusato di collegamenti con la camorra da almeno 5 pentiti. La mozione di sfiducia era stata presentata dal PD. Ma al momento del voto i deputati PD disertano in massa: 7 risultavano “in missione” e 22 assenti; dei presenti 47 non hanno partecipato al voto, 26 si sono astenuti, 2 hanno addirittura votato contro la mozione: totale 104 voti dell'opposizione a favore del governo. Indignatissimo Claudio Fava, della Sinistra Democratica, ha accusato il PD di aver fatto uno scambio con il PdL: lotta alla mafia in cambio di sbarramento per le elezioni europee. E non ha ragione Berlusconi a dire che il parlamento è inutile, anzi, dannoso?

Berlusconi non è altro che la necessaria conseguenza di tutto un percorso politico che è mondiale e che in Italia è iniziato fino dalla nascita della Repubblica e che affonda le sue radici, senza soluzione di continuità nel precedente regime fascista, come questo fu solo una metamorfosi del precedente regime borghese “liberale”. Bene hanno scritto, stavolta, i radicali, «Accade solo che al partito unico del Fascio subentri il “fascio” unico dei partiti: tutti e subito consociati contro la volontà popolare e la legge scritta».

Quindi, ancora una volta ha ragione il Cavaliere: il parlamento è inutile, sono sufficienti le commissioni e, stringendo, bastano le Segreterie dei partiti!

I radicali non riescono a vedere che questo è il regime capitalista, il loro stesso regime. Le cose vanno così perché non possono andare diversamente: non si tratta di “Peste italiana”, ma, ovunque, della peste democratica!

Le stesse cose che oggi documentano i radicali noi le anticipammo già nell'immediata fine della guerra. Ma non per rivendicare che quella continuità con il fascismo fosse possibile storicamente invertire e politicamente e socialmente combattere.

Prima ancora che la Costituzione venisse promulgata titolammo “Abbasso la repubblica borghese, abbasso la sua costituzione” (marzo 1947). Ancor prima avevamo scritto: «Lo stesso fatto che le gerarchie politiche oggi prevalenti sono state incapaci a scorgere la necessità, per estirpare il fascismo, di una fase di dittatura e di terrore politico, dimostra che tra il fascismo ed esse – come insegna la valutazione fatta secondo le direttive marxiste – non vi è antitesi storica e politica, che il fascismo nei suoi risultati non è storicamente sopprimibile da parte di correnti politiche borghesi o collaboranti, che gli stessi antifascisti di oggi, sotto la maschera della sterile ed impotente negazione, sono del fascismo i continuatori e gli eredi, e prendono atto passivamente di quanto il periodo fascista ha determinato e mutato nell'ambiente sociale italiano» (agosto 1946).

Ancora: «La dottrina del partito proletario deve porre come suo cardine la condanna della tesi che (...) debba essere data la parola del ritorno al sistema parlamentare democratico di governo, mentre all'opposto la prospettiva rivoluzionaria è che la fase totalitaria borghese esaurisca rapidamente il suo compito e soggiaccia al prorompere rivoluzionario della classe operaia» (gennaio 1947).

Concludendo possiamo senza nessuna reticenza affermare che, tra uno Stato Democratico puro, impossibile se non come micidiale inganno per i proletari, sognato dai Pannella e dai rimbambiti a “sinistra”, e l'attuale “regime sfascista dello Stato dei partiti”, noi preferiamo senz'altro quest'ultimo. Sono questi partiti che, senza volerlo, e saperlo, lavorano per noi.

Partito Comunista Internazionale

Anticapitaslista
14-05-11, 12:22
Nuova sbornia elettorale

Fra un mese andrà di nuovo in scena la triviale farsa borghese della “volontà popolare” con le elezioni che stavolta avrebbero valenza regionale. La propaganda borghese di destra e di sinistra, nel tentativo di scalfire la giusta indifferenza per le elezioni di molti proletari, afflitti da ben altri problemi, si è messa in moto utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione e tappezzando le città con offensivi manifesti pieni di faccioni e con le vuote parole della peggiore pubblicità commerciale.

Il marxismo da sempre afferma che attraverso il voto il proletariato può, tutt’al più, scegliere la cricca di politicanti che, per un certo numero di anni, coordinerà gli interessi del Capitale, contrapposti ai suoi. In definitiva la classe lavoratrice è chiamata a mettere la croce su chi, a turno, la manterrà oppressa alle inesorabili leggi di questo putrido sistema economico.

La crisi di sovrapproduzione spinge i governi mondiali ad attaccare le condizioni di vita e di lavoro di un proletariato diviso e disorganizzato per cercare di rinviare l’ineluttabile collasso a cui il capitalismo, per sua natura, è diretto.

La sola strada che possono percorrere i lavoratori è quella di ritrovare la loro smarrita coscienza di classe, che non passa attraverso il voto, ma nella riappropriazione dell’unico mezzo di lotta, lo sciopero, e della coscienza storica, che ritroveranno militando generosamente nel loro partito – il Partito Comunista Internazionale – quando, finalmente liberi dal mito borghese della democrazia, ritroveranno il loro fine ultimo, la emancipazione rivoluzionaria dalla schiavitù del lavoro salariato.

Partito Comunista Internazionale

Anticapitaslista
15-05-11, 14:45
Teatrino parlamentare

Durante il dibattito in Aula dello scorso 20 novembre, all’on. Zacchera che accusava l’opposizione di abituale ostruzionismo, e quindi della necessità, da parte del governo, di dover spesso ricorrere alla fiducia, il deputato Giachetti del Partito Democratico rispondeva indignatissimo: «Di cosa ci accusa il collega Zacchera, che abbiamo, come dire, fatto una battaglia sulla finanziaria e sul bilancio senza fiducia, corrispondendo a quanto ha chiesto il Presidente della Camera: facendola approvare soltanto per il nostro senso di responsabilità alle otto e mezza di un giovedì quando la maggioranza si era dileguata e non aveva i numeri per approvare il bilancio finanziario in aula? Di che cosa ci vuole accusare il collega Zacchera e la maggioranza ?».

Appena un paio di giorni prima c’era stato il “pizzino” (ripreso in diretta televisiva) vergato dal dalemiano Nicola Latorre, vicecapogruppo del PD al Senato e passato all’avversario politico, on. Bocchino del PdL. Di fronte agli attacchi di Donadi, rappresentante dell’Italia dei Valori, che accusa la maggioranza di bloccare la nomina del presidente della vigilanza Rai e del dovere istituzionale di votare un candidato dell’opposizione, scelto dall’opposizione, il berlusconiano Bocchino si trova visibilmente imbarazzato ed incapace di dare risposta. A questo punto interviene Latorre scrive un messaggio sul bordo di un giornale e lo passa a Bocchino: «Io non lo posso dire, ma...» (e segue il suggerimento). L’on. Bocchino riprende la parola e con due battute, mette a tacere il dipietrista.

Ah, grande scandalo sui giornali, per i connubi palesi e segreti tra destri e sinistri figuri!

Che altri si scandalizzino, non noi. A noi ci piacciono così, privi di scrupoli, che dimostrino chiaramente di essere tutti quanti della stessa razza, che non c’è alcuna differenza tra uno schieramento e l’altro; che i deputati della maggioranza il giovedì pomeriggio possono liberamente far festa e abbandonare in massa l’aula parlamentare, tanto la legge finanziaria (o altra) la voteranno quelli della minoranza.

È questa la democrazia! Che i democratici non fingano di scandalizzarsi, e i proletari aprano gli occhi!

trattto da il Partito Comunista N.ro 332

Anticapitaslista
16-05-11, 20:58
Girano le parti nella farsa parlamentare
Rimane l’imbroglio per la classe operaia

Nel marxismo la democrazia è la mistificazione secondo la quale la maggioranza del popolo, chiamato ad esprimere il proprio parere attraverso il voto, avrebbe la facoltà di determinare l’azione politica dei governi che di volta in volta si succedono e i quali non farebbero altro che mettere in pratica l’alternante indirizzo sociale ed economico indicato dalla volontà popolare. Noi marxisti, al contrario, affermiamo che attraverso le libere elezioni il popolo può tutt’al più scegliere la congrega di politicanti che, per un dato numero di anni, gestiranno gli interessi della classe dominante, ossia del Capitale mentre per il proletariato la politica sociale di qualunque governo non sarà che sfruttamento e miseria. Dietro l’apparenza, non è il governo che comanda al capitale ma il capitale che ditta ed informa tutti i governi che si vengono ad avvicendare.

La massa di cittadini che compongono una nazione, per interessi di classe, personali, tradizione di famiglia, solitamente ripartisce le proprie simpatie elettorali in schieramenti politici che appaiono antagonisti. Ma, essendo i programmi di tutti i partiti sostanzialmente identici e negato ogni riferimento di classe, le preferenze elettorali si determinano su basi quanto mai effimere ed estetiche venendo ormai ad assomigliare alle mode o al tifo per la squadra di calcio.

Dietro la inconsistenza delle istituzioni parlamentari si erge la ipertrofia e resistenza della economia e dell’apparato dello Stato borghese. Scrivemmo già nel 1947: «Il regime capitalistico è oggi più pesante nello sfruttamento economico e nella oppressione politica sulle masse che lavorano e su chiunque e qualunque cosa gli traversi la strada (...) Il sistema capitalistico ha più che raddoppiata la sua possanza, concentrata nei grandi mostri statali e nella costruzione in corso del mondiale dominio di classe. Questo è vero, dopo la soppressione totalitaria degli organismi statali di Germania e Giappone. E perfino, e non meno, per lo stesso Stato italiano, battuto, deriso, vassallo, vendibile in ogni direzione, tuttavia attrezzato di polizie e più forcaiolo oggi che sotto Giolitti e Mussolini, più eventualmente forcaiolo se dalle mani di De Gasperi è passato a quelle dei gruppi di sinistra». Quanto preventivato è stato realizzato abbondantemente e oltre, compreso il passaggio dello Stato italiano, al centro e alla periferia, nelle mani dei partiti e delle mafie “rosse”, giustificando ancora una volta il metodo d’indagine marxista. È ormai diventato inevitabile riconoscere che la destra è impersonata dalla sinistra e che il potere democratico è la dittatura della classe borghese.

La schiera di partiti che si sono alternati a mantenere con l’inganno democratico il potere borghese sono ora accusati di aver abusato e pertanto screditato la democrazia, come comprova dal calo degli elettori. Alcuni vorrebbero ripristinarla presentando alle prossime elezioni una lista civica i cui componenti non siano aderenti ad alcun partito ma chiunque siano i protagonisti della maggioranza e dell’opposizione svolgeranno la finzione di partiti distinti, come in America, i cui programmi si equivalgono e la cui somma è un unico partito capitalista, le cui correnti vengono presentate artatamente come due partiti. Affermano di essere contro il partito unico, ma dietro le quinte hanno sempre costruito il partito unico del capitale.

Vediamo ora, nella pratica, il procedere di questo melmoso ondeggiamento di psicologia sociale nell’arco temporale della cosiddetta Seconda Repubblica.

Nell’autunno del 1993 la sinistra (soprattutto il Pds) conquistava le maggiori città italiane: Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Torino, Venezia... Solo a Milano si impose la Lega, nel momento in cui, in quella città, partivano le inchieste giudiziarie che, dopo poco, avrebbero portato alla eliminazione politica dei più grandi e forti partiti del regime democratico. Milano a parte, l’Italia dava l’impressione di voler procedere sicura sul binario di sinistra.

Inaspettatamente le elezioni del 1994 furono vinte dalla coalizione del Polo delle Libertà, formato da un partito inventato lì per lì, quello di Berlusconi, e forze minoritarie, tradizionalmente di destra. Il cuore degli italiani batteva ora a destra? Niente affatto perché l’anno dopo il centrosinistra conquistava la maggioranza delle regioni italiane: 9 su 15 a statuto ordinario. Fin qui si può ravvisare una certa continuità con la tradizione politica repubblicana: Il governo a Roma in mano al centrodestra, gli enti periferici amministrati dal centrosinistra.

Ma nel 1996 è la coalizione dell’Ulivo (composto dai rottami degli storici nemici democristiani e comunisti) a vincere le elezioni politiche. Stavolta però, se la sinistra conquista lo Stato, la destra si impadronisce degli Enti Locali appropriandosi nel 1999 di numerose città medie e grandi e, soprattutto, riuscendo ad espugnare la “rossa” Bologna, da sempre roccaforte dell’opportunismo. Su questa scia l’anno dopo il Polo delle Libertà conquista 10 su 15 regioni a statuto ordinario.

2001, elezioni politiche: l’onda lunga nella palude riconsegna la palma della vittoria a Berlusconi ed alla sua coalizione che, in segno di innovazione, ora si chiama Casa delle Libertà.

Durante il quinquennio di governo Berlusconi la melma piccolo-borghese inverte nuovamente tendenza. Il centro-sinistra (Ulivo e Rifondazione) vivono il loro periodo aureo riappropriandosi di tutta l’amministrazione locale: 15 regioni su 19; 79 province contro le 26 in mano al centro-destra; 396 comuni sopra i 15 mila abitanti contro i 250 della Casa delle Libertà.

Questi fluttuanti vapori, mossi in qua e in là da ben regolate puzzette mediatiche, erano già in fase di inversione quando furono celebrate le elezioni politiche del 2006 ed il centro-sinistra più che una vittoria ottenne un pareggio. Da quel momento la débâcle: nelle elezioni amministrative del 2007 la Casa delle Libertà miete vittorie e dalle mani del centrosinistra vengono strappate Gorizia, Verona, Monza, Alessandria, Asti. E si arriva all’aprile 2008, l’odoroso vento di destra soffia impetuoso e l’effimera ondata si abbatte possente sulle insicure barriere della sinistra, le travolge e risucchia nel suo vortice. Il centro-destra (composto da Partito delle Libertà, Lega Nord e Mpa) ottiene una vittoria schiacciante ed inaspettata: al senato guadagna 174 seggi contro i 132 del centrosinistra (Partito Democratico più Italia dei Valori); alla Camera dei deputati del centrodestra sono 344 seggi contro 246 del centrosinistra e 36 dell’Unione di Centro. Il centro-destra ha quindi occupato la maggioranza assoluta degli scranni in entrambi i rami del parlamento, mentre la Sinistra Arcobaleno (Rifondazione Comunista, Pdci e Verdi) è stata spazzata via dalla compagine parlamentare.

Se però andiamo a vedere i consensi conseguiti dai singoli partiti balza agli occhi che vincitore dell’ultima “Isola dei Famosi” elettorale non è stato Berlusconi, ma Bossi. La vittoria del leghismo rappresenta la classica risposta piccolo borghese nei momenti di crisi, con la sua viltà e le sue paure, cosciente della propria impotenza, della incapacità di avere un programma ed una visione autonoma, di poter prospettarsi una via d’uscita dalla crisi che la minaccia. L’unica difesa che il piccolo borghese riesce a concepire è quella di rinchiudersi in se stesso, di barricarsi in casa; tutti gli altri sono solo dei nemici dai quali guardarsi, dai rumeni ai romani. Il medesimo significato può essere attribuito all’avanzata attuale dell’astensionismo, che è aumentato di ben 1.700.000 unità solo rispetto al 2006.

Ma tutto questo rappresenta ad un tempo la vittoria e la sconfitta dell’opportunismo pseudo-comunista. La loro vittoria perché giunge a compimento quel ciclo controrivoluzionario del quale sono stati espressione e strumenti: hanno realizzato il loro scopo, far smarrire ai proletari la coscienza di appartenere ad una classe distinta dal popolo e con interessi antagonisti agli interessi nazionali. Ma nello stesso tempo la loro sconfitta perché, a questo stadio della degenerazione parlamentare i falsi partiti comunisti sembrano non avere più ragione di esistere. La sola cosa degna di nota di queste ultime elezioni politiche quindi non è stata l’avanzata del centro-destra, ma la disonorevole disfatta di quell’opportunismo che aveva aderito in maniera totale alla democrazia borghese ed ai suoi sistemi, primo tra tutti la collaborazione di classe.

In termini quantitativi la vergognosa sconfitta degli pseudo-comunisti è innegabile, tanto che per la prima volta nel parlamento italiano – pre- e post-fascista – viene azzerata la rappresentanza socialista e nazional-comunista. L’elettorato, interclassista, della “sinistra radicale” si è sciolto e confuso nella melma ondeggiante, tant’è che parte di quelli che erano suoi votanti sono andati a finire nella Lega Nord.

Non è bastato che alla vigilia delle elezioni i bonzi Bertinotti e Diliberto rispolverassero perfino timidi riferimenti alla lotta di classe: chi poteva credere loro quando avevano condiviso tutti i provvedimenti del governo Prodi tesi a colpire la classe operaia? Ed è stato inutile cercare di camuffare la collaborazione presentandola come lealtà al governo di centrosinistra. Che differenza c’è allora nel votare Bertinotti o Bossi? Quindi è stato votato Bossi. E Bertinotti? Come i topi che sono i primi ad abbandonare la nave che affonda, si è subito dimesso e ha tagliato la corda. Bella coerenza comunista!

Da più di mezzo secolo tutta l’attività dei nazional-comunisti è stata orientata esclusivamente in direzione di Montecitorio, tutte le energie del partito venivano assorbite dall’elettoralismo, nell’obbiettivo di raggiungere il traguardo della “metà più uno” e l’arma della difesa e del riscatto proletario è stata individuata nella scheda. La borghesia non temeva né il Pci di ortodossia staliniana, né poi i suoi epigoni in sedicesimo, li aveva accolti a pieno titolo nel suo ordine democratico certa che, con loro al suo fianco, meglio avrebbe trattenuto il movimento operaio.

Nel divenire di questo processo, più la borghesia si è mostrata insofferente e ha teso a liberarsi dell’impaccio del vaniloquio parlamentare, più ha cercato e cerca di rafforzare l’esecutivo sul potere legislativo e giudiziario, più i sedicenti comunisti si sono dimostrati intossicati da quella malattia che Engels e Marx diagnosticarono già nel 1848 con il nome di cretinismo parlamentare.

Oggi la sconfitta dell’opportunismo post-stalinista non rappresenta una vittoria del proletariato, nemmeno di quel proletariato che si è astenuto dal voto. Non si tratta certo di una astensione rivoluzionaria, che non può essere tale non essendosi ancora il proletariato riappropriato della propria coscienza di classe, cosa che avverrà solo ricongiungendosi con il suo partito comunista marxista.

Detto questo noi ugualmente salutiamo la sconfitta della “sinistra radicale” che è una sconfitta di tutta quanta la democrazia e della stessa classe dominante per la quale è necessaria l’esistenza di un partito operaio che abbia la funzione e la capacità di controllare il proletariato e di distoglierlo dal suo naturale sbocco rivoluzionario. La sconfitta dell’opportunismo, se per ora non è stata una vittoria nostra lo potrà diventare a patto che serva a sgombrare il campo dalle sirene della democrazia ed a preparare la ripresa dell’azione diretta, di classe e rivoluzionaria da parte del proletariato. Il suo partito, il partito unico della rivoluzione comunista, rifiuta fin da ora ogni politicantismo dichiarandosi apertamente anti-democratico ed anti-parlamentare.

Anticapitaslista
18-05-11, 17:21
Riapre il baraccone elettorale
della qual cosa nulla riguarda la classe operaia


Il prematuro decesso della XIV legislatura repubblicana ha rimesso in moto il ben oliato meccanismo delle elezioni a cui i pretesi nuovi partiti parteciperanno chiedendo all’elettorato il voto per potersi spartire maggioranze e poltrone governative. Il proletariato, in tempi in cui accusa maggiormente i colpi della crisi economica (caro-vita, mancato rinnovo dei contratti, lavoro precario e disoccupazione), adesso viene bombardato dallo sciocchezzaio elettorale.

Oggi nell’agenda politica tornano anche temi operai come il salario, ma l’interesse dei vari Veltroni e Montezemolo è mantenere il controllo di una classe che, sebbene in difficile difensiva da lunghi decenni, è naturalmente portata alla lotta. In questo senso, se l’aumento degli orari, i bassi salari, il lavoro precario, la disoccupazione e l’immiserimento costituiscono un evidente vantaggio economico per i capitalisti, sono anche un pericolo che va “gestito”, e non solo per la riduzione del mercato interno, ma sotto il profilo sociale, sindacale e politico.

Sebbene il sistema parlamentare italiano sia trapassato dalla cosiddetta Prima Repubblica (“catto-social-comunista”, cioè della Dc, del Pci e del Psi) ad una Seconda (quella di Forza Italia e dei Ds), i mali della sovrastruttura politica non sono stati sanati e, potenza imperialistica di seconda tacca, continua a risentire dei suoi ritardi e inadeguatezze, dando teatro alle bande di politicanti che gozzovigliano nelle sale del Palazzo.

Non stupisce che, in tanto sfacelo e fallimento “dall’interno” del metodo democratico, torni ben visibile il modulo corporativo, con un ruolo attivo nella definizione della crisi recitato dalla Confindustria, “scesa in campo” tanto da partecipare alle consultazioni al Quirinale e a spendersi attivamente per la soluzione delle “riforme” e di un governo “di salute pubblica”. Apertamente in nome della classe borghese.

Stavolta il “casus belli” della crisi starebbe nell’abbandono della maggioranza parlamentare da parte del micro-partito post-democristiano dell’Udeur. Ma in realtà si cerca ancora una volta di ridurre i costi della politica, esorbitanti e fuori controllo, con una “razionalizzazione” del “sistema dei partiti” e con il varo di due “organizzazioni” nuove di pacco: il Partito Democratico e il Popolo della Libertà.

Si intende compensare la imbarazzante identità dei loro programmi con la formazione “a sinistra” del calderone informe dell’Arcobaleno. Evidentemente, per chi cura la regìa di queste gestazioni, che anche in Italia i tempi sono maturi per il distacco dalle ultime ombre del comunismo, impersonate da Rifondazione e Comunisti Italiani. Non solo ci si affanna a rinnegare il comunismo nei simboli e nel nome ma si decampa anche dal terreno di classe e si nega che possa darsi una qualunque espressione politica della classe operaia. Ma della “parola” comunismo non si libereranno mai.

Il tradimento del partito del comunismo non è però fatto recente né che ha qualcosa a che vedere con i “comunisti” attuali. Lo smantellamento del partito comunista iniziò nel 1926, con svolte sempre più conciliatorie nella tattica verso i partiti della sinistra borghese, fino a quel “Partito Nuovo” imposto dallo stalinismo in Italia per desautorare la direzione del Partito Comunista d’Italia, fino ad allora in mano alla Sinistra Comunista, di cui il nostro Partito è continuatore.

Una vera controrivoluzione vinse allora il partito, nel nome del socialismo in un solo paese e del capitalismo di Stato in Russia e del tradimento della rivoluzione internazionale. Da allora, l’operato del Pci è stato non più comunista ma asservito allo Stato capitalista italiano e agli imperialismi dell’Est e dell’Ovest. Con la “svolta di Salerno” nel 1943 il Pci si fece parte attiva nella ricostruzione istituzionale post-fascista e democratica dello Stato. Il ruolo di fedele oppositore democratico è stato allora e poi politicamente fruttuoso: si indicavano alle masse operaie falsi bersagli, per distrarle dal vero loro programma comunista, che alle Botteghe Oscure aborrivano.

Man mano che la rivoluzione russa del 1917 trapassava in ordinario capitalismo e diventava un ricordo lontano alle nuove generazioni, l’opportunismo, per far dimenticare alla classe anche il concetto stesso di un suo partito e del suo esclusivo programma antiborghese, per “aggiornarsi ai tempi” passava a continue nuove svolte, fino alla Bolognina nel 1991 e alla nascita del Pds, poi Ds e infine alla fusione “a freddo” con i “cattolici di sinistra” della Margherita nel 2007.

Questo l’infame precipizio storico dello stalinismo in Italia: al carrozzone Pci-Pds-Ds-Pd, e al sindacalismo di regime, la borghesia ha affidato il controllo ideologico ed organizzativo dei proletari e delle fasce inferiori della piccola borghesia, per raffrenarne le rivendicazioni e per prevenire ogni ricostruzione del vero partito del comunismo.

Il marxismo scoprì che anche in regime della più perfetta democrazia vige la dittatura di classe, della borghesia sul proletariato. Di più oggi, nella fase imperialistica, la forma politica democratica è solo una maschera posta davanti allo incondizionato potere del capitale. Dei partiti lo Stato ne fa a meno, dato che le decisioni di governo vengono prese nelle istituzioni finanziarie e industriali, quando non provengono da determinazioni internazionali. I partiti della repubblica, compresi quelli “di sinistra”, progressisti, democratici, socialdemocratici o ex-stalinisti, sono ormai solo agenzie statali e bande affaristiche e parassitarie la cui unica residua positiva funzione è far chiasso. Il fascismo fu l’approdo naturale della politica alle evoluzioni del capitalismo e, sebbene sconfitto militarmente dagli Stati che si dicevano democratici, è stato adottato anche dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale e si impone a scala planetaria. Vittoria così totale che, nei paesi più ricchi, ha potuto anche dotarsi di un innocuo simulacro di “democrazia” per camuffare la sua dittatura. Dove ha potuto coinvolgere alcuni strati sociali nella corruzione con un certo allargamento dei consumi, poteva meglio confondere la classe operaia, facendole perdere la coscienza di classe per sé e allontanarla dalla rivoluzione. In questo senso lo stesso Lenin parlava della democrazia come il miglior “involucro” del capitalismo.

Quindi, la risposta comunista da dare all’ennesima chiamata alle urne non può essere che l’astensionismo!

Proletari, non fatevi ingannare! Di fronte alla triviale vacuità del parlamentarismo, la vera riorganizzazione politica delle classe operaia può avvenire solo nel suo partito, rivoluzionario ed internazionale, nel solco della tradizione e del programma comunista!

Partito Comunista Internazionale
tratto da il Partito Comunista 327

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (http://www.international-communist-party.org/ItalianPublications.htm)

Anticapitaslista
25-05-11, 16:27
Volantino del 2008.

O preparazione rivoluzionaria
O preparazione elettorale

Lavoratori, Compagni!

È clamorosamente fallita la pretesa di poter trasformare per via riformista e graduale il capitalismo, che ormai minaccia da vicino anche le condizioni base dell’esistenza dei lavoratori.

L’impennata dei prezzi degli alimenti ha già causato delle vere rivolte in Egitto, Haiti, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso e altrove mentre in Pakistan e Tailandia i governi hanno inviato l’esercito a presidiare i magazzini. Spesso le rivolte sono state precedute da dure lotte operaie e scioperi ve ne sono giornalmente in tutto il mondo, dai lavoratori della GM negli Stati Uniti alla Renault in Romania, dai siderurgici in Germania alla Ford di Pietroburgo, dai trasporti in Francia, Germania, Svizzera ai portuali di Tuzla in Turchia, dai lavoratori della Nike in Vietnam alle fabbriche di zucchero in Iran... In Italia questo aprile gli operai di Pomigliano e dell’Ilva di Genova hanno bloccato la produzione e i padroni hanno chiamato le forze dell’ordine a caricare gli operai. Lo scontro capitale salario è sempre vivo, benché nascosto dalla propaganda borghese.

Lavoratori, compagni,

Più di un secolo è trascorso da quando il movimento operaio dichiarò il 1° Maggio giornata internazionale di lotta dei lavoratori: dalle officine, dai luoghi di lavoro le energie proletarie tendevano all’unione del proletariato mondiale. Nel frattempo, la storia ha fatto il suo corso smentendo le ideologie dei movimenti falsamente operai e riproponendo in tutta la sua attualità il significato originario del 1° Maggio: Proletari di tutti i paesi unitevi!

L’illusione di un lento e graduale sviluppo verso il socialismo attraverso le schede elettorali e le riforme è affogata nel sangue di due guerre mondiali e, oggi, nella bancarotta internazionale del capitalismo che, sotto i colpi della crisi di sovrapproduzione, forse la peggiore dal 1929, si dimostra incapace di impiegare e alimentare una parte crescente della forza lavoro, determinando il flagello del precariato, della sotto-occupazione e della disoccupazione di massa.

Quanto la crisi economica passa velocemente dai vecchi capitalismi ai nuovi di Cina ed India, altrettanto la miseria dai paesi poveri sta debordando sui proletari dell’Occidente cosiddetto ricco, in realtà ricco solo di corruzione, ed inganni per i lavoratori.

Il progressivo e difforme collasso delle economie e dei mercati delle merci e dei capitali, determina la distruzione della vecchia sistemazione imperialista, in un processo che porterà inevitabilmente il capitalismo alla guerra. Gli imperialismi stanno già preparando le alleanze in vista di un futuro scontro mondiale, come dimostra l’aumento vorticoso delle spese militari. I conflitti nel vicino e medio Oriente, che dicevano doversi risolvere in breve, sono invece ad un punto di non ritorno. Solo il proletariato mondiale, mobilitato unito e guidato dal suo partito storico, potrà fermare questo ineluttabile cammino del capitalismo trasformando la guerra imperialista in guerra di classe.

Novant’anni fa la rivoluzione d’Ottobre aveva spazzato via, oltre alla guerra mondiale, sperammo per sempre tutte le menzogne e tutti gli istituti della democrazia rappresentativa, dando luminosa conferma storica che lo Stato non si conquista dall’interno, ma lo si distrugge per erigere sulle sue rovine la dittatura proletaria, negatrice di ogni libertà politica alla classe sfruttatrice.

Oggi che la democrazia è ancora presentata come un sistema di governo al di sopra delle classi, il parlamento come un organismo eterno e lo Stato borghese come una struttura capace di accogliere un’autentica rappresentanza delle forze della classe proletaria, occorre ricordare le parole di Lenin del 1919: «Il Parlamento borghese, sia pure il più democratico della repubblica più democratica nella quale permanga la proprietà dei capitalisti e il loro potere, è la macchina di cui un pugno di sfruttatori si serve per schiacciare milioni di lavoratori».

Nel 1920 l’Internazionale Comunista dettò il motto scolpito col sangue di troppi militanti operai caduti ingannati sul fronte della guerra di classe contro la borghesia: «Il comunismo nega il parlamentarismo come forma del futuro ordine sociale. Lo nega come forma della dittatura di classe del proletariato. Nega la possibilità di una duratura conquista del parlamento; si pone il compito di distruggere il parlamentarismo». Al contrario, per i partiti del tradimento proletario, il parlamento non solo non è da distruggere, è da tenere in piedi, caso mai crollasse, con le forze dei lavoratori e, se occorre, con il loro sangue. Per costoro la democrazia non solo non è più una menzogna da denunciare, ma un “bene” da proteggere. La via che essi additano ai proletari non è quella della conquista rivoluzionaria del potere, ma del gradualismo riformista, nazionale e patriottico, genuflessi di fronte a quel museo degli orrori che è Montecitorio.

Nel moderno periodo dell’imperialismo finanziario, successivo alla Prima Guerra mondiale, le circostanze storiche hanno portato lo Stato ad evolvere nel senso totalitario e fascista, e tutte le forze politiche del capitalismo, comprese quelle “democratiche”, hanno favorito e attivamente concorso a questo sbocco. I comunisti – che non sono democratici – fin dal 1919 avversano apertamente la partecipazione alle elezioni per parlamenti, consigli e costituenti borghesi. Non lo fanno alla maniera anarchica o qualunquista piccolo-borghese, ma perché ritengono che in questi organismi non sia più possibile fare opera rivoluzionaria e credono che l’azione e la preparazione elettorale sono un ostacolo alla formazione nelle classi lavoratrici della coscienza protesa verso l’instaurazione della dittatura del proletariato e il comunismo.

I risultati elettorali non misurano la forza delle classi, che non è determinata dalle schede ma dalla reale capacità di organizzazione e di mobilitazione operaia, in opposizione al padronato e a tutta la classe borghese.

Lavoratori, Compagni!

In Italia, in queste ultime elezioni del 14 aprile, il dimagrimento elettorale del Partito Democratico e l’annientamento parlamentare dalla Sinistra Arcobaleno non è stata una sconfitta per il movimento operaio. I lavoratori avevano già perso, qualunque fosse il risultato delle urne: hanno perso quando non hanno potuto opporsi con un fronte generale di lotta all’attacco del Capitale alle loro condizioni di vita e di lavoro, all’aumento dello sfruttamento, alla diminuzione di salari e pensioni, ai licenziamenti. I sedicenti partiti di sinistra, anche se da diverse posizioni, si sono rifiutati e si rifiutano di organizzare la lotta operaia, per puntare, come loro tradizione collaborazionista, sul gioco elettorale. Ma è proprio con l’assoggettamento del proletariato a questo gioco, alle regole democratiche, che la borghesia raggiunge il culmine del suo potere, che è sempre dittatoriale dietro la sceneggiata della colluttazione fra partiti di destra e di sinistra.

La vittoria del fronte di destra non significa quindi una svolta particolare della politica del regime, ma è la continuazione di quella azione anti-operaia in atto da decenni, e intensificata in ultimo dal governo Prodi, con il concorso diretto di Rifondazione e della cosiddetta ‘Sinistra radicale’, e che, in politica estera, porta i nomi di riarmo e guerre sempre più estese e senza fine e, in politica interna, riforma dello Stato sociale, delle pensioni, del lavoro, dei salari. Ossia, in termini non ambigui: riduzione dei salari (diretto e differito), aumento dell’orario, maggiore libertà di licenziamento. Ogni governo che segua queste strade, si dichiari di ‘destra’ o di ‘sinistra’, riceverà l’appoggio della Confindustria e la benedizione della Chiesa.

La stessa enfasi posta sul successo elettorale leghista serve a confondere i proletari. Il tentativo di sottomettere i lavoratori alle nevrosi della piccola borghesia artigiana e bottegaia del Nord, e in realtà alla grande borghesia industriale e finanziaria che regge le file dello Stato di Roma e che in esso ha il suo comitato d’affari generale, è volto ad indebolire ulteriormente la identità della classe lavoratrice, proprio quando sarebbe più urgente un suo rafforzamento per fronteggiare il pesante attacco padronale. Dalla Lega a Rifondazione tutti sono allineati in un unico fronte antiproletario.

Con buona pace di Montezemolo, i sindacati di marca tricolore, continuatori dello spirito concertativo del sindacalismo fascista, sono oggi giunti alla tappa conclusiva del loro processo di inserimento all’interno del regime capitalista, divenendo a tutti gli effetti suoi organi di controllo e di repressione della lotta di classe.

Nell’immediato dopoguerra si adoperarono perché il proletariato si sottomettesse alle condizioni di miseria e di fame imposte dalla ricostruzione dell’apparato produttivo nazionale sotto il pretesto di un riconquistato regime ‘democratico e antifascista’, che non sarebbe stato più espressione degli interessi delle classi padronali e possidenti.

Nella successiva fase di ripresa economica si impegnarono a tenere sotto controllo le lotte rivendicative e a deviarle nell’illusione di riforme del sistema capitalistico e del “potere in fabbrica”, acconsentendo alla politica dei partiti staliniano e socialdemocratici che indicavano nell’alleanza con i ceti medi e il successo elettorale la “via nazionale” per la scalata al potere delle classi lavoratrici, in realtà smantellando l’idea stessa della necessità del partito, della lotta e del sindacato classista.

In seguito alla ricaduta del capitalismo nella crisi economica e nella recessione, alla metà degli anni ’70 veniva varata la “politica dei sacrifici” e della “solidarietà nazionale”. In nome dell’economia, della produttività e della competitività sui mercati del capitale nazionale bisognava rinunciare alla difesa del salario falcidiato dall’inflazione, accettare ritmi e orari più pesanti in fabbrica, cassa integrazione e licenziamenti. Tappe successive sono state l’abolizione della scala mobile (1985), l’eliminazione dell’aggancio delle pensioni alla massa salariale e dei salari all’inflazione programmata anziché a quella reale (1992), il taglio delle pensioni con il passaggio al sistema contributivo (1995), l’introduzione a tappeto di nuove forme di rapporti di lavoro precario (1997)... Fino al protocollo di luglio 2007 su “Previdenza Lavoro e Competitività”.

Nelle parole di Franco Marini, ex-sindacalista nonché ex-presidente del Senato: «Nessuno può disconoscere il ruolo di equilibrio e il comportamento responsabile tenuto in questi anni nell’interesse del paese».

Parallelamente, sul piano politico, anche i falsi partiti operai rinati nel dopoguerra, il PCI e il PSI, dopo aver condotto la classe a chinare la testa, rinunciare a se stessa e sottomettersi allo Stato, hanno finito per gettare la maschera e, in una serie di scissioni e contorcimenti, si sono liberati anche formalmente di una scomoda tradizione e dei simboli e omologati pienamente a tutti gli altri partiti borghesi concorrenti alle poltrone di governo e ad infinite ruberie. Compito dei comunisti, oggi, non può essere che quello di denunciare apertamente tutti questi camaleonti, siano essi bianchi, verdi, neri o, peggio ancora, travestiti di rosso.

È tempo che la classe lavoratrice si opponga a tutti questi! Principale vittima del capitalismo, tanto in pace quanto in guerra, essa deve separare le sue speranze e le sue azioni dalle istituzioni della morente società del capitale. Il futuro dei lavoratori va ricercato nel passato del loro movimento: nella contrapposizione frontale al padronato per la difesa dei salari e del lavoro secondo la tradizione del sindacalismo rosso di classe. Questo inquadra nella lotta tutti i salariati indipendentemente dalle simpatie politiche, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, superando le divisioni fomentate dal regime borghese (pubblici e privati, giovani e vecchi, precari e garantiti, occupati e disoccupati, indigeni e immigrati...). Rifiuta per principio ogni tentativo di sottomettere la lotta operaia alle compatibilità del capitale, come i codici di autoregolamentazione, la registrazione dei sindacati, il riconoscimento della rappresentatività, il voto segreto, la riscossione per delega dei contributi sindacali ed anche i cosiddetti “diritti sindacali” come i distacchi e le riunioni in orario di lavoro, quasi sempre forme di corruzione, intimidazione e ricatto. Per il sindacato di classe è indispensabile una organizzazione territoriale esterna ai luoghi di lavoro, nella tradizione delle Camere del lavoro, dove possano regolarmente incontrarsi le rappresentanze di fabbrica e i singoli lavoratori dispersi in piccole unità produttive per rafforzare e coordinare le iniziative. Il sindacato di classe non si fa carico di nessuna difesa dell’economia nazionale dello Stato borghese, ma si attesta sulla difesa intransigente della classe operaia.

Stracciare la scheda elettorale costa poco. Invece costa molto lavorare per il ritorno ai princìpi secolari del marxismo rivoluzionario, ma è il prezzo che si deve pagare per vincere, perché senza princìpi non c’è vita per la classe ma solo sbandamento e sottomissione ai princìpi del nemico. Né c’è possibilità di emancipazione senza l’incontro della classe con il suo partito, espressione militante del programma storico del comunismo.

Il Partito Comunista, n. 328, marzo-aprile 2008 (http://www.international-communist-party.org/Partito/Parti328.htm#Pagina%201)