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03-07-11, 21:14
Il compagno Benito Mussolini

Discorso del Compagno Benito Mussolini Post #1 di 2

"Partito Socialista Italiano
XIII Congresso Nazionale - Reggio Emilia, 8 luglio 1912

Intervento di Benito Mussolini

Presidente GREGORIO AGNINI: - Ha facoltà di parlare il compagno Mussolini.


MUSSOLINI (Applausi): - Permettetemi di cominciare con una dichiarazione personale. Si è detto da molti giornali e molti compagni forse lo hanno creduto, che io avrei presentato e sostenuto una specie di pregiudiziale. Questa non è mai stata nelle mie intenzioni e c’è qualcuno qui che può rendermene fede. La mia discussione sulla relazione del Gruppo Parlamentare e sull’operato di taluni membri del gruppo stesso doveva farsi e la faccio al terzo comma dell’ordine del giorno senza inversioni o anticipazioni.

Io mi sono qualche volta domandato – così per curiosità intellettuale – le ragioni dello scarso successo della propaganda astensionistica in Italia. L’Italia è, certo, la nazione in cui il cretinismo parlamentare – quella tal malattia così acutamente diagnosticata da Marx – ha raggiunto le forme più gravi e mortificanti. Si vede che siamo un popolo “politico” da tanto tempo che per quante disillusioni si provino, torniamo sempre ai vecchi peccati.

Il parlamentarismo italiano è già esaurito. Ne volete la prova? Il suffragio quasi universale largito da Giovanni Giolitti è un abile tentativo fatto allo scopo di dare ancora un qualsiasi contenuto, un altro periodo di “funzionalità” al parlamentarismo.

Il parlamentarismo non è necessario assolutamente al socialismo in quanto che si può concepire e si è concepito un socialismo anti-parlamentare o a-parlamentare, ma è necessario invece alla borghesia per giustificare e perpetuare il suo dominio politico. Tutte le nazioni moderne a regime più o meno democratico-rappresentativo ci offrono lo spettacolo di una borghesia travagliata e stimolata dal bisogno di rinnovare i suoi istituti politici per evitare od allontanare la precoce imminente vecchiaia che li logora. Il Parlamento Francese vota la rappresentanza proporzionale perché il suffragio universale ha già esaurito la sua funzione trasformatrice; la Camera italiana vota il suffragio giolittiano per vivificare l’istituto parlamentare – anello di congiunzione fra governo e popolo.

La decadenza innegabile del parlamentarismo italiano ci spiega perché tutte le frazioni parlamentari – dalle scarlatte alle nere – abbiano votato compatte per l’allargamento del voto. È il sacco d’ossigeno che prolunga la vita all’agonizzante. Per queste ragioni io ho un concetto assolutamente negativo del valore del suffragio universale, mentre per i riformisti il suffragio universale ha un valore positivo. L’uso del suffragio universale deve dimostrare al proletariato che neanche quella è l’arma che gli basta per conquistare la sua emancipazione integrale.

La borghesia come deve compiere il suo ciclo economico, così deve percorrere intera la sua parabola politica – realizzare cioè tutti i desideri delle democrazie – fino al giorno in cui scomparendo la possibilità di ulteriori trasformazioni dei suoi istituti politici, un altro problema, il problema fondamentale, quello della “giustizia nel campo economico” dovrà essere risolto e la soluzione non potrà essere che socialistica: il passaggio alle collettività operaie dei mezzi di produzione e di scambio.

L’utilità del suffragio universale è, dunque – dal punto di vista socialistico – negativa: da una parte esso affretta l’evoluzione democratica dei regimi politici borghesi, dall’altra esso dimostra al proletariato la necessità di non rinunciare ad altri metodi più efficaci di lotta. (Commenti).


UNA VOCE: - È grossa.


MUSSOLINI: - No è marxista.

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03-07-11, 21:16
La relazione del gruppo parlamentare socialista è una così scheletrica e povera cosa, che non vale la pena di discuterla. Come discutere l’operato di un gruppo di 40 deputati che si presenta al Congresso con due o tre paginette di prosa sbiadita e niente altro?! E tutto questo è il documento della sua vitalità, del suo interessamento per la causa del proletariato? Se questo documento dovesse dirci qualche cosa sull’opera dei deputati socialisti noi dovremmo trarne delle ben tristi constatazioni. Badate che non voglio fare il piccolo processo agli uomini. Non possiamo, non dobbiamo fare un processo di dettaglio. Però permettete che, nella relazione, io rilevi alcune frasi.

Si giuoca a scarica barili. Il gruppo non funziona? La colpa è del partito. I deputati aspettano l’ossigeno dal partito, e viceversa il partito dà la colpa al gruppo. Ora questo giuoco deve finire. A nulla gioverebbe, dicono i relatori, limitare l’autonomia del gruppo. Io la voglio invece sopprime. Il gruppo non deve avere che una sola autonomia: l’autonomia tecnica, ma l’autonomia politica non la deve avere, non bisogna concedergliela (Bene). Bisogna che i deputati escano da questo equivoco.

Rappresentano il partito, o la massa elettorale? Rappresentano le Sezioni Socialiste che hanno lanciato e sostenuto la candidatura o il gregge anonimo e caotico dei votanti? Ebbene, se rappresentate, se siete dei deputati socialisti in quanto la vostra candidatura è stata lanciata dalle Sezioni, dovete essere sottoposti al controllo del Partito. La vostra autonomia politica deve essere soppressa. Vi si potrà lasciare un’autonomia tecnica, ma l’autonomia politica non più. I deputati devono ubbidire alla Direzione. Si troverà modo di rendere le sezioni più spedite ed omogenee, più pronte e meno sorde a tutte le chiamate della Direzione, ma l’autonomia del gruppo è altamente pericolosa e lo abbiamo visto.

Del resto questa relazione conferma le nostre critiche. Si riassume in queste parole: non abbiamo fatto niente. Addita talune cause che non riteniamo plausibili ed aggiunge che il Congresso non dovrà segnare condanna od esclusione di alcuno.

Ci sono dei fatti gravissimi nell’ultimo periodo di storia parlamentare. Questa mattina avete applaudito freneticamente all’ungherese e si capisce. Là i deputati semplicemente liberali hanno fatto un’opposizione a Tisza che noi non sogneremmo neppure in questa Italia.


(Applausi) Una voce interrompe (Rumori, invettive, tumulto).


MUSSOLINI: - Egregio amico, spero che mi conoscerete.


La stessa voce interrompe di nuovo (rumori)


PRESIDENTE: - Siano congressisti o del pubblico prego di non interromper l’oratore. Nel caso chiedano di parlare.


MUSSOLINI: - Ma lasciando da parte gli atti compiuti da singoli deputati – e potremmo citare lo scandaloso discorso del Cabrini sul Calendario degli emigranti, il voto di Graziadei, unico in tutta l’Estrema Sinistra, favorevole al mantenimento del giuramento politico – vi sono nella recentissima cronaca parlamentare episodi che non possiamo non segnalare come gli indici della degenerazione politica e socialista cui è pervenuto il Gruppo di uomini che nel Parlamento italiano rappresentano il nostro partito.

Ricordo la famosa seduta in cui la Camera ratificò il regio decreto d’annessione. C’è stato un uomo in quella giornata che è rimasto al suo posto, che ha resistito alle violenze verbali ed idiote della maggioranza e costui è Filippo Turati. Ma i suoi colleghi socialisti lo hanno sostenuto come conveniva? No. C’è stata una opposizione a base di insulti e di ciarle come avviene in tutte le piccole scaramucce parlamentari, ma in quella seduta l’estrema sinistra doveva avere il coraggio di sabotare la manifestazione nazionalista (Applausi vivissimi). Non doveva lasciare solo il Turati, doveva insorgere, portare nel Parlamento italiano i metodi dei liberali del Parlamento ungherese e l’opposizione socialista, se non maggiore efficacia, avrebbe certo assunto una più aperta e recisa significazione, suscitando più vasto cerchio di consentimenti e di simpatie in mezzo al proletariato che – lo si voglia o no – detesta la guerra.

Il governo presenta poi il progetto di legge di nuove spese militari. Si tratta di 60 milioni ed il gruppo parlamentare è assente. E viene un momento in cui la polizia italiana impazza. Due o tre mesi dopo l’attentato di D’Alba si arrestano a casaccio delle persone in tutta Italia. Un Vacca (merita proprio questo nome), ordina degli arresti. Si getta la desolazione in tante famiglie ed il gruppo parlamentare è assente ancora una volta. Sì, c’è stata una protesta di Turati, ma è stata platonica: bisognava insistere bisognava più fortemente criticare, si doveva dire che non è possibile, nel 1912, arrestare dei cittadini sotto l’accusa fantastica di complotto (Applausi vivissimi). Non si doveva limitare la protesta per gli arresti al solo Di Blasio, perché è un avvocato, un letterato. No la protesta doveva essere per tutti e doveva essere più energica.


TURATI: - No, protestai specialmente per gli anonimi. Dissi che mi preoccupavo poco degli avvocati, che avrebbero trovato difensori, mi preoccupavo degli altri.


MUSSOLINI: - Poi il Ministero Giolitti vara un altro progetto: il Ministero delle Colonie. Dove erano i deputati socialisti?


UNA VOCE: - A Tripoli.


MUSSOLINI: - Un Ministero delle Colonie è concepibile in Francia e in Inghilterra che possiedono veri e propri imperi coloniali, ma in Italia non poteva avere altro scopo che quello di aggiungere un nuovo ingranaggio al madornale macchinismo della burocrazia di Stato.

Assenteismo, indifferenza, inazione, ecco le parole che riassumono l’operato del Gruppo Socialista. Le masse sono state oggi disingannate. Perché nei circoli di campagna dove si crede nel socialismo senza discuterlo, si aveva e si ha ancora una cieca fiducia nei deputati socialisti. Sono i santi che figurano, appesi sui muri, nei quadri allegorici del Nerbini. Si può essere iconoclasti, ma il popolo ama le idee attraverso gli uomini e, forse, ha ragione. I deputati socialisti dovevano essere – nel concetto dell’umile gente – i combattenti inflessibili, come lame di Toledo, dalla vita alla morte. Le delusioni non si contano più. Il popolo che sposa le sue idee, non capisce la disinvoltura morale dei suoi rappresentanti politici: il disgusto per le inversioni e gli esibizionismi degli uomini finisce per inasprire lo scetticismo per le idee.

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03-07-11, 21:18
BIANCHINI UMBERTO: - Vi manderemo 20 Marangoni.


SERRATI: - Li deploreremo come gli altri.


MUSSOLINI: - E volete una prova della nostra rappresentanza parlamentare nell’opinione pubblica? Dieci anni fa, dopo l’ostruzionismo, sarebbe stato possibile ad un Renato Simoni di imbastire la Turlupineide? Voi siete degni della caricatura che sollazza la borghesia. (Applausi).

L’ordine del giorno che vi presento e che non ho ancora finito di illustrare dice: “Il Congresso presa visione della povera, scheletrica relazione del gruppo parlamentare, constata e deplora la inazione politica del gruppo stesso, inazione che ha contribuito a demoralizzare le masse e, riferendosi agli atti specifici dei deputati Bonomi, Bissolati e Cabrini dopo l’attentato del 14 marzo ... delibera di dichiarare espulsi dal partito i deputati Cabrini, Bonomi e Bissolati” (Benissimo, applausi).


UNA VOCE: - E Podrecca? (Rumori).


MUSSOLINI: - Ebbene, la stessa misura colpisca anche Podrecca (Benissimo).


PODRECCA: - E perché? Specificate (Vivi rumori).


MUSSOLINI: - Per i suoi atteggiamenti nazionalisti e guerrafondai.


PODRECCA: - Non ho capito perché. Specificate (Rumori vivissimi. Da un gruppo di congressisti, fra i quali il compagno Serrati partono delle apostrofi all’indirizzo del deputato Podrecca, fra cui si distingue la parola “ciarlatano”. Il deputato Podrecca e molti altri del gruppo di destra rispondono vivacemente. Agitazione, tumulto)


PRESIDENTE: - Facciano silenzio. Non posso permettere che si lanciano parole ed accuse insultanti contro nessuno. Prenderò dei provvedimenti. Espellerò dalla sala chi si permette questo, anzi prego i compagni di denunziare coloro che fanno nascere tali tumulti (Benissimo) Qui si deve liberamente e lealmente discutere della condotta dei compagni nostri, ma nello stesso tempo si deve ad essi il massimo rispetto. (Bravo! Applausi).


MUSSOLINI: - Non ho alcun rancore personale col Podrecca e non conosco neppure i deputati Bonomi e Bissolati.

Il 14 marzo un muratore romano, spara una revolverata contro Vittorio Savoia. C’era un precedente che indicava la linea di condotta per i socialisti. Si era già criticato aspramente lo spettacolo indescrivibile offerto dall’Italia sovversiva dopo l’attentato di Bresci a Monza. C’è un libro, che potete accettare con beneficio d’inventario, del Labriola, la Storia di 10 anni che vi dice come le classi alte dell’Austria Ungheria seppero accogliere con grandissima dignità la notizia della tragica fine di Elisabetta. Si sperava che, dopo dodici anni, non si ripetesse il veramente indescrivibile spettacolo di Camere del Lavoro che espongono la bandiera abbrunata, di municipi socialisti che mandano telegrammi di condoglianze o di congratulazione, di tutta un’Italia democratica e sovversiva che a un dato momento si prosterna dinanzi al Trono. Difficile scindere la questione politica dalla questione d’umanità. Arduo separare l’uomo dal re. Ad evitare equivoci perniciosi, uno solo era il dovere dei socialisti dopo l’attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del mestiere del re (Bravo! Applausi). Perché commuoversi e piangere pel re, “solo” per il re? Perché questa sensibilità isterica, eccessiva, quando si tratta di teste incoronate? Chi è il re? È il cittadino inutile, per definizione. Ci sono dei popoli che hanno mandato a spasso i loro re, quando non hanno voluto premunirsi meglio inviandoli alla ghigliottina e questi popoli sono all’avanguardia del progresso civile. Pei socialisti un attentato è un fatto di cronaca o di storia, secondo i casi. I socialisti non possono associarsi al lutto o alla deprecazione o alla festività monarchica.

Quando Giolitti dà l’annuncio dello scampato pericolo tutti scoppiarono in un applauso giubilante. Si propone un corteo dimostrativo al Quirinale e alcuni deputati socialisti s’imbrancano senz’altro nel gregge clerico-nazionalista-monarchico (Bene). E si va al Quirinale. Non so se sia vero quel dialogo che le cronache hanno riferito. Non c’ero, ma non è stato neppure smentito. Si dice che quella frase oltremodo banale non sia stata pronunziata. Non importa. So che vi è un telegramma: “Pregovi di presentare a Sua Maestà il mio commosso e riverente saluto “. E questo è il Bissolati, il quale, 12 anni fa, gridava: a morte il re (Applausi a sinistra. Rumori sugli altri banchi).


BISSOLATI ED ALTRI: - No. No. Abbasso il re. La destituzione.


MUSSOLINI: - Non c’è una grande differenza tra morte e destituzione. La destituzione è comunque la morte civile (Interruzioni).

E la banalità dei complimenti? Bissolati elogia il coraggio del re, che aveva la carrozza chiusa, Cabrini si sdilinquisce dinanzi la regina e ne riceve una lezione. Tutto questo “patetico” finisce nel buffo. Il senso dell’umanità offesa sbocca fatalmente nella piaggeria melensa, volgare del cortigiano.

Ma l’episodio ha un’altra, più ampia e politica significazione. È una specie di riconciliazione fra monarchismo e riformismo. In Francia taluni sindacalisti s’accostano ai camelots du roi e sono indifferenti dinanzi alla ripresa del bonapartismo. Tanto i riformisti italiani, quanto i sindacalisti puri o soreliani fanno completa astrazione del problema politico.

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03-07-11, 21:19
Non è questo l’unico punto in cui s’incontrano le due concezioni antitetiche del divenire sociale. Ve n’è un altro. Entrambi ritengono inutile il partito, entrambi mirano a sopprimerlo. Giorgio Sorel che copre col suo dileggio le associazioni politiche dominate e utilizzate a scopi elettorali dai professionels de la pensée e ritiene che il passaggio del vecchio al nuovo mondo, dalla civiltà borghese alla civiltà socialistica avverrà per via economica e non per via ideologica, avverrà cioè nella fabbrica e non nel parlamento, collo sciopero generale e non coi provvedimenti di un’assemblea di legiferatori. Giorgio Sorel è molto vicino al Bissolati dal “ramo secco”. Ma il Partito non ha dunque più nessuna funzione da compiere nel seno delle attuali società europee? Questo è il problema che noi risolviamo affermando recisamente l’utilità del Partito (Applausi).

I riformisti non possono astrarre dal problema politico istituzionale. In fondo il loro socialismo è eminentemente politico, anzi parlamentare. Il loro socialismo diviene attraverso allo stillicidio delle “provvidenze “ legislative. Sono i professionali della “riforma “. Il loro socialismo è il resultato finale della progressiva democratizzazione delle istituzioni politiche della società borghese. È la democrazia che sbocca nel socialismo. Questa relazione di continuità fra i principi dell’89 e il socialismo costituisce il leit motif degli Studi socialisti di Jean Jaurès. Il Codice Civile francese contiene disposizioni utilizzabili per la rivoluzione socialista. I riformisti quindi hanno tutto l’interesse di democratizzare rapidamente le istituzioni politiche.

Ma gli atti che accrescono il prestigio della monarchia e tendono a conciliare le simpatie popolari, non solo sono anti-socialisti, ma sono anti-riformisti. Sono anti-socialisti in quanto rendono omaggio al privilegio politico, sono anti-riformisti in quanto consolidano un regime che non può, per la contraddizione, che non consente democratizzarsi fino al perfetto idillio della collaborazione di classe.

Anche noi abbiamo una pregiudiziale politica, ma essa non è sola – è parte invece integrante della nostra più complessa pregiudiziale anti-borghese. Se i socialisti italiani avessero accentuato il carattere anti-monarchico del Partito, il Partito repubblicano che vive di una sola pregiudiziale politica sarebbe stato colpito a morte e l’esodo, cominciato verso il ‘90, dei repubblicani collettivi avrebbe gradualmente condotto tutti gli operai repubblicani nelle file del socialismo.

Ora si dice: non bisogna colpire gli uomini. Ma, egregi amici, e le idee? Noi siamo i malinconici Don Chisciotte dell’idea. Ma l’idea è irreperibile come la Dulcinea del Toboso. Bisogna identificarla l’idea. C’è, in quanto c’è l’uomo che la cerca, che l’esprime, che a questa idea uniforma le sue azioni. Un processo alle idee è eminentemente domenicano, ma un processo agli uomini, in un organismo di battaglia, è un processo logico e umano e ve lo dimostrerò (Bravo!). Noi non abbiamo feticismi personali. Non li abbiamo per i morti, e sarebbe ben strano che li avessimo per i vivi.

Io accuso il Bissolati del 1912 colle parole del Bissolati del 1900. Ex ore tuo, te iudico. Ricordo che nel 1900 l’on. Bissolati ingaggiò una magnifica battaglia contro i boxeurs, mestieranti ribaldi, sbucati dai bassifondi delle redazioni dei giornali moderati e clericali, che si scagliarono sul Partito Socialista, tentando di coinvolgerlo nella responsabilità dell’atto di Bresci. Bissolati si batté splendidamente. Era allora l’”Avanti!” un giornale di polemica, non un giornale mezzo industrializzato come è oggi. Ammetto l’industrialismo come una esigenza del progresso giornalistico moderno, ma il giornale polemico che tempestava a destra e sinistra, contro il quale si appuntavano le collere bestiali degli altri giornali e del Governo, lo leggevamo volentieri.

È noto il caso De Marinis. Tornato da Parigi per partecipare ai funerali di Umberto, il suo atto sollevò aspre censure fra i socialisti napoletani. L’epidermide socialista era allora di una sensibilità squisita. Il caso venne portato al Congresso di Roma. Contro la proposta di sospensiva di ogni giudizio parlò uno degli odierni accusati: il Cabrini, affermando giustamente la competenza del Congresso sovrano a giudicare i rappresentanti del Partito. Il Congresso approvò il deliberato dei socialisti napoletani che indicava la porta al De Marinis e su proposta Labriola-Schiavi venne deciso di deferire alla Sezione di Reggio Emilia l’esame di un altro caso consimile: quello Borciani. Il giudizio del Congresso di Roma suscitò una certa emozione. La stampa borghese denunciò il domenicanismo intollerante della Chiesa Socialista, ma il Bissolati vecchio stile scrisse allora in risposta un articolo magistrale che vi leggo e che oggi costituisce per fatale ironia di eventi, l’atto di accusa più formidabile contro di lui. Eccolo:

«L’accusa contro i socialisti è vecchia quanto balorda. Nel fatto speciale notiamo che, quando fu deliberata la partecipazione della Estrema sinistra per la minoranza degli uffici della Presidenza, il gruppo socialista, designando il De Marinis alla carica di segretario, gli fece intendere (né v’era bisogno) che il suo ufficio doveva essere strettamente parlamentare e non prestarsi mai a significazioni di natura politica (ricordo la frase di Andrea Costa: avevamo mandato De Marinis alla segreteria della Camera, non al Quirinale); che il gruppo socialista aveva deliberato in modo esplicito e unanime l’astensione dalle onoranze; che il discorso detto al Parlamento da Filippo Turati, a nome del gruppo, (ho riletto or ora quel discorso: era veramente socialista, non faceva concessioni alla canea) dava a ciascun socialista la norma precisa da seguire, inutile d’altronde a chi ha il senso di parte: che il De Marinis ciò nonostante partecipò ai funerali di Umberto e a un’altra cerimonia di carattere egualmente monarchico, esercitando atti che passano i limiti della funzione parlamentare commessa ai segretari, contravvenendo alla precisa disposizione adottata dal gruppo socialista e, quel che più importa, contraddicendo ai principi e alle norme direttive del partito socialista.

«Dal fatto particolare risalendo al generale, dobbiamo fare qualche altra osservazione. Il P.S. (e qui viene la parte interessante dell’articolo) non esercita tirannie verso alcuno, per il motivo semplicissimo che non ha uffici di leva. Vogliamo dire che esso costringe nessuno ad entrare nelle sue file. La coscrizione è libera. Noi siamo per il volontariato. Ma quando uno domanda l’onore di partecipare alle nostre lotte, assume volontariamente gli obblighi che incombono ad ogni gregario del socialismo, chiunque egli sia. Chi vuole onori e non oneri, chi non conosce le virtù del dovere, ha sempre fra noi quella grande libertà che non è negli uffici e negli impieghi del governo e della società presente: la libertà di andarsene. È tirannia questa?

«È poi strano che l’accusa stolida ci venga proprio da coloro che più sono amanti di tutte le forme di costrizione, da quelle della caserma alle altre più terribili della compressione violenta della libertà di sciopero e di associazione. Il socialismo non è tirannide, perché i suoi soldati sono volontari, ma è milizia severa, dove i deboli e gli incerti non hanno posto, nemmeno nella ambulanza. La disciplina è la forza degli eserciti e dà la vittoria. L’esercito socialista conta già qualche vittoria, perché ha saputo combattere disciplinato contro un esercito, numerosissimo, ma non compatto. E vuol seguitare a vincere. Perciò, discussioni sui principi, sulle norme, libere e illimitate, ma azione sicura e serrata».

Perciò sono contrario ad un processo contro l’eresia dei destri. Essi possono accusare me di eresia, almeno come si leggeva nell’ultimo numero dell’Azione Socialista; ma noi facciamo il processo, non all’idea, ma a determinati atti che cadono sotto la sanzione del nostro codice e questo codice non lo abbiamo fatto noi. (Applausi)

«Chi non vuole stia fuori (continuava Bissolati). Noi o militaristi che ci accusate, non costringiamo nessuno ad entrare in caserma e ben comprendiamo le vostre accuse. Sono le accuse mosse dall’invidia e dal dispetto, dall’invidia delle nostre forze unite e coscienti, dal dispetto delle nostre vittorie. Se così non fosse, invece di urlare come se avessimo offeso voi, vi compiacereste in un silenzio prudente della nostra poca accortezza per la quale respingiamo da noi una forza, un carattere forte che non si piega».

Non so come si potrà rispondere a questo documento. Sono in attesa del miracolo. Il partito socialista pratica le espulsioni perché è un organismo. C’è la fagocitosi socialista come c’è la fagocitosi fisiologica scoperta da Metukikoff. Se non corriamo sollecitamente alle difese, gli elementi impuri disgregheranno il Partito, allo stesso modo che i germi patogeni introdottisi nella circolazione del sangue, quando i fagociti siano – per vecchiaia – impotenti ad eliminarli finiscono per abbattere l’organismo umano (Applausi).

La misura che con piena coscienza vi propongo non deve sorprendervi. È tempo di dire una parola che stronchi gli equivoci. È tempo di celebrare solennemente con un atto di sincerità quella scissione che è ormai compiuta nelle cose e negli uomini.

Il caso ci ha dato un ottimo precedente e un non meno ottimo insegnamento: il Congresso repubblicano di Ancona. Voi lo avete visto: per avere voluto mantenere l’equivoco, il Partito repubblicano è oramai divenuto uno straccio. Sarà un bene o un male, non so, ma so che c’è la crisi in basso e in alto. La “Ragione”, si dice, è in stato preagonico, nel basso c’è la disgregazione, i circoli si sconfessano l’uno coll’altro e tutto questo perché il Congresso ha votato una mozione sibillina, elastica, duttile, un vero pasticcio, come l’ha definita Pirolini.

Ebbene guardiamoci dall’imitare i nostri avversari, perché noi vogliamo ritornare nelle nostre terre ad alimentare il Partito, nel quale abbiamo una grandissima fiducia, perché crediamo ancora nella sua forza ideale. Noi riteniamo che l’Italia per 50 anni almeno abbia bisogno di un partito socialista forte ed omogeneo, il quale, come ha detto recentemente l’on. Colaianni nel suo ultimo libro: I partiti politici in Italia, ha un compito preciso da assolvere: partecipare, decomporre cioè la caotica e incoerente democrazia italiana urtandola e assaltandola da ogni parte. Ecco perché vogliamo un partito numeroso e compatto. Ecco perché ci presentiamo con una lista di proscrizione.

Voi, deputati accusati aspettate da tempo la nostra esecuzione: per voi significa: liberazione. Sciolti da ogni impaccio formale, e da ogni vincolo morale voi potrete più speditamente proseguire il vostro cammino. In fondo non vi troverete la voragine ardente, ma la scala fiorita del potere. Noi abbiamo un preciso dovere: quello d’abbandonarvi sin d’ora al vostro destino. Bissolati, Cabrini, Bonomi e gli altri aspettanti possono andare al Quirinale, anche al Vaticano, se vogliono, ma il Partito Socialista dichiari che non è disposto a seguirli né oggi, né domani, né mai.

occidentale
03-07-11, 21:20
(Applausi vivissimi e prolungati. Molte congratulazioni).



(Tratto da Resoconto Stenografico del XIII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano – Tipografia dell’”Unione Arti Grafiche” - Città di Castello, 1913). "

occidentale
03-07-11, 21:25
Mussolini, il leader
del socialismo rivoluzionario

Un carattere impetuoso ed un certo disprezzo per l’idea di democrazia caratterizzava già la prima parte della vita politica del futuro statista

di Luciano Atticciati

Mussolini, emigrante in Svizzera e giornalista con un certo talento, si formò sul piano culturale soprattutto attraverso la lettura di Sorel e Pareto. Nel 1911 iniziò la sua attività politica con la contestazione violenta dell’impresa libica. Tale iniziativa nasceva essenzialmente da spirito antimilitarista, ricordiamo a tal proposito che Mussolini in anni recenti si era sottratto agli obblighi di leva ed aveva subito anche una condanna per tale atto. La sua carriera politica conobbe un improvviso successo l’anno successivo, ponendosi come leader della corrente rivoluzionaria del partito socialista. Buona parte di tale successo fu dovuto al linguaggio fortemente emotivo con cui si proponeva, insieme ad un certo realismo che lo spinse a raggiungere intese con altri leader di partito e ad adoperare con una certa spregiudicatezza i programmi politici.

Negli ultimi anni il socialismo aveva conosciuto leader non estremistici, che avevano messo da parte l’idea di una lotta politica violenta e la costituzione di un partito esclusivamente operaio, e accettavano la normale dialettica parlamentare, tuttavia nel panorama politico e culturale infuocato di quegli anni rischiavano di apparire accademici e sbiaditi. In quegli anni si venne formando il gruppo dei sindacalisti rivoluzionari, conosciuti anche come anarco-sindacalisti, che insistevano molto sull’idea dell’azione diretta e sulla costituzione di un movimento autonomo privo di gerarchia. Mussolini sebbene avesse buoni rapporti con tali elementi non si impegnò molto con loro, e diffidava dell’eccessivo libertarismo. L’idea di libertà sicuramente non affascinava il leader romagnolo, che in quegli anni espresse anche una certa insofferenza nei confronti del suffragio universale recentemente approvato. Secondo Renzo De Felice, per Mussolini “la conquista del potere non poteva che essere rivoluzionaria, contro lo stato borghese: il richiamo all’esperienza della Comune, così frequente negli scritti e nei discorsi di Mussolini in quel periodo, è sintomatico, così come il richiamo ai relativi scritti di Marx”. Spesso nei suoi articoli su L’Avanti e le altre riviste della sinistra compare infatti il richiamo al filosofo tedesco, sebbene ovviamente ne intendesse accentuare l’elemento volontaristico.

Il primo atto politico compiuto da Mussolini come leader socialista fu l’espulsione di Bissolati, che aveva in precedenza accettato un incontro con il sovrano, e degli altri elementi riformisti. Il gesto venne ben accolto dal partito sebbene gli esponenti politici, accusati di essere giolittiani e “tripoleggianti”, nel senso di favorevoli all’impresa libica, non avessero commesso nessun atto di rottura verso l’organizzazione politica. Nel congresso di partito tenuto a Reggio Emilia in quell’anno Mussolini affermò: “Il parlamentarismo non è necessario assolutamente al socialismo in quanto che si può concepire e si è concepito un socialismo anti-parlamentare o a-parlamentare, ma è necessario invece alla borghesia per giustificare e perpetuare il suo dominio politico. E’ il sacco d’ossigeno che prolunga la vita dell’agonizzante”.

Mussolini membro della direzione del partito socialista e direttore dell’Avanti, ottenne diversi successi, suscitando un notevole entusiasmo fra i giovani, riportando un consistente aumento dei voti alle elezioni del 1913, le prime a suffragio universale, e raddoppiando le vendite del quotidiano che dirigeva. Negli anni della direzione del giornale si distinse nel sostegno agli scioperi generali a carattere politico contro quelle che erano ritenute le violenze delle forze dell’ordine, a volte scavalcando lo stesso vertice di partito. Mussolini evitò spesso nei suoi scritti di affrontare questioni strettamente ideologiche, in un suo articolo sull’Avanti del 1913 definì comunque con una certa chiarezza la sua linea politica; respingeva le critiche del “riformismo pratico, realizzatore e concretista” che parlava dei rivoluzionari come di “visionari”, e criticò George Sorel per la sua avversione alle organizzazioni politiche e la sua fiducia nella esclusiva azione sindacale. “Il sindacalismo non è stato che l’esagerazione dell’errore di Marx e dei suoi immediati discepoli, consistente nell’attribuire una importanza iperbolica all’Homo oeconomicus, mentre l’uomo non è solo un produttore o un consumatore di beni materiali, ma qualche cosa di più complesso, e di più armonico dotato di bisogni superiori… E’ necessario strappare il socialismo dall’angusto localismo e ridargli degli scrupoli morali. Il nitciano «nulla è vero, tutto è permesso» non può essere la formula dell’attività socialista. L’intransigenza politica è nulla se non è tutt’uno coll’intransigenza morale”.

Il momento di massimo successo venne raggiunto nel Congresso di Ancona del 1914, dove i socialisti riformisti non tentarono nemmeno di contrastare la maggioranza rivoluzionaria, e venne votato l’ordine del giorno Zibordi-Mussolini che prevedeva l’espulsione dei massoni dal partito in quanto ritenuti troppo “borghesi”. Di lì a pochi mesi si ebbe il periodo di agitazioni conosciuto come la Settimana Rossa, che costituì il principale moto di protesta nella vita del nostro paese fino allora, la causa di tale evento, che ebbe un carattere decisamente violento, era da ricercare in alcune azioni di repressione delle forze dell’ordine e in una iniziativa politica antimilitarista che ebbe come epicentro la città d’Ancona. Nei giorni precedenti si erano svolti infatti alcuni processi per questioni relative alla leva, fra i quali uno riguardante un soldato che aveva sparato contro un colonnello. L’iniziativa politica venne sostenuta da tre principali leader, Mussolini, l’anarchico Malatesta, il repubblicano Nenni.

Sulla Settimana Rossa, nel giorno successivo alla sua conclusione, Mussolini scrisse: “Non è stato uno sciopero di difesa ma di offesa. Lo sciopero ha avuto un carattere aggressivo. Le folle che un tempo non osavano nemmeno venire a contatto colla forza pubblica, stavolta hanno saputo resistere e battersi con un impeto non sperato… si sono assaltati i negozi degli armaioli; qua e là hanno fiammeggiato gli incendi e non già delle gabelle come nelle prime rivolte del Mezzogiorno; qua e là si sono invase le chiese… Se – puta caso – invece dell’on. Salandra, ci fosse stato l’on. Bissolati alla Presidenza del Consiglio, noi avremmo cercato che lo sciopero generale di protesta fosse stato ancora più violento e decisamente insurrezionale”.


Nel campo giornalistico il leader romagnolo diede il meglio di sé, i suoi scritti sono chiari, fortemente incisivi, e denotano una intuizione della realtà non comune. Il personaggio sotto questo punto di vista presentava una notevole personalità e originalità, del resto riconosciuta da uomini come Prezzolini e Salvemini. La sua idea del mondo in cui viveva era quella di un mondo caratterizzato da mediocrità e destinato alla rovina. In questo riprendeva molto da Nietzsche: “Il superuomo è un simbolo, è l’esponente di questo periodo angoscioso e tragico di crisi che attraversa la coscienza europea nella ricerca di nuove fonti di piacere, di bellezza, d’ideale. E’ la constatazione della nostra debolezza, ma nel contempo la speranza della nostra redenzione. E’ il tramonto, è l’aurora. E’ soprattutto un inno alla vita, alla vita vissuta con tutte le energie in una tensione continua verso qualche cosa di più alto, di più fine, di più tentatore”. Il movimento che poteva portare ad un grande cambiamento e alla nascita di un nuovo mondo era il socialismo, di esso diede la seguente definizione: “Dopo il cristianesimo possiamo affermare che il socialismo è l’unico movimento universale d’idee. Ha riabilitato l’uomo sostituendo al concetto evangelico della rinuncia il concetto rivoluzionario, alla lotta per la vita l’intesa per la vita; ha demolito la nozione di una «provvidenza» ultramondana, e di un «privilegio» terreno”. Il socialismo comunque poteva apparire anche come una nozione vaga, ovviamente il futuro statista scartava qualsiasi idea di un movimento pacifico, gradualista, che si proponeva alla società nel rispetto delle diverse posizioni. In un suo articolo sull’Avanti parlava dei riformisti come di socialisti alla De Amicis, umanitari e privi di energia, “…il riformismo. Chi ascolta la voce di questo equivoco personaggio, non sarà mai un audace. Non si «supererà» mai. Preferirà la palude alla vetta, il riposo alla marcia, la pace alla guerra”. "

occidentale
03-07-11, 21:36
All'inaugurazione dell'adunata Fascista di Firenze, il 9 Ottobre 1919, Mussolini pronunciò il seguente discorso.



Compagni Fascisti, non so se riuscirò a farvi un discorso molto ordinato perché non ho avuto modo, secondo la mia abitudine, di prepararlo. Un discorso Fascista io mi ripromettevo di pronunciare domani mattina per una ragione mia personale che vi può anche interessare e che mi dava diritto a chiedervi qualche ora di riposo.

Anche io ho fatto una piccola beffa a Sua Indecenza Nitti (Grida di: Abbasso Nitti! Abbasso Cagoia!). Sono partito da Novi Ligure sopra uno SVA insieme ad un magnifico pilota. Abbiamo attraversato l'Adriatico e siamo discesi a Fiume. D'Annunzio ci ha accolti molto festosamente, perché ha bisogno di aviatori e di apparecchi. Ieri mattina al ritorno siamo stati colti da una bufera di "bora" sull'altipiano istriano. Abbiamo perciò dovuto deviare dalla rotta e siamo atterrati ad Aiello. A Fiume ho vissuto quello che D'Annunzio giustamente chiama:" Un atmosfera di miracolo e di prodigio." Vi porto intanto il suo saluto. Egli si riprometteva di scrivere un messaggio apposta per la nostra adunata. (Applausi e grida di: Viva Fiume).

Il mio arrivo a Fiume ha coinciso con la cattura del piroscafo Persia, per cui tanto si era agitato il capitano Giulietti della Federazione del Mare.

La situazione di Fiume è ottima, sotto tutti gli aspetti. Vi sono viveri per tre mesi.

I jugoslavi non hanno nessuna intenzione di muoversi. Non solo, ma i croati riforniscono in parte Fiume, ciò che dimostra come sia sconcia ed insidiosa la manovra nittiana, tendente a sommuovere il popolino, facendo credere che si fosse alla vigilia di una guerra tra noi ed i jugoslavi. Niente di tutto questo esiste! D'Annunzio non ha fatto sparare finora nessun colpo di fucile contro coloro che stanno al di là della linea di armistizio; ha anzi emanato un proclama ai croati che è un magnifico documento, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista umano.

Esso conclude con le parole: "Viva la fratellanza italo-croata! Viva la fratellanza sul mare."

Ora, nei rapporti internazionali la situazione di Fiume è chiarissima. D'Annunzio non si muoverà, perché tutti gli eventi sono favorevoli a lui. Che cosa possono fare le potenze plutocratiche del capitalismo occidentale contro di lui? Nulla. Assolutamente nulla, perché il rimuovere un fatto compiuto sarebbe scatenare un altro più grosso guaio ed a questo nessuno pensa, nè in Francia, nè in Inghilterra. In Francia, lo possiamo dire tranquillamente, c'è un sacro orrore per un nuovo spargimento di sangue. Quanto al popolo dai "cinque pasti", ha fatto la guerra molto bene e brillantemente, ma ora tutto il suo ordine di idee è contrario a qualsiasi impresa guerresca ed a qualsiasi avventura un po' complicata. Domani il fatto compiuto di Fiume sarebbe compiuto per tutti, perché nessuno avrebbe la forza di modificarlo. Se il governo fosse stato meno vile, a quest'ora avrebbe risolto il problema di Fiume e gli alleati avrebbero dovuto accettarlo, magari con una protesta che forse avrebbe servito di argomento a qualche giornale umoristico. (Applausi).

E veniamo alle nostre cose. Noi siamo degli antipregiudizialisti, degli antidottrinari, dei problemisti, dei dinamici; non abbiamo pregiudiziali nè monarchiche, nè repubblicane. Se ora diciamo che la monarchia è assolutamente inferiore al suo compito, non lo diciamo certo in base ai sacri trattati. Noi giudichiamo dai fatti e diciamo: in questi mesi di Settembre e di Ottobre si è fatto in Italia più propaganda repubblicana che non si fosse fatta negli ultimi cinquant'anni, perché quando la monarchia chiama al Quirinale Giovanni Giolitti (Grida assordanti di:"Abbasso Giolitti."); quando la monarchia mantiene al potere quello che ormai passa bollato col marchio di infamia trovato a Fiume; quando essa scioglie la Camera e tollera che Nitti pronunci un discorso in cui si fa un chiaro appello alle forze bolsceviche della Nazione; quando essa tollera al potere un uomo che non è Kerenski, ma Karolyi; quando infine ratifica la pace per decreto reale, allora io vi dico chiaramente che il problema monarchico che ieri non esisteva per noi in linea pregiudiziale, si pone oggi in tutti i suoi termini. La monarchia ha forse compiuto la sua funzione creando ed in parte riuscendo ad unificare l'Italia. Ora dovrebbe essere compito della repubblica di unirla e decentrarla regionalmente e socialmente, di garantire la grandezza che noi vogliamo di tutto il popolo italiano.

Io credo di essermi spiegato e di avere fissato la linea esatta per cui noi siamo assolutamente coerenti nella nostra base iniziale. Ma noi non dobbiamo svalutare i nostri avversari. Il "babau" di una dittatura militare è grottesco. E' stato inventato da Nitti con la complicità dell'alta banca e dei giornali pseudo democratici che sono legati notoriamente all'alta e parassitaria siderurgia italiana. Io penso che domani, nell'attesa della crisi, i difensori delle istituzioni oramai superate non esisterebbero più perché tutti si squaglierebbero. Ma nella falla che si verrebbe ad aprire certo tutte le forze vi precipiterebbero.

Noi dovremmo allora tener presente il movimento pussista. Questa forza pussista consideriamola un po'' da vicino. I pussisti hanno dovuto contarsi ultimamente e intanto su 80.000 iscritti, 14.000 non si sa dove siano andati a finire. Sono gli sbandati. Ben 500 sezioni non sono state rappresentate in quelle che si chiamano le assise del proletariato italiano. Tutto quello che durante il congresso si è detto e fatto è stato molto meschino. Bordiga non è un gran generale. Si eleva un po'' dalla mediocrità. Quello che egli ha riportato alla tribuna è quanto io avevo già dato in pasto alla folla nel 1913. Di veramente importante non c'è stato che il discorso di Turati. Ma gli infiniti discorsi non hanno dato alla fine indicazioni pratiche su quello che i pussisti devono o vogliono fare. Noi siamo molto più precisi di loro e vi diciamo subito che noi dobbiamo porre un "ultimatum" al governo dichiarando che se non abolisce la censura noi fascisti non parteciperemo alle elezioni. Bisogna protestare contro una censura ripristinata in regime elettorale, altrimenti dimostreremo di poter accettare qualunque altro arbitrio. A questa protesta, noi ne possiamo aggiungere un'altra positiva e di azione. In quanto ai socialisti, la grandissima parte si distingue per una fisiologica vigliaccheria. Essi non amano battersi, non vogliono battersi, il ferro e il fuoco li spaventa. D'altra parte, e su questo mi preme di richiamare la vostra attenzione, noi non dobbiamo confondere questa creazione piuttosto artificiosa con un partito del quale i proletari sono un'infima minoranza, mentre abbondano tutti quelli che vogliono un posticino al parlamento, al consiglio comunale e nelle organizzazioni. E' in realtà una cricca politica che vorrebbe sostituirsi alla cricca dominante. Noi non dobbiamo confondere questa cricca di politicanti mediocri con l'immenso movimento del proletariato che ha una sua ragione di vita, di sviluppo e di fratellanza.

Io ripeto qui quanto dissi altra volta. Nessuna demagogia. I calli alle mani non bastano ancora per dimostrare che uno sia capace di reggere uno Stato o una famiglia. Bisogna reagire contro tutti questi cortigiani e questi nuovi semi-idoli per elevare questa gente dalla schiavitù morale e materiale in cui è caduta. Non bisogna andare verso di essa con l'atteggiamento dei partigiani. Noi siamo dei sindacalisti, perché crediamo che attraverso la massa sia possibile di determinare un trapasso dell'economia, ma questo trapasso ha un corso molto lungo e complesso. Una rivoluzione politica si fa in 24 ore, ma in 24 ore non si rovescia l'economia di una Nazione che è parte di un'economia mondiale. Noi non intendiamo con questo di essere considerati una specie di "guardia del corpo" di una borghesia che specialmente nel ceto dei nuovi ricchi è semplicemente indegna e vile. Se questa gente non sa difendersi da se stessa, non speri di essere difesa da noi.

Noi difendiamo la Nazione, il popolo nel suo complesso. Vogliamo la fortuna morale e materiale del popolo e questo perché sia ben inteso.

Io credo che con il nostro atteggiamento sia possibile di avvicinarci alla massa. Intanto la Federazione dei Lavoratori del Mare si è staccata dalla Confederazione Generale del Lavoro; i ferrovieri hanno dimostrato nello scioperismo di essere italiani e di voler essere italiani, e mentre l'alta burocrazia delle amministrazioni pubbliche è piuttosto nittiana e giolittiana, il proletariato delle stesse amministrazioni tende a simpatizzare con noi.

Da cinquant'anni si prendono i generali, i diplomati, i burocratici dalle classi dirigenti, da un nucleo chiuso di ceti e di persone. E' tempo di spezzare tutto ciò se si vogliono mettere nuove energie e nuovo sangue nel corpo della nazione.

E veniamo alle elezioni. Dobbiamo occuparci delle elezioni perché qualunque cosa si faccia è sempre buona regola di stringersi insieme, di non bruciare i vascelli dietro di se. Può essere che in questo mese di Ottobre le cose precipitino in un ritmo così frenetico, da rendere quasi superato il fatto elettorale. Può essere, invece, che le elezioni si svolgano. Dobbiamo essere pronti anche a questa seconda eventualità. Ed allora noi Fascisti dobbiamo affermarci da soli, dobbiamo uscire distinti, contati, e, se saremo pochi, bisognerà pensare che siamo al mondo da sei mesi soltanto.Dove una probabilità di affermazione isolata non esista, si potrà costituire il blocco interventista di sinistra che deve avere da un lato la rivendicazione dell'utilità dell'intervento italiano ai fini universali, umani e nazionali, contro tutti coloro, giolittiani, pussisti e clericali, che l'hanno osteggiato. D'altra parte questo programma non può esaurire la nostra azione, e allora bisognerà presentare alla massa i dati fondamentali su cui vogliamo erigere la nuova Italia. Dove la situazione sarà più complicata, si potrà aderire anche ad un blocco interventista in senso più completo e più vasto.

Ma noi vogliamo, soprattutto, consacrare in questa nostra adunata - rivendicandola contro coloro che la negano e che vorrebbero dimenticarla - la immensa vittoria italiana.

Noi abbiamo debellato un impero nemico che era giunto fino al Piave ed i cui dirigenti avevano tentato di assassinare l'Italia. Noi abbiamo ora il Brennero, abbiamo le Alpi Giulie e Fiume e tutti gli italiani della Dalmazia. Noi possiamo dire che tra Piave e Isonzo abbiamo distrutto un impero e determinato il crollo di quattro autocrazie. "

gerty80
06-07-11, 13:48
Avevo letto tempo fa un saggio "di non ricordo chi ma uno storico italiano famoso e importante" che paertiva dalla citazione di mussolini (credo) secondo cui il fascismo faceva parte delle ideologie della sinistra...