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Avanguardia
02-07-09, 10:16
Farla finita con lo Stato demoborghese

Da qualche tempo i segnali sono chiari: lo Stato demoborghese è in coma irreversibile, e nel contesto della propria disintegrazione sociale e morale sta trascinando il popolo italiano tutto. In particolare i lavoratori e le classi meno abbienti, costoro durante questi anni di regime asservito alla politica del capitalismo mondialista e delle multinazionali non sono certo riusciti a mettere in salvo qualche euro nei cosiddetti paradisi fiscali.

Il capitalismo puzzolente e cialtronesco, di produzione italiana doc, invece si salverà ancora una volta ricevendo anche aiuti dallo Stato. Ma al di là del comportamento sempre affaristico e mai solidarista del capitalismo di marca nostrana, questo Stato da coma farmacologico politico-economico ha le sue radici ultrasessantennali nella politica attuata dai governi che si sono avvicendati alla guida di questo stato.

Dobbiamo però fare qualche passo indietro nel tempo per capire bene che lo stato di coma, con il conseguente disfacimento politico, economico e, ribadiamo, soprattutto morale di questo regime è qualche cosa di più che uno slogan o una frase fatta e buttata lì.

Nell’aprile-maggio del 1945, con la sconfitta militare delle forze dell’Asse, finiva la Seconda Guerra mondiale e si arrestava nel contempo anche il sogno delle nazioni proletarie di affrancarsi per sempre dalle politiche di sfruttamento dirette dalla oligarchia plutocratica internazionale. Le nazioni che più di tutte subiranno la restaurazione capitalista saranno quindi Italia e Germania. Da allora queste due nazioni, in particolare, e tutte le nazioni povere del pianeta, in generale, subiranno l’egemonia politica, economica e militare dei banchieri di Wall Street.

In Italia l’asservimento politico sarà ancor maggiore che in Germania. Ed evidentemente non poteva essere altrimenti, poiché nell’aprile 1945 mentre in Germania ragazzi di quindici anni e vecchi ultrasessantenni combattevano a fianco della Wehrmacht e delle Waffen SS, in un’Italia “semiliberata” si concedevano i favori di mogli, figlie e sorelle ai notabili dell’esercito d’occupazione a stelle e strisce. Mentre in Germania giovani e vecchi morivano attorno al bunker del Führer, in Italia i giovanotti si prostituivano con i militari dell’esercito d’occupazione.

Ritorniamo ai fatti di casa ‘nostra’, per ricordare che comunque finita una guerra durata cinque anni, che in aggiunta era seguita al periodo delle sanzioni economiche, nelle casse dello Stato c’erano ancora (e ci sarebbero stati per molti anni) i soldi per pagare le pensioni. I ministri ed i dirigenti dello Stato Fascista sfuggiti alla mattanza delle giornate dell’aprile 1945 saranno sempre e solo condannati con motivazioni politiche mentre nelle loro tasche non si troverà il becco di un quattrino uscito dalle casse dello stato. Un esempio per tutti è quello di Araldo Di Crollalanza ministro dei Lavori Pubblici dal 1930 al 1935 che, arrestato dopo il 25 aprile, si tenterà di processare.

Verrà prosciolto in istruttoria poiché sarà accertato che non possedeva una casa, un terreno e nemmeno un conto in banca. Le inventò tutte lo Stato democratico, ma nelle tasche di quel galantuomo non c’era una lira che non fosse sua. Addirittura una ventina d’anni dopo, grazie ad una classe dirigente dell’economia che proveniva dall’esperienza fascista, si arriverà al miracolo economico.

Oggi, nell’anno 2009 dopo Cristo, a sessant’anni dalla fine della guerra e con sessant’anni di pace sulle spalle, lo Stato demoborghese è sull’orlo della bancarotta.

Potrebbe essere addirittura impietoso paragonare le norme rivoluzionarie messe in campo da Benito Mussolini, dopo la sua nomina a Primo ministro, con le Leggi “ad personam” e “ad amici” che lo stato demoborghese ha sempre promulgato. Norme rivoluzionarie che privarono di ascendente lo stato borghese ottocentesco attraverso quei concetti con i quali si governava fino a quel momento. Uno Stato Sociale e rivoluzionario che cambiò profondamente il mondo del lavoro, tanto che l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) indicava l’Italia fascista come esempio di giurisprudenza del lavoro da seguire. Altro che i giuslavoristi di oggi!

In questa “repubblica democratica fondata sul lavoro” (come recita la Costituzione) per i lavoratori si è arrivati ad un punto di non ritorno. Dopo alcune riforme e Leggi dovute a personaggi che alla classe operaia si sentivano associati (vedi il ministro del Lavoro Brodolini), si è cominciato a buttare in campo le varie teorie dell’emergenza, atte a favorire la restaurazione completa dello Stato borghese liberaldemocratico insieme alla sudditanza completa dei lavoratori agli industriali ed al capitale. Ecco quindi che con la scusa del terrorismo s’è cominciato a legiferare in senso oppressivo, soprattutto nei confronti dei lavoratori e dei loro diritti acquisiti.

Uno dei primi passi in questo senso è stata l’abolizione della scala mobile, voluta dal socialista Bettino Craxi e naturalmente caldeggiata dagli industriali. Poi nell’arco degli anni, si è continuato per quella strada con le varie riforme pensionistiche attuate da Amato (socialista), Dini (appoggiato anche dal centrosinistra), Prodi 1 (appoggiato anche da Rifondazione Comunista), Berlusconi e Maroni con il loro scalone, Prodi 2 con il ministro Damiano ed il suo scalino, finiremo con Sacconi e Brunetta (Berlusconi 2) che raccomandano la pensione a 65 anni anche per le donne.

Le liquidazioni (meglio conosciute come TFR) sono andate a finire nelle casse delle multinazionali della finanza e delle assicurazioni, poiché con la riforma Dini si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo e la spettanza delle pensioni cominciava ad essere alquanto scarsa. Serviva quindi creare le cosiddette pensioni integrative finanziate con i soldi delle liquidazioni dei lavoratori. Ci viene il sospetto che il parente di qualcuno avesse degli interessi in questo campo.

Il lavoro precario è stato legittimato grazie alla famigerata Legge Biagi che i sindacati di regime hanno sottoscritto supinamente e che il governo di centrosinistra non ha nemmeno preso in esame come promesso in campagna elettorale soprattutto dai telecomunisti.

I contratti nazionali di lavoro sono stati resi inefficaci dall’accordo firmato dal governo di centrodestra con la neo triplice (CISL-UIL-UGL).

L’unica arma di lotta a disposizione dei lavoratori in uno Stato capitalista (lo sciopero) verrà pesantemente conculcata, quasi non bastassero le limitazioni e le autoregolamentazioni varie approvate nell’arco degli anni con il beneplacito dei sindacati di regime.

Si continua a parlare di crisi e di sacrifici; gli industriali continuano a battere cassa presso il governo, le banche (enti preposti alle truffe legalizzate) vengono foraggiate con i soldi del popolo, mentre la presidente di Confindustria Marcegaglia propone che le quote annuali delle liquidazioni dei lavoratori vengano girate agli industriali. La crisi è alle porte, essi continuano a ripetere.

Ecco cosa ha realizzato lo Stato demoborghese dopo sessant’anni di governo, ora i lavoratori devono dire basta. Il primo maggio, giornata della Festa del Lavoro, dovrebbe diventare un punto di svolta nella lotta dei lavoratori per la difesa dei loro diritti e dello stato sociale. Siamo stanchi e stufi di vedere sui palchi delle piazze le facce dei sindacalisti di regime che vengono a tenere discorsi di circostanza. Non ci interessano le esibizioni di cantanti ed attori multimilionari cui non interessa niente della condizione dei lavoratori. La giornata della festa del lavoro deve diventare il primo giorno in cui quegli industriali che chiudono le aziende licenziando centinaia di lavoratori per poi riaprire le stesse aziende nei paesi del terzo mondo sentano la necessità di correre a gambe levate per non prendersi qualche sonora pedata nel culo. Ma deve essere solo il primo giorno poiché ad ogni sciopero e ad ogni manifestazione operaia la borghesia italiana dovrà tremare. Da queste lotte deve uscire un fronte antagonista unitario anticapitalista, popolare, nazionale e socialista. Bisogna riuscire a capire che in questo momento l’unica lotta è quella dei popoli proletari contro il capitalismo e la borghesia. Chi rimane ad attardarsi su concetti e divisioni quali destra/sinistra, fascismo/antifascismo o comunismo/anticomunismo fa solamente il gioco delle forze reazionarie ed antirivoluzionarie.

Se lo Stato demoborghese pensa di trascinare il popolo ed i lavoratori nel baratro dentro al quale si è cacciato grazie all’acquiescenza verso il capitalismo si sbaglia di grosso.

I lavoratori hanno sempre dimostrato di saper lottare ed anche in questa occasione capitale, industriali e governo dello stato demoborghese troveranno pane per i loro denti.

Fabio PRETTO

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