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05-07-09, 22:24
IL CASO MORO - L'OMBRA DI GIUDA


di Dagoberto Husayn Bellucci


Il presente articolo riprende in massima parte quanto già avevamo avuto
occasione di sottolineare molti anni fa (1) in relazione alle vicende che
andranno intersecandosi e sovrapponendosi nel cosiddetto "affare Moro" ovvero
l'assassinio dell'allora presidente della Democrazia Cristiana ad opera di un
sedicente commando delle Brigate Rosse - Partito Comunista Combattente: la
sovranità nazionale, il ruolo dei rapporti e delle relazioni transatlantiche
fra Stati Uniti e Italia, il ruolo giocato nell'intera vicenda dai servizi di
sicurezza italiani e quello 'percepibile' avuto da diverse altre centrali
d'Intelligence straniere, l'ombra del Mossad o , per usare un sottile
eufemismo, il marchio di Giuda 'impresso' all'intera "operazione" da ambienti
vicinissimi alla kehillah capitolina i'tal'yàna rispondenti a determinate
logiche di prevaricazione e intromissione di "Israele" - quale sovrastruttura
onnicomprensiva gli interessi del popolo ebraico cosmopolita e strumento di
pressione economico-politica e sodomizzazione/castrazione sociale delle
comunità "goyim"=non ebraiche - negli affari interni nazionali italiani.

La ricognizione analitica sull'affaire Moro si impone soprattutto perchè
questa vicenda rappresenta 'splendidamente' il livello di sudditanza
ideologica, politica, economica, sociale e "militare" della colonia Italia alle
volontà-diktat del padrone atlantico statunitense e l'inenarrabile predominio
esercitato più o meno dietro le quinte dalla lobby ebraica la quale non
solamente esiste ma è forte e determinante le scelte legislative e quelle di
politica estera del paese...l'economia gli ebrei l'hanno 'arraffata'
usurocraticamente da molti anni 'sigillando' questa kippizzazione del mondo del
lavoro e della finanza, del commercio e degli affari, attraverso la scalata
ebraica della famiglia Elkann alla principale azienda multinazionale , forse
l'unica veramente degna di questo nome, esistente in Italia: la Fiat di Torino,
antico feudo personale del 'pescecanismo' capitalistico della famiglia Agnelli
lentamente e 'astutamente' estromessa - anche mediante l'eliminazione fisica
dei suoi due rampolli Edoardo e Giovanni jr prematuramente , 'troppo'
prematuramente, 'scomparsi' - per lasciare 'spazi' di manovra al duo
kosherizzato dei fratelli John e Lapo Elkann (2).

E se in Italia non si muove foglia che la Fiat non voglia, paradigma delle
dinamiche di annullamento delle volontà politiche e dell'affermazione del turbo-
capitalismo sovranazionale, alieno da qualsiasi "copyright" nazionale e da ogni
controllo da parte dello Stato - peraltro ridotto a maggiordomo degli interessi
grande-bottegai e usurocratici della casa 'regnante' torinese che stabilisce
agli esecutivi i propri 'desiderata' ogni qualvolta in 'affanno' di liquidità...
i 'salvataggi' della Fiat oramai non si 'contano'...'regali' miliardari di
governucoli irresponsabili e sottomessi servilmente a questa masnada di
filibustieri per i quali sono costretti a sudar le sette camicie centinaia di
migliaia di 'obreros' ... la classe operaia non andrà mai in paradiso perchè le
chiavi d'ingresso e le principali poltrone anche lassù le hanno i 'padroni'
verso i quali s'alzano gli 'osanna' ossequiosi e riverenti della nostra classe
politica .... un secolo abbondante di 'spremitura' legalizzata ...gli
italiani...pecore belanti e vacche all'ingrasso ed al macello servilmente
'riconoscenti' a questa famiglia di predoni...- , d'altro lato è indiscutibile
il peso esercitato, più o meno 'discretamente' e altrettanto efficacemente,
dagli ambienti kippizzati 'accampati' nel territorio coloniale italiota.

Il cosiddetto "affare Moro" risulta senza ombra di dubbio uno di quei tanti,
troppi, misteri del quale è 'costellata' la storia della Prima Repubblica:
dall'assassinio di Ettore Muti ( il primo martire dei futuri 'amministratori'
democratici del paese...fulgido esempio di Eroe e di Fascista...uomo d'azione e
di rivoluzione...fedelissimo di Mussolini e probabile candidato alla
'successione' all'indomani del 'golpe' badogliano-savoiardo compiuto nella
notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943 dalla Frammassoneria e dalle altre forze
ostili al Fascismo che provocarono la caduta del governo e il successivo
arresto 'preventivo' del Duce del Fascismo...) a Portella delle Ginestre fino
ad arrivare alla stagione delle stragi di Stato e della strategia atlantico-
sionista della tensione che determinerà l'accelerazione 'estremistico-
terroristica' delle frange politiche 'marginali' della politica italiana e la
conseguente reazione/repressione 'magistralmente' - 'capolavori'
d'infiltrazione alle 'estreme' elaborati dalle centrali di controllo
sistemiche, dai servizi e dalle forze di pubblica sicurezza - attuata con
scientifica pianificazione, implacabile determinazione e 'sufficiente' apporto
tecnologico dal Sistema...

'Riscrivere' la storia dei cosiddetti "anni di piombo" è 'consegna' che
'deleghiamo' più che volentieri ad 'altri'....basti e avanzi quanto
lucidamente, coerentemente e incontrovertibilmente ha scritto il soldato-
politico Maurizio Lattanzio unitamente alle ricognizioni storico-
memorialistiche del camerata Vincenzo Vinciguerra (3).

La ragnatela, la 'tela del ragno' legittimamente la definirà Sergio Flamigni
(4), di depistaggi, inquinamenti giudiziari e 'memorialistici' di ex e post
brigatisti rossi, le altrettanto inquietanti 'omissioni' della Commissione
parlamentare sui Servizi e sulle Stragi, le colpevoli correità dell'intero arco
parlamentare politico italiano non aiutano affatto a dare una visione d'insieme
omogenea e organica in relazione al sequestro, alla prigionia e al successivo
assassinio dell'allora presidente della Democrazia Cristiana ostaggio
materialmente delle B.R. e idealmente dei vertici di tutta la classe dirigente
italiana a cominciare dal suo stesso partito e finendo al ruolo copartecipe e
complice della politica democristiana di non cedere ai 'ricatti' brigatistici
tenuto dall'allora PCI.

A questo quadro già sufficiente fosco e in questa matassa di comportamenti
meschini si devono aggiungere le innumerevoli azioni di 'disturbo' durante lo
svolgimento delle indagini nel periodo della prigionia e successivamente negli
anni che verranno operate dai servizi di sicurezza nazionali con l'avallo e il
disco verde dei loro 'padroni' d'oltreoceano. Complicità politiche, connivenze
brigatistico-partitiche, omertà sistemiche, meccanismi di controllo
sapientemente utilizzati da quanti , tanti, avevano interesse all'eliminazione
fisica dell'allora presidente democristiano.

Le relazioni tra i nostri servizi di sicurezza , quindi del nostro Governo,
rispetto a quelli d'oltreoceano , quindi rispetto all'amministrazione
statunitense, si inquadrano in "una storia davvero infinita di sovvertimenti,
inquinamenti, insabbiamenti e tradimenti compiuti all'ombra delle istituzioni.
Alle spalle e contro lo Stato democratico. E i nostri servizi segreti di questa
storia sono stati spesso indiscussi protagonisti." (5). Noi affermiamo, al
contrario, ai 'lati' e pro lo Stato democratico e antifascista nato dalla
Resistenza...per il quale si sono 'alacremente' dati da fare i suoi servizi
affatto 'deviati' come si è sempre, spesso, 'scrittoriamente' rappresentata la
stagione delle stragi e la strategia degli 'opposti estremismi' ideata,
pianificata, elaborata e - 'funzionalmente' ai propri interessi di
preservazione, mantenimento e rafforzamento dello status quo democratico -
attuata dalle centrali di controlo e dagli apparati di vigilanza sistemici.

Una logica di totale asservimento della classe dirigente , politica ed
economica, nei confronti della superpotenza a stelle e strisce è il principale
dato fattuale che viene ad evidenziarsi analizzando le relazioni - spesso da
'tragicommedia' dell'assurdo altrettanto spesso da 'operetta' criminale ....un
'thriller' svoltosi dietro le quinte e sulle spalle del popolo italiano -
bilaterali tra i nostri servizi di sicurezza ed i loro colleghi della CIA
statunitense sempre operativa fin dalla primavera 1945 in tutte le più
immorali, squallide e sanguinose vicende che hanno contrassegnato la storia
dell'italietta repubblicana ed antifascista e responsabili della 'infinita'
serie di operazioni 'coperte' 'commissionate' dal Governo degli Stati Uniti
contro l'indipendenza, la sovranità e la libertà del popolo italiano.... il
caso Mattei, Ustica, il Cermis, l'affaire Omar solo per 'ricordare' alcuni -
tra i 'vecchi' ed i 'nuovi' - episodi nei quali sia lapalissianamente evidente
la mano dei depistatori ed assassini della Criminal Intelligence Agency
d'oltreoceano.

L'assoluta dipendenza politica ed economica della colonia italiana alle
volontà, ai diktat ed agli interessi dell'amministrazione e della plutocrazia
statunitense caratterizzerà tutta la storia nazionale compresa tra la primavera
'45 e l'autunno '89 che si può legittimamente disegnare come il riuscitissimo
tentativo delle forze occulte e palesi che manovrano questo paese 'under
controll' di neutralizzare ed escludere per oltre cinquant'anni la principale
forza d'opposizione (politica e sindacale) operativa all'interno della
contrapposizione sistemica ovvero il Partito Comunista Italiano il quale sarà -
crollato il muro di Berlino - definitivamente inglobato, normalizzato (la
'normalizzazione' del PCI incomincerà fin dagli avvenimenti ungheresi del '56 ,
proseguirà nel decennio successivo con la sua funzione di cane da guardia
'sinistro' del sistema parlamentaristico-partitico-mafioso evidenziata
nitidamente durante le 'rivolte' studentesche sessantottine e si dipanerà
connivente lungo tutti gli anni Settanta ed Ottanta mediante la formula
dell'"eurocomunismo" di berlingueriana memoria che sarà l'ultimo 'strappo'
rispetto alla casa-madre moscovita ed alle logiche del Cremlino compiuto dai
dirigenti italiani del maggior partito comunista del blocco europeo
occidentale) 'accucciato' ed infine omologato nel quadro della soluzione
bipolarista dei due Grandi Insiemi (centro-destra/centro-sinistra) che formano
attualmente i principali 'vettori' della politica nazionale sul modello
anglosassone dei 'dividendi' del potere e in conformità con il disegno di
riforma delle Istituzioni 'presentato' trent'anni or sono all'opinione pubblica
dalla Loggia Massonica "Propaganda 2" del Venerabile Gran Maestro Licio Gelli
alias il Piano di Rinascita Nazionale...

L'Italia come laboratorio 'sperimentale' per innumerevoli "ipotesi di
complotto" all'interno delle quali si situa la nota teoria della 'zona grigia'
di Henry Kissinger, l'ex segretario di Stato americano ed esponente dei circoli
mondialisti ( peraltro 'sconfessato' e 'processato' dal Kahal = il Gran
Sinedrio Ebraico di Jew York per aver 'consentito' gli accordi di pace tra
l'entità criminale sionista e l'Egitto di Anwar Sadat ), il quale era solito
sottolineare come fossero 'prassi' normale e logica le operazioni clandestine
della CIA contro altri esecutivi nazionali dichiarando che "nei consueti
rapporti fra nazioni, tra la normale attività diplomatica e l'uso della forza,
c'è sempre una "zona grigia" "dove si può presentare la necessità di operazioni
al di fuori della legalità" (6).

E' dunque un datto fattuale quello che vede la nostra classe dirigente
coresponsabile e 'assistente' dei programmi di controllo, destabilizzazione
(volta a stabilizzare ulteriormente) e sovvertimento (mirante il rafforzamento
del sistema stesso) della vita politica e sociale nazionale: disposizioni,
consegne, ordini arrivavano al nostro Governo, ai suoi apparati di vigilanza e
ai suoi strumenti repressivi - Magistrura, forze di sicurezza, servizi segreti
civili e militari - dal padrone americano. Al servizio delle oligarchie
d'oltreoceano, Istituzioni ed esecutivi, partiti politici dell'arco
parlamentare ed extra-parlamentari di destra e sinistra, dirigenti industriali
e sindacali si sono 'prestati' a questo gioco sporco di ingerenza e direzione
dei nostri affari politico-economici interni da parte di una potenza straniera,
occupante, militarmente massicciamente presente con le sue Basi Nato in ogni
angolo del paese e asfitticamente onnicomprensiva rispetto alla direzione di
'marcia' impressa da Washington alla politica 'romana'. Logiche compromissorie,
scambi clientelar-mafiosi, ruolo determinante di organizzazioni segrete
(Massoneria, circoli atlantico-sionisti, ambienti kosherizzati) e di ambienti
malavitosi (mafie e altri gruppi di pressione espressione di potentati
economici apparentemente 'indipendenti' dai presidii secondari del Sistema ma
ad essi 'rispondenti' e funzionalmente correlati) hanno favorito la definitiva
'occidentalizzazione' della colonia italiota , ieri "Bulgaria" della Nato oggi
'scodinzolante' ed ubbidiente servitore delle logiche imperialistiche
d'oltreoceano.

Dopo la seconda guerra mondiale risulterà oltremodo conforme a verità storica
anche l'inserimento di elementi 'alieni' ai vertici , in funzione
destabilizzante, delle principali organizzazioni 'extra-parlamentari' della
galassia "marxista-leninista" la quale si affermerà su di un piano cultural-
intellettualistico-editoriale mediante iniziative quali quella , ancora
presente come 'voce critica' della Si(o)nistra nazionale, del "Manifesto" e su
di un altro piano - militante-organizzativo-teppistico-terroristico - i
reazionari rossi , gli studenti 'ribelli' dell'ondata sessantottina e i loro
'epigoni' a mano armata del movimento del '77 e del quale saranno 'eredi' i
tanti 'arrivati' editorialisti post-lottacontinuisti alla Gad Eitan Lerner e
alla Adriano Sofri che hanno trovato un posto all'ombra del sistema di poteri
che intendevano , teorizzando la lotta armata e invocando i principii del
marxismo-leninismo in tutte le sue versioni compreso quella maoista cinese,
abbattere.

'Giocati' e 'giocatori' di un "gioco sporco" prestabilito dagli infami
accordi intervenuti a Yalta tra la plutocrazia statunitense e l'"impero rosso"
sovietico, tra Roosevelt e Stalin , tra impero d'Occidente e d'Oriente, tra
capitalismo e comunismo e secondo i quali l'Italia sarebbe dovuta rimanere più
o meno stabilmente nel campo d'azione della superpotenza a stelle e strisce,
nella sfera d'influenza americana a qualunque costo e a qualsivoglia prezzo.
Non comprendere che l'Italia è da oltre sessant'anni un paese a sovranità
limitata , sottoposta alle dirette dipendenze ed alla volontà
dell'amministrazione statunitense (la quale ha utilizzato ogni mezzo, compreso
il ricorso allo stragismo di Stato ed alla violenza metropolitana degli opposti
estremismi, per mantenere salde le proprie posizioni di predominio e aumentare
il controllo , la schedatura e l'occhio vigile nei confronti dei suoi 'sudditi'
attualmente bellamente belanti e riconoscenti), è il principale ostacolo ad
un'esatta comprensione del fenomeno che prende il nome di "anni di piombo" e
delle innumerevoli intromissioni anche sanguinose, una lunga scia di sangue,
intervenute nella politica italiana e 'partorite' da menti straniere le quali
spesso utilizzavano per i loro lavori 'lavori sporchi' mani italianissime.

Il caso Moro si inserisce più che legittimamente nella logica di
dipendenza/asservimento della colonia italiana al padrone americano ne diviene
un paradigmatico ed efficace strumento di analisi, una evidente dimostrazione
di quanto limitante fosse lo spazio concesso ai politici-amministratori di casa
nostra ai quali non era concesso di 'deviare' dalle 'direttive' impartite
oltreoceano: come avverrà a Mossadeq in Iran così identica sorte toccherà
all'allora presidente dell'ENI , Enrico Mattei, eliminato in circostanze
rimaste 'misteriose' per aver offerto la sua collaborazione direttamente
all'URSS di Krusciov e ai paesi arabi fornitori di petrolio attirandosi l'ira e
la reazione delle cosiddette "sette sorelle" (le 7 compagnie petrolifere
multinazionali statunitensi che monopolizzano i mercati internazionali) e,
conseguentemente, la sentenza di morte decretata dall'alta finanza giudaico-
mondialista ed eseguita dai servizi di sicurezza statunitensi.

In un paese dilaniato dalla violenza politica quotidiana degli opposti
estremismi, sempre sull'orlo della crisi economica ed alla ricerca di una
irraggiungibile stabilità politica (con esecutivi scudocrociati che si
alternavano quasi mensilmente a consigli dei ministri pentapartitici di centro-
sinistra) la vicenda Moro si sviluppa durante gli anni più caldi della
strategia della tensione. L'ex presidente della D.C. è stato sovente scritto
che sia stato eliminato per il suo sforzo di portare l'allora PCI nell'area di
governo, realizzando 'tecnicamente' la formula del cosiddetto 'compromesso
storico' che avrebbe unito le due 'chiese' ideologiche allora dominanti la
scena politica nazionale: quella clerical-conservatrice-filoamericana
democristiana e quella rappresentata dal più forte partito comunista
dell'Europa Occidentale attestato in quegli anni attorno al 30% dei consensi
elettoralistici. Interpretazione legittima ma insufficiente.

La presenza del PCI in un governo di unità nazionale , aborrita tra i vertici
dell'establishment statunitense (o almeno nella stragrande maggioranza dei
dirigenti l'oligarchia americana...esistevano infatti anche numerosi soggetti
collegati alla Fabyan Society che 'premevano' per una accelerazione delle
relazioni USA-URSS in nome di un internazionalismo socialista d'ispirazione
massonica ed eterodiretto da Washington) e all'interno dei circoli conservatori
della politica yankee, risultava assolutamente difforme dalle prospettive
spesso ventilate altrettanto spesso 'tentate' di 'svolta a destra' (sul modello
greco, spagnolo o portoghese) della politica italiana. L'antisovietismo in
politica estera delle amministrazioni americane si accompagnava con
l'anticomunismo ideologico 'esportato' con successo nei quattro angoli del
pianeta perfettamente rispondente alle logiche imperialistiche di Washington di
contrasto dell'altro imperialismo, quello di segno 'apparentemente' opposto
(7), russo-marxista.

Un partito comunista ai massimi livelli dirigenti la politica di una potenza
occidentale inoltre era una ipotesi da scongiurare assolutamente per
l'amministrazione statunitense oltre a rappresentare un esempio per tutti gli
altri partiti comunisti del blocco europeo-occidentale: eventualità che avrebbe
destabilizzato profondamente il quadro delle relazioni internazionali e rimesso
in discussione il "balance of powers" (equilibrio di poteri) stabilito a Yalta
tra americani e sovietici.

Sarà proprio l'analisi della politica internazionale di quel periodo e dei
suoi fragilissimi equilibri che dovrà essere attentamente studiata in relazione
all'affaire Moro: la lotta per il predominio nello scacchiere geopolitico e
militare mediterraneo, il ruolo avuto da innumerevoli organizzazioni
d'ispirazione marxista e dedite alla lotta armata quali le Brigate Rosse - con
la loro 'involuzione' funzionale a determinati , 'alieni', imput inconfessabili
alla stessa manovalanza terroristica - , i sommovimenti rivoluzionari della
nazione araba e lo sviluppo delle attività anti-sioniste e anti-imperialiste
dei movimenti di resistenza palestinesi che 'fuoriusciranno' dal perimetro
geopolitico vicino-orientale sono tutti tasselli di un intricato mosaico che ci
aiuteranno a comprendere i veri motivi per i quali Aldo Moro e la sua politica
filo-comunista in seno alla Democrazia Cristiana dovevano essere eliminati e
ricondotti ad un livello 'accettabile' per i padroni statunitensi.

A livello internazionale infatti, molto più di quanto non avesse dimostrato
sul piano nazionale, Aldo Moro "come ministro degli Esteri , all'inizio degli
anni '70, cercava una politica autonoma verso gli Arabi. Trattare con i
produttori di petrolio direttamente senza passare attraverso la mediazione
degli Stati Uniti" (8).

La politica filoaraba di Moro , in opposizione ad un'ala più occidentalista e
filo-americana della stessa DC ovvero la 'destra' di Fanfani e di esponenti
scudocrociati che si raccoglievano attorno a Mariano Rumor e Francesco Cossiga,
venne nettamente criticata dall'amministrazione statunitense ed è proprio "in
questo progetto d'indipendenza energetica che stanno le ragioni dei suoi
contrasti con Henry Kissinger, in quegli anni segretario di stato americano"
(9).

Giusto qui momentaneamente ricordare come, dopo Mattei, anche Giulio
Andreotti (per le sue 'amicizie pericolose' verso la Repubblica Islamica
dell'Iran e il mondo arabo) e Bettino Craxi (in particolar modo dopo l'affaire
Sigonella (10) che permetterà al capo dei dirottatori della nave Achille Lauro
, il leader palestinese Abu Abbas, di lasciare indisturbato l'Italia in
opposizione alle volontà americane di prendere in consegna e detenere come
"terroristi" lui e i suoi collaboratori) risulteranno 'sgraditi'
all'Establishment giudaico-mondialista ed 'eliminati' politicamente (il leader
socialista anche fisicamente) dalla scena per lasciar posto - dopo la farsa
'giudiziaria' del biennio 92-93 denominata "Tangentopoli" che avrebbe
'rivoltato' come un calzino gli scenari della politica italiana - a soggetti e
formazioni politiche palesemente e marcatamente filo-sioniste fra le quali
Forza Italia, Alleanza Nazionale, il PDS e la Lega Nord.

I rapporti tra Aldo Moro e l'amministrazione statunitensi si fecero molto
tesi soprattutto in seguito ad un viaggio effettuato dallo stesso presidente
della DC , in veste di primo ministro, a Washington nel 1974. Roberto Ducci, ex
ambasciatore italiano negli Usa e buon conoscitore di Kissinger, ha scritto che
"per Moro, Kissinger era l'espressione forse non volontaria dell'irresistibile
egemonismo americano che tendeva a non lasciare respiro interno alle strutture
politiche dei propri alleati più di quanto l'egemonismo sovietico ne lasciasse
ai suoi". Nel corso di quel viaggio americano di Moro vennero discussi
soprattutto i problemi relativi alla politica da adottare nei confronti dei
paesi produttori di petrolio: mentre Kissinger sosteneva l'idea di un fronte
comune dei paesi consumatori per arrivare ad un "confronto" con gli arabi - in
un periodo contrassegnato dalla crisi economica che aveva investito tutti i
paesi occidentali, specie quelli europei, a seguito del blocco petrolifero
vicino-orientale decretato dopo il conflitto dell'ottobre 73 tra Siria ed
Egitto e entità sionista (11) - , Aldo Moro , intervistato dai principali media
americani, replicò con un secco: "L'Italia è contro tutti i confronti". Fu
probabilmente in occasione di quel viaggio che Moro capì l'ostilità
statunitense verso la sua politica tesa ad instaurare un rapporto diretto con
il mondo arabo. Venne avvertito perfino che si stavano coalizzando contro di
lui gli ambienti USA caratterizzati da interessi ben precisi: la finanza, la
lobby del petrolio, quella delle produzioni ritenute strategiche ossia
l'insieme dei gruppi di pressione "intenzionati ad utilizzare contro lo
statista democristiano ambienti operanti ai margini dei servizi segreti
ufficiali, i più spregiudicati e i più adatti per bloccare il progetto politico
di Moro" (12)

Spetaktor
05-07-09, 22:25
Dietro a questi ambienti, 'faccia' visibile dietro alla quale si celano
determinate strutture occulte o 'semi-palesi' che costituiscono i centri
direttivi dell'economia capitalistica e i controllori politici del sistema
statunitense (C.F.R. , Trilateral Commission e altre organizzazioni
mondialiste) , che rappresentavano gli interessi immediati delle principali
lobbie's di potere degli Stati Uniti si cela l'elemento giudaico che,
nell'intera vicenda Moro, avrà un ruolo affatto secondario. Infatti giova
ricordare come , quando Moro arrivò alla Farnesina assumendo la carica di
Ministro degli Esteri, l'Italia era fondamentalmente su posizioni filo-
israeliani , tant'è che l'ambasciatore di Gerusalemme a Roma poteva contare e
vantarsi "per antica tradizione o per legami più che recenti di natura speciale
sul PSI, il PSDI e il PRI nonchè sulla maggioranza dell'opinione pubblica"
(13).

Come ha ricordato il già citato Ducci "il leader della DC iniziò con tenacia
a portare il governo italiano su posizioni dapprima più equilibrate e poi
inclini verso quelli che , con passi successivi, furono chiamati "gli interessi
legittimi", poi , "gli interessi nazionali" poi "i diritti nazionali" dei
palestinesi ed infine come "i sacrosanti diritti ad una patria del popolo
palestinese". Moro , nel breve volgere di pochi mesi, aveva ribaltato il
rapporto 'speciale' instaurato dagli emissari della diplomazia sionista con il
nostro Ministero degli Esteri a favore della causa palestinese , indicando nel
rapporto tra l'Italia ed i paesi arabi produttori di petrolio quello che aveva
definito come "il capitolo più importante della nostra politica estera"
attirandosi così le intuibili pressioni statunitensi e le altrettanto
facilmente prevedibili reazioni della lobby pro-sionista interna.

Un altro punto di contrasto tra l'amministrazione statunitense e la politica
estera di Moro fu quello relativo alla subordinazione dell'Italia alle esigenze
politico-militari della NATO , soprattutto in virtù della richiesta americana
di utilizzare le basi aeree italiane per i rifornimenti concessi da Washington
al suo alleato principale nello scacchiere geopolitico del Vicino Oriente, il
sedicente "stato d'Israele", in occasione del conflitto dell'ottobre 1973;
richiesta alla quale fu risposto negativamente.

La vicenda del successivo sequestro ed assassinio di Moro assume dunque nuovi
particolari significati anche considerando le ostinate resistenze dei
brigatisti rossi che formavano il nucleo del commando entrato in azione la
mattina del 16 marzo 1978 in Via Fani e le innumerevoli e irresponsabili
lacune operative dimostrate dalle forze di pronto intervento dei servizi
segreti e dai reparti speciali dei corpi di pubblica sicurezza durante e
soprattutto nella fase terminale della detenzione di Moro nel covo brigatista.

Le BR di Moretti, infatti, negano qualsiasi coinvolgimento 'estero' da parte
sia dei servizi di sicurezza italiani che di qualsivoglia altro Stato tutto ciò
malgrado lo stesso Alberto Franceschini - tra i fondatori e massimi dirigenti
della 'direzione strategica' del partito comunista combattente - nel suo volume
"Io, Renato e Mara" citi i contatti avuti con il Mossad israeliano oltre a
quelli intessuti con alcune formazioni marxiste-leniniste della Resistenza
palestinese. L'avvocato Nino Marazzita, legale dei familiari di Moro, in
un'intervista rilasciata al quotidiano torinese proprietà Agnelli de "La
Stampa" in data 31 gennaio 1993 ha sostenuto che "gli ex terroristi non parlano
delle trattative segrete con i servizi per poter tenere in pugno quei politici
che volevano morto Moro" arrivando perfino a denunciare che "Mario Moretti è
uscito di galera perchè in questo modo si compra il suo silenzio".

"Determinati uomini politici italiani hanno scelto la linea della fermezza
mettendo avanti le ragioni morali, gli stessi uomini politici che ci hanno
ridotti all'ultimo gradino dell'infamia con lo scandalo delle tangenti" afferma
ancora Marazzita concludendo che "Moretti ed i brigatisti rossi che hanno
partecipato a quella vicenda godono di troppi benefici dalla legge carceraria,
hanno venduto il loro silenzio" (14).

Una larga parte della classe politica nazionale, in particolar modo gli
ambienti già ricordati più vicini alla lobby pro-sionista della stessa DC, così
come le stesse BR (la cui 'verginità ideologico-rivoluzionaria' sarebbero da
riconsiderare sin dall'arresto del loro fondatore, Renato Curcio,
dall'esecuzione della sua compagna , Mara Cagol, e in particolare dall'avvento
di Moretti al vertice militare dell'organizzazione terroristico-clandestina del
PCC) hanno tutto interesse ad insabbiare le vere ragioni che portarono al
sequestro e all'omicidio di Aldo Moro 'giustiziato' in una 'prigione del
popolo' in nome della dottrina terroristico-marxista-leninista della lotta di
classe (o come , anche 'legittimamente' , rivendicavano allora nei loro
comunicati di fuoco i brigatisti nella lotta contro il SIM Stato Imperialista
delle Multinazionali).

Una 'sinergia' di interessi che , seguendo le tracce dell'intera vicenda
Moro, ci porta a concludere che esistesse una regia 'occulta' eterodiretta da
quei potentati economici d'oltreoceano e da quelle fortissime lobbie's del
petrolio americane che avevano tutto da guadagnare dalla scomparsa del leader
democristiano.

Nella ricostruzione dei momenti più significativi del sequestro Moro è
impossibile non soffermarsi sull'analisi di quelle che furono le innumerevoli
discordanze di informazioni circolate in quei giorni di primavera del 78
relativamente al covo-prigione dove lo statista democristiano sarebbe stato
detenuto. La risposta a questa serie di volontarie disinformazioni fornite per
depistare da tutti i corpi delle forze di pubblica sicurezza sulla base delle
veline 'passate' dai servizi di sicurezza sembra arrivata, molti anni più
tardi, grazie al ritrovamento di due appunti dell'ex capo brigatista Moretti.
Alla notizia hanno dato risalto, all'epoca, soltanto "L'Unità" e il settimanale
cattolico "Il Sabato" contrariamente a quanto fatto dagli altri organi
d'informazione di regime che preferirono ignorare completamente o inserire tra
le 'brevi' di cronaca una verità probabilmente scomoda per molti.

"L'Unità" del 16 giugno 1993 pubblicò in prima pagina : "Due appunti del BR
Moretti portano al quartiere ebraico di Roma - Ora spunta l'ultima prigione di
Moro?". Ed ecco cosa riportò nel suo articolo Giampaolo Tucci: "Due appunti di
Mario Moretti portano ad un vecchio palazzo rinascimentale in Via Monte Savello
n.30: fu qui l'ultima prigione di Aldo Moro? Gran parte dell'edificio
appartiene alla marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, la sua famiglia è
quella dei Rossi di Montelera. La marchesa al telefono risponde: "il mio numero
di telefono in un covo di brigatisti? Quando? No, nessuno, nè giudici, nè
polizia mi ha chiesto niente". Il portiere dell'edificio: "Durante il sequestro
Moro venne la polizia ma non perquisirono il palazzo, scesereo giù nei cunicoli
del Teatro Marcello, trovarono i cancelli aperti." (15)

L'ipotesi che l'ultima prigione di Moro potesse essere situata all'interno
del vecchio quartiere ebraico non è nuova. A formularla per primo fu il
giornalista Mino Pecorelli, elemento legato alla loggia Propaganda 2 di Gelli e
molto addentrato in numerose inchieste relative alla politica nazionale e
sicuramente anche per questo eliminato in circostanze affatto chiare (16), il
quale scriverà nell'ottobre 1978 che un generale aveva detto all'allora
ministro degli Interni, Francesco Cossiga, che "Moro era tenuto prigioniero
dalle parti del ghetto (ebraico)" (17).

Vediamo di ricostruire dunque l'intera vicenda partendo proprio dalle
dichiarazioni di Pecorelli: oggi si sa che il giornalista, vicino a Licio Gelli
e autore di feroci articoli contro Giulio Andreotti, dalle pagine del suo
settimanale fece pesanti rivelazioni sia in merito all'ultima prigione di Moro
che, soprattutto, al ruolo avuto nell'intera vicenda dallo stesso senatore
Andreotti. Si sa, anche e soprattutto grazie alle rivelazioni del superpentito
Tommaso Buscetta, che il generale di cui Pecorelli parlava era quasi
sicuramente lo stesso Carlo Alberto Dalla Chiesa, eliminato a sua volta dalla
mafia e contro il quale si mosse "un'entità politica di rilievo". L'entità di
cui solamente accenna Buscetta avrebbe "sato la mafia prima di trattare con le
BR, poi per assassinare il generale alla Chiesa dopo aver fatto fuori il
giornalista Pecorelli. Pecorelli e Dalla Chiesa - dichiarò il superpentito di
Cosa Nostra (18) - sono cose intrecciate. Sono stati uccisi per le stesse
ragioni, quindi dallo stesso mandante.".


All'epoca in cui apparvero i due articoli sopra riportati il settimanale "Il
Sabato" si domandò come mai il sen. Andreotti fosse inquisito solamente per il
delitto Pecorelli e non per quello di Dalla Chiesa 'chiosando' : "forse si
vuole procedere per gradi, si esita a compiere l'ultimo passo; il punto di
arrivo è quello inevitabile.".

Ma se il mandante plausibile risultasse Giulio Andreotti, il movente,
altrettanto plausibile, sarebbe esclusivamente da collegare alla vicende Moro
sulla quale Roberto Chiodi scriverà: "Pecorelli scrisse che l'ultimo rifugio di
Moro era nel ghetto e che un generale ne aveva riferito a Cossiga, poi nessuno
indagò: perchè? ...Moretti continuò a pilotare il sequestro che si concluse con
l'uccisione dello statista, il cui cadavere venne fatto ritrovare il 9 maggio
1978 in Via Caetani, a due passi dalle sedi del PCI e della DC" (19).

In modo altrettanto chiaro Chiodi continua affermando che "la difficoltà di
uccidere Moro nel garage condominiale di Via Montalcini e gli enormi rischi
connessi al trasporto del cadavere fino al centro di Roma fecero subito pensare
ad un'altra base delle BR vicina a Via Caetani e da dove l'intera fase finale
dell'uccisione poteva essere attuata senza rischi eccessivi. Via Caetani si
trova in prossimità del ghetto ebraico e i primi espliciti riferimenti a questo
luogo li fece proprio il giornalista Mino Pecorelli , direttore di OP. (20)

In particolare, di rilievo , è giusto sottolineare come sul numero del 17
ottobre 1978 - dopo la scoperta del covo brigatista di Via Montenevoso a Milano
- del suo settimanale il Pecorelli si chiedeva come mai il Gen. Dalla Chiesa
"non fu chiamato subito dopo Via Fani , quando Moro era ancora vivo?".... In
un'altra parte del settimanale Pecorelli pubblicò anche una falsa lettera al
direttore in cui appunto si affermava che un generale aveva avvertito il
ministro Cossiga, informandolo su dove Moro era tenuto prigioniero" (21)

"Il ministro non poteva decidere nulla su due piedi; doveva sentire più in
alto e qui sorge il rebus: quanto in altro, magari sino alla Loggia di Cristo
in Paradiso? L'allusione alla P2 è chiarissima. Comunque la risposta di Cossiga
, proseguì la lettera, fu negativa; c'era il rischio di un conflitto a fuoc. Ed
ecco la conclusione profetica di Pecorelli: ora la vita di Dalla Chiesa è
davvero in pericolo!" (22).

Nè poteva essere altrimenti: ai piani 'alti' dell'affaire Moro si situava
quella 'zona d'ombra' di cui aveva parlato Kissinger, quella zona 'grigia' dove
l'illecito diviene lecito ed operano le centrali di disinformazione, i centri
operativi, i controllori sistemici mediante l'uso di spregiudicati strumenti di
morte fra i quali rientrano - per le operazioni 'coperte' - tutti i servizi di
sicurezza , civili o militari che siano. E dietro ai quali tramano, nell'ombra,
interessati potentati politici ed economici quali quelli che si muoveranno
nella vicenda Moro.

Alcuni anni dopo l'avvocato De Gori, legale di parte civile della Democrazia
Cristiana, si ritrovò un messaggio anonimo sulla propria segreteria telefonica
nel quale si fornivano ulteriori indicazioni proprio sulla locazione
dell'ultima prigione di Moro: un locale del Ghetto ebraico, al quale si poteva
accedere attraverso un ampio passo carraio, sormontato da due leoni di pietra.
La registrazione della telefonata fu consegnata agli investigatori, poi non se
ne seppe più nulla. I due manoscritti di Moretti , comunque, parlavano chiaro:
"659127 - Immobiliare Savellia". "L'immobiliare esiste ancora, ha lo stesso
numero di telefono e lo stesso indirizzo: Via Monte Savello 30, ossia un
edificio rinascimentale di fronte all'Isola Tiberina a due passi dal Portico
d'Ottavia e dalla sinagoga, in pieno ghetto ebraico." (23).

Come esplicitamente scrisse sedici anni fa il settimanale "Il Sabato" nella
sua copertina del nr 25 del 19 Giugno 1993 "c'è dunque una pista ben più oscura
e su cui non si è mai indagato. E che rivela un quadro davvero inquietante!".

Noi , sedici anni or sono scrivevamo: " La pista è quella del quartiere
ebraico, la regia occulta è quella che lega brigatisti rossi, servizi segreti
italiani e stranieri, comunità ebraica in una trama che si concretizza
nell'eliminazione dello statista DC, scomodo alle lobbies economiche
internazionali e ai centri di potere (occulti e non) italiani, la cui politica
minava dall'interno i rapporti di forza fra la "colonia Italia" e i
"colonizzatori Stati Uniti", soprattutto nel bacino del Mediterraneo, laddove
una presenza filo-araba sul fronte occidentale , non rientrava affatto nella
logica di Yalta." (24).

Facciamo solo 'notare' che il settimanale "Il Sabato" sia , di lì a pochi
anni, fallito e abbia chiuso i battenti...

Ovviamente non abbiamo mutato 'opinione': dietro alla vicenda Moro si staglia
l'ombra di Giuda e del suo esercito di lacchè....E' Sion che 'detta' la lex
judaica che tiene prigioniero in casa propria il nostro popolo e sono gli Stati
Uniti d'America che ne opprimono politicamente, economicamente e militarmente
le legittime aspirazioni ad una sovranità nazionale derisa, calpestata ed
umiliata da oltre sessant'anni dagli invasori a stelle e strisce 'sbarcati' in
Sicilia nell'estate del 1943...



DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

DIRETTORE RESPONSABILE AGENZIA DI STAMPA "ISLAM ITALIA"

Note -

1 - si veda nostri articoli "Ombre occulte e regia giudaica dietro il caso
Moro" e "Moro:il caso non è chiuso" pubblicati rispettivamente sui numeri 93 e
95 del mensile "Avanguardia" del Settembre e Novembre 1993;

2 - Lapo Elkann oltre alla 'fama' di 'sciupa-trans' 'guadagnatasi' a livello
interplanetario la nottata dell'11 ottobre 2005 quando venne 'salvato' per un
pelo da una notte 'brava' consumata tra micidiali cocktail di stupefacenti,
alcool e sodomizzazioni è anche figlio di Margherita Agnelli e del giornalista
Alain Elkann, fratello di John Elkann, attuale vice-presidente del gruppo Fiat,
e di Ginevra Elkann, nonché nipote prediletto di Gianni Agnelli, Lapo Elkann
nasce a New York nel 1977. Ha vissuto in Brasile, ha studiato a Parigi e si è
laureato all' European Business School di Londra. Prima di diventare
responsabile del Brand Promotion Fiat ha fatto esperienze in Piaggio, Salomon
Smith Barney, Danone, Maserati e Ferrari. Nel 2001 è stato assistente personale
di Henry Kissinger. Entrato in Fiat Lapo Elkann si è accreditato per aver
rilanciato l'immagine del gruppo quando invece il suo apporto si è limitato a
gadget di diverso tipo, prime fra tutte le felpe con il marchio vintage della
casa automobilistica. Si è inoltre attribuito un ruolo rilevante nel lancio
della Fiat Grande Punto e nella progettazione della nuova Fiat 500.
Il fratello John che porta il secondo fiammante nome ebraico di Jacob (New
York, 1º aprile 1976) è un imprenditore e dirigente d'azienda statunitense
naturalizzato italiano, presidente di Exor, azionista e vice presidente della
FIAT, figlio del giornalista italo-statunitense Alain Elkann e di Margherita
Agnelli, a sua volta figlia di Gianni Agnelli. Ha iniziato la sua carriera
professionale nel 2001 presso la General Electric come membro del Corporate
Audit Staff con incarichi in Asia, Stati Uniti e in Europa. Nel 2003 è entrato
all’IFIL e ha lavorato al piano di rilancio del Gruppo Fiat, di cui ha assunto
la Vice Presidenza nel 2004 (è stato Consigliere di Fiat Spa dal dicembre 1997)
dopo la morte dello zio Umberto Agnelli. È vicepresidente della Giovanni
Agnelli e C. S.A.p.A. (Presidente Gianluigi Gabetti). È presidente
dell'Editrice La Stampa e di Itedi, membro del Consiglio di Amministrazione di
RCS MediaGroup e di Banca Leonardo; è inoltre vice presidente dell’Italian
Aspen Institute, della fondazione Italia-Cina e della fondazione Giovanni
Agnelli. Nel maggio 2008, per decisione unanime dei Soci e del Consiglio di
Amministrazione, viene eletto Presidente dell'IFIL che raggruppata con IFI è
stata rinominata Exor.

3 - si consultino i libri : "Ergastolo per la libertà - Verso la verità sulla
strategia della tensione" - ediz. "Arnaud" , Firenze 1989; "La strategia del
depistaggio" - ediz. del Fenicottero 1993; "Camerati addio" - ediz. di
"Avanguardia" , Trapani 2000;
4 - Sergio Flamigni - "La tela del ragno - Il delitto Moro" - ediz. "Kaos" ,
Roma 2003;
5 - (a cura di Pietro Calderoni) - "Servizi segreti" - ediz. "Tullio Pironti"
- Napoli 1986;
6 - Ibidem;
7 - Sulla funzionalità dell'URSS e del capitalismo di stato marxista-
sovietico nel quadro delle relazioni internazionali si veda l'ottimo saggio
dell'ebreo Charles Levinson "Vodka-Cola" - ediz. "Vallecchi", Firenze 1978; "
In particolare, esso documenta:
a) che le principali banche dell'area liberalcapitalista, prime fra tutte
quelle targate Morgan e Rockefeller, hanno proprie filiali nei paesi
socialcomunisti, e che le banche dell'area socialcomunista hanno anch'esse
filiali proprie nei paesi liberalcapitalisti;
b) che i governi del sistema socialcomunista affittano i loro lavoratori, a
basso salario e senza diritto di sciopero, alle multinazionali del sistema
liberalcapitalista;
c) che l'economia liberalcapitalista sorregge quella socialcomunista con un
flusso continuo di credito agevolato.
Un dossier pubblicato dal periodico OP Nuovo nel maggio 1982 ha reso noto
inoltre che la Gosbank , cioè la banca centrale sovietica, è una società per
azioni, con partecipazione di capitali privati stranieri. Luigi d'Amato,
docente universitario e giornalista, scriveva sul "Giornale d'Italia" del 21
giugno 1982: "La storia del grande capitale finanziario è quella di un potere
demoniaco; essa gronda sangue". Questa frase lapidaria condensa molto bene i
tre millenni di storia che è necessario prendere in considerazione, qualora si
voglia avere una visione chiara, inclusiva di ogni nesso causale, circa
l'origine e l'evoluzione del sistema di potere dei manipolatori di capitali.
Insegna infatti Giacinto Auriti che la radice originaria del lunghissimo
processo storico, che in epoca moderna ha condotto all'avvento tra i popoli
dell'usurocrazia mondiale, è situata appunto tre millenni addietro nel tempo;
per l'esattezza, al 1250 a .C., momento presunto dell'esodo degli ebrei
dall'Egitto." ( articolo "Il Grande Parassita" dal sito internet www.
disinformazione.it )

8 - "La pista del petrolio" di R.T. articolo apparso su "30 Giorni"
supplemento del mensile "Il Sabato", nr. 3, marzo 1992;
9 - ibidem;
10 - Il 7 ottobre 1985 un commando palestinese del Fronte Popolare di
Liberazione della Palestina (FPLP) di Abu Abbas, mescolatosi tra i passeggeri,
bloccò la nave da crociera italiana «Achille Lauro», appena salpata da
Alessandria (Egitto). I quattro militanti palestinesi presero in ostaggio 450
passeggeri e l'equipaggio chiedendo in cambio la liberazione di 52 palestinesi
detenuti nelle carceri dell'entità criminale sionista alias "stato d'Israele".
Altrimenti, minacciarono, avrebbero fatto saltare la nave. La trattativa si
mostrò subito difficilissima. Scese in campo l'Olp di Yasser Arafat, che inviò
a Porto Said un dirigente di Al Fatah, Hani al-Hassan, ed anche il capo
dell'Fplp Abu Abbas.

La trattativa ebbe una immediata svolta drammatica: l'8 ottobre, a bordo
della nave, fu ucciso a sangue freddo un cittadino americano handicappato, Leon
Klinghoffer. Il suo corpo fu gettato in mare dal commando. L'omicidio sollevò
l'indignazione mondiale e la canea di reazioni dell'opinione pubblica
eterodiretta dai media filo-sionisti di mezzo mondo. La resa avvenne il 9
ottobre quando il commando lasciò la nave a bordo di una motovedetta egiziana e
il giorno dopo la «Achille Lauro» attraccò a Porto Said. L'11 ottobre un aereo
egiziano che stava portando il commando di sequestratori e Abu Abbas in Tunisia
venne dirottato da quattro aerei americani e fatto dirigere verso la base Usa
di Sigonella, in Sicilia. Il presidente americano dell'epoca Ronald Reagan
telefonò all'allora presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi per
chiedere l'autorizzazione per l'aereo egiziano di atterrare a Sigonella,
autorizzazione che venne accordata.

Craxi però rifiutò di consegnare agli Stati Uniti i sequestratori e i
militari italiani della base di Sigonella si opposero alle truppe speciali
statunitensi. Probabilmente questo , nella storia delle relazioni bilaterali
italo-statunitense, rimane l'unico atto di autentica sovranità e indipendenza
nazionali dimostrato da un esecutivo di Roma. Le autorità italiane presero in
consegna i dirottatori, mentre l'aereo egiziano con a bordo Abu Abbas si
trasferì a Ciampino e successivamente a Fiumicino. I quattro dirottatori furono
accusati di omicidio volontario, sequestro e detenzione di ostaggi e trasferiti
nel carcere di Siracusa il 12 ottobre. Ma Abu Abbas, considerato dall'Italia un
semplice testimone, fu lasciato partire da Fiumicino con un aereo jugoslavo
alla volta di Belgrado. Gli Usa, che avevano chiesto di processare i
dirottatori, protestarono duramente con il governo italiano. Lo smacco per
l'amministrazione Reagan fu enorme e , neanche un decennio più tardi, il leader
socialista avrebbe pagato un conto salatissimo per questa sua onorevolissima
levata di scudi nei confronti dell'"alleato" americano.
11 - "La crisi energetica del 1973 fu dovuta principalmente ad un'improvvisa
e inaspettata interruzione del flusso dell'approvvigionamento di petrolio dai
paesi appartenenti all'Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries)
ai Paesi importatori dell'oro nero. In quegli anni infatti la situazione
mediorientale era incandescente: i Paesi arabi non avevano ancora riconosciuto
il diritto dello Stato di Israele ad esistere. Nell'ottobre del 1973, il giorno
dello Yom Kippur (da cui il nome Guerra del Kippur), l'esercito egiziano
attaccò Israele da sud, ovvero dalla penisola del Sinai di concerto con quello
siriano che attaccò invece da nord, dalle alture del Golan. Israele si trovò in
grave difficoltà durante i primi giorni della guerra, ma dopo i primi momenti
di smarrimento iniziale, l'esercito israeliano risultò vincente su entrambi i
fronti, tanto da minacciare Il Cairo. La guerra finì dopo una ventina di giorni
con la proclamazione di un cessate-il-fuoco tra le due parti. Durante i
combattimenti Egitto e Siria furono aiutati e supportati dalla quasi totalità
dei Paesi arabi e anti-americani, mentre Israele fu appoggiato da Stati Uniti e
dei Paesi europei. È per questo motivo - punire l'Occidente per la sua politica
filo-israeliana - che i Paesi Arabi appartenenti all'Opec bloccarono le proprie
esportazioni di petrolio verso questi paesi.
Questo processo portò all'innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio,
che in molti casi aumentò più del triplo rispetto alle tariffe precedenti. I
governi dei Paesi dell'Europa Occidentale, i più colpiti dal rincaro del prezzo
del petrolio, vararono provvedimenti per diminuire il consumo di petrolio e per
evitare gli sprechi. In Italia il governo, presieduto da Mariano Rumor, varò un
piano nazionale di “austerity economica” per il risparmio energetico che
prevedeva cambiamenti immediati: il divieto di circolare in auto la domenica,
la fine anticipata dei programmi televisivi, la riduzione dell'illuminazione
stradale e commerciale. Le cosiddette "domeniche austere". Insieme a questi
provvedimenti con effetti immediati, il governo impostò anche una riforma
energetica complessiva con la costruzione, da parte dell'Enel, di centrali
nucleari per limitare l'uso del greggio." (da www.wikipedia.it)
Per ulteriori informazioni si consulti di Eric Laurent - "La verità nascosta
sul petrolio - Un'inchiesta esplosiva sul 'sangue del mondo'" ediz. "Nuovi
mondi media" - Bologna
12 - "La pista del petrolio" di R.T. articolo apparso su "30 Giorni"
supplemento del mensile "Il Sabato", nr. 3, marzo 1992;
13 - ibidem ;
14 - "Pagano Moretti per il suo silenzio" , intervista di Giovanni Bianconi
da "La Stampa" del 31 Gennaio 1993;
15 - "Due appunti del BR Moretti portano al quartiere ebraico di Roma - Ora
spunta l'ultima prigione di Moro?" , articolo di Giampaolo Tucci da "L'Unità"
del 16 Giugno 1993;
16 - Carmine , detto Mino, Pecorelli , direttore del periodico "OP" venne
freddato a colpi di pistola mentre usciva dalla redazione del suo giornale la
sera del 20 marzo 1979. Una vera e propria esecuzione a sangue freddo. Il
movente dell'omicidio rimane a tutt'oggi sconosciuto anche se riconducibile
alla controversa personalità della vittima. "OP - Osservatorio Politico
Internazionale" il suo peridico è il punto di riferimento per molti
dell'ambiente giornalistico romano, per altri sarà uno strumento legato ai
servizi di sicurezza utilizzato per far arrivare 'messaggi' scomodi a eminenti
personalità della politica e della società italiana. Pecorelli sicuramente è
stato collegato ad alcuni corpi dello Stato come riferì il col. Nicola Falde,
del SID , e come confermerebbero i suoi legami con Vito Miceli, capo del
servizio segreto militare dal 1970 al 1974, e anche - stando ad alcune
testimonianze pienamente confermate da due sentenze processuali - con l'allora
Gen. Carlo Albeto Dalla Chiesa. "OP" , diventato settimanale dal marzo 1978,
anticiperà lo scandalo dei petroli e mostrò di sapere molto in particolar modo
sul caso Moro.
17 - "La casa dei misteri" , articolo di Roberto Chiodi da "Il Sabato" del 19
Giugno 1993;
18 - "Buscetta ha fango per tutti" , articolo di Lino Jannuzzi, da "Il
Sabato" del 19 Giugno 1993;
19 - "La casa dei misteri" , ibidem;
20 - ibidem;
21 - ibidem;
22 - ibidem;
23 - ibidem;
24 - nostro articolo "Ombre occulte e regia giudaica dietro il caso Moro" -
da "Avanguardia" nr 93 - Settembre 1993;

Spetaktor
07-07-09, 20:52
Caso Moro: Cia e Mossad complici delle BR?
Interrogazione di Gigi Malabarba (Capogruppo PRC al Senato) al Presidente del Consiglio

"Se CIA e Mossad avevano infiltrato le BR prima del rapimento di Moro e ciò era noto ai servizi segreti deviati italiani e a giornalisti ad essi legati come Mino Pecorelli, esiste una complicità di Stati Uniti e Israele nella fine dello statista DC, reo di voler aprire le porte del governo ai comunisti"
Commenta così Gigi Malabarba, capogruppo PRC al Senato e membro del COPACO, le affermazioni dell' ex vicepresidente del CSM e vicepresidente vicario della DC, Giovanni Galloni, in un'intervista a RAI NEWS 24.
"Ho presentato un'interrogazione al Presidente del Consiglio perché USA e Israele ai loro massimi livelli politici e di intelligence forniscano informazioni immediate, perché, se ciò fosse confermato, la storia del nostro paese andrebbe riscritta e personaggi screditati come Antonino Arconte (inviato dai servizi in Medio Oriente prima del rapimento di Moro per trattare il suo rilascio) presi in seria considerazione - aggiunge Malabarba -".
"Alla luce dei recenti episodi di azione illegale della CIA nel nostro paese, come il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar, il governo deve smettere di essere latitante e porre in atto tutte le iniziative adeguate a far luce su episodi che mettono in luce una condizione dell'Italia a sovranità limitata, in cui agivano un tempo "servizi deviati" e oggi "accordi segreti" Usa - governo italiano per aggirare costituzione, leggi e trattati internazionali - conclude Malabarba. "

Roma 6-7-2005
L'Ufficio Stampa del Gruppo PRC Senato

Intervista a Giovanni Galloni
Tratto da RaiNews24 - www.rainews24.it/ran24/magazine/next/default.htm

L’eco suscitato dalle clamorose dichiarazioni rilasciate martedì 5 luglio dall’On. Giovanni Galloni, Vice Segretario Vicario della DC ai tempi del rapimento di Aldo Moro, aprono squarci nuovi su cosa accadde in quella primavera del 1978. Perché uno dei più importanti leader politici italiani fu rapito? Perché rimase 55 giorni nelle mani degli uomini delle Brigate Rosse senza che i servizi segreti riuscissero a trovare il covo dove era detenuto? Perché uno Stato sovrano come il nostro non riuscì a salvare la vita di uno dei suoi politici di maggior prestigio? Quale è stato il vero ruolo giocato dai servizi segreti stranieri sull’intera vicenda? Quale era il quadro storico-politico di riferimento che determinò le scelte e in ultima analisi il destino di Aldo Moro e della Repubblica? Di fronte agli eventi di queste ore, sembrano domande relegate al passato remoto della nostra memoria collettiva, ma anche di fronte ad una generazione intera di italiani che non sa o non ricorda che cosa accadde non si può lasciare che questi interrogativi rimangano tali in eterno. Fino a quando ci sarà qualcuno a conoscenza di fatti che possono illuminare un tratto di quel buio e sia disposto a parlarne, abbiamo il dovere di ascoltarlo.

A questo link potete ascoltare l'intervista a Giovanni Galloni sul Caso Moro.
Dice Galloni: "Moro mi disse che sapeva per certo che i servizi segreti sia americani sia israeliani avevano degli infiltrati all'interno delle Brigate Rosse. Però non erano stati avvertiti di questo"
http://www.rainews24.it/ran24/clips/Video/galloni.asx

Unghern Kahn
15-07-09, 18:38
Molto interessanti l'articolo e l'interrogazione del capogruppo comunista al Senato postate. Aggiungo quest'altra interessante analisi di Flamigni sempre sul caso Moro e sul covo brigatista di Via Gradoli.


Sergio Flamigni. I segreti di Via Gradoli e la morte di Moro







Link utile: Brigate rosse e Aldo Moro

Leggi: articoli e documenti sulle Brigate rosse



SERGIO FLAMIGNI (Forlì, 1925) ha aderito al Pci clandestino nel 1941, e durante la Resistenza è stato Commissario politico della 29ª Brigata Garibaldi Gap “Gastone Sozzi’’. Nel 1952 segretario Cgil della Camera del Lavoro di Forlì, nel 1956 segretario della Federazione comunista di Forlì, nel 1960 Segretario regionale dell’Emilia Romagna. Parlamentare del Pci dal 1968 al 1987, ha fatto parte delle Commissioni d’inchiesta sul caso Moro, sulla Loggia P2 e Antimafia.

Un libro impedibile : Il covo di Stato –Via Gradoli e il delitto Moro- La strana scelta di “Mario Borghi”, e la scoperta pilotata del covo. Da via Gradoli al Lago della Duchessa; al covo di via Montalcini; alla tipografia di via Foà; alla base di Firenze; al Ghetto ebraico; allo scandolo dei fondi riservati del Sisde. Le prove documentali che la base Br di via Gradoli era un “covo di Stato”.



Un agente del Sismi, compaesano di Moretti, in via Gradoli
Flamigni rivela che al n° 89 di via Gradoli, nell’edificio di fronte al civico 96 dove c’era il covo-base delle Br morettiane, prima e durante il sequestro Moro abitava il sottufficiale dei carabinieri Arcangelo Montani. Il Montani aveva due particolarità: era un agente del Sismi, e proveniva da Porto San Giorgio (era dunque compaesano del capo brigatista Mario Moretti, nato a Porto San Giorgio nel 1946). Durante il sequestro Moro, il 31 marzo 1978, lo stesso contrammiraglio Fulvio Martini (allora vice direttore del servizio segreto militare) intervenne a favore del Montani in seguito a un esposto presentato ai carabinieri da alcuni inquilini del condominio di via Gradoli 89, i quali lamentavano di avere subito vessazioni da parte del sottufficiale.



L’ingegner Ferrero e il capo delle Br
Flamigni ricostruisce le vicende relative all’appartamento utilizzato da Moretti per la base-covo. A partire dallo stranissimo contratto d’affitto stipulato in fretta e furia nel dicembre 1975 dai proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, con l’inquilino “Mario Borghi” alias Mario Moretti: un contratto privo delle date di stipula e di decorrenza, che non venne registrato, e firmato solo da Luciana Bozzi (benché l’appartamento fosse intestato anche al marito, e fosse stato lo stesso Ferrero a compilarlo). Il capo delle Br utilizzava anche il box-auto nel garage di via Gradoli 75 di proprietà dei coniugi Ferrero, ma questo nel contratto d’affitto non risultava. Né i locatori sono stati in grado di dimostrare quanto l’inquilino Borghi-Moretti pagasse di canone d’affitto, e neppure se lo pagasse regolarmente.
Flamigni ricostruisce poi la brillante carriera dell’ingegner Ferrero negli anni successivi al 1978; come facoltoso e potente manager di informatica e telecomunicazioni, con incarichi richiedenti il Nos (“Nulla osta di sicurezza”, la speciale autorizzazione – rilasciata dalle autorità Nato, previo parere favorevole dei servizi segreti italiani – che permette di svolgere attività nei settori strategici per la sicurezza nazionale e atlantica). Oggi l’ingegner Giancarlo Ferrero siede nel consiglio di amministrazione della Omnitel Pronto Italia, a fianco del presidente della Telecom Roberto Colaninno. Dal 1° gennaio 1999 è anche amministratore delegato della Bell Atlantic International Italia srl, filiale italiana della grande multinazionale americana di servizi e prodotti nel settore delle telecomunicazioni – servizi e prodotti che riguardano anche il settore degli armamenti Nato e la stessa sicurezza nazionale.



Contatti Br-Sismi a Firenze
Nel libro si racconta che il 3 marzo 1993, a Firenze, in un monolocale di via Sant’Agostino 3, vennero casualmente trovate armi da guerra e munizioni: il defunto padre del proprietario dell’immobile, il marchese Alessandro Pianetti Lotteringhi della Stufa, molti anni prima aveva messo quel monolocale a disposizione di Federigo Mannucci Benincasa, capo centro di Firenze del Sismi negli anni dal 1971 al 1991. Dal processo (sentenza del Tribunale di Firenze del 23 aprile 1997) è poi emerso che il centro Sismi di Firenze stabilì un collegamento con una fonte informativa brigatista nel periodo in cui le Br preparavano il sequestro Moro; che quel contatto fu attivo durante tutto il periodo del sequestro, mentre a Firenze era riunito in permanenza il Comitato esecutivo Br che dirigeva l’operazione; e che quel contatto si interruppe solo nel 1982. L’identità del brigatista informatore del Sismi non è mai stata resa nota, ma Flamigni ipotizza che potrebbe trattarsi del criminologo Giovanni Senzani, il quale abitava in Borgo Ognissanti, a due passi dal monolocale di via Sant’Agostino usato da Federigo Mannucci Benincasa.

Importanti conferme dei collegamenti via Gradoli-Sisde
Il libro riporta due documenti “riservati”: una relazione e un appunto, datati 7 maggio 1998, firmati rispettivamente dal capo della polizia Fernando Masone e dal capo del Sisde Vittorio Stelo, e inviati al ministro dell’Interno e al Cesis in seguito alla pubblicazione del libro di S. Flamigni “Convergenze parallele”. La relazione di Masone conferma che «[la Fidrev srl, società di consulenza del Sisde] era a sua volta controllata dall’immobiliare Gradoli, nella quale sindaco supplente, dal giugno 1977, era tale Gianfranco Bonori, nato a Roma il 26-7-52. Il Bonori, dal 1988 al 1994, ha assunto l’incarico di commercialista di fiducia del Sisde, subentrando alla Fidrev. [...] Il prefetto Parisi risulta avere acquistato, con atto [notarile] del 10 settembre 1979, un appartamento al civico 75 di via Gradoli e, successivamente, sempre al civico 75, altri due appartamenti e un box. Inoltre nel 1986 acquistò, intestandolo alla figlia Maria Rosaria, un appartamento sito al civico 96, e nel 1987 un altro appartamento sito allo stesso civico intestandolo alla figlia Daniela». L’appunto del prefetto Stelo precisa inoltre che «la società Fidrev, azionista di maggioranza dell’immobiliare Gradoli, risulta aver svolto assistenza tecnico-amministrativa per la Gus e la Gattel [società di copertura del Sisde, ndr], dalla loro costituzione fino al 14 ottobre 1988. In pari data, per incarico dell’amministratore pro tempore delle due società, Maurizio Broccoletti, subentrò in tale consulenza il ragionier Gianfranco Bonori, già sindaco supplente dell’immobiliare Gradoli. Tale attività di consulenza è cessata il 27 luglio 1994».

Dal capo Br Mario Moretti al funzionario del Sisde Maurizio Broccoletti
Fra il materiale trovato nel covo Br di via Gradoli 96 il 18 aprile 1978 c’erano un appunto manoscritto di Moretti: «Marchesi Liva – 659127 – mercoledì 22 ore 21 e un quarto» (la data corrispondeva a mercoledì 22 marzo 1978, sei giorni dopo la strage di via Fani e il sequestro), e un altro «foglietto manoscritto con recapito telefonico n° 659127 dell’immobiliare Savellia». La sede della Savellia srl era nel Palazzo Orsini di via Monte Savello, vicino al Portico D’Ottavia, la zona del Ghetto ebraico che dista poche centinaia di metri da via Caetani. E il palazzo Orsini era la residenza della «marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, nobildonna romana che si firmava anche Liva». Presidente del collegio sindacale dell’immobiliare Savellia srl era il commercialista Giovanni Colmo. Questi, tempo dopo il delitto Moro, diventerà segretario (e suo figlio Andrea, membro del collegio sindacale della Savellia, ne diventerà amministratore unico) della immobiliare Palestrina III srl, una società di copertura del Sisde. Inoltre, presso lo studio del commercialista Giovanni Colmo, in via Antonelli, avranno sede l’immobiliare Proim srl (dal 1990 con amministratore unico Andrea Colmo e socio il padre Giovanni) e l’immobiliare Kepos srl: due società immobiliari di copertura del Sisde.
Il 14 dicembre 1990 l’assemblea della Palestrina III srl nominerà segretario Giovanni Colmo e amministratore unico il fiduciario del Sisde Mario Ranucci (stretto collaboratore di Maurizio Broccoletti). Il legame fiduciario di Mario Ranucci con il Sisde è certo e collaudato nel tempo: una sua ditta di pulizie, C.R. Servizi srl, ha avuto l’appalto delle pulizie negli appartamenti del capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, negli uffici del Sisde, negli uffici del capo della polizia Vincenzo Parisi, e in quelli di molti altri alti funzionari del Viminale. Per anni strettissimo collaboratore di Maurizio Broccoletti, nel processo per i “fondi riservati” del Sisde Ranucci ha confermato di essere stato fiduciario-prestanome per alcune società di copertura del Servizio su mandato del Broccoletti.

Da via Gradoli al Sisde
In via Gradoli 96, l’appartamento attiguo al covo brigatista era abitato dalla studentessa universitaria di origine egiziana Lucia Mokbel, che era un’informatrice della polizia, e dal suo convivente Gianni Diana. L’appartamento abitato dai due era di proprietà della società Monte Valle Verde srl, che glielo aveva ceduto in uso. Il Diana lavorava nello studio del commercialista Galileo Bianchi, il quale – tre giorni dopo la “scoperta” del covo Br, il 21 aprile 1978 – venne nominato amministratore unico della Monte Valle Verde srl in sostituzione del dimissionario Aldo Bottai. Bottai era il socio fondatore della Nagrafin spa, e la Nagrafin poi darà vita alla Capture Immobiliare srl, una società di copertura del Sisde.

Foto intimidatorie ai magistrati che cercavano le basi Br nel Ghetto ebraico
Flamigni ricostruisce la vicenda di Elfino Mortati, latitante a Roma dopo l’omicidio del notaio Gianfranco Spighi (avvenuto a Prato il 10 febbraio 1978), arrestato a Pavia ai primi di luglio del 1978, poche settimane dopo l’uccisione di Moro. Interrogato dal magistrato, Mortati dichiarò di essere stato in contatto con elementi legati alle Brigate rosse durante il sequestro Moro. Nel corso della latitanza romana (dal febbraio ai primi di giugno 1978) Mortati aveva abitato in un appartamento di via dei Bresciani, e aveva pernottato diverse volte in altri due appartamenti “coperti”, situati nella zona del Ghetto, ospite delle Br. Ricorda il giudice istruttore Ferdinando Imposimato: «Io e il collega Priore caricammo Mortati su un pulmino dei carabinieri e girammo in lungo e in largo, anche a piedi, per il Ghetto, ma senza alcun risultato. Pochi giorni dopo il mistero si infittì quando mi vidi recapitare in ufficio una foto scattata quella sera, e nella foto c’eravamo io, Priore e Mortati»; la foto ritraeva i tre mentre erano in via dei Funari-angolo via Caetani. Quella foto venne scattata da un osservatorio dei servizi segreti italiani. Di quell’intimidazione non venne informata la Commissione d’inchiesta sul caso Moro, né le foto risultano agli atti del processo Moro trasmessi alla Commissione.
Dalle dichiarazioni di Mortati, dagli accertamenti svolti dai vigili urbani, dalle notizie delle fonti confidenziali trasmesse, gli inquirenti arrivarono a individuare un covo brigatista situato nel Ghetto ebraico di Roma durante il sequestro Moro (in via Sant’Elena n° 8, interno 9). Ma a quel punto tutto si fermò: una speciale immunità protesse le Brigate rosse anche nel Ghetto ebraico.

Una Jaguar, il Ghetto ebraico e un colonnello della P2
Nel covo Br di via Gradoli il 18 aprile 1978 venne trovata la chiave di un’auto con un talloncino di cartone sul quale c’era scritto su un lato «Jaguar 2,8 beige H 52559 via Aurelia 711», e sull’altro «FS 915 FS 927 porte Sermoneta Bruno». Era una traccia che portava nel Ghetto ebraico, dove c’erano alcune basi e punti d’appoggio delle Br che tenevano prigioniero Moro, ma le indagini vennero avviate solo a partire dal 12 ottobre 1978 (cioè 5 mesi dopo l’uccisione del presidente Dc). Bruno Sermoneta era un commerciante di 37 anni che gestiva un ampio negozio di biancheria e tappeti con ingresso in via Arenula e retro in via delle Zoccolette, nei pressi del Ghetto ebraico. Le indagini furono coordinate dal tenente colonnello Antonio Cornacchia (affiliato alla Loggia P2). Dal rapporto finale del piduista Cornacchia traspariva evidente che non era stata svolta alcuna effettiva indagine preliminare nei riguardi di Bruno Sermoneta, il quale anzi era stato messo al corrente del ritrovamento della chiave a suo nome nel covo Br di via Gradoli.

Il passo carraio vicino a via Caetani
Le indagini per individuare i locali adatti ad accogliere la Renault rossa delle Br sulla quale il 9 maggio 1978 era stato fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro diedero «esito negativo». Nella zona del Ghetto da perlustrare era compresa via Monte Savello, dove al n° 30 c’era un passo carraio con accesso a palazzo Orsini che conduceva a un garage. Le forze di polizia omisero di indagare nei cortili dei palazzi dei nobili casati. Nella zona era compresa anche via Caetani, là dove c’era un passo carraio che immetteva nel cortile dei restauri dell’antico Teatro di Balbo, e nell’altro lato della strada c’era un passo carraio che immetteva in un cortile di palazzo Mattei, confinante con palazzo Caetani; a quest’ultimo edificio si accedeva dal passo carraio di via delle Botteghe Oscure 32. E se palazzo Caetani ospitava diverse sedi diplomatiche coperte da immunità territoriale, non così era per l’attiguo palazzo Mattei, ideale come “luogo di ricetto di autovettura”, che però le forze di polizia omisero di segnalare: la Renault delle Br avrebbe potuto entrare e uscire dall’ampio passo carraio situato in via dei Funari, cioè proprio nei paraggi percorsi a piedi dai giudici Imposimato e Priore insieme a Mortati, quando vennero fotografati a scopo intimidatorio.


Sergio Flamini- I segreti di Via Gradoli e la morte di Moro (http://www.rifondazione-cinecitta.org/segretigradoli.html)

Unghern Kahn
02-01-10, 11:41
Finalmente ho trovato anche questo articolo e annesso l'analisi di Flamini.
Al di là della fissa anti-ebraica di Bellucci sicuramente l'impianto generale dell'articolo ha una sua validità perchè a volere Moro morto, al di là delle B.R. che furono probabilmente solo degli utili idioti manipolati da qualche servizio, assieme agli americani erano proprio i loro alleati israeliani.

Unghern Kahn
15-03-10, 09:40
I misteri del Ghetto nel caso

Aldo Moro



Non deve stupire la chiave surreale in cui ricorriamo per tentare di forzare l’ultimo baluardo che ci frappone alla piena comprensione di quella terribile primavera del 1978. Ma è un personaggio insospettabile che a un certo punto ci viene in aiuto : Peter Tompkins del Comando Alleato durante la Liberazione, ci dà un’un’indicazione, forse del tutto casuale, dell’ultima possibile prigione di Aldo Moro nella sua biografia : “Una spia a Roma” scritta negli anni sessanta, ma recentemente ripubblicata con una presentazione.



Del resto Tompkins è un esperto di guerra psicologica e ha sempre mostrato di saper calibrare i suoi interventi nei fatti italiani di cui è un grande conoscitore. Tompkins conosce molto bene Palazzo Castani, visto che nel “43” vi aveva stabilito la sua base segreta. E conosce bene Markevitch ( il “grande vecchio” secondo alcuni capo delle BR e noto musicista ): si erano incontrati durante la guerra quando Markevitch , su consiglio di Carlo Senigallia , entrò in contatto con l’ORI, il servizio segreto della Resistenza, organizzato dall’avvocato torinese Raimondo Crateri, che era per altro marito di Elena Croce. La rete Crateri operò in stretto contatto con l’OSS e dunque con il Gen William Donovan, ma soprattutto con Peter Tompkins.

In quel periodo la “spia americana” è già all’interno di Palazzo Castani, dove svolge la sua attività di intelligence in stretto contatto con alcuni comandanti partigiani, come Giuliano Vassalli , da lui incaricato di organizzare la liberazione dal carcere nazista dei prigionieri politici. Tra questi ci sono anche due futuri capi di Stato ,ovvero Saragat e Sandro Pertini. Nel libro di memorie Tompkins racconta un episodio avvenuto nel 1943 in un interno di Palazzo Antici- Mattei ( lo stabile fa parte dello stesso complesso occupato dagli alleati e chiude alle spalle di Palazzo Castani):

“Cervo mi fece salire i gradini che portavano alla terrazza: da qui per un corridoio tortuoso mi condusse in una piccola camera da letto,ove, spostato un comodino apparvero i contorni di un pannello segreto largo circa quaranta centimetri e alto altrettanto. Lo aprì e si cacciò dentro a carponi.. varcato il pannello mi trovai in un’altra piccola camera da letto dove tutte le porte erano state murate e coperte da carta da parati, l’unica finestra era celata da pesanti tendaggi. Quella stanza così ben nascosta all’ultimo piano di Palazzo Antici-Mattei doveva servire come rifugio temporaneo per i prigionieri liberati dalle carceri tedesche in attesa poterli estradare verso la salvezza.”



Anche Moro è stato trattenuto in quella stanza, in attesa di essere estradato, come i prigionieri liberati dai tedeschi? Scriveva Mino Pecorelli in quei giorni: < Moro era certo di essere liberato, ma temeva di essere ferito in un conflitto a fuoco dei “carabinieri”> I carabinieri di Dalla Chiesa, che avevano scoperto il suo ultimo domicilio e premevano per intervenire? O erano altri i “carabinieri” che Moro temeva?

E’ veramente difficile riuscire ad immaginare quello che è accaduto negli ultimi giorni e soprattutto nelle ultime ore. I brigatisti dissociati, ad esempio, assicurano che Moro non sapeva di essere stato condannato a morte, al contrario, era convinto che l’ultimo trasferimento avrebbe preceduto di poche ore la libertà.

Anna Laura Braghetti arriva a descrivere il commiato, i saluti, lo scambio di reciproci auguri, prima che il presidente si calasse nella cesta per essere portato via. Forse dobbiamo soltanto retrodatare di qualche giorno foto ,a quando i brigatisti, o almeno alcuni di loro, sono usciti definitivamente di scena e l’ostaggio è stato consegnato ad altri protagonisti, ancora sconosciuti, della fase finale del sequestro.



Ma credo che almeno Moretti abbia incontrato Moro, nei giorni successivi, quando era ancora in corso l’ultima possibile trattativa prima che qualcuno, come scriveva Pecorelli, <alzasse il prezzo e tradisse il patto>.

Una cosa è certa : Moro era costantemente informato di ogni decisione che lo riguardava. E perciò anche della condanna a morte, quando questa fu decisa. Lo conferma l’ultima straziante lettera alla moglie:< mia dolcissima Noretta>. Ma anche la telefonata che fece Morucci al prof Franco Tritto, un amico dello statista. Un colloquio drammatico,che abbiamo ascoltato tante volte in tutte le commemorazioni, anno dopo anno. Morucci dice al prof Tritto che il corpo di Moro è in via Castani , nella Renault rossa:< lei deve informare la famiglia, sono le ultime volontà del Presidente, non vuole che lo sappiano altri, vada subito da loro>.Il professore Tritto, un vecchio allievo dell’università, piange al telefono,sussurra:< Non me la sento, non ce la faccio…> Morucci insiste: < Professore , io non mi posso trattenere a lungo, faccia come le ho detto, sono le volontà del presidente, nella macchina ci sono anche alcuni effetti personali da consegnare alla famiglia>.

Morucci temeva che potesse essere localizzata la cabina da dove stava telefonando, temeva un bltz dei carabinieri e d essere arrestato. Il nastro della registrazione è pieno di fruscii : anche Morucci sembra emozionato e sullo sfondo si sentono distintamente i singhiozzi di Tritto.

Dunque a Moro era stata (di certo) comunicato la sentenza di morte, aveva avuto il tempo di manifestare le sue ultime volontà e, immaginando la disperazione della moglie e dei figli, preferiva che fosse un amico di famiglia a portare la notizia. Non il presidente del Consiglio Andreotti, non gli ex amici della DC, quel partito da cui aveva dato le dimissioni, uomini che aveva accusato di averlo condannato a morte. E nella sua solitudine, consapevole di essere stato tradito, si è avviato verso l’estremo sacrificio dopo aver maledetto per l’ultima volta i nuovi nemici e i vecchi amici.



La perizia dei Ros afferma che neppure la versione dell’esecuzione è compatibile con quanto rilevato dopo l’autopsia : Moro era in piedi quando gli hanno sparato o, se davvero era all’interno dell’auto (ipotesi considerata molto improbabile) il killer che ha imbracciato la mitraglietta Scorpion, per la particolare inclinazione dei colpi, doveva essere seduto al posto di guida e dunque doveva avere un’elevata capacità nel manovrare l’arma, in quella posizione scomoda e in quello spazio angusto.Anche la tragica pagine finale sembra tutta da riscrivere.

In assenza di ogni possibile certezza, sullo scenario dell’assassinio troviamo un altro degli scritti oscuri, visionari e sibillini di Pecorelli.Il passo è tra i meno conosciuti, forse perché soltanto da poco tempo è stato possibile coglierne interamente il significato. Esso suggerisce come il giornalista fosse tra i pochi da aver capito immediatamente perché il corpo di Moro era stato abbandonato in via Castani e quali segreti nascondessero quelle mura.

Su <OP> del 23 maggio1978, dunque, Mino si avventura in un’altra fantacronaca, quella del ritrovamento del presidente della DC , e immagina tra la folla una contessa romana che sull’onda dell’emozione si abbandona a sinistre riflessioni. Di fronte al muro dov’è parcheggiata la Renault con il corpo di Moro, la nobildonna ha come un’allucinazione e sussurra:

“Oltre quel muro ci sono i ruderi del teatro Balbo, il terzo anfiteatro di Roma. Ho letto un libro che a quei tempi gli schiavi fuggiaschi e i prigionieri vi venivano condotti perché si massacrassero tra di loro. Chissà cosa c’era nel destino di Moro perchè la sua morte fosse scoperta proprio contro quel muro ? Il sangue di allora è il sangue di oggi,quel sangue ricade anche su di noi.”

La risposta all’ultimo rebus non è, oramai, troppo difficile: quegli antichi guerrieri costretti a scendere nelle arene erano i gladiatori



Chi è Peter Tompkins

Peter Tompkins è nato nel 1919 ad Athens, in Georgia, ma ha trascorso gran parte della sua infanzia in Italia, tra Roma e la Toscana. Dall’Università di Harvard torna in Italia allo scoppio della Seconda guerra mondiale come corrispondente del New York Herald Tribune prima e, in seguito, della MBS e della NBC. Nel 1941 entra nell’OSS (Office of Strategic Services, trasformato in CIA dopo la fine della guerra) operando in Africa Orientale, Italia e Germania. A guerra finita riprende l’attività di giornalista lavorando per la CBS negli Stati Uniti e in Italia. Scrive per le testate The New Yorker, The New Republic, Time, Life, Look, Esquire, The Observer, Paris Match, L’Europeo. Si dedica alla ricerca storica, archeologica e allo studio della natura, producendo una ventina di libri, fra cui vari best seller mondiali tradotti in una ventina di lingue. Per Simon&Schuster (New York) dopo Una spia a Roma, ha scritto i libri storici Italy Betrayed e The Murder of Admiral Darlan.


I misteri del Ghetto nel caso Aldo Moro (http://www.rifondazione-cinecitta.org/ghetto-moro.html)

Unghern Kahn
15-03-10, 09:41
Quarta di copertina

La strana scelta di “Mario Borghi”, e la scoperta pilotata del covo. Da via Gradoli al Lago della Duchessa; al covo di via Montalcini; alla tipografia di via Foà; alla base di Firenze; al Ghetto ebraico; allo scandolo dei fondi riservati del Sisde. Le prove documentali che la base Br di via Gradoli era un “covo di Stato”.
Recensione

INTESI DELLE PRINCIPALI NOTIZIE CONTENUTE NEL NUOVO LIBRO-INCHIESTA DI SERGIO FLAMIGNI SUL DELITTO MORO

Un agente del Sismi, compaesano di Moretti, in via Gradoli
Flamigni rivela che al n° 89 di via Gradoli, nell’edificio di fronte al civico 96 dove c’era il covo-base delle Br morettiane, prima e durante il sequestro Moro abitava il sottufficiale dei carabinieri Arcangelo Montani. Il Montani aveva due particolarità: era un agente del Sismi, e proveniva da Porto San Giorgio (era dunque compaesano del capo brigatista Mario Moretti, nato a Porto San Giorgio nel 1946). Durante il sequestro Moro, il 31 marzo 1978, lo stesso contrammiraglio Fulvio Martini (allora vice direttore del servizio segreto militare) intervenne a favore del Montani in seguito a un esposto presentato ai carabinieri da alcuni inquilini del condominio di via Gradoli 89, i quali lamentavano di avere subito vessazioni da parte del sottufficiale.


L’ingegner Ferrero e il capo delle Br
Flamigni ricostruisce le vicende relative all’appartamento utilizzato da Moretti per la base-covo. A partire dallo stranissimo contratto d’affitto stipulato in fretta e furia nel dicembre 1975 dai proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, con l’inquilino “Mario Borghi” alias Mario Moretti: un contratto privo delle date di stipula e di decorrenza, che non venne registrato, e firmato solo da Luciana Bozzi (benché l’appartamento fosse intestato anche al marito, e fosse stato lo stesso Ferrero a compilarlo). Il capo delle Br utilizzava anche il box-auto nel garage di via Gradoli 75 di proprietà dei coniugi Ferrero, ma questo nel contratto d’affitto non risultava. Né i locatori sono stati in grado di dimostrare quanto l’inquilino Borghi-Moretti pagasse di canone d’affitto, e neppure se lo pagasse regolarmente.
Flamigni ricostruisce poi la brillante carriera dell’ingegner Ferrero negli anni successivi al 1978; come facoltoso e potente manager di informatica e telecomunicazioni, con incarichi richiedenti il Nos (“Nulla osta di sicurezza”, la speciale autorizzazione – rilasciata dalle autorità Nato, previo parere favorevole dei servizi segreti italiani – che permette di svolgere attività nei settori strategici per la sicurezza nazionale e atlantica). Oggi l’ingegner Giancarlo Ferrero siede nel consiglio di amministrazione della Omnitel Pronto Italia, a fianco del presidente della Telecom Roberto Colaninno. Dal 1° gennaio 1999 è anche amministratore delegato della Bell Atlantic International Italia srl, filiale italiana della grande multinazionale americana di servizi e prodotti nel settore delle telecomunicazioni – servizi e prodotti che riguardano anche il settore degli armamenti Nato e la stessa sicurezza nazionale.


Contatti Br-Sismi a Firenze
Nel libro si racconta che il 3 marzo 1993, a Firenze, in un monolocale di via Sant’Agostino 3, vennero casualmente trovate armi da guerra e munizioni: il defunto padre del proprietario dell’immobile, il marchese Alessandro Pianetti Lotteringhi della Stufa, molti anni prima aveva messo quel monolocale a disposizione di Federigo Mannucci Benincasa, capo centro di Firenze del Sismi negli anni dal 1971 al 1991. Dal processo (sentenza del Tribunale di Firenze del 23 aprile 1997) è poi emerso che il centro Sismi di Firenze stabilì un collegamento con una fonte informativa brigatista nel periodo in cui le Br preparavano il sequestro Moro; che quel contatto fu attivo durante tutto il periodo del sequestro, mentre a Firenze era riunito in permanenza il Comitato esecutivo Br che dirigeva l’operazione; e che quel contatto si interruppe solo nel 1982. L’identità del brigatista informatore del Sismi non è mai stata resa nota, ma Flamigni ipotizza che potrebbe trattarsi del criminologo Giovanni Senzani, il quale abitava in Borgo Ognissanti, a due passi dal monolocale di via Sant’Agostino usato da Federigo Mannucci Benincasa.


Importanti conferme dei collegamenti via Gradoli-Sisde
Il libro riporta due documenti “riservati”: una relazione e un appunto, datati 7 maggio 1998, firmati rispettivamente dal capo della polizia Fernando Masone e dal capo del Sisde Vittorio Stelo, e inviati al ministro dell’Interno e al Cesis in seguito alla pubblicazione del libro di S. Flamigni “Convergenze parallele”. La relazione di Masone conferma che «[la Fidrev srl, società di consulenza del Sisde] era a sua volta controllata dall’immobiliare Gradoli, nella quale sindaco supplente, dal giugno 1977, era tale Gianfranco Bonori, nato a Roma il 26-7-52. Il Bonori, dal 1988 al 1994, ha assunto l’incarico di commercialista di fiducia del Sisde, subentrando alla Fidrev. [...] Il prefetto Parisi risulta avere acquistato, con atto [notarile] del 10 settembre 1979, un appartamento al civico 75 di via Gradoli e, successivamente, sempre al civico 75, altri due appartamenti e un box. Inoltre nel 1986 acquistò, intestandolo alla figlia Maria Rosaria, un appartamento sito al civico 96, e nel 1987 un altro appartamento sito allo stesso civico intestandolo alla figlia Daniela». L’appunto del prefetto Stelo precisa inoltre che «la società Fidrev, azionista di maggioranza dell’immobiliare Gradoli, risulta aver svolto assistenza tecnico-amministrativa per la Gus e la Gattel [società di copertura del Sisde, ndr], dalla loro costituzione fino al 14 ottobre 1988. In pari data, per incarico dell’amministratore pro tempore delle due società, Maurizio Broccoletti, subentrò in tale consulenza il ragionier Gianfranco Bonori, già sindaco supplente dell’immobiliare Gradoli. Tale attività di consulenza è cessata il 27 luglio 1994».


Dal capo Br Mario Moretti al funzionario del Sisde Maurizio Broccoletti
Fra il materiale trovato nel covo Br di via Gradoli 96 il 18 aprile 1978 c’erano un appunto manoscritto di Moretti: «Marchesi Liva – 659127 – mercoledì 22 ore 21 e un quarto» (la data corrispondeva a mercoledì 22 marzo 1978, sei giorni dopo la strage di via Fani e il sequestro), e un altro «foglietto manoscritto con recapito telefonico n° 659127 dell’immobiliare Savellia». La sede della Savellia srl era nel Palazzo Orsini di via Monte Savello, vicino al Portico D’Ottavia, la zona del Ghetto ebraico che dista poche centinaia di metri da via Caetani. E il palazzo Orsini era la residenza della «marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani, nobildonna romana che si firmava anche Liva». Presidente del collegio sindacale dell’immobiliare Savellia srl era il commercialista Giovanni Colmo. Questi, tempo dopo il delitto Moro, diventerà segretario (e suo figlio Andrea, membro del collegio sindacale della Savellia, ne diventerà amministratore unico) della immobiliare Palestrina III srl, una società di copertura del Sisde. Inoltre, presso lo studio del commercialista Giovanni Colmo, in via Antonelli, avranno sede l’immobiliare Proim srl (dal 1990 con amministratore unico Andrea Colmo e socio il padre Giovanni) e l’immobiliare Kepos srl: due società immobiliari di copertura del Sisde.
Il 14 dicembre 1990 l’assemblea della Palestrina III srl nominerà segretario Giovanni Colmo e amministratore unico il fiduciario del Sisde Mario Ranucci (stretto collaboratore di Maurizio Broccoletti). Il legame fiduciario di Mario Ranucci con il Sisde è certo e collaudato nel tempo: una sua ditta di pulizie, C.R. Servizi srl, ha avuto l’appalto delle pulizie negli appartamenti del capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, negli uffici del Sisde, negli uffici del capo della polizia Vincenzo Parisi, e in quelli di molti altri alti funzionari del Viminale. Per anni strettissimo collaboratore di Maurizio Broccoletti, nel processo per i “fondi riservati” del Sisde Ranucci ha confermato di essere stato fiduciario-prestanome per alcune società di copertura del Servizio su mandato del Broccoletti.


Da via Gradoli al Sisde
In via Gradoli 96, l’appartamento attiguo al covo brigatista era abitato dalla studentessa universitaria di origine egiziana Lucia Mokbel, che era un’informatrice della polizia, e dal suo convivente Gianni Diana. L’appartamento abitato dai due era di proprietà della società Monte Valle Verde srl, che glielo aveva ceduto in uso. Il Diana lavorava nello studio del commercialista Galileo Bianchi, il quale – tre giorni dopo la “scoperta” del covo Br, il 21 aprile 1978 – venne nominato amministratore unico della Monte Valle Verde srl in sostituzione del dimissionario Aldo Bottai. Bottai era il socio fondatore della Nagrafin spa, e la Nagrafin poi darà vita alla Capture Immobiliare srl, una società di copertura del Sisde.


Foto intimidatorie ai magistrati che cercavano le basi Br nel Ghetto ebraico
Flamigni ricostruisce la vicenda di Elfino Mortati, latitante a Roma dopo l’omicidio del notaio Gianfranco Spighi (avvenuto a Prato il 10 febbraio 1978), arrestato a Pavia ai primi di luglio del 1978, poche settimane dopo l’uccisione di Moro. Interrogato dal magistrato, Mortati dichiarò di essere stato in contatto con elementi legati alle Brigate rosse durante il sequestro Moro. Nel corso della latitanza romana (dal febbraio ai primi di giugno 1978) Mortati aveva abitato in un appartamento di via dei Bresciani, e aveva pernottato diverse volte in altri due appartamenti “coperti”, situati nella zona del Ghetto, ospite delle Br. Ricorda il giudice istruttore Ferdinando Imposimato: «Io e il collega Priore caricammo Mortati su un pulmino dei carabinieri e girammo in lungo e in largo, anche a piedi, per il Ghetto, ma senza alcun risultato. Pochi giorni dopo il mistero si infittì quando mi vidi recapitare in ufficio una foto scattata quella sera, e nella foto c’eravamo io, Priore e Mortati»; la foto ritraeva i tre mentre erano in via dei Funari-angolo via Caetani. Quella foto venne scattata da un osservatorio dei servizi segreti italiani. Di quell’intimidazione non venne informata la Commissione d’inchiesta sul caso Moro, né le foto risultano agli atti del processo Moro trasmessi alla Commissione.
Dalle dichiarazioni di Mortati, dagli accertamenti svolti dai vigili urbani, dalle notizie delle fonti confidenziali trasmesse, gli inquirenti arrivarono a individuare un covo brigatista situato nel Ghetto ebraico di Roma durante il sequestro Moro (in via Sant’Elena n° 8, interno 9). Ma a quel punto tutto si fermò: una speciale immunità protesse le Brigate rosse anche nel Ghetto ebraico.


Una Jaguar, il Ghetto ebraico e un colonnello della P2
Nel covo Br di via Gradoli il 18 aprile 1978 venne trovata la chiave di un’auto con un talloncino di cartone sul quale c’era scritto su un lato «Jaguar 2,8 beige H 52559 via Aurelia 711», e sull’altro «FS 915 FS 927 porte Sermoneta Bruno». Era una traccia che portava nel Ghetto ebraico, dove c’erano alcune basi e punti d’appoggio delle Br che tenevano prigioniero Moro, ma le indagini vennero avviate solo a partire dal 12 ottobre 1978 (cioè 5 mesi dopo l’uccisione del presidente Dc). Bruno Sermoneta era un commerciante di 37 anni che gestiva un ampio negozio di biancheria e tappeti con ingresso in via Arenula e retro in via delle Zoccolette, nei pressi del Ghetto ebraico. Le indagini furono coordinate dal tenente colonnello Antonio Cornacchia (affiliato alla Loggia P2). Dal rapporto finale del piduista Cornacchia traspariva evidente che non era stata svolta alcuna effettiva indagine preliminare nei riguardi di Bruno Sermoneta, il quale anzi era stato messo al corrente del ritrovamento della chiave a suo nome nel covo Br di via Gradoli.


Il passo carraio vicino a via Caetani
Le indagini per individuare i locali adatti ad accogliere la Renault rossa delle Br sulla quale il 9 maggio 1978 era stato fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro diedero «esito negativo». Nella zona del Ghetto da perlustrare era compresa via Monte Savello, dove al n° 30 c’era un passo carraio con accesso a palazzo Orsini che conduceva a un garage. Le forze di polizia omisero di indagare nei cortili dei palazzi dei nobili casati. Nella zona era compresa anche via Caetani, là dove c’era un passo carraio che immetteva nel cortile dei restauri dell’antico Teatro di Balbo, e nell’altro lato della strada c’era un passo carraio che immetteva in un cortile di palazzo Mattei, confinante con palazzo Caetani; a quest’ultimo edificio si accedeva dal passo carraio di via delle Botteghe Oscure 32. E se palazzo Caetani ospitava diverse sedi diplomatiche coperte da immunità territoriale, non così era per l’attiguo palazzo Mattei, ideale come “luogo di ricetto di autovettura”, che però le forze di polizia omisero di segnalare: la Renault delle Br avrebbe potuto entrare e uscire dall’ampio passo carraio situato in via dei Funari, cioè proprio nei paraggi percorsi a piedi dai giudici Imposimato e Priore insieme a Mortati, quando vennero fotografati a scopo intimidatorio.



Il covo di Stato. Via Gradoli 96 e il delitto Moro &minus; archivio900.it (http://www.archivio900.it/it/libri/lib.aspx?id=407)

Unghern Kahn
16-03-10, 09:46
Altri misteri del Caso Moro: la seduta spiritica e la mafia



Perfino Romano Prodi, Mario Baldassarri e Alberto Clò ebbero un ruolo mai del tutto chiarito nel reperimento delle indicazioni su un possibile luogo di detenzione e resta tuttora alquanto oscura la vicenda della loro presunta seduta spiritica con il famoso "piattino" effettuata il 2 aprile 1978, da cui sarebbero scaturite prima alcune parole senza senso, poi le parole Viterbo, Bolsena e Gradoli, quest'ultima ("Gradoli") coincideva con il nome della strada in cui si trovava uno dei covi romani delle Brigate Rosse, ma che fu equivocato con l'omonima cittadina sul Lago di Bolsena.

Ecco le parole di Prodi, dai verbali della testimonianza davanti alla Commissione Moro il 10 giugno 1981:

«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.».

La questione sulla seduta spiritica venne riaperta nel 1998 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, l'allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione, si dissero disponibili Mario Baldassarri (ora esponente di AN, ex viceministro per l'Economia e le Finanze dei governi Berlusconi II e Berlusconi III, al tempo del rapimento di Moro docente presso l'Università di Bologna) ed Alberto Clò (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell'Industria nel governo tecnico Dini e proprietario della casa di campagna dove avvenne la seduta spiritica, al tempo del rapimento di Moro assistente e poi docente di economia all'Università di Modena), anche loro presenti alla seduta spiritica: entrambi, pur ammettendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avrebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno, oltre a loro tre erano presenti il fratello di Clò, le relative fidanzate, e i figli piccoli dei commensali) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR.

Le infiltrazioni mafiose

Un ulteriore mistero riguarda la presenza della 'ndrangheta calabrese in via Fani. È quanto emergerebbe da una telefonata intercettata tra il segretario di Moro Sereno Freato e Benito Cazora, deputato della Dc, secondo alcune ricostruzioni incaricato di tenere i rapporti con la malavita calabrese, avvenuta otto giorni prima della morte di Moro, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro. Dall'intercettazione risulterebbe che la 'ndrangheta aveva a disposizione alcune foto di via Fani (forse quelle relative al rullino sparito o delle loro copie) e che in una di queste vi fosse "un personaggio noto a loro". Secondo quanto riferito nel 1991 da Cazora sarebbero stati alcuni esponenti della 'ndrangheta, in stato di soggiorno obbligato, ad offrire ad alcuni esponenti della DC la propria collaborazione per individuare il luogo della prigionia di Moro, in cambio della possibilità di riottenere la libertà di movimento, ma questa collaborazione non venne comunque realizzata.[29]

Secondo il pentito Tommaso Buscetta alcune componenti dello Stato cercarono di ottenere informazioni sulla possibile prigione di Moro dalla Mafia, ma successivamente Giuseppe Calò chiese al capo mafia Stefano Bontate di interrompere le ricerche, in quanto tra gli esponenti della Democrazia Cristiana non vi sarebbe più stata la volontà di cercare di liberare Moro.

Stando a quanto riferito in generale anche da alcuni collaboratori di giustizia, le varie mafie italiane in un primo momento si interessarono alla questione, cercando di operare per la liberazione di Moro e/o per individuare il covo dove veniva tenuto prigioniero, anche su richiesta di alcuni interlocutori appartenenti alle istituzioni, ma dalla metà di aprile questi tentativi vengono interrotti da richieste opposte (le due posizioni non saranno comuqnue condivise da tutti i gruppi e causeranno una spaccatura all'interno di Cosa Nostra tra i corleonesi, contrari a portare avanti i tentativi di individuare la prigione di Moro, e i palermitani). Secondo quanto riportato durante uno dei processi dal giornalista Giuseppe Messina , una dei suoi contatti con la mafia siciliana gli aveva comunicato che Cosa Nostra aveva cambiato opinione sulla liberazione di Moro, in quanto questi voleva un governo aperto al Partito Comunista e questo era in contrasto con l'anticomunismo della mafia stessa.

Altri sospetti e aspetti controversi

La mattina del rapimento, un carrozziere residente in via Fani, Gherardo Nucci, la cui moglie, Maria Cristina Rossi, era una giornalista dell'agenzia di stampa Asca, si recò in casa a prendere la macchina fotografica, del cui rullino doveva far sviluppare alcune foto relative al suo lavoro: tra la fine dell'azione armata e l'arrivo delle prime forze dell'ordine il carrozziere riuscì a scattare alcune foto della zona dove era avvenuto il rapimento. La moglie consegnò poi il rullino al magistrato inquirente, Luciano Infelisi, ma di queste foto si persero le tracce. Successivamente il magistrato sosterrà di non aver acquisito le foto in quanto di poca importanza per le indagini.

Misteri anche sulla conclusione della tragedia: secondo le BR Moro venne ucciso a via Montalcini e poi trasportato in via Caetani. Ma l'autopsia rivela che l'esecuzione di Moro avvenne a non più di 50 metri da dove fu ritrovato e che sopravvisse ai colpi d'arma da fuoco per quasi 15 minuti. I giornalisti Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca nel loro libro "Il misterioso intermediario" sostengono che Moro era vicino alla liberazione, salvato da una mediazione della Santa Sede. Condotto in un palazzo del ghetto ebraico, stava per essere trasportato in Vaticano su un'auto con targa diplomatica, ma all'ultimo momento qualcuno all'interno delle BR non avrebbe mantenuto gli impegni, ed avrebbe ucciso lo statista. Dà spazio a congetture l'ambiguo commento di Francesco Cossiga che definì il libro "bellissimo".

Pare, infine, che nelle tasche della giacca dello statista ucciso siano stati ritrovati gettoni telefonici, il che risulterebbe incomprensibile, visto che tali gettoni venivano di norma dati dai brigatisti ai rapiti che decidevano di liberare (perché potessero telefonare e farsi riportare a casa) e questo secondo alcuni fa supporre che la decisione di ucciderlo sia stata presa solo da alcuni dei suoi rapitori che poi la misero in atto. Altri scenari, addirittura esoterici, sono evocati nel libro di Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca Il misterioso intermediario che chiama in causa il direttore d'orchestra Igor Markevic come oscura figura di raccordo sul caso Moro.

Molte di queste teorie si basano sull'ipotesi che il lavoro duro che Moro aveva prodotto per ammettere i membri del Partito Comunista Italiano in un governo di coalizione, stava profondamente disturbando quegli interessi (la c.d. Pax Americana); questo, secondo alcuni osservatori, avrebbe considerato che quanto accaduto a Moro poteva risultare vantaggioso per gli Stati Uniti. Questa posizione era stata espressa per la prima volta nello studio Chi ha ucciso Aldo Moro? (1978), diretto da Webster Tarpley e commissionato dal parlamentare della DC On. Giuseppe Zamberletti.

La moglie di Moro in seguito, durante una sua deposizione, disse che, prima del misfatto, "Una figura politica statunitense di alto livello" disse ad Aldo Moro "O lasci perdere la tua linea politica o la pagherai cara". Il cambiamento era inteso come un abbandono di ogni ipotesi di accordi con i comunisti. Alcuni ritengono che quella figura fosse Henry Kissinger, che già aveva parlato in termini inquietanti al Ministro degli Esteri Moro in un incontro a tu per tu nel 1974.

Si disse anche che Moro tenesse i contatti tra Enrico Berlinguer, segretario del PCI e Giorgio Almirante, segretario del MSI, rispettivamente i principali partiti di sinistra e di destra, con lo scopo - secondo questa ipotesi - di "raffreddare la tensione delle rispettive frange estremiste" (Brigate Rosse e Nuclei Armati Rivoluzionari), l'esatto opposto di quanto volevano gli strateghi della tensione. Di certo, tra Berlinguer ed Almirante ci furono contatti personali e stima (come dimostrato dalla presenza di Almirante ai funerali di Berlinguer nel 1984, presenza ricambiata da Alessandro Natta ai funerali di Almirante nel 1988).



Altri misteri del Caso Moro: la seduta spiritica e la mafia (http://www.ecodiroma.org/altri-misteri-del-caso-moro-la-seduta-spiritica-e-la-mafia.htm)

Unghern Kahn
03-04-10, 12:33
Video interessanti sul caso Moro:

YouTube - Rebus - Aldo Moro, il complotto? (Verità nascoste) (http://www.youtube.com/watch?v=8XRwEWibViE&feature=fvw)

YouTube - Brigate Rosse e Aldo Moro. Documento inedito (http://www.youtube.com/watch?v=ZrOum4G9IzY&feature=related)

YouTube - Brigate Rosse e Caso Moro: Giovanni Pellegrino (http://www.youtube.com/watch?v=6LK_vi4ErXU&feature=related)

Anton Hanga
03-04-10, 12:35
Di Video c'e' anche questo:


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Galloni: Moro mi disse di infiltrati CIA e Mossad nelle BR

Unghern Kahn
03-04-10, 12:41
16 marzo 1978. Trent'anni fa. Roma, Via del Forte Trionfale. Poco prima delle 9. Il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro esce dalla sua abitazione. Lo accompagnano gli uomini della scorta. Domenico Ricci, Raffaele Jozzino,Giulio Rivera. Francesco Zizzi, Oreste Leonardi. In via Fani, i brigatisti sono già tutti nella loro posizione di tiro. Rita Algranati all'angolo della strada con un mazzo di fiori in mano, segnala a Mario Moretti l'arrivo del convoglio di Moro. Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Valerio Morucci e Franco Bonisoli, vestiti da avieri, si piazzano dietro ad una siepe. Gli altri componenti del commando sono Barbara Balzerani, Roberto Seghetti, Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono. Alle 9,03 si scatena l'inferno. E' l'attacco delle Brigate Rosse al cuore dello Stato. Gli uomini della scorta vengono tutti uccisi. Moro viene rapito. L'azione dura quattro minuti. In via Fani vengono raccolti 93 bossoli, 22 provengono da uno dei quattro mitra in dotazione al gruppo di terroristi vestiti da avieri. Le armi usate sono sei. I colpi sono calibro 9 lungo.


Aldo Moro viene trasportato nella base di via Montalcini 8 interno 1. Lo attendono Germano Maccari, Laura Braghetti e Prospero Gallinari.. Mario Moretti si cala il passamontagna e avvia il primo interrogatorio di Moro nella cosiddetta "prigione del popolo". Esattamente da quel momento inizia il calvario dello statista democristiano. Si snoda dalla strage di via Fani, il 16 marzo, fino al ritrovamento del suo cadavere nel baule di una Renault 4 rossa, il 9 maggio, in via Caetani, a Roma.
Per 55 giorni, il Paese segue la vicenda con passione e forte preoccupazione, tra speranze, delusioni, rabbia, fermezza e trattative segrete, comunicati dei brigatisti, lettere di Moro, telefonate dei terroristi ai centralini dei quotidiani, gravi depistaggi di funzionari dello Stato. Trent'anni dopo restano molti interrogativi: si poteva salvare Aldo Moro? I brigatisti hanno raccontato tutto? Gli inquirenti erano a conoscenza dei piani dei terroristi?

Sulla vicenda sono stati scritti libri seri, altri improntati alla mera dietrologia, sono state formulate teorie bislacche e altre più verosimili. Restiamo ai fatti. Sono almeno dieci i misteri irrisolti del caso-Moro

L'ANNUNCIO
16 marzo 1978, ore 8,30.
Numerosi testimoni sostengono di aver ascoltato da Radio Città Futura, emittente di movimento, qualcuno adombrare la possibilità di un attentato contro un personaggio politico. Davanti agli inquirenti, Renzo Rossellini, direttore della radio, ammetterà di aver solo accennato ad un'ipotesi: "Negli ambienti dell'estrema sinistra circolava la notizia: che, in occasione della formazione de nuovo governo di unità nazionale, le Brigate Rosse stessero per tentare, molto prossimamente, forse lo stesso giorno, un'azione spettacolare, forse contro Aldo Moro."


IL COLONNELLO DEL SISMI
16 marzo 1978, ore 9.
In via Fani, è presente il colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, addetto all'Ufficio "R" per il controllo e la sicurezza. Anni dopo, davanti ai magistrati, il colonnello Guglielmi offre la sua versione: "Stavo andando a pranzo da un collega che abitava in via Stresa, a pochi passi dal luogo della strage".


LA MOTO
16 marzo 1978, ore 9, 03.
Durante l'agguato, in via Fani transita una moto Honda di grossa cilindrata con due persone a bordo. Una spara alcuni colpi di mitra contro due testimoni. Nessun investigatore ha mai identificato queste persone. Nessuna conferma è mai giunta dai brigatisti, irriducibili, pentiti o dissociati.


LA MANCATA PERQUISIZIONE
17 marzo 1978, di sera.
Alla direzione della Polizia giunge una segnalazione precisa: in via Gradoli, una traversa di via Cassia, al numero civico 96, vi è un covo delle Brigate Rosse. In quello stabile, all'interno 11, vivono da giorni Mario Moretti e Barbara Balzerani.
18 marzo 1978, prima mattina.
Agenti di polizia perquisiscono gli appartamenti di via Gradoli 96, tranne uno, quello occupato dai brigatisti.



LA SEDUTA SPIRITICA

2 aprile 1978.
Località Zappolino, provincia di Bologna, appennino tosco - emiliano. Un gruppo di professori universitari tiene una seduta spiritica. Nel gioco del piattino compare la parola "Gradoli". Le persone presenti a Zappolino sono Mario e Gabriella Baldassarri, Franco e Gabriella Bernardi, Alberto, Carlo, Adriana e Licia Clò, Romano e Flavia Prodi, Fabio Gobbo.



IL BLITZ DI GRADOLI
5 aprile 1978.
Blitz della Polizia a Gradoli, piccola località in provincia di Viterbo, vicino al lago di Bolsena. Tutte le abitazioni vengono perquisite. Del presidente della Democrazia Cristiana e dei suoi rapitori, nessuna traccia.. In quelle ore concitate, Eleonora, moglie di Aldo Moro, si rivolge alla Segreteria del Ministro dell'Interno Francesco Cossiga. Chiede se Gradoli sia anche il nome di una via di Roma. La risposta è secca: a Roma, via Gradoli non esiste.



IL FALSO COMUNICATO DEL LAGO DELLA DUCHESSA
18 aprile 1978.
Una telefonata al quotidiano romano Il Messaggero annuncia l'arrivo di un messaggio delle Brigate Rosse. Nel comunicato numero 7 si annuncia l'avvenuta esecuzione di Moro, il cui corpo si troverebbe "nei fondali limacciosi del lago della Duchessa." Ma il comunicato è visibilmente contraffatto. Nonostante ciò le forze dell'ordine si recano con elicotteri e uomini lungo le rive del Lago della Duchessa, in provincia di Rieti. Anche in questo caso, di Moro nessuna traccia. Il documento viene scritto materialmente da un certo Tony Chicchiarelli, un falsario della Banda della Magliana, gruppo criminale operante a Roma, in contatto con uomini del Sismi e della loggia massonica P2 di Licio Gelli. Chicchiarelli sarà ucciso nel 1984.



VIA GRADOLI
18 aprile 1978.
Un residente di via Gradoli 96 telefona ai vigili del fuoco per una perdita d'acqua.
Quando i pompieri entrano nella porta dell'interno 11 si trovano davanti ad un covo delle Brigate Rosse. Entrano in bagno. Notano il telefono della doccia posato sopra uno scopettone a sua volta appoggiato sulla vasca. Gli occupanti volevano che l'acqua si dirigesse verso una fessura nel muro? Nell'appartamento vengono rinvenute le divise da avieri utilizzate dai brigatisti per camuffarsi in via Fani, durante l'agguato a Moro e agli uomini della scorta.




VIA MONTENEVOSO
1 ottobre 1978.
Blitz dei carabinieri e della magistratura milanese in via Montenevoso 8, a Milano. Arrestati Nadia Mantovani, Lauro Azzolini,Antonio Savino, Biancamelia Sivieri, Paolo Sivieri,Maria Russo, Flavio Amico, Domenico Gioia, Franco Bonisoli. Ritrovate le lettere originali scritte da Aldo Moro nella cosiddetta "prigione del popolo". Ma mancano dei pezzi.
10 ottobre 1990. Dodici anni dopo.
Durante i lavori di ristrutturazione dell'appartamento, in un'intercapedine, un muratore trova altri documenti originali autografati da Moro e banconote.



LA LATITANZA DI ALESSIO CASIMIRRI
I brigatisti responsabili del rapimento sono stati quasi tutti arrestati. Resta libero Alessio Casimirri, nome di battaglia Camillo. E' condannato in via definitiva nel processo Moro. Vive oggi in Nicaragua, in una bella casa al dodicesimo chilometro della Carretera sur, quella che da Managua porta a El Crucero, cento metri a sud e cento metri ad est del Monte Tabor, non lontano dal suo ristorante "La Cueva del Buzo", protetto da un alto muro di cemento armato e da una torretta di legno. L'Italia ha chiesto più volte la sua estradizione, ma tra il nostro paese e il Nicaragua non esistono trattati bilaterali. Casimirri conosce certamente i nomi delle persone a bordo delle due Honda presenti in via Fani, il 16 marzo 1978,



I dieci misteri irrisolti del caso Moro - Il Sole 24 ORE (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/03/moro-misteri-irrisolti_2.shtml)

Unghern Kahn
03-04-10, 12:47
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Galloni: Moro mi disse di infiltrati CIA e Mossad nelle BR

Grazie Anton Hanga.
Onestamente più cerco di capirci qualcosa più quello del sequestro Moro mi sembra un autentico caso nel caso: decine di avvenimenti che non quadrano, la presenza rilevante di esponenti dei servizi segreti, le piste false durante la prigionia del leader DC, il comportamento di molti esponenti democristiani, il ruolo avuto dall'amministrazione americana. Insomma c'è un sacco di cose che a me personalmente fanno pensare ad un vero e proprio complotto per assassinare un personaggio tanto scomodo perchè avrebbe portato il PCI al governo del paese e, probabilmente, perchè non allineato con la politica estera statunitense sulle questioni fondamentali del ruolo nel mediterraneo dell'Italia, sul sostegno alla causa palestinese e sulle relazioni con Israele.
Davvero un guazzabuglio difficile che però deve far riflettere anche se sono passati oltre trent'anni: è difficile remare contro vento per i paesi che non hanno una propria sovranità nazionale. :giagia:

Boris
09-05-10, 17:47
Non mi sono fatto un'idea precisa sulla questione anche se , dopo aver dato un'occhiata a questi articoli, mi sembra ovvio che Moro vivo non fossero in tanti a volerlo (servizi americani, israeliani, molti esponenti DC e altri dei partiti filooccidentali, brigatisti, servizi deviati italiani ecc ecc). Ho trovato questo in rete, spero possa essere un contributo alla discussione. Personalmente credo che Moro lo volessero morto gli americani sia per il compromesso storico che per la sua politica mediorientale. Che c'entrassero dietro al sequestro diversi servizi segreti questo è evidentissimo anche dalla lettura dei brani riportati. Interessante notare che proprio in queste ore il presidente Napolitano abbia dichiarato per la strage di Ustica che si trattò di un intrigo internazionale! Anche se con 30 anni di ritardo sembra se ne sia accorto anche il Quirinale...meglio tardi che mai!
E se qualcuno facesse chiarezza ancor di più anche sulle altre stragi di Stato?




FORSE NON SAPEVATE CHE…. CI SONO ANCORA CENTINAIA DI FALDONI SUL SEQUESTRO DI VIA FANI SU CUI E’ ANCORA APPOSTO IL SEGRETO DI STATO. IL GIUDICE PRIORE: "VIA IL SEGRETO DAL CASO MORO"




Di
Giovanni Fasanella


“Quei faldoni riservati sul caso Moro sono una novità. Una grande novità che ci ha colti di sorpresa. Ora il governo deve togliere il segreto. E subito». La veemenza delle parole non fa velo all’amarezza, che affiora da ogni sillaba. E come può essere altrimenti, visto che il giudice Rosario Priore, gran parte della propria vita professionale spesa a sul sequestro e sull’assassinio di Aldo Moro, scopre solo ora che alla magistratura vennero negate molte carte importanti che ancora oggi sono sottoposte a segreto di Stato?

Giudice, la domanda è d’obbligo: che effetto le fa?

Sono sorpreso, molto sorpreso. Se a suo tempo avessimo potuto vedere quelle carte, probabilmente l’esito delle nostre inchieste sarebbe stato diverso.

In tutta sincerita, anche alla luce di questa scoperta, si può dire che sul caso Moro si sappia tutto?

No, non sappiamo tutto. La verità accertata sul piano giudiziarfio non è esaustiva, perché esistono ancora delle zone d’ombra. Sul piano squisitamente giudiziario abbiamo fatto molto. Il grosso, bene o male. Perché abbiamo preso quasi tutti i partecipanti all’azione.

Quasi tutti.

Ma sì. Certo, potremmo ritrovarci fra 30 anni ancora con qualcuno che dice: non sappiamo il nome di quello che era sull’angolo, in via Fani… Mancherà sempre qualcuno alla conta. Ma sul piano delle resposnabilità individuali il più è fatto.

E allora che cosa manca?

Manca ancora quel salto di qualità che ci faccia comprendere gli eventi, spostandone l’interpretazione dal piano poliziesco-giudiziario a quello storico-politico. E’ quel salto che ci consentirebbe di capire chi volle il sequestro Moro, a chi doveva servire e per quali finalità.

Continuano a fronteggiarsi due scuole di pensiero: una ipercomplottista e l’altra minimalista. A quale si sente più vicino?

A nessuna delle due, naturalmente. Sono entrambe lontane dalla realtà.

Che cosa non le piace della chiave di lettura ipercomplottista?

Se ne va sulla base di una catena di ipotesi che non trovano però il sostegno di fatti, documenti, carteggi, testimonianze. Cavalca l’idea di un intervento da parte delle maggiori potenze, cioè l’idea di un complotto internazionale, ma senza alcun riscontro. Parla di una progettualità a tavolino da parte di governi e servizi segreti, prescindendo dalla realtà della nostra società.

E di quella "minimalista" che cosa non condivide?

Definisce il caso Moro come un fatto di cortile di casa nostra, realizzato da gruppi di poveri esagitati, in parte figli del ’68, che sarebbero stati capaci di tenere in scacco le nostre istituzioni. E così facendo non vede alcuna responsabilità sopra e a lato dell’evento, quindi prescinde totalmente dal contesto interno e internazionale.

Se la verità giudiziaria non è esaustiva, non crede che qualche colpa ce l’abbiano anche i giudici?

La magistratura avrebbe dovuto capire subito proprio questo, che era di fronte a un delitto politico assai complesso. Quindi o avrebbe dovuto andare fino in fondo, approfondendo anche la personalità di Moro e i moventi del suo assassinio (ma non ne aveva i mezzi, tanto che solo adesso sappiamo dell’esistenza di faldoni coperti dal segreto di Stato), oppure avrebbe dovuto passare la mano ai politici, agli storici e ai giornalisti investigativi. Ma non ha fatto né l’una né l’altra cosa. E così si sono perse molte delle facce di un evento così grande.

Quali sono le zone d’ombra?

Non si può isolare la storia italiana dal contesto internazionale. Il nostro era un paese collocato sulle due frontiere più calde del dopoguerra: quella con l’Est comunista e quella mediterranea. E al centro di questa conflittualità c’era Moro, con la sua politica di apertura a sinistra e filoaraba.

Le ricostruzioni tengono conto sempre e solo del delitto Moro, non del personaggio politico?

E’ proprio così. Moro era un personaggio di enorme complessità, non facilmente accessibile a chi non conosce la nostra storia. Per questo ci si accontenta di narrare il delitto, non la personalità dell’uomo e il contesto.

Perché Moro fu ucciso?

Fu ucciso perché era l’obiettivo di un folle disegno rivoluzionario. E poi per gli interessi più disparati, che si sono sovrapposti all’azione, di chi tentata di trarne un vantaggio. Era un’occasione ghiotta, specialmente per chi operava a danno di un paese debole, di una democrazia non solida com’era la nostra negli anni Settanta.

Forze interne o esterne?

Interne ed esterne. Ognuna con proprie finalità: per spostare l’asse della politica a destra o a sinistra, o per rafforzare tendenze verso determinate aree di influenza.

Quali aree?

Quelle della grande partita tra Est e Ovest. Ma anmche aree minori all’interno dei due blocchi: inglese, francese, cecoslovacca, bulgara, tedesca, araba, israeliana… Numerose erano le entità che poteva trarre vantagglio dal sequestro Moro e dal suo esito finale.

Una storia italiana, ma da leggere anche in chiave geopolitica?

Assolutamente sì. Una storia italianissima e proprio per questo influenzata da interessi circostanti o sovrastanti.

Il salto di qualità, di cui lei avverte il bisogno, consisterebbe dunque nell’introduzione di categorie geopolitiche nella ricostruzione delle nostre vicende interne?

Esatto. Occorrerebbe superare un limite culturale nato da una grande bugia storica: per 60 anni abbiamo detto che l’Italia era autonoma e indipendente, mentre, in realtà, era un paese sconfitto in guerra e quindi soggetto alle potenze vincitrici. Un input in questo senso dovrebbe venire da istituti e fondazioni come il Gramsci, il Basso, lo Sturzo, la Nenni… Ma non vedo alcuno muoversi. Pigrizia? O interessi particolari che finiscono per azzerarsi a vicenda? Mi aspetto allora che siano lo Stato, il governo, le istituzioni parlamentari a fare un primo passo desecretando quelle carte e mettendole a disposizione degli studiosi e dei giornalisti. E subito.

Lupo
10-05-10, 11:08
http://italian.irib.ir/images/stories/notizie/interviste/salerno.jpg

Stando al suo libro, l’Italia a causa di un accordo raggiunto negli anni passati con i fondatori del Mossad, ancora adesso è costretta a chiudere gli occhi alle operazioni clandestine degli israeliani. Quest'atteggiamento morbido da parte delle autorità italiane nei confronti del Mossad che effetto ha sulla sicurezza del popolo italiano? Saranno gli effetti positivi o negativi?

Al momento direi che noi non vediamo gli effetti negativi perché la situazione in Italia per fortuna rispetto a quella degli anni settanta; quando noi avevamo dei momenti di terrorismo interno cioè gli italiani che compirono atti di terrorismo contro altri italiani e quando nello stesso periodo in cui gli israeliani e i palestinesi e gli altri arabi si combattevano in qualche modo sul suolo italiano, direi che in questi ultimi anni non abbiamo visto gli incidenti o ne abbiamo saputo di casi in cui la sicurezza degli italiani è stata messa a repentaglio a causa dei rapporti intercorsi tra i servizi israeliani e quelli italiani. Ormai i paesi europei, Israele e gli Stati Uniti in qualche modo collaborano al livello di servizi segreti in funzione anti-terroristica e poi ovviamente collaborano per aiutarsi su altre vicende, però fino ad adesso non abbiamo visto dei casi in cui questa vicinanza tra i nostri servizi segreti abbia danneggiato gli italiani.

Se ho capito bene dalla recensione del suo libro ci sono delle connessioni tra il Mossad e il caso di Aldo Moro. Ci può dare delle spiegazioni a questo proposito?

Questa è una delle vicende di cui ancora noi non abbiamo delle grandi risposte. Purtroppo sono le vicende - appunto di cui parlavo prima - del terrorismo interno in Italia; dell'uccisone di Aldo Moro, allora premier italiano (Aldo Moro - Maglie, 23 settembre 1916 - Roma, 9 maggio 1978, è stato un politico italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente del partito della Democrazia Cristiana. Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista denominato Brigate Rosse, ndr). Il periodo in cui tutti i servizi segreti in qualche modo erano coinvolti e ci sono dichiarazioni riportate nei verbali della Commissione parlamentare d’inchiesta di persone legate alle Brigate Rosse che raccontano e sostengono di aver avuto dei rapporti con il Mossad. Il servizio segreto israeliano sapeva quello che stava succedendo e almeno questa è una testimonianza che risulta agli atti e il Mossad avrebbe detto a uno dei leader della Brigate Rosse (l'organizzazione terroristica di estrema sinistra fondata nel 1970 da Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol, ndr): “Noi siamo felici di aiutarvi anche in qualche modo se vi serve. Non a compiere gli attentati ma soltanto perché ci fa comodo se voi esistete”.

Link alla pagina:
Eric Salerno: Il Mossad offriva collaborazione alle Brigate Rosse nell'uccisione di Aldo Moro. (http://italian.irib.ir/index.php/interviste/137-interviste/12367-eric-salerno-il-mossad-offriva-collaborazione-alle-brigate-rosse)

Lupo
10-05-10, 11:12
Interrogazione di Gigi Malabarba (Capogruppo PRC al Senato) al Presidente del Consiglio

"Se CIA e Mossad avevano infiltrato le BR prima del rapimento di Moro e ciò era noto ai servizi segreti deviati italiani e a giornalisti ad essi legati come Mino Pecorelli, esiste una complicità di Stati Uniti e Israele nella fine dello statista DC, reo di voler aprire le porte del governo ai comunisti"
Commenta così Gigi Malabarba, capogruppo PRC al Senato e membro del COPACO, le affermazioni dell' ex vicepresidente del CSM e vicepresidente vicario della DC, Giovanni Galloni, in un'intervista a RAI NEWS 24.
"Ho presentato un'interrogazione al Presidente del Consiglio perché USA e Israele ai loro massimi livelli politici e di intelligence forniscano informazioni immediate, perché, se ciò fosse confermato, la storia del nostro paese andrebbe riscritta e personaggi screditati come Antonino Arconte (inviato dai servizi in Medio Oriente prima del rapimento di Moro per trattare il suo rilascio) presi in seria considerazione - aggiunge Malabarba -".
"Alla luce dei recenti episodi di azione illegale della CIA nel nostro paese, come il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar, il governo deve smettere di essere latitante e porre in atto tutte le iniziative adeguate a far luce su episodi che mettono in luce una condizione dell'Italia a sovranità limitata, in cui agivano un tempo "servizi deviati" e oggi "accordi segreti" Usa - governo italiano per aggirare costituzione, leggi e trattati internazionali - conclude Malabarba. "

Roma 6-7-2005

Link alla pagina:
Caso Moro (http://www.disinformazione.it/casomoro.htm)
L'Ufficio Stampa del Gruppo PRC Senato