Burton Morris
30-07-09, 20:35
Caro Maroni, perchè colf sì e muratori no?
• da Secolo d'Italia del 29 luglio 2009, pag. 16
di Benedetto Della Vedova
Il ministro Roberto Maroni dovrebbe spiegare in modo più convincente perché il governo si sta limitando a consentire la regolarizzazione di colf e badanti senza neppure considerare le altre centinaia di migliaia di clandestini che lavorano stabilmente nelle nostre imprese. Qui non si tratta di equilibri politici all’interno della coalizione, ma del buon governo della realtà italiana. Abbiamo tutti votato la fiducia al governo sul pacchetto sicurezza che conteneva l’istituzione del reato di clandestinità, di cui si rendono colpevoli quanti entrano o soggiornano irregolarmente nel nostro Paese: il reato, in quanto tale, era un punto irrinunciabile per la Lega Nord. Ma ora che l’obiettivo è stato raggiunto, chiedo al ministro Maroni: per quale ragione vogliamo condannare a una condizione criminale i lavoratori clandestini e i loro datori di lavoro? Cosa abbiamo da guadagnare? Abbiamo paura di dare un segnale contraddittorio facendo: seguire alla previsione del reato la regolarizzazione? Può essere. Ma il messaggio sarà assai più contraddittorio e debole se, come è certo che avverrà senza la regolarizzazione, si capirà che abbiamo solo fatto la faccia feroce, ma non procederemo a espulsioni di massa, per non incorrere in un clamoroso autogol dal punto di vista dell’interesse economico del Paese. Un punto, infatti, va chiarito: i dati sull’andamento del mercato dei lavoro nel primo trimestre dell’anno dimostrano un limitato calo dell’occupazione, anche perché siamo in presenza di un aumento dell’occupazione straniera (+ 222mila unità nel trimestre). Il che significa una cosa sola: anche in presenza di una crisi che morde e riduce le opportunità di occupazione, vi sono lavori che restano appannaggio dei soli extracomunitari. Questo vale per colf e badanti rispetto alle quali, pur con limitazioni di cui sfugge la razionalità prima che il rigore giuridico, il governo è opportunamente intervenuto, ma non solo per loro. È chiaro che sarebbe stato difficile convincere centinaia di migliaia di famiglie - che affidano a lavoratrici e lavoratori irregolari la cura delle persone più care - di ospitare in casa dei fuorilegge e di essere esse stesse perseguibili penalmente, ma resta difficile spiegare perché sorte diverse debba spettare a un mungitore e al suo datore di lavoro. O a chi raccoglie l’uva per prestigiosi vini della Lombardia. O a chi tiene puliti i capannoni della Brianza. O chi direttamente contribuisce alla produzione in qualche piccola impresa o ristorante. No, non sono queste le persone clandestine di cui dobbiamo liberarci con un processo e un’espulsione per assicurare città più sicure e periferie più vivibili. Di questi e dei loro datori di lavoro conosciamo nella maggior parte dei casi dati anagrafici e indirizzo del luogo di impiego, visto che hanno di già presentato domandi di assunzione (formalmente: "all’estero"; in base ai decreto flussi. Il governo ha accolto, seppur come raccomandazione, un ordine del giorno della Camera proposto dai radicali e sottoscritto anche da deputati del Pdl che impegna a valutare la messa in regola di tutti coloro che erano rimasti esclusi dai decreti flussi: agire in questa direzione sarebbe un segno di forza oltreché di sano pragmatismo, che porterebbe anche significative entrate contributive e fiscali. L’impegno assunto con gli altri governi europei è quello di non procedere a sanatorie indiscriminate, ma prevede regolarizzazioni individuali per ragioni economiche: esattamente ciò di cui stiamo trattando. Se regolarizzeremo coloro che lavorano stabilmente, avremo meno clandestini e meno datori di lavoro da perseguire e sarà più facile concentrarsi sulle realtà che destano davvero allarme sociale. Ovvio, qualcuno potrà sempre sperare in una futura regolarizzazione, ma la "linea dura" trasformerà da subito il reato di clandestinità in una grida manzoniana, tanto rigorosa quanto inapplicabile e inapplicata. Se questa decisione venisse fatta rientrare nel calderone delle dispute tra Lega e Pdl sarebbe un grave errore. L’alleanza non è fatta affinché ci spartisca in compartimenti stagni le competenze, per la serie: "a me l’energia e a te la sicurezza", ma per trovare punti di equilibrio a partire da una visione condivisa del futuro del Paese. Non ho mai nutrito sentimenti o coltivato rancori antileghisti, figuriamoci! Nel 1997, quando la Lega di Bossi subiva l’ostracismo più duro, concentrico e discriminatorio, anche dal punto di vista giudiziario, mi candidai e venni eletto da militante radicale nel Parlamento padano di Chignolo Po, in segno di amicizia e di rispetto per una scelta di coinvolgimento popolare nell’iniziativa politica leghista. Non è in questione il ruolo della Lega nella maggioranza di centrodestra e nessuno cerca vittorie o rivincite. Il punto non è e non può essere quello di una disputa pregiudiziale tra forze politiche, ma semplicemente la scelta su cose renda più efficace l’azione del governo. Abbiamo sempre e giustamente ribadito, anche nelle aule parlamentari, che il nostro obiettivo non è quello di penalizzare chi viene da noi per lavorare: è il momento di dimostrarlo.
• da Secolo d'Italia del 29 luglio 2009, pag. 16
di Benedetto Della Vedova
Il ministro Roberto Maroni dovrebbe spiegare in modo più convincente perché il governo si sta limitando a consentire la regolarizzazione di colf e badanti senza neppure considerare le altre centinaia di migliaia di clandestini che lavorano stabilmente nelle nostre imprese. Qui non si tratta di equilibri politici all’interno della coalizione, ma del buon governo della realtà italiana. Abbiamo tutti votato la fiducia al governo sul pacchetto sicurezza che conteneva l’istituzione del reato di clandestinità, di cui si rendono colpevoli quanti entrano o soggiornano irregolarmente nel nostro Paese: il reato, in quanto tale, era un punto irrinunciabile per la Lega Nord. Ma ora che l’obiettivo è stato raggiunto, chiedo al ministro Maroni: per quale ragione vogliamo condannare a una condizione criminale i lavoratori clandestini e i loro datori di lavoro? Cosa abbiamo da guadagnare? Abbiamo paura di dare un segnale contraddittorio facendo: seguire alla previsione del reato la regolarizzazione? Può essere. Ma il messaggio sarà assai più contraddittorio e debole se, come è certo che avverrà senza la regolarizzazione, si capirà che abbiamo solo fatto la faccia feroce, ma non procederemo a espulsioni di massa, per non incorrere in un clamoroso autogol dal punto di vista dell’interesse economico del Paese. Un punto, infatti, va chiarito: i dati sull’andamento del mercato dei lavoro nel primo trimestre dell’anno dimostrano un limitato calo dell’occupazione, anche perché siamo in presenza di un aumento dell’occupazione straniera (+ 222mila unità nel trimestre). Il che significa una cosa sola: anche in presenza di una crisi che morde e riduce le opportunità di occupazione, vi sono lavori che restano appannaggio dei soli extracomunitari. Questo vale per colf e badanti rispetto alle quali, pur con limitazioni di cui sfugge la razionalità prima che il rigore giuridico, il governo è opportunamente intervenuto, ma non solo per loro. È chiaro che sarebbe stato difficile convincere centinaia di migliaia di famiglie - che affidano a lavoratrici e lavoratori irregolari la cura delle persone più care - di ospitare in casa dei fuorilegge e di essere esse stesse perseguibili penalmente, ma resta difficile spiegare perché sorte diverse debba spettare a un mungitore e al suo datore di lavoro. O a chi raccoglie l’uva per prestigiosi vini della Lombardia. O a chi tiene puliti i capannoni della Brianza. O chi direttamente contribuisce alla produzione in qualche piccola impresa o ristorante. No, non sono queste le persone clandestine di cui dobbiamo liberarci con un processo e un’espulsione per assicurare città più sicure e periferie più vivibili. Di questi e dei loro datori di lavoro conosciamo nella maggior parte dei casi dati anagrafici e indirizzo del luogo di impiego, visto che hanno di già presentato domandi di assunzione (formalmente: "all’estero"; in base ai decreto flussi. Il governo ha accolto, seppur come raccomandazione, un ordine del giorno della Camera proposto dai radicali e sottoscritto anche da deputati del Pdl che impegna a valutare la messa in regola di tutti coloro che erano rimasti esclusi dai decreti flussi: agire in questa direzione sarebbe un segno di forza oltreché di sano pragmatismo, che porterebbe anche significative entrate contributive e fiscali. L’impegno assunto con gli altri governi europei è quello di non procedere a sanatorie indiscriminate, ma prevede regolarizzazioni individuali per ragioni economiche: esattamente ciò di cui stiamo trattando. Se regolarizzeremo coloro che lavorano stabilmente, avremo meno clandestini e meno datori di lavoro da perseguire e sarà più facile concentrarsi sulle realtà che destano davvero allarme sociale. Ovvio, qualcuno potrà sempre sperare in una futura regolarizzazione, ma la "linea dura" trasformerà da subito il reato di clandestinità in una grida manzoniana, tanto rigorosa quanto inapplicabile e inapplicata. Se questa decisione venisse fatta rientrare nel calderone delle dispute tra Lega e Pdl sarebbe un grave errore. L’alleanza non è fatta affinché ci spartisca in compartimenti stagni le competenze, per la serie: "a me l’energia e a te la sicurezza", ma per trovare punti di equilibrio a partire da una visione condivisa del futuro del Paese. Non ho mai nutrito sentimenti o coltivato rancori antileghisti, figuriamoci! Nel 1997, quando la Lega di Bossi subiva l’ostracismo più duro, concentrico e discriminatorio, anche dal punto di vista giudiziario, mi candidai e venni eletto da militante radicale nel Parlamento padano di Chignolo Po, in segno di amicizia e di rispetto per una scelta di coinvolgimento popolare nell’iniziativa politica leghista. Non è in questione il ruolo della Lega nella maggioranza di centrodestra e nessuno cerca vittorie o rivincite. Il punto non è e non può essere quello di una disputa pregiudiziale tra forze politiche, ma semplicemente la scelta su cose renda più efficace l’azione del governo. Abbiamo sempre e giustamente ribadito, anche nelle aule parlamentari, che il nostro obiettivo non è quello di penalizzare chi viene da noi per lavorare: è il momento di dimostrarlo.