Supermario
08-08-09, 11:38
Con il termine Pasque piemontesi si indicano le persecuzioni di cui furono vittima i Valdesi delle valli Valdesi nel 1655 ad opera dell'esercito del Ducato di Savoia. Le campagne militari, fermate da un movimento di opinione internazionale, portarono alla morte, secondo fonti valdesi, di 1712 persone.
La presa di Torre Pellice
Le operazioni militari ebbero inizio il 17 aprile del 1655, quando il marchese di Pianezza chiese alla città di Torre Pellice il permesso di acquartierarvi 800 soldati e 300 cavalieri. I Valdesi rifiutarono, asserendo che non avrebbero potuto dare ospitalità in una città dove non erano più residenti ai sensi del decreto del 15 gennaio. La sera stessa, le truppe del marchese risalirono la valle indisturbate, e si accamparono sotto le mura di Torre Pellice. I Valdesi, incerti sul significato delle operazioni del marchese, e temendo di peggiorare le relazioni con il Duca, non si disposero alla difesa. Solo Giosuè Janavel,[5], un abitante di Rorà, era favorevole ad iniziare subito un'azione di resistenza attiva, ed anzi fin dal febbraio precedente aveva cominciato a radunare volontari per eventuali operazioni militari.
Il marchese ripetè la richiesta di acquartieramento, e ad un nuovo rifiuto dei valdesi lanciò un ultimatum alla città. Gli abitanti predisposero in tutta fretta delle difese, e verso le 10 di sera le truppe del marchese attaccarono la città. Dopo circa tre ore di combattimenti durante le quali entrambi gli schieramenti mantennero le postazioni, gli attaccanti riuscirono ad aggirare le barricate dei difensori e ad entrare in città da tergo. I difensori, ora accerchiati, riuscirono a sfondare il secondo fronte degli assalitori ed a fuggire, ritirandosi sulle montagne, mentre le truppe del marchese prendevano possesso della città. Il giorno successivo, Domenica delle Palme, le truppe del marchese partirono in caccia dei fuggitivi, mentre verso sera arrivarono a Torre Pellice nuove truppe del Ducato.[4]
L'esercito del marchese contava ora su diverse migliaia di uomini. Le cifre esatte divergono; il Muston parla di 15.000 uomini, citando la testimonianza di Jean Léger, presente ai fatti;[4] il sito del Comune di Inverso Pinasca, appoggiandosi a studi storiografici più recenti, parla di di 4.000 uomini;[1] sabaudia.org porta la cifra a 40.000 uomini, senza peraltro citare fonti.[6] Le truppe erano divise in 4 reggimenti, comandati rispettivamente dal Signor de Petitbourg, dal marchese Galeazzo, dal principe di Montafon, e dal marchese di San Damiano.[4] Si trattava di un esercito piuttosto eterogeneo: ai soldati si univano volontari, criminali comuni, ed un contingente di irlandesi. Questi ultimi erano stati cacciati dall'Inghilterra di Cromwell per aver commesso diversi massacri di protestanti, e si erano aggregati alle truppe del Pianezza dietro promessa di ricevere in pagamento le terre che sarebbero state conquistate ai Valdesi.[7]
Le stragi
Domenica 18 aprile, dopo la fuga, i Valdesi fuggiti da Torre Pellice si erano rifugiati sulle montagne, e lì cominciarono a preparare le difese. Il giorno seguente, 19 aprile, le truppe del Pianezza attaccarono i Valdesi a Torre Pellice, San Giovanni, Angrogna e Bricherasio, ma furono respinti in ogni occasione. Il giorno successivo, 20 aprile, vi furono nuovi attacchi a San Giovanni ed a Tagliaretto, anche questi respinti.
Il Pianezza cambiò allora tattica. La mattina del 21 aprile fece convocare i rappresentanti dei Valdesi; a questi dichiarò che gli attacchi non erano stati voluti da lui, ma che erano dovuti all'indisciplina delle truppe, che si erano abbandonate ad azioni non autorizzate. Imputando questi fatti alla difficoltà di tenere a bada un esercito così numeroso, propose di separare le truppe ed alloggiarle a piccoli gruppi in tutti i paesi dell'alta valle, in modo che fossero più facilmente controllabili. I rappresentanti valdesi appoggiarono il progetto quasi all'unanimità, con le sole eccezioni di Léger e Janavel. Quest'ultimo rientrò a Rorà, mentre quella sera stessa le truppe del marchese si installarono nella valle principale ed in valle Angrogna.
In quest'ultima valle era prevista la presenza di un solo reggimento. Se ne presentarono invece due, ed uno di essi diede fuoco alle case di Tagliaretto. L'incendio allarmò gli abitanti della valle, dove, come detto, si erano rifugiati quasi tutti i capi famiglia fuggiti dalla pianura e dalla bassa valle in seguito all'editto del 25 gennaio; tutti gli uomini validi fuggirono in val Chisone, allora sotto dominio francese, lasciando in paese solo donne, vecchi e bambini.
Nella valle principale, la risalita delle truppe avvenne invece con meno clamore; vi furono comunque episodi isolati di violenza, con case bruciate e persone uccise, ma la notizia di questi fatti non ebbe modo di diffondersi.[4]
La val Pellice venne così completamente occupata dalle truppe del marchese, tranne la zona di Rorà, che rimase non presidiata.[7]
Nei giorni seguenti, le truppe del marchese mantennero un certo contegno, cercando di guadagnarsi la fiducia della popolazione. Ad Angrogna, in particolare, cercarono di convincere la popolazione rimasta a richiamare in patria i fuggitivi, alcuni dei quali effettivamente rientrarono in paese.
Sabato 24 aprile, vigilia di Pasqua, alle 4 del mattino, un segnale convenuto dal castello di Torre Pellice diede inizio alle operazioni. I soldati assalirono con le armi la popolazione civile, abbandonandosi a stupri e torture, e gran parte della popolazione venne massacrata sul posto. Gli Irlandesi, in particolare, si distinsero per ferocia.[4] Parte dei Valdesi superstiti riuscì a rifugiarsi nel Queyras,[7] mentre molti dei restanti superstiti furono imprigionati e condotti in diversi carceri, dove molti di loro sarebbero rimasti per anni, sottoposti ad ulteriori torture; molti altri furono convinti con la forza a convertirsi al cattolicesimo. I bambini rimasti orfani o comunque dispersi vennero raccolti ed affidati a famiglie cattoliche.
Si salvò solo la popolazione di San Martino, in val Germanasca, che, avvertita dal cattolico Emanuele Boocchiardo, riuscì a riparare in alta val Chisone.[7]
Nelle valli, il culto protestante venne proibito, e la popolazione rimanente fu forzata ad abiurare.[6]
Il comandante di uno dei quattro reggimenti, il Signore de Petitbourg, venuto a conoscenza dei piani del marchese, si rifiutò di prendervi parte, e rassegnò le dimissioni dal comando.[4]
Bilancio delle stragi
Le vittime si concentrarono soprattutto a Pra del Torno, Villar Pellice, Bobbio Pellice, Rorà, Prali.[6]
Il bilancio finale, secondo un documento valdese del 1656, fu di 1712 morti tra uomini e donne; inoltre, 148 bambini furono portati via dalle valli ed affidati a famiglie cattoliche.[1]
Secondo fonti ducali, le vittime furono molte meno. Diversi documenti citati dal Muston[4] parlano di poche decine di morti; un documento parla di 50 morti, un altro di 10 o 12 morti. Una relazione ufficiale dell'11 maggio parla però di 160 morti a Bobbio Pellice e di 150 a Villar Pellice; il Muston, estrapolando questi dati all'intera valle, stima almeno 2000 morti.[4]
Il marchese di Pianezza asserì sempre che non vi era stata alcuna azione contro la popolazione civile, ma nel diario di uno degli ufficiali del marchese di San Damiano vengono confermate diverse scene di tortura. Lo stesso signor de Petitbourg, il 27 novembre 1655, fece pubblicare una dichiarazione giurata, sottoscritta davanti a testimoni, in cui dichiarava di essere stato testimone oculare delle torture e delle uccisioni indiscriminate di civili.[4]
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La presa di Torre Pellice
Le operazioni militari ebbero inizio il 17 aprile del 1655, quando il marchese di Pianezza chiese alla città di Torre Pellice il permesso di acquartierarvi 800 soldati e 300 cavalieri. I Valdesi rifiutarono, asserendo che non avrebbero potuto dare ospitalità in una città dove non erano più residenti ai sensi del decreto del 15 gennaio. La sera stessa, le truppe del marchese risalirono la valle indisturbate, e si accamparono sotto le mura di Torre Pellice. I Valdesi, incerti sul significato delle operazioni del marchese, e temendo di peggiorare le relazioni con il Duca, non si disposero alla difesa. Solo Giosuè Janavel,[5], un abitante di Rorà, era favorevole ad iniziare subito un'azione di resistenza attiva, ed anzi fin dal febbraio precedente aveva cominciato a radunare volontari per eventuali operazioni militari.
Il marchese ripetè la richiesta di acquartieramento, e ad un nuovo rifiuto dei valdesi lanciò un ultimatum alla città. Gli abitanti predisposero in tutta fretta delle difese, e verso le 10 di sera le truppe del marchese attaccarono la città. Dopo circa tre ore di combattimenti durante le quali entrambi gli schieramenti mantennero le postazioni, gli attaccanti riuscirono ad aggirare le barricate dei difensori e ad entrare in città da tergo. I difensori, ora accerchiati, riuscirono a sfondare il secondo fronte degli assalitori ed a fuggire, ritirandosi sulle montagne, mentre le truppe del marchese prendevano possesso della città. Il giorno successivo, Domenica delle Palme, le truppe del marchese partirono in caccia dei fuggitivi, mentre verso sera arrivarono a Torre Pellice nuove truppe del Ducato.[4]
L'esercito del marchese contava ora su diverse migliaia di uomini. Le cifre esatte divergono; il Muston parla di 15.000 uomini, citando la testimonianza di Jean Léger, presente ai fatti;[4] il sito del Comune di Inverso Pinasca, appoggiandosi a studi storiografici più recenti, parla di di 4.000 uomini;[1] sabaudia.org porta la cifra a 40.000 uomini, senza peraltro citare fonti.[6] Le truppe erano divise in 4 reggimenti, comandati rispettivamente dal Signor de Petitbourg, dal marchese Galeazzo, dal principe di Montafon, e dal marchese di San Damiano.[4] Si trattava di un esercito piuttosto eterogeneo: ai soldati si univano volontari, criminali comuni, ed un contingente di irlandesi. Questi ultimi erano stati cacciati dall'Inghilterra di Cromwell per aver commesso diversi massacri di protestanti, e si erano aggregati alle truppe del Pianezza dietro promessa di ricevere in pagamento le terre che sarebbero state conquistate ai Valdesi.[7]
Le stragi
Domenica 18 aprile, dopo la fuga, i Valdesi fuggiti da Torre Pellice si erano rifugiati sulle montagne, e lì cominciarono a preparare le difese. Il giorno seguente, 19 aprile, le truppe del Pianezza attaccarono i Valdesi a Torre Pellice, San Giovanni, Angrogna e Bricherasio, ma furono respinti in ogni occasione. Il giorno successivo, 20 aprile, vi furono nuovi attacchi a San Giovanni ed a Tagliaretto, anche questi respinti.
Il Pianezza cambiò allora tattica. La mattina del 21 aprile fece convocare i rappresentanti dei Valdesi; a questi dichiarò che gli attacchi non erano stati voluti da lui, ma che erano dovuti all'indisciplina delle truppe, che si erano abbandonate ad azioni non autorizzate. Imputando questi fatti alla difficoltà di tenere a bada un esercito così numeroso, propose di separare le truppe ed alloggiarle a piccoli gruppi in tutti i paesi dell'alta valle, in modo che fossero più facilmente controllabili. I rappresentanti valdesi appoggiarono il progetto quasi all'unanimità, con le sole eccezioni di Léger e Janavel. Quest'ultimo rientrò a Rorà, mentre quella sera stessa le truppe del marchese si installarono nella valle principale ed in valle Angrogna.
In quest'ultima valle era prevista la presenza di un solo reggimento. Se ne presentarono invece due, ed uno di essi diede fuoco alle case di Tagliaretto. L'incendio allarmò gli abitanti della valle, dove, come detto, si erano rifugiati quasi tutti i capi famiglia fuggiti dalla pianura e dalla bassa valle in seguito all'editto del 25 gennaio; tutti gli uomini validi fuggirono in val Chisone, allora sotto dominio francese, lasciando in paese solo donne, vecchi e bambini.
Nella valle principale, la risalita delle truppe avvenne invece con meno clamore; vi furono comunque episodi isolati di violenza, con case bruciate e persone uccise, ma la notizia di questi fatti non ebbe modo di diffondersi.[4]
La val Pellice venne così completamente occupata dalle truppe del marchese, tranne la zona di Rorà, che rimase non presidiata.[7]
Nei giorni seguenti, le truppe del marchese mantennero un certo contegno, cercando di guadagnarsi la fiducia della popolazione. Ad Angrogna, in particolare, cercarono di convincere la popolazione rimasta a richiamare in patria i fuggitivi, alcuni dei quali effettivamente rientrarono in paese.
Sabato 24 aprile, vigilia di Pasqua, alle 4 del mattino, un segnale convenuto dal castello di Torre Pellice diede inizio alle operazioni. I soldati assalirono con le armi la popolazione civile, abbandonandosi a stupri e torture, e gran parte della popolazione venne massacrata sul posto. Gli Irlandesi, in particolare, si distinsero per ferocia.[4] Parte dei Valdesi superstiti riuscì a rifugiarsi nel Queyras,[7] mentre molti dei restanti superstiti furono imprigionati e condotti in diversi carceri, dove molti di loro sarebbero rimasti per anni, sottoposti ad ulteriori torture; molti altri furono convinti con la forza a convertirsi al cattolicesimo. I bambini rimasti orfani o comunque dispersi vennero raccolti ed affidati a famiglie cattoliche.
Si salvò solo la popolazione di San Martino, in val Germanasca, che, avvertita dal cattolico Emanuele Boocchiardo, riuscì a riparare in alta val Chisone.[7]
Nelle valli, il culto protestante venne proibito, e la popolazione rimanente fu forzata ad abiurare.[6]
Il comandante di uno dei quattro reggimenti, il Signore de Petitbourg, venuto a conoscenza dei piani del marchese, si rifiutò di prendervi parte, e rassegnò le dimissioni dal comando.[4]
Bilancio delle stragi
Le vittime si concentrarono soprattutto a Pra del Torno, Villar Pellice, Bobbio Pellice, Rorà, Prali.[6]
Il bilancio finale, secondo un documento valdese del 1656, fu di 1712 morti tra uomini e donne; inoltre, 148 bambini furono portati via dalle valli ed affidati a famiglie cattoliche.[1]
Secondo fonti ducali, le vittime furono molte meno. Diversi documenti citati dal Muston[4] parlano di poche decine di morti; un documento parla di 50 morti, un altro di 10 o 12 morti. Una relazione ufficiale dell'11 maggio parla però di 160 morti a Bobbio Pellice e di 150 a Villar Pellice; il Muston, estrapolando questi dati all'intera valle, stima almeno 2000 morti.[4]
Il marchese di Pianezza asserì sempre che non vi era stata alcuna azione contro la popolazione civile, ma nel diario di uno degli ufficiali del marchese di San Damiano vengono confermate diverse scene di tortura. Lo stesso signor de Petitbourg, il 27 novembre 1655, fece pubblicare una dichiarazione giurata, sottoscritta davanti a testimoni, in cui dichiarava di essere stato testimone oculare delle torture e delle uccisioni indiscriminate di civili.[4]
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