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Visualizza Versione Completa : Enciclopedia Treccani : tutta la verità sugli xenofobi



brunik
20-06-13, 10:49
Cari amici, navigando su internet cercando di risolvere il mio problema (la brescianofobia), mi sono imbattuto nella enciclopedia Treccani, che mi ha spiegato che gli uomini nsono come i gatti.

Avete presente che i gatti randagi hanno paura dell'uomo e scappano terrorizzati mentre i gatti nati in casa sono dei coccoloni che ti si strusciano contro?

La differenza la fa l'infanzia del gattino.
Il gattino che nel primo mese è coccolato dall'0uomo non avrà paura dell'uomo, il gattino che non ha avuto rapporti con gli uomini è omofobo (nel senso anche di donnofobo, non equivocate fratelli xenofobi, il gatto omofobo è il gatto che vede nell'uomo un pericolo potenziale e quindi monm si fa accarezzare ma scappa)

Lo stesso vale per gli amici xenofoibi, è a otto mesi che si diventa xenofobo, se l'infanzia è infelice. In pratica secondo Mahler ed altri il vostro problema è colpa della mamma, amici xenofobi

Xenofobia in ?Enciclopedia delle Scienze Sociali? ? Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/xenofobia_(Enciclopedia_delle_Scienze_Sociali)/)

3. Le radici psicologiche della paura dello straniero

Gli psicologi hanno dedicato molti studi alla reazione di rifiuto dello straniero da parte di chi fa parte di un gruppo, formulando varie ipotesi, e hanno osservato altresì come si manifesta questa reazione nella prima infanzia.
Due indicazioni sembrano particolarmente utili in proposito. La prima è data dall'ipotesi di Sigmund Freud (v., 1921) secondo la quale l'identificazione dell'individuo in un gruppo, che si accompagna a manifestazioni di xenofobia, al pregiudizio negativo nei confronti degli altri gruppi e dei loro membri, avrebbe la sua fonte nell'invidia originaria che ogni bambino prova nei confronti del nuovo fratello. La seconda indicazione è data dal resoconto della cosiddetta crisi dell'ottavo mese nella vita psicologica del bambino (v. Mahler e altri, 1975).Freud collega lo spirito di gruppo e l'avversione per lo straniero all'ostilità, generata da un sentimento di minaccia e di abbandono, con cui il bambino accoglie i fratelli che sembrano sottrargli l'affetto e le cure dei genitori, un'ostilità che comporta pesanti costi psicologici e che il bambino cerca quindi di superare.
Questo sentimento scomodo e penoso può essere abbandonato solo con un forte investimento in una diversa direzione, e cioè attraverso l'identificazione con gli altri bambini non appartenenti alla famiglia, che negli anni successivi si consolida con l'appartenenza a un gruppo di pari, a una classe scolastica. Secondo Freud (v., 1921; tr. it., p. 308), "ciò che in seguito troviamo operante nella società come spirito comunitario, spirito di corpo, ecc. non smentisce la propria provenienza dall'invidia originaria [...]. Il senso sociale poggia [...] sul volgersi di un sentimento ostile, inizialmente, in un attaccamento caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella dell'identificazione".
Quanto alla reazione del bambino di fronte a chi non fa parte di coloro che normalmente si occupano di lui, di fronte a un estraneo, sappiamo che l'andamento della 'crisi dell'ottavo mese' è collegato al decorso più o meno soddisfacente della fase simbiotica, cioè del periodo passato in totale dipendenza dalla madre o dalla principale figura che si è presa cura di lui. Nel processo di individuazione-separazione che ha luogo nel primo anno di vita del bambino, la sua reazione all'estraneo appare strettamente collegata al conseguimento di una buona fiducia di base. Se il bambino ha avuto esperienze serene e appaganti nel suo rapporto con la madre, se si è abituato a pensare che i suoi bisogni fondamentali vengono soddisfatti, se ha maturato una tranquilla fiducia nei confronti di chi si occupa di lui e del suo ambiente, l'arrivo di un estraneo lo stupirà e lo preoccuperà sempre in qualche misura, gli metterà un po' di paura, ma prevarranno in lui la curiosità, l'interesse e il desiderio di esplorazione. Il contrario accade quando il bambino non abbia avuto modo di sviluppare una sufficiente fiducia di base: in questo caso la reazione sarà di angoscia, paura, spesso di panico. Ma anche in queste condizioni di sofferenza e rifiuto, il bambino dimostra sempre una certa misura di curiosità e di attrazione.
L'immutabilità dell'emozione viene confermata da questo tipo di osservazioni sperimentali, e il contesto della conferma è molto eloquente per chi si interroga sulla xenofobia. Anche se immutabile e ambivalente,l'emozione originata dall'ingresso dell'estraneo ha maggiori probabilità di essere vissuta prevalentemente in termini positivi, come avventura, gradita innovazione, gioco, scoperta, quanto più il bambino ha avuto esperienze gratificanti, tranquillizzanti, che lo hanno felicemente predisposto verso la vita.
Al contrario l'incontro con l'estraneo ha maggiori probabilità di essere vissuto in termini negativi, come fonte di minaccia e pericolo, quanto più lo sviluppo del bambino ha conosciuto difficoltà, e in particolare quanto meno la fase simbiotica con la madre è stata felice, generatrice di fiducia. In ogni caso, l'ambivalenza verso lo straniero è ben evidente e non scompare mai: anche se angosciato, il bambino manifesta una qualche curiosità per l'estraneo, così come, anche quando l'attrazione e la voglia di esplorare prevalgono, non manca mai, sullo sfondo, una certa preoccupazione

Roatta Mario
20-06-13, 10:57
Cari amici, navigando su internet cercando di risolvere il mio problema (la brescianofobia), mi sono imbattuto nella enciclopedia Treccani, che mi ha spiegato che gli uomini nsono come i gatti.

Avete presente che i gatti randagi hanno paura dell'uomo e scappano terrorizzati mentre i gatti nati in casa sono dei coccoloni che ti si strusciano contro?

La differenza la fa l'infanzia del gattino.

Lo stesso vale per gli amici xenofoibi, è a otto mesi che si diventa xenofobo, se l'infanzia è infelice. In pratica secondo Mahler ed altri il vostro problema è colpa della mamma, amici xenofobi

Xenofobia in ?Enciclopedia delle Scienze Sociali? ? Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/xenofobia_(Enciclopedia_delle_Scienze_Sociali)/)

3. Le radici psicologiche della paura dello straniero

Gli psicologi hanno dedicato molti studi alla reazione di rifiuto dello straniero da parte di chi fa parte di un gruppo, formulando varie ipotesi, e hanno osservato altresì come si manifesta questa reazione nella prima infanzia.
Due indicazioni sembrano particolarmente utili in proposito. La prima è data dall'ipotesi di Sigmund Freud (v., 1921) secondo la quale l'identificazione dell'individuo in un gruppo, che si accompagna a manifestazioni di xenofobia, al pregiudizio negativo nei confronti degli altri gruppi e dei loro membri, avrebbe la sua fonte nell'invidia originaria che ogni bambino prova nei confronti del nuovo fratello. La seconda indicazione è data dal resoconto della cosiddetta crisi dell'ottavo mese nella vita psicologica del bambino (v. Mahler e altri, 1975).Freud collega lo spirito di gruppo e l'avversione per lo straniero all'ostilità, generata da un sentimento di minaccia e di abbandono, con cui il bambino accoglie i fratelli che sembrano sottrargli l'affetto e le cure dei genitori, un'ostilità che comporta pesanti costi psicologici e che il bambino cerca quindi di superare.
Questo sentimento scomodo e penoso può essere abbandonato solo con un forte investimento in una diversa direzione, e cioè attraverso l'identificazione con gli altri bambini non appartenenti alla famiglia, che negli anni successivi si consolida con l'appartenenza a un gruppo di pari, a una classe scolastica. Secondo Freud (v., 1921; tr. it., p. 308), "ciò che in seguito troviamo operante nella società come spirito comunitario, spirito di corpo, ecc. non smentisce la propria provenienza dall'invidia originaria [...]. Il senso sociale poggia [...] sul volgersi di un sentimento ostile, inizialmente, in un attaccamento caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella dell'identificazione".
Quanto alla reazione del bambino di fronte a chi non fa parte di coloro che normalmente si occupano di lui, di fronte a un estraneo, sappiamo che l'andamento della 'crisi dell'ottavo mese' è collegato al decorso più o meno soddisfacente della fase simbiotica, cioè del periodo passato in totale dipendenza dalla madre o dalla principale figura che si è presa cura di lui. Nel processo di individuazione-separazione che ha luogo nel primo anno di vita del bambino, la sua reazione all'estraneo appare strettamente collegata al conseguimento di una buona fiducia di base. Se il bambino ha avuto esperienze serene e appaganti nel suo rapporto con la madre, se si è abituato a pensare che i suoi bisogni fondamentali vengono soddisfatti, se ha maturato una tranquilla fiducia nei confronti di chi si occupa di lui e del suo ambiente, l'arrivo di un estraneo lo stupirà e lo preoccuperà sempre in qualche misura, gli metterà un po' di paura, ma prevarranno in lui la curiosità, l'interesse e il desiderio di esplorazione. Il contrario accade quando il bambino non abbia avuto modo di sviluppare una sufficiente fiducia di base: in questo caso la reazione sarà di angoscia, paura, spesso di panico. Ma anche in queste condizioni di sofferenza e rifiuto, il bambino dimostra sempre una certa misura di curiosità e di attrazione.
L'immutabilità dell'emozione viene confermata da questo tipo di osservazioni sperimentali, e il contesto della conferma è molto eloquente per chi si interroga sulla xenofobia. Anche se immutabile e ambivalente,l'emozione originata dall'ingresso dell'estraneo ha maggiori probabilità di essere vissuta prevalentemente in termini positivi, come avventura, gradita innovazione, gioco, scoperta, quanto più il bambino ha avuto esperienze gratificanti, tranquillizzanti, che lo hanno felicemente predisposto verso la vita.
Al contrario l'incontro con l'estraneo ha maggiori probabilità di essere vissuto in termini negativi, come fonte di minaccia e pericolo, quanto più lo sviluppo del bambino ha conosciuto difficoltà, e in particolare quanto meno la fase simbiotica con la madre è stata felice, generatrice di fiducia. In ogni caso, l'ambivalenza verso lo straniero è ben evidente e non scompare mai: anche se angosciato, il bambino manifesta una qualche curiosità per l'estraneo, così come, anche quando l'attrazione e la voglia di esplorare prevalgono, non manca mai, sullo sfondo, una certa preoccupazione
Ecco il simpatico perculatore. Simpatico in senso ironico.

brunik
20-06-13, 11:02
Ecco il simpatico perculatore. Simpatico in senso ironico.

purtroppo la Treccani ci spiega da cosa nasce la xenofobia ma non ci dice se e come si possa curare questo disturbo psichico.

Pero' sono contento che mia madre mi abbia trattato bene da piccolo, penso che il mio problema sia venuto in una fase successiva all'ottavo mese perché non odio tutti gli stranieri ma solo i bresciani.

Roatta Mario
20-06-13, 11:09
purtroppo la Treccani ci spiega da cosa nasce la xenofobia ma non ci dice se e come si possa curare questo disturbo psichico.

Pero' sono contento che mia madre mi abbia trattato bene da piccolo, penso che il mio problema sia venuto in una fase successiva all'ottavo mese perché non odio tutti gli stranieri ma solo i bresciani.
Di problemi ne hai ben più di uno

brunik
20-06-13, 11:10
Di problemi ne hai ben più di uno

La differenza tra me e te è che io il mio problema lo affronto, tu invece il tuo lo neghi disperatamente. Come tutti gli xenofobi, del resto

Anche i gatti randagi quando di notte si trovano in strada a litigare dicono che ad essere pazzi sono i gatti domestici che non sanno cosa rischiano a contatto con l'uomo

Roatta Mario
20-06-13, 11:31
La differenza tra me e te è che io il mio problema lo affronto, tu invece il tuo lo neghi disperatamente. Come tutti gli xenofobi, del resto

Anche i gatti randagi quando di notte si trovano in strada a litigare dicono che ad essere pazzi sono i gatti domestici che non sanno cosa rischiano a contatto con l'uomo

hai poco da pigliar per il culo nelle tue condizioni. Tra l'altro sta discussione va spostata perchè non c'entra nulla con la cronaca

Josef Scveik
20-06-13, 11:42
Pero' sono contento che mia madre mi abbia trattato bene da piccolo, penso che il mio problema sia venuto in una fase successiva all'ottavo mese perché non odio tutti gli stranieri ma solo i bresciani.
Tranquillo amico, odiare i bresciani non solo è normale ma è anche giusto.

Perseo
20-06-13, 11:50
Sbagli, per dire che devono stare a Brescia non c'è nessun bisogno di odiarli.

Per esempio io non sono mai emigrato da Parma eppure non odio i parmigiani.