PDA

Visualizza Versione Completa : Kissinger dixit



Unghern Kahn
27-08-09, 22:21
Kissinger dixit
:::: 26 Agosto 2009 :::: 7:05 T.U. :::: Analisi :::: Giovanni Petrosillo
di Giovanni Petrosillo*

Scriveva Henry Kissinger, nel lontano 1973, in un testo intitolato “Diplomazia della restaurazione” (vado a memoria) “quando una potenza non si riconosce più in un determinato ordine internazionale i rapporti di questa potenza nei confronti di quell’ordine (e dei paesi che se ne fanno promotori) diventano rivoluzionari”.

Se caliamo questa asserzione nel mondo multipolare odierno vedremo che il sistema di governance mondiale è, nei fatti, saltato perché esso non corrisponde più al livello dei rapporti di forza e alla loro effettiva strutturazione, in quanto base materiale di qualsiasi impianto di regole più o meno condivise e consolidate.

Dovrebbe allora essere facile dedurne che la presente fase storica comincia a divenire globalmente rivoluzionaria, in quanto non vi è una sola formazione sociale che mette in discussione gli equilibri internazionali imperniati sul precedente statu quo, in evidente disfacimento, ma un intero gruppo di paesi (tra i quali Russia, Cina, India) i quali vorrebbero ricontrattare il loro ruolo e le loro funzioni sullo scacchiere geopolitico mondiale. Inoltre, poiché di fronte a questa realtà di fatto crescono i tentativi americani di ricondurre nell’alveo della propria egemonia i cosiddetti Stati recalcitranti, cioè quelli non più avvezzi a riconoscere agli USA un’autorità incondizionata, le relazioni tra paesi diventano fortemente instabili con esplosione di conflitti, di varia intensità, in ogni parte del mondo. Ancora un’altra lezione di Kissinger: “la ricerca di sicurezza assoluta da parte di paese significa meno sicurezza per tutti gli altri”.

Questo concetto andrebbe incorniciato in quanto centrale per spiegare quanto sta avvenendo sugli scenari caldi del pianeta, dall’Afghanistan, al Pakistan, dal Caucaso, all’Asia centrale. Qualche tempo fa abbiamo riportato sul nostro sito (ripensaremarx) un documento strategico americano, intitolato Joint Vision 2020, dal quale emergeva chiaramente che gli Usa interpretavano in maniera piuttosto “estesa” la concezione di “spazio vitale” e quella di sicurezza nazionale che sulla prima andava a ricalcarsi. In quell’occasione avevo commentato sostenendo (mi scuso per l’autocitazione) che tutto ciò avrebbe fatto precipitare i conflitti tra le nazioni tanto da scatenare un caos geopolitico, manifestantesi sotto varie guise: “Il caos che ne segue, prima di emergere sotto forma di attriti tra attori geopolitici, attraversa in profondità ogni sfera sociale delle formazioni capitalistiche implicate in questa lotta per la dominanza: da quella ideologico-culturale (per esempio le guerre di civiltà con le quali si genera l’emotività indispensabile a coinvolgere il popolo, a prescindere dalla sue stratificazioni di classe), a quella politica (che può portare alla marcescenza dei gruppi dominanti delle formazioni capitalistiche che rinunciano a ricavarsi i propri spazi di autonomia, poiché legati passivamente ai dominanti dell’uno o dell’altro campo e che, in quanto tali, sono anche inabili a governare le crisi all’interno della propria formazione di riferimento), a quella economica appunto, (con le piccole crisi finanziarie, in rapida successione, che annunciano la grande crisi da crollo del sistema ma che in realtà conducono, più spesso, ad un “riordino” dei rapporti di forza tra agenti dominanti) fino a quella militare tout court (con conflitti che si mantengono, almeno per ora, sul piano regionale, benché vedano il coinvolgimento di più attori mondiali come in Iraq, Afghanistan, Libano e forse, in futuro, in Iran ecc. ecc.).

Questi ribollimenti geopolitici, nella loro crescente causticità, indicano che il magma sotto la terra comincia a premere sempre più seriamente, preannunciando eruzioni in più zone o aree del globo, tanto da poter causare un cambiamento nella morfologia del potere globale, rispetto a come lo conosciamo oggi.” Gli Stati Uniti vorrebbero inglobare nella loro rappresentazione mentale della sicurezza nazionale aree del mondo che storicamente e culturalmente fanno parte delle sfere d’influenza di altri paesi, per indebolirli e per mettere un argine alle loro aspirazioni geopolitiche. Tutto ciò determina l’apertura di vertenze internazionali non negoziabili dal punto di vista diplomatico (benché la gran parte dei leaders statunitensi si dica impegnata a distendere il clima politico condividendo con tutti i partners le decisioni più importanti) perché le problematiche concrete attengono alla stessa sovranità e alla sicurezza interna di quelle formazioni che hanno dimostrato di aver ritrovato una grande spinta storica, politica ed economica, per non dover più sottostare ai diktat altrui. In sostanza ciò che va bene per gli Usa non va bene per questi popoli e viceversa. Sotto questa lente analitica andrebbe ingrandita la stessa crisi finanziaria in atto, per poter essere letta, nei suoi aspetti meno superficiali, come una conseguenza diretta degli scossoni sui rapporti di forza politici e militari che restano coperti sotto la coltre degli scambi commerciali e finanziari. Ciò che sta saltando sono proprio i primi sebbene sul davanti della scena vengano proiettati gli indici di borsa continuamente a picco.

Ecco mostrato, con poche nozioni, il perché del caos multipolare che caratterizzerà il breve periodo e che potrebbe sfociare, in un tempo più o meno lungo (abbiamo spesso azzardato una previsione sui dieci o vent’anni) in un conflitto policentrico, con scontro aperto per la supremazia tra attori geopolitici internazionali.

Lo stesso Kissinger, ribadisce che quando gli assetti del potere globale s’incrinano irrimediabilmente è normale che ognuno agisca per conto proprio, ricercando una soluzione autonoma al disordine generale, stringendo alleanze diverse e, laddove possibile, mettendosi alla testa del nuovo corso storico.

Gli americani conoscono meglio di chiunque altro questa lezione e proprio per ciò sviluppano una strategia di opposizione al cambiamento molto aggressiva. Di esempi in questo senso potremmo citarne a iosa: dalle rivoluzioni colorate ad est, ai tentativi di giocare, fomentando divisioni etniche e religiose, la carta del separatismo e della corrosione dell’unità nazionale contro le potenze riemergenti, fino ai colpi di stato (è il caso dell’Honduras di Zelaya) condannati a parole ma sostenuti militarmente e logisticamente.

Il grande gioco per il predominio mondiale si nutrirà ancora per un pezzo di questi conflitti indiretti, fino al momento in cui (occorreranno ancora molti anni) il confronto diventerà a viso più aperto.


*ripensaremarx


Eurasia :: Rivista di studi Geopolitici (http://www.eurasia-rivista.org)