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Thomas Lenin
28-12-13, 20:58
sezione dedicata al pcl: interviste,iniziative,news

Thomas Lenin
28-12-13, 21:09
GENOVA : BOLLETTINO PIAGGIO AERO, DICEMBRE 2013 - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3611)



DAL TERRITORIOGENOVA : BOLLETTINO PIAGGIO AERO, DICEMBRE 2013
"" Lotta di classe ", Bollettino Piaggio - S. Ponente, Dic. 2013
16 Dicembre 2013
“ L' emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi!! “ (K.Marx)

EDITORIALE :

TRANVIERI O FORCONI, RIVOLUZIONE O REAZIONE

La crisi capitalista e le politiche dominanti non colpiscono solo la classe operaia, ma anche larghi settori delle “classi medie” (padroncini del trasporto, dell'agricoltura, del commercio, dell'artigianato,…), a loro volta socialmente differenziate al proprio interno. La crisi del mercato, l'usura delle banche, l'aumento delle tasse per finanziare il debito pubblico a vantaggio del capitale finanziario, producono nel loro insieme un impoverimento di questi strati sociali.

Al contempo il movimento operaio italiano conosce una grave crisi sociale e politica, per responsabilità delle sue direzioni politiche e sindacali. Non sono mancate e non mancano lotte operaie importanti di resistenza all'aggressione capitalista e alle politiche di austerità. Ma le sinistre politiche e sindacali non solo rifiutano di unificarle sul terreno di un programma generale di mobilitazione contro la dittatura del capitale, ma si adoperano per frammentarle, contenerle, disperderle.

Emblematico è il caso recentissimo dei tranvieri di Genova. La loro rivolta ha bloccato Genova per cinque giorni, è passata per Firenze, minacciava di propagarsi nell'intera Italia. Poteva realmente innescarsi un movimento radicale di massa contro le privatizzazioni e le politiche di austerità e sacrifici, capace di porsi come riferimento egemone di classe di tutte le sofferenze delle masse oppresse e di ampi strati della stessa piccola borghesia. Ma proprio per questo le burocrazie sindacali si sono affrettate a spegnere la miccia di Genova, a garanzia della borghesia italiana.
A questo punto lo scenario della mobilitazione cambia volto sociale e protagonisti politici. Un insieme eterogeneo di piccole organizzazioni padronali e dei loro capi si prende la scena, e si presenta come bandiera di una “rivoluzione”.

Il programma di questa ... rivoluzione non porta a nulla di buono per i lavoratori, i precari, i disoccupati. Sul piano sociale coltiva un immaginario mitologico che unisce “abolizione di Equitalia”, “ritorno alla lira”, “sovranità nazionale”: che in un quadro capitalista significherebbe solamente un nuovo saccheggio di salari e piccoli risparmi, e una nuova aggressione a welfare e servizi sociali (in un paese in cui oltretutto è il lavoro dipendente a reggere sulle proprie spalle il grosso delle tasse) in perfetta continuità col presente. E ciò senza nessun reale cambiamento per la stessa piccola borghesia: che forse otterrebbe più mano libera nell'evasione di contributi e sfruttamento in nero, ma continuerebbe ad essere strozzata dal potere immutato di capitalisti e banchieri, che sono i veri detentori della “sovranità”: altro che sventolio del tricolore.

Sul piano politico questa miscela sociale e ideologica è il naturale brodo di coltura di forze reazionarie. L'anatomia dei gruppi dirigenti della…”rivoluzione”, parla chiaro. Capi di organizzazioni padronali che vengono dal bacino della Lega Nord (in particolare dell'indipendentismo veneto), dall'ambiente fascistoide laziale, dall'autonomismo siciliano (benedetto dal capitalista Zamparini, supersfruttatore di lavoratori precari nei suoi supermercati). Un personale di avventurieri che, nella crisi delle vecchie organizzazioni di categoria e della politica borghese, provano a coltivare i propri sogni di gloria.
Chi può meravigliarsi se in questo movimento si gettano a piene mani Forza Nuova, Casa Pound, Movimento Sociale Europeo, Militia? Ne stupisce che il sindacato di polizia UGL, fiero difensore dei torturatori della Diaz al G8, solidarizza pubblicamente col movimento. Sta nelle cose.

Al tempo stesso proprio quanto sta avvenendo pone una volta di più l'esigenza e l'urgenza di una svolta anticapitalista del movimento operaio. Abolire il debito pubblico verso le banche (con garanzie per il piccolo risparmio), nazionalizzare le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti, e unificarle in un'unica banca pubblica sotto controllo sociale, sono la condizione decisiva per liberare milioni di famiglie dall'oppressione del capitale finanziario, dalla stretta del credito, dal cappio di mutui usurai.

Se il movimento operaio si battesse per queste rivendicazioni potrebbe prendere la testa della rabbia sociale e di rivolta di settori ampi di piccola borghesia, disgregando il blocco sociale reazionario, e chiudendo lo spazio di manovra della demagogia fascistoide. Ma una simile battaglia di massa implica la lotta per un'alternativa di potere. Che spazzi via il governo del capitale, i suoi partiti, il suo Stato.

Solo una Repubblica dei lavoratori può liberare assieme alla classe operaia la maggioranza della società: è' l'unica reale rivoluzione possibile.
Il PCL si batte e si batterà, in ogni movimento di classe o progressivo, per questa prospettiva.

ECHI :

CONSIDERAZIONI SUL NUOVO PIANO AZIENDALE
Il nuovo piano aziendale annunciato, in linea generale, dall' a.d. Galassi il 12 Dicembre scorso, secondo noi, non prevede nulla di buono per i lavoratori liguri di Piaggio Aero. Si parla esplicitamente di fine delle attività produttive per il sito di S. Ponente e di trasferimento di tutte le attività a quello di Villanova d' Albenga, che si prevede di completare nel 2014. Perciò anche per il sito di Finale, si tratta di qualche mese ( al max un anno) ancora di attività. Inoltre si parla in modo generico di esternalizzazione per tutte quelle attività non considerate strategiche. Per ora non si conoscono ancora i dettagli del piano, ma non ci vuole molto a capire che si tratta complessivamente di una cura dimagrante sulla pelle dei dipendenti, in cambio di vaghe promesse.

LE VAGHE PROMESSE DELL' AZIENDA
In cambio di questa cura dimagrante sulla pelle dei lavoratori, l' Azienda s'impegna in modo generico ad investire per rinnovare macchinari e processi produttivi, con il fine di puntare al settore militare dei velivoli da pattugliamento e sorveglianza. Inoltre s' impegna a mantenere a Sestri le attività di manutenzione, ma viene il sospetto che ciò sia falso, perchè a detta di molti, si tratta di attività di basso valore, e quindi a rischio esternalizzazione. A proposito dei possibili esuberi: si parla di circa 300-500 esuberi in totale, e c'è il forte timore che la maggioranza di questi esuberi riguarderanno il sito di Sestri P. Infine sul capitolo cassa integrazione: ad oggi vi sono 250 dipendenti in regime di cig a rotazione, e nel piano non si dice con certezza se a Gennaio l' Azienda intenderà rifinanziarla.

ALCUNI QUESITI GENERALI RIMASTI ANCORA SENZA RISPOSTA
Ad oggi ci sono ancora dei quesiti rimasti senza risposta, che riteniamo utile ricordare ai lavoratori di Piaggio Aero. Per es: da tempo circolano notizie su possibili investimenti edilizi per l' area oggi occupata dalla Piaggio di Sestri Ponente. E da tempo si dice che l' Aeroporto “ C. Colombo” non rispetta le normative europee, poiché manca di un collegamento ferroviario e/o metropolitano diretto, quindi a rischio chiusura entro il 2020. E c'è poi la famosa questione del nuovo Bacino del Chiaravagna... e della Camera Calda di Piaggio. Ebbene, a fronte di tutto ciò, cosa succederà nell' ambito territoriale di Sestri Ponente? quali risposte sono state date finora da Piaggio ed Istituzioni varie? Dopo i vari incontri che ci sono stati con Doria, Burlando, Guccinelli, Bernini, ad oggi cosa si sa? Inoltre, nel Luglio scorso era circolata la notizia che un' azienda svizzera, la Ruag, fosse interessata all' acquisto del Service di Piaggio Aero, ovvero a quell’insieme di certificazioni necessarie per la realizzazione di aerei civili e militari; a che punto è questa trattativa? C'è o no il rischio spezzatino per i vari comparti di Piaggio?

UNA RSU MIOPE E PERDITEMPO
Contro il recente annuncio del nuovo piano aziendale, la RSU della Piaggio Aero ha intrapreso nei giorni scorsi varie assemblee e mobilitazioni. Iniziative che condividiamo perchè si tratta di un piano che suscita forti preoccupazioni per il futuro occupazionale dei dipendenti di Piaggio. Ma allo stesso tempo, non possiamo non dire che questi rischi erano già nell' aria da tempo, che di segnali in tal senso ce n'erano stati diversi. Per es., dov' era la RSU di Finale e Genova quando nel 2007-2008-2009 le attività più produttive sono state fatte uscire dai siti liguri per andare altrove, spesso all'estero: ci riferiamo ai vari C27J, lo SHELTERS, l' AMX, il FALCON, e le varie lavorazioni sui statori turbina nei reparti macchine di Finale e, anche se di poco conto, i lamierati Pininfarina, ecc . Perchè non si sono mosse allora con decisione, non con i soliti sciopericchi rituali, per pretendere un piano industriale serio che garantisse certezze ai lavoratori?. E nel caso di Sestri, c'era bisogno di annunciare frettolosamente che si voleva bloccare, per protesta, la produzione del P1HH, permettendo così all' Azienda di farlo spostare in fretta e furia presso l' aeroporto, mettendolo al sicuro...? Ora la situazione complessiva è sicuramente più difficile, il tempo perso è tanto (anche negli ultimi mesi). Queste sono responsabilità oggettive di una RSU (Finale e Genova) che si è dimostrata miope e perditempo. E nel caso di Sestri P., tra l' altro, gli attuali rappresentanti, in realtà, sono decaduti da più di tre anni, senza mai essere stati di fatto rieletti, ma semplicemente e in modo arbitrario, si sono auto-rinnovati l'incarico. Forse adesso è venuto il momento di sostituire queste persone....!!?

SOLO LA LOTTA DURA PAGA
In particolare, per evitare la chiusura del sito di Sestri i lavoratori puntino a difendere la possibilità di una sua riconversione produttiva. Non ci sono più, al momento, nuove commesse, ma restano tutte le certificazioni necessarie per acquisirne di nuove e di importanti: per es. al posto di costruire pale per aerei, nel sito genovese si potrebbero produrre pale eoliche, ecc.. Va da se, però, che solo mettendo in campo una serie di iniziative di lotta radicale e ad oltranza, i lavoratori della Piaggio Aero potranno portare a casa risultati significativi e duraturi. Dai blocchi delle strade e/o dei caselli autostradali fino all' occupazione degli stabilimenti e/o a quello dei palazzi istituzionali (Comune, Regione, ecc.),... come ci insegna la storia del movimento operaio e delle sue lotte.!

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PCL - GENOV

Thomas Lenin
30-12-13, 20:12
Risoluzione del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Rivoluzionario (DIP) per la Turchia - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3619)

Risoluzione del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Rivoluzionario (DIP) per la Turchia

29 Dicembre 2013
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2540

La crisi politica che, da un po’ di tempo, sta scuotendo la Turchia, ha subito un’accelerazione e il riscontro immediato sono i pesanti riflessi sulla borsa e soprattutto il fatto che la lira turca è oramai ai minimi storici sul dollaro.

I ministri Muammer Guler, Zafer Caglayan ed Erdogan Bayraktar, rispettivamente Interni, Economia e Ambiente hanno rassegnato le dimissioni perché i loro figli, nel corso della maxi-inchiesta per corruzione, sviluppatasi in contemporanea a Istanbul e Ankara, sono stati arrestati per essere risultati pesantemente coinvolti in grossi episodi di malaffare e sono stati sostituiti, il primo da Efkan Ala, ex sottosegretario del premier e gli altri dai deputati Nihat Zeybekasi e Idris Gulluce.

Sono stati sostituiti anche i ministri della Giustizia, della Famiglia, dei Trasporti e degli Affari europei il cui titolare era quell’Egemen Bagis, personaggio molto noto a livello internazionale.

Il DIP richiama tutti alla necessità immediata di erigere vere e proprie barricate sulla piazza TAKSÝM per contrastare l’enorme crisi che il paese sta vivendo e per mettere a nudo ed estirpare l'immensa corruzione che coinvolge tutto l’esecutivo a iniziare proprio dal primo ministro Tayyip Erdoğan.

Di seguito viene presentata la risoluzione diffusa dal Partito dei Lavoratori Rivoluzionario (DIP) per la Turchia, risoluzione con la quale il DIP, è al suo esordio su tutto il territorio della Turchia, paese che ricorda in maniera precisa la rivolta popolare della scorsa estate.


“Che il governo, senza nessuna esitazione, rassegni in blocco le sue dimissioni, questo allo scopo di favorire il ricambio dei suoi componenti con dipendenti pubblici e lavoratori!

La Turchia è nel profondo di una crisi politica devastante, è ormai chiaro che il governo dell'AKP sta inesorabilmente affondando nel fango della corruzione, con i suoi membri occupati a svuotare casseforti piene di denaro sporco e stivarli in scatole di scarpe per farli scomparire e queste colpe immense, di un governo solo ed esclusivamente borghese, sono dinnanzi agli occhi di tutti.

Tayyip Erdogan, il primo ministro di questo paese, è il primo e massimo responsabile di tutta questa situazione, ma oramai non può più inventarsi alcun tipo di alchimia per coprire i fatti: per allentare la pressione dell’opinione pubblica ha chiesto ai ministri di Interni, Economia e Ambiente di rassegnare le dimissioni e contemporaneamente ha aperto un nuovo fronte della crisi, ordinando a frange della polizia a lui fedeli di adoperarsi per bloccare una nuova inchiesta che coinvolge le Ferrovie dello Stato turco.

Indipendentemente dalle intenzioni del quadro politico e della trama di corruttela intessuta, alcuni pubblici ministeri, che presumibilmente appartengono alla rete religiosa di Fethullah Gülen, in passato sostenitore dell'AKP di Erdogan ma poi venuto in conflitto, hanno avviato in maniera autonoma indagini sulla corruzione; Erdogan, in questo quadro, ha nominato una nuova commissione fiscale e ha fatto approvare una norma che modifica il funzionamento del sistema giudiziario obbligando i pubblici ministeri a richiedere l'autorizzazione delle autorità amministrative per essere nominati titolari di inchieste di corruzione.

Non è un segreto, inoltre, che i sostenitori di Fethullah Gülen, all'interno del corpo di polizia, abbiano creato una sorta di cricca, ma Erdoğan, con l'aiuto di altre forze di polizia a lui fedeli, ha bloccato l'esecuzione di una serie di mandati di arresto, aggiungendo, a tutto questo, la manovra per trasformare la polizia in un'organizzazione paramilitare illegale, funzionale all’AKP .

Erdoğan sta parlando di un complotto alle cui spalle vi è la partecipazione di forze straniere, in realtà un complotto esiste ed esiste anche il coinvolgimento di forze straniere, in particolare dell'imperialismo statunitense, comunque, malgrado questo, il fattore principale che sta dietro alla serie di avvenimenti recenti è la rivolta popolare contro Erdogan, nei mesi di maggio e giugno 2013, rivolta che ha convinto tutti i suoi alleati a rendersi conto che non è più in grado di reggere la stabilità della Turchia e, di conseguenza, ad abbandonarlo uno dopo l'altro.

Per questo motivo, Erdoğan non è in grado di contrastare alcun disegno degli Stati Uniti, è, invece, alla ricerca di consenso e dell’aiuto di quelle forze il cui supporto gli ha, sin’ora, garantito il potere; ha, di fatto, chiesto perdono agli USA per i suoi errori del passato e per ricevere aiuti, aiuti che ha chiesto anche al MÜSIAD1 e al re saudita ed Emiro del Qatar.

È ovvio che i lavoratori che sono stati sfruttati dai grandi imprenditori del settore delle costruzioni, costretti a lavorare senza alcun tipo di tutela, nemmeno minima, che muoiono a causa di quelli che sono veri e propri crimini e che in maniera colpevole vengono chiamati "incidenti", le cui condizioni di lavoro sono simili alla schiavitù, che sono pagati una miseria e che vengono gasati ogni qualvolta vanno in piazza per reclamare un proprio dritto, di certo non si muoveranno in soccorso di questo apparato.

Non importa con quanti voti l'AKP ha vinto le precedenti elezioni, è oramai chiaro a tutti che difende gli interessi di una piccola minoranza che sfrutta e opprime il grosso della popolazione.

Questo governo non ha futuro, ma nel caos da lui creato, potrà solo collassare e allora che si dimetta, perché senza l'AKP, nessuno seguirà la sua dottrina.

Il DIP non ha alcuna fiducia nell’ambasciatore degli Stati Uniti che è pesantemente coinvolto, giorno dopo giorno, nelle manovre politiche attualmente in atto in Turchia, non ha alcuna in fiducia in Fethullah Gülen, Kilicdaroglu, Sarigul e Bahceli, emeriti rappresentanti di quella stessa minoranza che succhia il sangue dei lavoratori.

Il DIP ha capito, dopo quanto accaduto questa estate contro quella sorta di colpo di mano che il governo aveva messo in atto sul Parco Gezi per costruire al suo posto un centro commerciale, che Erdoğan e il suo AKP, avevano perso la capacità di coordinare l'offensiva contro la classe operaia e di controllare le reazioni dei lavoratori nell’ambito di una possibile crisi economica, o per risolvere il movimento curdo.

Ecco perché il DIP ha deciso di coordinare i lavoratori e le masse oppresse, per promuovere una lotta che sia in grado di cacciare Erdoğan e tutti i suoi complici e per far questo sta riorganizzando il potenziale generato dalla ribellione popolare partita dagli avvenimenti del parco Gezi, intorno agli interessi della classe operaia e di tutti quanti sono oppressi, il cui numero costituisce la quasi totalità della società.

Contro la guida filo-americana dell’AKP e la possibilità di bloccare il potere dichiaratamente a favore e al servizio degli USA, tutti i dipendenti pubblici e i lavoratori, sono chiamati alla mobilitazione per la realizzazione di questo governo.”.

26 dicembre 2013
Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Rivoluzionari (DIP) per la Turchia
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Thomas Lenin
01-01-14, 20:00
ARTICOLO APPARSO SUL CORRIERE DELLA SERA IL 30 DICEMBRE - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3620)

ARTICOLO APPARSO SUL CORRIERE DELLA SERA IL 30 DICEMBRE

30 Dicembre 2013
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2541

Corriere 30.12.13
Ferrando: espropriare le banche, creare lavoro
di Marco Cremonesi

MILANO — Marco Ferrando resta fedele alla linea: «È impossibile qualsiasi accordo con chi si identifica con le classi dominanti». Il 3 gennaio partirà il terzo congresso del Partito comunista dei lavoratori di cui è portavoce e animatore, nato dalla rottura, nel 2006, dentro Rifondazione comunista per la scelta di Fausto Bertinotti di sostenere il governo Prodi. E la distanza con tutte le altre realtà della sinistra resta radicale: «Tanto più oggi — osserva —, dato che Rifondazione comunista mi pare abbia esaurito il suo ciclo». Di Sinistra ecologia e libertà non sembra avere grande opinione: «Vendola vuol fare la sinistra del centrosinistra... ». E certissimamente non c’è alcuno spazio di dialogo con un Pd che «con Renzi cancella in un partito liberale qualsiasi traccia simbolica del suo passato». Insomma, quello di Ferrando e del suo partito resta un programma rigorosamente «anticapitalista e antisistema che non ha a che vedere con nessuna delle ipotesi che vedo fare a sinistra». Il simbolo recente della «deriva», secondo Ferrando, di gran parte della sinistra è il «gioco di sponda» tra Matteo Renzi e il leader della Fiom Maurizio Landini: «Un segno della malattia di una sinistra che interpreta il proprio ruolo in una logica del tutto burocratica di ricollocazione di ruolo e status: la competizione è quella per fare il primo attore nella collaborazione con la classe dirigente». Il punto, ora, è superare anche la linea della Fiom di «contrastare la Fiat in ordine sparso. Perché in ordine sparso, perdi». Ci vuole, al contrario, «una piattaforma unica di rivendicazioni comuni: blocco dei licenziamenti, riduzione dell’orario di lavoro per meglio ripartirlo tra i lavoratori, un grande piano di nuovi lavori da finanziare con una montagna di nuove risorse». Quali? «Quelle derivanti dall’abolizione del debito pubblico nei confronti delle banche. Una nazionalizzazione delle banche vera, con esproprio degli azionisti e la loro messa sotto il controllo del popolo». Le polemiche pro o contro l’euro interessano poco a Ferrando. Nel senso che «l’alternativa non è tra euro e lira ma tra capitale e lavoro. Non è tra Roma e Bruxelles ma su chi comanda a Roma e a Bruxelles».
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
04-01-14, 12:19
APERTO OGGI A RIMINI IL TERZO CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3622)

COMUNICATO STAMPA

Si è aperto oggi a Rimini il 3° congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori. L’assise congressuale è stata introdotta dalla relazione del portavoce nazionale Marco Ferrando.
Ferrando ha aperto attaccando il capitalismo “che da un lato ha creato la ‘crisi economica’, dall’altro ne ha fatto pagare ovunque le conseguenze alle classi lavoratrici, privatizzando i profitti e socializzando le perdite come nel caso del ‘salvataggio’ delle banche. Tutto ciò è avvenuto e avviene ad ogni latitudine: dagli Usa di Obama all’Europa di Hollande, Merkel, Letta, ecc.”
“In questo quadro internazionale” – ha proseguito Ferrando – “in Italia la fine dell’unità nazionale segna un netto indebolimento del governo. Parallelamente la crisi capitalista e gli equilibri interni di maggioranza impediscono al governo di rispondere al suo blocco sociale di riferimento. Il movimento operaio resta assente dallo scenario della crisi politica per responsabilità delle sue direzioni, anche della Fiom di Landini, che rinuncia all’opposizione in CGIL e si accoda la nuovismo renziano.
Una risposta anticapitalista, comunista e rivoluzionaria è assolutamente necessaria, anche per recuperare a sinistra chi si è illuso con le sirene populiste di Grillo/Casaleggio o ha cercato una risposta alla propria condizione nelle manifestazioni reazionarie dei forconi.”
Ferrando ha poi presentato le proposte principali del PCL: “- la piena rottura col padronato, il suo governo, i suoi partiti e le forze populiste: per un fronte unico di lotta del movimento operaio contrapposto a Renzi, Grillo, Berlusconi; - l’unificazione delle lotte di resistenza sociale attorno ad una piattaforma comune di vertenza generale; - un programma generale contro la crisi apertamente anricapitalista”

“Solo una mobilitazione generale e radicale della classe operaia può unificare attorno a sé l'insieme del lavoro dipendente, i precari, i disoccupati, le masse femminili sfruttate, e i settori impoveriti della piccola borghesia. Solo questa mobilitazione radicale può strappare risultati concreti”.
“Perché in definitiva” - ha concluso Ferrando – “solo la rivoluzione può cambiare le cose”

Rimini 3 gennaio 2014

Ufficio Stampa PCL

Thomas Lenin
31-01-14, 19:57
VENDOLA NON ROMPE CON RENZI, NEL MOMENTO IN CUI RENZI ROMPE CON SEL - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3651)

CUI RENZI ROMPE CON SEL

25 Gennaio 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2568


Nichi Vendola critica il PD ma non rompe col PD, neppure nel momento in cui il suo segretario annuncia di fatto la morte parlamentare di SEL. La “Strada giusta” resta quella di sempre, contro ogni evidenza e bilancio.
E' l'eterna vocazione subalterna che ha demolito prima Rifondazione e poi i suoi eredi. Ieri subalterni a Prodi in cambio di ministeri. Oggi interlocutori di un populista confindustriale come Matteo Renzi vessillo dei capitalisti del made in Italy. Ieri come oggi sacrificando l'autonomia delle ragioni del lavoro all'alleanza con gli avversari del lavoro.

Proponiamo a tutte le sinistre, politiche e sindacali, la via opposta . Non l'ennesimo corteggiamento del principe vincente del campo avverso. Ma l'unità d'azione sul terreno della lotta, attorno ad un autonomo programma, contro tutti gli avversari dei lavoratori: Letta, Renzi, Grillo, Berlusconi. Partendo da una grande manifestazione unitaria e di massa contro la legge elettorale truffa di Renzi/Berlusconi: una legge reazionaria, peggiore della legge Acerbo del 1923.

Non è il momento di supplicare Renzi chiedendogli magnanimità in cambio della propria “lealtà”. E' il momento di contrapporgli il fronte unico di lotta di una sinistra autonoma.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATOR

Thomas Lenin
05-02-14, 13:17
Occupazione Schneider, Pcl Rieti: incisiva la lotta dei lavoratori - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3670)

Occupazione Schneider, Pcl Rieti: incisiva la lotta dei lavoratori
In Italia ci sono poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchiLe minacce della Schneider ai lavoratori che stanno occupando lo stabilimento di Rieti, significano che la lotta dei lavoratori è diventata incisiva. Se i vari governi, che si stanno succedendo, affrontassero seriamente il problema della "delocalizzazione", non si sarebbe arrivati a questo punto. Se la Cgil e la Fiom avessero reagito nel modo adeguato all'attacco bestiale dei 'padroni', non si sarebbe arrivati a questo punto.

I lavoratori stanno reagendo alla Schneider come alla Electolux. Se la Cgil non seguirà il lavoratori, come non ha fatto alla Fiat di Termini Imerese e alla Irisbus, l'attacco dei padroni sarà ancora più massivo e generalizzato. La lettera di Cesere Beccarini a proposito della Schneider, illustra, meglio di quanto abbia fatto fino ad ora qualsiasi giornalista, la situazione: è chiaro che non si tratta di una semplice delocalizzazione, si tratta di un attacco politico a tutto il sistema di stabilimenti Schneider in Italia.

Se Termini Imerese fosse stato occupato, come chiedevano i lavoratori Fiom, più di due anni fa, con molta probabilità oggi Marchionne non potrebbe dichiarare la definitiva fuoriuscita della Fiat dall'Italia, con conseguenze ancora imprevedibili. Se la Cgil avesse unificato tutte le vertenze e istituito una "cassa di resistenza dei lavoratori", avremmo avuto maggior forza per rispondere agli attacchi padronali.

I vari governi non sono degni di questo nome, è vergognoso che uno dei paesi più ricchi del mondo, permetta simili ricatti da parte del padronato. In Italia ci sono poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi. E i nuovi poveri sono destinati ad aumentare. La misura è colma.

Thomas Lenin
22-02-14, 14:45
La battaglia del PCL nel movimento NO MOUS - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3707)

La battaglia del PCL nel movimento NO MOUS

19 Febbraio 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2610

Il Partito Comunista dei Lavoratori presenta un ordine del giorno riguardante il movimento NoMuos al suo terzo congresso, svoltosi a Rimini dal 3 al 6 Gennaio 2014. Ordine del giorno approvato all’unanimità dall’assemblea congressuale e controfirmato dal compagno delegato Peter Johnson della tendenza Rifondazione e Rivoluzione degli USA. I compagni statunitensi si impegneranno a diffondere il testo approvato in tutti i comitati NOWAR degli Usa.
Qui di seguito l’ordine del giorno presentato:
“LA BATTAGLIA DEL PCL ALL’INTERNO DEL MOVIMENTO NO MUOS
Il Pcl si schiera fermamente a fianco del movimento NoMuos e rivendica la propria solidarietà attiva tramite l’impegno dei suoi militanti presso il presidio popolare di contrada Ulmo.
Il Pcl giudica gravissimo che il Muos, struttura imperialista a guardia del capitalismo arma di distruzione e di guerra del XXI secolo, trasformi la Sicilia in una vera e propria base per l’egemonia militare mondiale del blocco USA.
Il nostro partito, presente fin da subito in questa lotta con posizioni antimperialiste e anticapitaliste sostiene la necessità che il movimento NoMuos possa, attraverso saldature organizzative con tutti gli altri movimenti di lotta a carattere locale, generalizzarsi per condurre ad una lotta di ampio respiro dal profilo chiaramente anticapitalista. Il Pcl ha lavorato, lavora e lavorerà per far si che il movimento NoMuos possa esprimere tutto il proprio potenziale liberandosi da quelle zavorre e quelle catene che lo tengono imprigionato da quelle componenti che vorrebbero un movimento di opinione e non di lotta, che hanno interessi che Niscemi non diventi un problema politico o di ordine pubblico per preservare il profilo filo-istituzionale e la natura riformista del movimento stesso.
I compagni del Pcl aderiranno per questo nei comitati locali NoMuos contribuendo ad essi apportandovi l’idea che solo una chiara prospettiva di una società socialista possa eliminare il problema e con lo scopo non solo di smantellare le base Us Navy di contrada Ulmo ma di avallare le tendenze sinceramente rivoluzionarie esistenti nel movimento.”
Il documento è chiaro. Il PCL è schierato con i suoi militanti fin da subito nella lotta contro il Muos.
Siamo stati i primi e gli unici a criticare l’iniziale movimentismo trasversale dei comitati NoMuos, dove al proprio interno si trovava veramente di tutto, dagli anarchici della F.A.S, ai riformisti del PRC, agli indipendentisti filo Lombardiani, all’Udc (oggi dichiaratamente si Muos), al Pd artefice consapevole dell’istallazione del Muos a Niscemi, ai sostenitori del sicilianissimo La Russa.
Quando a Piazza Armerina il Movimento NoMuos redige la carta d’intenti dotandosi di valori universali primo fa tutti l’antifascismo, noi del PCL, ove possibile, entrammo a far parte dei comitati NoMuos ed a partecipare attivamente all’assemblee di coordinamento dei comitati, cercando di generalizzare la lotta in modo da cementificarla alle altre micro e macro vertenze.
Da quando nel novembre del 2013 nasce il presidio popolare di contrada Ulmo la lotta NoMuos fa un salto di qualità, all’interno del presidio si vedono germogliare tendenze rivoluzionarie che con la loro quotidiana presenza alzano il livello di lotta del movimento. Anche se queste tendenze sono primitivistiche si respira un aria di ribellione e di rivoluzione individuale dei soggetti coinvolti.
Il movimento entra in una fase dove le forze riformiste e centriste, che prima della nascita del presidio popolare gestivano il movimento a suo uso e consumo, fanno fatica a controllare queste spinte di grezzo riottismo. Ergo si affidano, per mantenere la pace sociale della tranquilla Niscemi, parallelamente al M5S e al movimento megafano di Crocetta, che sotto elezioni regionali promettono fittizie “rivoluzioni” in ambito regionale e nel sud oriente siculo spingono sull’ impegno di revocare le autorizzazioni per l’istallazione del Muos. Dopo le elezioni che hanno visto Crocetta innalzarsi come governatore siciliano e il M5s essere il partito più votato in Sicilia, a Niscemi, in contrada Ulmo non cambia niente. Noi attivisti e le mamme NoMuos siamo da soli a fare blocchi, contro di noi la polizia è sempre più violenta. Il M5S si vede a Niscemi solo quando ci sono le telecamere dei media locali e nazionali, e Crocetta diventa sempre più arrogante con chi gli ricorda di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale!
Alla vigilia della manifestazione nazionale NoMuos del 30 marzo del 2013, il governatore Crocetta revoca le autorizzazioni per l’istallazione del Muos, invitando i siciliani a non andare a manifestare a Niscemi perché non c’era più motivo, aveva pensato a tutto lui, il rivoluzionario con il megafono. Un giorno prima di una manifestazione che prometteva grande partecipazione dei Siciliani e non solo, il governatore cerca di svuotare la piazza o di calmarla con una revoca che durerà pochi mesi.
Infatti il governatore poco dopo revoca la sua revoca, tradendo definitivamente tutti quelli che l’avevano votato compreso quei soggetti del movimento che prima di quel momento credevano in lui come salvatore della patria, come l’uomo che osò sfidare gli americani.
Il M5S pur avendo un grande peso politico dentro l’Ars, diventa invisibile nella lotta NoMuos.
Arriviamo al 9 agosto, il movimento entra nella base UsNavy di contrada Ulmo, dove si riesce a creare un grande teatrino mediatico, i soliti noti complottano con i servi del potere, contrattando l’entrata in base con la promessa di un maggiore controllo da parte loro, sul movimento NoMuos, che stava diventando troppo conflittuale. I Media borghesi, come era scontato non parlano di movimento NoMuos, ma di centri sociali che si scontrano con le FDO, con la ciliegina sulla torta del Presidente Crocetta che denuncia che tra i NoMuos ci sono infiltrazioni mafiose.
Infatti da dopo Agosto il movimento registra un abbassamento di presenza e di toni, arrivando addirittura allo sciopero della lotta del comitato NoMuos di Niscemi, mai visto nella storia dei movimenti!
I sinceri NoMuos, si allontano dalla lotta, si allontano dalla partecipazione delle assemblee di movimento, martoriate da una lotta tra aree piccolo-borghesi per il comando del movimento.

Per una trasparente orizzontalità dei movimenti, sostengono gli intransigenti movimentisti, è necessario essere apartitici. Lo sostengono proprio oggi che non esiste un PCI, protagonista nel bene e nel male nel movimento di Comiso contro i missili cruise; lo sostengono oggi che è quasi scomparso il contenitore politico PRC, rimasto un piccolo partito riformista. Eppure il movimento NoMuos in assenza di un partito comunista, e aggiungiamo noi, un partito comunista rivoluzionario, è minato al proprio interno da questi gruppuscoli centristi, piccoli-borghesi, che sostengono questo. Gruppuscoli senza una prospettiva a medio-lungo periodo per una lotta anticapitalista, imprimendo al movimento una cultura della non organizzazione e della non democraticità, anche se si sostiene che nelle assemblee di movimento prevale la “democrazia”, dove si usa non votare per arrivare a decisione già prese a tavolino dai soliti noti.
Lo scopo del movimento, oggi, non dovrebbe essere quello di promettere l’ennesima entrata in base per poi uscire senza “distruggerla”, con l’unico risultato di ricevere altri atti repressivi, o peggio di ritornare a manifestazioni che anche se partecipate non scuotano lo status quo, ma quello di dire chiaramente che l’unico modo per eliminare il Muos, le basi militari tutte, il potere antidemocratico che ci reprime, è quello di contribuire alla costruzione di un partito autenticamente rivoluzionario, con un centralismo democratico forte, dove tutti saremmo protagonisti del cambiamento, dove i rivoluzionari, donne e uomini, lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti, precari, disoccupati e migranti, prendendo il potere, cambieranno questa società malata con una società migliore, equa, sana. Una società anticapitalista!
“II proletariato non ha altra arme nella lotta per il potere che l'organizzazione. La forma suprema dell'organizzazione di classe è il partito.
Lenin”

Tutti i sinceri No Muos devono guardarsi intorno e incominciare a ragionare e a capire chi sono i nemici e chi gli alleati, chi all’interno del movimento No Muos vuole frenare la lotta riportando il movimento ad uno sterile movimento d’opinione.
La lotta nomuos è una lotta antimperialista, anticapitalista e non puo’ essere giocata solo a livello locale o nazionale, questa è una lotta internazionale. Noi del PCL sezione italiana del CRQI, proveremo, insieme ai compagni statunitensi ad aprire una vertenza nel cuore dell’imperialismo.
Solo la rivoluzione cambia e cose!

Thomas Lenin
09-03-14, 21:01
Distruggere il fascismo, oggi come ieri! - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3731)

Distruggere il fascismo, oggi come ieri!

2 Marzo 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2632

Trentasei anni fa un commando di fascisti appartenenti ai NAR ammazzava a colpi di pistola Roberto Scialabba, giovane militante di Lotta Continua.

Oggi come ieri la borghesia utilizza il fascismo come strumento del proprio dominio contro il movimento operaio e le sue avanguardie. Nel contesto attuale, sotto la crisi del capitalismo più profonda dal dopoguerra, il fascismo rappresenta un fenomeno pericoloso come allora. In tutta Europa, accanto ad una ripresa della lotta di classe, si verifica in maniera preoccupante un'escalation del fascismo, delle sue organizzazioni e dei suoi attacchi contro le avanguardie di lotta, i migranti e la comunità LGBT.

In Grecia, contro la ribellione operaia e popolare, le bande squadriste di Alba Dorata compiono le proprie azioni violente con la complicità delle forze di polizia e degli apparati dello Stato, facendosi strada nell'impoverimento di larghissimi strati della popolazione e nella catastrofe sociale generale.

Proprio in questi giorni la rivolta reazionaria in Ucraina è capeggiata da organizzazioni fasciste o neonaziste, tramite le quali parte della borghesia ucraina fa leva per cercare di spodestare le sue fazioni rivali.

In Italia organizzazioni fasciste come CasaPound e Forza Nuova, che agiscono indisturbate da anni, riescono oggi ad utilizzare il malcontento della piccola borghesia per infiltrarsi ed alimentare rivolte tutt'altro che progressiste, come quella dei "forconi" nei mesi scorsi.

Ovunque, il fascismo utilizza il malcontento popolare per prendere piede.

Tutto ciò impone una considerazione: o la classe operaia e i lavoratori irrompono nella lotta di classe con una loro politica anticapitalista, attraendo dalla loro parte le masse popolari impoverite dalla crisi, o ad egemonizzare le masse saranno invece le squadracce fasciste. In altre parole: o rivoluzione o reazione.

E' necessario creare un fronte unico antifascista, che organizzi materialmente l'autodifesa della classe e dei soggetti che subiscono le aggressioni dei fascisti.

E' necessario, soprattutto, una svolta di lotta radicale della classe lavoratrice alla quale, come Partito Comunista dei Lavoratori, chiamiamo tutta la sinistra sindacale, politica e di moviemento: abbattere il capitalismo è l'unica via non solo per rispondere agli attacchi della borghesia, ma per combattere il fascismo, per non lasciargli alcuno spazio di manovra e di propaganda, per distruggere gli interessi di classe che esso difende.
Partito Comunista dei Lavoratori - Roma
sezione "Vito Bisceglie

Thomas Lenin
21-04-14, 09:49
BERLINGUER: MEMORIA DI UN'EMOZIONE - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3765)

BERLINGUER: MEMORIA DI UN'EMOZIONE
di Michele Terra
25 Marzo 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2662

http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2663

1991 Il Pci viene chiuso

1994 Federazione bolognese di Rifondazione Comunista
In una delle sale della sede comunista campeggia incorniciata una copia dell'Unità del settembre 1978. Il titolo a tutta pagina BASTA CON LA DC. E' l'annuncio del segretario Berlinguer al comizio di chiusura della Festa nazionale dell'Unità. Più sotto la notizia di un successivo corteo di 7 milioni di persone che sfila per oltre 20 ore. Di fronte alla copia di annata del giornale fondato da Antonio Gramsci diversi compagni – oltre i quarant'anni di età - si lasciano andare a vari commenti: “Bei tempi!”, “Fu una grande manifestazione!”, “Ah Enrico...”, “Non me lo ricordo quel corteo ma c'ero sicuramente.”.

L'unico problema è che Berlinguer non disse mai con BASTA CON LA DC, quel comizio non ci fu e ovviamente nemmeno l'immaginifico corteo di 7 milioni di comunisti italiani. Il giornale esposto è uno dei famosi falsi de Il Male – giornale satirico di fine anni '70.
Ecco spiegato ciò che resta di Berlinguer oggi: l'emozione del ricordo per qualcosa che nella realtà non c'è mai stato.
La realtà storica del PCI berlingueriano fu quella del salvataggio del regime Dc in crisi; del compromesso storico e della solidarietà nazionale con la DC stragista e mafiosa, dei voti ai governi monocolore di Andreotti.
In questo trentennale della scomparsa del segretario PCI vedremo e sentiremo molto, ma temo saranno più emozioni che storia.

Thomas Lenin
01-05-14, 16:58
ASSENTI ALLE EUROPEE. PRESENTI ALLE AMMINISTRATIVECONTRO RENZI, BERLUSCONI, GRILLO, PER UNA ALTERNATIVA DEI LAVORATORI - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3826)

ASSENTI ALLE EUROPEE. PRESENTI ALLE AMMINISTRATIVE CONTRO RENZI, BERLUSCONI, GRILLO, PER UNA ALTERNATIVA DEI LAVORATORI
COMUNICATO STAMPA
30 Aprile 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2691

Il PCL viene impossibilitato a partecipare alle elezioni europee da una legge discriminatoria. Ma è presente alle elezioni amministrative in diverse città capoluogo ( Firenze, Livorno, Pavia, Forlì, Pesaro) e in diversi centri minori in Liguria, Piemonte, Toscana, Emilia, Marche, Lazio. Ovunque col nostro simbolo e con la nostra autonomia.

Siamo l'unica sinistra presente alle elezioni con la propria riconoscibilità di partito comunista, contro ogni logica di subordinazione al centrosinistra o di imboscamento subalterno in liste civiche.

Useremo la tribuna delle elezioni amministrative per sviluppare una campagna politica contro il governo del Bonaparte Renzi ; contro l' operazione truffaldina delle “80 euro”, l' ulteriore devastante precarizzazione del lavoro, una legge elettorale reazionaria senza precedenti. Così denunceremo l'assenza scandalosa di ogni reale opposizione a Renzi da parte di Camusso, Landini, Vendola, a tutto vantaggio del qualunquismo reazionario di Grillo. La cui campagna contro “la peste rossa” usa il linguaggio della “peste nera”.

Useremo la tribuna delle elezioni amministrative anche per dire la nostra sulle elezioni europee. Per denunciare la bandiera “pro Euro” e la bandiera “pro Lira”, come due truffe speculari contro i lavoratori, al solo fine di mascherare e difendere la vera ragione della crisi: il capitalismo e il suo fallimento. In Italia, in Europa, nel mondo.

Su ogni terreno presenteremo il programma anticapitalista e rivoluzionario del governo dei lavoratori- nelle sue articolazioni locali, nazionali, europee- quale unica via d'uscita dalla crisi. Contro la dittatura degli industriali , dei banchieri, di tutti i poteri forti. Vaticano incluso.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
04-05-14, 12:04
IL DECRETO RENZI /SACCONI E' UN'INFAMIA CONTRO IL LAVORO.COSA ASPETTANO CAMUSSO E LANDINI A PROMUOVERE UNA MOBILITAZIONE VERA PER IL SUO RITIRO? - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3837)


Non è il decreto Poletti. E' il decreto Renzi/ Sacconi . Il decreto Lavoro è un'aggressione al lavoro. Non serve a “creare nuovi posti di lavoro” come recita la propaganda ipocrita del governo, ma a peggiorare la condizione di chi lavora e di chi cerca lavoro, regalando alle imprese un' illimitata libertà di sfruttamento, e ai lavoratori ad una ricattabilità senza fine.

Se Camusso lo riconosce- come sembra- cosa aspetta a promuovere un'immediata mobilitazione nazionale per il ritiro del decreto contro il governo che l'ha varato? La stessa considerazione vale per Landini: può continuare a proporsi come interlocutore di Renzi dopo l'enormità di questo decreto? Non bastano le parole in TV a difesa degli operai, se non si contrasta chi li aggredisce.

Questo drammatico vuoto di opposizione reale non è solo il lasciapassare al “rullo compressore” di un populista confindustriale contro i lavoratori. E' anche un insperato regalo a quel populismo reazionario a 5 Stelle che da un lato vuol chiudere le fabbriche in crisi e licenziare gli operai con un salario di cittadinanza di 600 euro, e dall'altro grida contro ..” la precarizzazione del lavoro”per avere il voto degli operai. Imbroglioni!

Solo una mobilitazione unitaria, radicale, di massa, può fermare la valanga, fare piazza pulita di tutti i demagoghi e ciarlatani, e riporre al centro della scena un programma dei lavoratori per i lavoratori.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
19-05-14, 19:59
CORRUZIONE E CAPITALISMO .NUOVA TANGENTOPOLI, VECCHIA TRUFFA - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3856)

La nuova Tangentopoli lombarda non è la riproposizione della Tangentopoli della Prima Repubblica. In compenso è l'occasione per riproporre la stessa truffa ideologica di allora.

Nei primissimi anni 90, quando emerse sul piano giudiziario il mercimonio quotidiano tra la classe dei capitalisti, i suoi partiti ( DC e PSI craxiano in primis) e il suo apparato dello Stato, tutta la vulgata populista e giustizialista dirottò lo sdegno popolare contro la “casta politica”. Si disse ai quattro venti che le tangenti erano frutto dell'invadenza della “politica” e dei “partiti” nell' “economia”, che la “liberalizzazione dell'economia” avrebbe fatto piazza pulita delle tangenti, che l'abolizione del sistema elettorale proporzionale e del sistema delle preferenze avrebbe eliminato clientelismi e corruzione a favore del libero mercato e di una “nuova politica”.

20 anni dopo si ripropone la stessa solfa. Ieri Bossi, oggi Grillo. Cosa dimostrerebbero il caso Expo, l'affare della sanità lombarda, l'enorme giro di tangenti e faccendieri che nuovamente emerge? La “corruzione dei partiti e della politica”, che “sono tutti dentro fino al collo nelle ruberie”, “pensano solo ai propri affari e al proprio portafoglio”, “offendono il prestigio internazionale dell'Italia e delle sue istituzioni”! (e chi ne ha più ne metta). Come 20 anni fa si tratterebbe di “cacciare i partiti, tutti corrotti”, a garanzia di un'”economia finalmente sana”, liberata dalle “ruberie della politica”. E magari accompagnata se possibile da nuove e più pesanti iniezioni di “maggioritario”.

Oggi come ieri si tratta di una truffa clamorosa. Dove sta l'aspetto truffaldino? Nell'assoluzione dei capitalisti. Non sempre ( necessariamente) dal punto di vista individuale o giudiziario, ma sempre e comunque dal punto di vista del ruolo sociale della loro classe e della loro economia.


CORROTTI E CORRUTTORI. I CAPITALISTI E I (LORO) “POLITICI”

E' curioso. Logica vorrebbe che se ci sono i corrotti, ci siano necessariamente i corruttori. Invece i politici corrotti guadagnano la scena di imputati, i capitalisti che li corrompono scivolano dietro le quinte. I primi sono esposti al meritato linciaggio del disprezzo popolare, i secondi sono addirittura oggetto di commiserazione. Hanno pagato mazzette, magari scaricandole su costi e prezzi di opere e servizi? Poveracci, erano e sono costretti dal sistema di corruzione dei “politici”, dal fatto che che “se non paghi non fai affari e dunque non dai lavoro”, dall'assenza di quel “libero mercato” degli appalti che offrirebbe a tutti pari opportunità, ecc. In altri termini i capitalisti corruttori sono gli eroi costretti a subire le angherie dei politici pur di “servire l'interesse generale del Paese”. Ma i politici borghesi non sono innanzitutto i LORO politici? Quelli che stanno regolarmente sul libro paga di banche e imprese, che incassano i loro legali contributi e regalie ( ancor più con l'abolizione del finanziamento pubblico), che fedelmente eseguono le loro commissioni quando si tratta di tagliare scuola sanità pensioni, precarizzare il lavoro, smantellare contratti e diritti, pur di versare ogni anno decine di miliardi nei portafogli di grandi industriali, banchieri, Vaticano ? La verità è che ciò che i capitalisti incassano dai propri partiti di governo è infinitamente superiore a ciò che pagano loro in fatto di mazzette. I costi sociali dell'ordinario sfruttamento capitalista su lavoratori, precari, disoccupati, sono infinitamente maggiori dei costi di mantenimento dei partiti di governo, dei loro faccendieri, dei loro servizi. Il fatto che la borghesia e la sua stampa scarichi i propri politici una volta che sono colti con la mazzetta in mano, non è solo un caso di ingenerosa ingratitudine o di ipocrisia. E' un modo di dirottare contro di loro la rabbia sociale per impedire che si rivolga contro la borghesia. E' un modo per coprire e continuare la propria rapina sociale a difesa del proprio ordine sociale. Il populismo è solo la copertura protestataria di questa truffa.

LA SECONDA REPUBBLICA VOLANO DI CORRUZIONE

La truffa è tanto più clamorosa per il fatto che il lungo ciclo della seconda Repubblica ha enormemente ingrassato la corruzione: e proprio grazie a quella combinazione di liberalizzazioni economiche e di americanizzazione politica che avrebbe dovuto debellarla. Esternalizzazioni, privatizzazioni, liberalizzazione degli appalti al massimo ribasso, urbanistica contrattata, liberalizzazione dei derivati, abbattimento di regole e controlli, non solo non hanno limitato il peso delle mazzette, ma hanno rappresentato un loro volano gigantesco. Moltiplicando spazi e occasioni di intermediazione politica, incoraggiando lo sgomitamento fra capitalisti per ottenere appalti e favori, spingendo funzionari e amministratori a farsi garanti di cricche e cordate d'affari, l'una contro l'altra armate. Parallelamente la disgregazione dei vecchi partiti borghesi, la crisi del loro tradizionale centralismo, la loro trasformazione in una somma di potentati locali e/o nazionali, ha allargato a sua volta la base materiale della corruzione, mutandone le forme: da una corruzione stabile e strutturata, legata all'intermediazione regolata tra grandi famiglie capitaliste e i loro partiti, si è passati ad una corruzione anarchica e incontrollata, in cui il peso degli arricchimenti individuali, delle ruberie private, delle cupole politiche estorsive, delle grandi e piccole consorterie, si è fatto enormemente superiore e diffuso sull'intero territorio nazionale. Con un intreccio ancor più profondo con la peggiore criminalità organizzata .

La Lombardia e il caso Expo sono solo la punta dell'iceberg. Non l'eccezione “scandalosa”, ma lo scandalo della norma. Compagnia delle Opere e Lega delle Cooperative sono due enormi compagnie capitalistico finanziarie che, in competizione o in accordo, si spartiscono da decenni una cospicua fetta degli affari del capitalismo italiano (e dello sfruttamento selvaggio del lavoro) al pari degli altri poteri forti. Hanno propri ministri nel governo della Repubblica, propri assessori nelle giunte di ogni livello, proprie espressioni politiche nei partiti borghesi, proprie entrature istituzionali ( Vaticano incluso), infine... propri faccendieri di riferimento, per l'ordinario giro di mazzette. I Greganti e i Frigerio sono solo l'impresentabile sottobosco, oggi esposto alla gogna, di quella legale associazione a delinquere che si chiama capitalismo italiano. Osannata e riverita da tutti i difensori della “legalità” e della “moralità pubblica”.

Il fallimento delle promesse della seconda Repubblica non poteva essere più clamoroso.


SOLO UNA REPUBBLICA DEI LAVORATORI PUO' FARE PULIZIA

Ma il fallimento della Seconda Repubblica è a sua volta il fallimento del populismo liberale e/o giustizialista che l'ha accompagnata. Cosa mostra questa esperienza? Che la decantata “economia” capitalista è la base materiale della corruzione. Che la corruzione della politica borghese, comunque organizzata, è inseparabile dall'economia capitalista, da un'organizzazione della società fondata sulla concorrenza e sul profitto, da un'organizzazione burocratica dello Stato posta a tutela di questa società. Rimuovere questa verità significa ingannare i lavoratori, a vantaggio dei capitalisti e della continuità della corruzione. Renzismo e grillismo sono attori diversi, con ruoli diversi, di questa commedia dell'inganno. Come Bossi, Di Pietro, “Mani Pulite”, lo furono 20 anni fa.

Ai lavoratori diciamo: non fatevi ingannare. Alla parola d'ordine “Via i Politici” contrapponiamo la parola d'ordine “ Via i capitalisti e i loro politici”. Alla parola d'ordine “ Liberiamo le banche dai partiti” contrapponiamo la parola d'ordine “ “Via i banchieri e i loro partiti”. Alla parola d'ordine della “libera economia di mercato” sotto “il controllo dei magistrati” contrapponiamo la parola d'ordine di un'”economia libera dal mercato”, sotto il controllo dei lavoratori.

Solo una Repubblica dei lavoratori può fare pulizia. Debellando capitalismo e corruzione.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORi

Thomas Lenin
04-07-14, 20:48
NASCE LA SEZIONE DI TARANTO DEL PCL, TRA I FUMI DELL'ILVAL'APPELLO DI UN OPERAIO ILVA PER L'ADESIONE AL NOSTRO PARTITO - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3937)

PRIMA PAGINANASCE LA SEZIONE DI TARANTO DEL PCL, TRA I FUMI DELL'ILVA L'APPELLO DI UN OPERAIO ILVA PER L'ADESIONE AL NOSTRO PARTITO

29 Giugno 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2753



Sviluppi del PCL in Puglia.

Due settimane fa un gruppo di compagni del PRC di Taranto, del quartiere Tamburi, ha dichiarato le proprie dimissioni dal partito, contestando la sua linea nazionale e locale. Tra questi anche compagni del Comitato federale del PRC.

Successivamente questi compagni manifestavano la volontà di aderire al Partito Comunista dei Lavoratori. Venerdì 26 Giugno, nel quartiere Tamburi, si è tenuta un'assemblea dibattito promossa dai compagni usciti dal PRC ( e da alcuni in procinto di farlo), con la presenza Marco Ferrando e di una delegazione del PCL pugliese. L'assemblea è stata introdotta da un compagno operaio dell' Ilva, iscritto al sindacato USB, che ha motivato la propria adesione al PCL e ha fatto appello ad altri compagni e lavoratori dell'ILVA a fare altrettanto. (Riportiamo il testo dell'intervento al termine di questa nota).

L'assemblea ha dunque avviato la costituzione della sezione tarantina del PCL, col relativo ingresso del nostro partito fra i lavoratori dell'ILVA. All'assemblea ha anche partecipato un delegato operaio dell' USB della fabbrica tarantina ( l'Usb ha 700 iscritti in fabbrica, secondo sindacato in azienda). L'assemblea ha inoltre discusso l'importanza dell'intervento comunista sulla situazione drammatica del quartiere Tamburi e della crisi tarantina, connettendo il tema della salute e del lavoro alla necessità di una soluzione anticapitalistica.

La nascita della sezione tarantina, che unifica i compagni di Taranto con il nucleo del PCL già presente in provincia ( a Manduria), si accompagna all'ingresso nel partito di nuovi compagni in altre provincie pugliesi. Con la formazione in particolare di un nucleo militante del PCL a Bari, e con nuove adesioni a Lecce.

A tutti i nuovi compagni va l'abbraccio e il sostegno dell'intero PCL


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Care compagne cari compagni
Scusate l’emozione ma era da tempo che non usavo questa parola in un assemblea politica come questa ma solo oggi ne do il giusto profondo significato e valore a differenza di quanto in questi anni dalla caduta del PCI a oggi è stata usata e abusata da tanti partiti nati su quelle rovine ma che col tempo si sono rilevati poltronisti e disfattisti di quella politica di lotta :
• al capitalismo
• al neo liberismo
• alla lotta di classe
• e al precariato

quelle lotte e quelle idee comuniste basate su una rivoluzione innanzitutto politica culturale e sociale :
molti politici che un tempo si definivano comunisti e che orgogliosamente si vestivano solo simbolicamente della tessera e della bandiera del pci o del prc hanno forse dimenticato indossando realmente la giacca e la cravatta per stare comodi sulle poltrone dimenticato cosa vuol dire essere comunisti
comunisti significherebbe
cosa comune, pubblico, che appartiene a tutti,
realizzabile grazie ad un insieme di idee economiche, sociali e politiche,
messe insieme grazie alla prospettiva di una stratificazione sociale paritaria ancor oggi assente ,ma necessaria e realizzabile .
grazie a quelle idee e lotte che in altre nazioni sono state fondamentali quali il
Marxismo rivoluzionario,
Trotskismo,
Socialismo rivoluzionario
Capaci di creare e realizzare una rivoluzione che instauri una dittatura proletaria.
Li dove il pci non è riuscito
Li dove molti partiti post-pci non hanno mai voluto intraprendere una nuova rivoluzione .
Anzi definendo utopici quei compagni che non hanno mai smesso di dosso la bandiera rossa .
A distanza di tanti anni dalla nascita del pci il 21 gennaio 1921 alla sua fine nel 1991 il comunismo in Italia oggi sarà pur utopia per molti benpensanti , vecchi e nuovi borghesi travestiti da fascisti in doppio petto,
ma oggi ancora ascoltiamo increduli e un po’ utopici
che ieri era tangentopoli e oggi expo
ieri si chiamava lotta di classe oggi precariato
ieri era finanziamento pubblico ai partiti oggi piscine e statue d’oro in soggiorno
ieri era stato sociale oggi povertà assoluta di chi nelle fabbriche se non ci è morto allora muore oggi con l’inps mentre i dirigenti pubblici si lamentano di irrisolti e mai realizzati tagli agli stipendi o alle pensioni d’oro.
Sarà si utopia quella dei comunisti ma se la realtà di oggi e la stessa di ieri allora si sono utopico ,
ma sono un utopico comunista (inkkazzato!!!!).

oggi qui a Taranto si cerca di dare una svolta politica in una realtà industriali quali:
eni,cementir,ilva.
Ilva:
la quale ieri era italsider –gruppo iri-poi ilva il risultato negli anni non è cambiato se non in negativo perché se prima si moriva utopicamente oggi si muore e basta .
negli anni con padron riva si è assistiti ad un incremento dei fatturati ma non a gli stipendi ,
ad un incremento della produzione e qui di contro si è verificato un incremento ma quello delle morti per patologie tumorali e leucemie.
Ad un incremento di fondi europei per la tutela e la sicurezza dei dipendenti ma al tempo stesso un aumento di morti bianche.
Il tutto avvallato e coperto da un sistema di politici funzionari pubblici e sindacati che oggi dentro e fuori la fabbrica hanno anche il buon gusto di criticare l’attuale situazione e l’operato dei vari sub commissari criticabile si ma non da chi ha creato tutto ciò
L’ilva può riprendersi solo attraverso la NAZIONALIZZAZIONE realizzabile da un vero progetto politico e non a suon di decreti salva ilva o salva riva ma impegnando risorse economiche reali per risarcire una città di quello che i riva hanno finito di fare ma che i governi in passato hanno iniziato
Rivendichiamo investimenti sul nostro territorio come quello sul
• Porto: di taranto potrebbe a mio avviso portare uno sviluppo economico e posti di lavoro sui trasporti mercantili metterebbero in condizione lo scalo jonico di rafforzare quelle funzioni nel mediterraneo che fin ora non e stata mai realizzata ho in minima parte come per esempio diga foranea, dragaggio dei fondali ,nuove panchine porterebbero taranto a farla diventare una città portuali piu importanti del sud che fin ora non e mai stata.

• Turismo: sulla nostra litoranea jonica dove da sempre ha le sue bellezze partendo da taranto fino ad arrivare nel salento a lecce una litoranea da molto tempo abbandonata ma con dei giusti investimenti porterebbe turismo e occupazione. questi devono essere progetti concreti da cui dobbiamo lavorare per eliminare quelle idee che fin ora hanno catalogato taranto come una città esclusivamente industriale ma quando invece in realtà taranto e nata come una città turistica.





• le proprie ricchezze : La nostra citta e sempre stata caratterizzata come una citta di maggior produttrice di ostriche e di cozze.l’attività dei miticoltori e stata una delle maggiori ricchezze del territorio anche e soprattutto in allevamento di cozze tarantine,e pure abbiamo subito un duro colpo da parte dell’industrie avvelenando e distruggendo tutto .

• sanità: ancora oggi a taranto abbiamo il problema sanità non ci sono strutture adeguate e tecnologicamente avanzate costringendo la gente ai viaggi della speranza.
Non occorre creare un nuovo ospedale per far comodo a politici chiesa e faccendieri occorre solamente riorganizzare le attuali strutture in senso tecnico infermieristico strumentale e soprattutto (oggi igienico ………… ) valorizzando le nostre risorse umane mediante una vera sana e corretta politica del malato istituendo innanzitutto il registro dei tumori e il riconoscimento del rischio sanitario


• l’università: taranto ha da sempre sofferto questo problema non avendo mai creato un vero e proprio polo universitario ma dovendo appoggiarsi a bari o costringendo i nostri giovani a spostarsi fuori in altre regioni creando non pochi disaggi economici nelle proprie famiglie il tutto avvallato da una politica dell’istruzione a livello nazionale che si è preoccupata principalmente delle scuole private a scapito di quelle pubbliche.

per tutto questo per iniziare una rivoluzione io mi rivolgo a tutti voi e hai compagni come me fuori usciti da rifondazione vi invito di aderire al pcl per aprire una stagione di lotta su tutti i fronti. grazie!!!
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
03-08-14, 13:06
LETTERA AGLI ATTIVISTI DELLA “LISTA TSIPRAS” . - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3963)

LETTERA AGLI ATTIVISTI DELLA “LISTA TSIPRAS” . testo del volantino che sarà distribuito in occasione dell' assemblea nazionale della lista Tsipras a Roma sabato prossimo
17 Luglio 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2761

UNA LISTA E UN INGANNO

LETTERA AGLI ATTIVISTI DELLA “LISTA TSIPRAS” .


Il quorum raggiunto dalla lista Tsipras ha rappresentato e misurato una domanda di rappresentanza di una parte del popolo della sinistra. E' una domanda positiva, verso cui portiamo rispetto. Ma la risposta a questa domanda da parte dei soggetti promotori e costituenti della lista è stato ed è un inganno .

La lista Tsipras “all'italiana” non è stata la semplice riproposizione di un illusorio compromesso “riformatore” col capitalismo, quale quello perseguito da Syriza, e dai partiti della “Sinistra Europea”. E' stato il confuso assemblaggio dei gruppi dirigenti responsabili della disfatta della sinistra italiana, e dei loro diversi interessi politici (“ lista last minute” per SEL quale tram verso il PD, o lista di pura sopravvivenza per l'attuale segreteria del PRC) con un ambiente giornalistico intellettuale liberal progressista, legato a Repubblica, estraneo al movimento operaio e alla tradizione della sinistra, cui le stesse sinistre hanno affidato, chiavi in mano, composizione della lista, campagna elettorale, e di fatto rappresentanza istituzionale ( Spinelli, Maltese). I militanti e attivisti cui si è chiesto di raccogliere le firme sono stati usati come manovalanza dell'operazione. Che ciò sia avvenuto nel nome di una “nuova concezione della politica”, e di una “nuova pratica della democrazia”, aggiunge solo il grottesco all'inganno.

Il punto è che i pasticci presentano il conto. Il buio e la confusione della prospettiva è indicativo. La scissione di SEL, la scomposizione e implosione delle diverse componenti di ciò che resta del PRC, la contrapposizione tra partiti e personalità intellettuali “garanti” ( di cosa?), ne sono il risvolto. Tutto questo non ci riguarda. Ci riguarda invece la domanda di riferimento di tanti compagni e compagne che attorno alla lista si sono raccolti e che in essa hanno cercato risposte che non potevano trovare.

QUALE BILANCIO A SINISTRA?

Non si ridefinisce una prospettiva senza fare un bilancio. Perchè la sinistra italiana è a pezzi?

I capi della sinistra dicono:” Perchè la sinistra è divisa”. Mentono. I gruppi dirigenti della sinistra non sono mai stati tanto uniti quando si trattava di votare in Parlamento, a braccetto dei DS e del PD, le leggi di precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, il taglio fiscale per i padroni e persino le missioni e spese di guerra ( primo e secondo governo Prodi, 96/98 e 2006/2008, per 5 anni complessivi). Ne è mancata o manca l'unità della “sinistra” quando si tratta di prendere assessorati o deleghe nelle giunte di centrosinistra, da Venezia alla Liguria all'Umbria. La verità è che proprio questa unità nella compromissione con l'avversario, senza paragoni in Europa, ha combinato un disastro senza paragoni. Le cosiddette “ frammentazioni” sono state semmai un effetto collaterale del disastro vero: i colpi inferti da quelle politiche “unitarie” alle condizioni dei lavoratori, alle loro lotte, alla loro coscienza. Oggi celebrare la lista Tsipras come ritrovata “unità della sinistra” senza bilancio di quel disastro significa riproporre per l'ennesima volta l'inganno di 20 anni. Per di più senza effetto unitario. E' un caso che proprio il nodo del rapporto col PD resti un fattore irrisolto di nuove divisioni e lacerazioni, alla vigilia delle elezioni amministrative regionali ( mentre assessori di SEL e del PRC restano a braccetto del PD in mezza Italia) ?

A QUALE CLASSE CI RIVOLGIAMO ?

Un secondo nodo è la classe sociale di riferimento che si vuole scegliere. La lista Tsipras assume la cosiddetta “cittadinanza attiva e progressista” come proprio riferimento. Il sottotraccia è che ormai le classi sono scomparse, o è scomparsa la lotta di classe, o in ogni caso la politica, anche a sinistra, non può più usare quelle vecchie categorie.

E' un inganno. É una subordinazione a quella ideologia dominante che per 20 anni in tutto l'occidente ha predicato la scomparsa della lotta di classe proprio in funzione della propria aggressione, senza precedenti nel dopoguerra, contro la classe dei salariati. Di più: è tanto più oggi una subordinazione, dal versante “progressista”, a quelle culture populiste, come il grillismo, che usano il richiamo indistinto ai cittadini, senza classe, come richiamo elettorale reazionario, magari per rivendicare l'abolizione del sindacato in quanto tale e contrapporsi al lavoro. ( Le aperture di Spinelli al grillismo, in piena campagna elettorale, nel nome di una “convergenza di programmi” è stata davvero sconcertante). Del resto, le stesse fortune dell'aspirante Bonaparte Matteo Renzi non hanno pescato a piene mani al retroterra “populista” di questi anni?

No. Bisogna reagire a questa cultura della sconfitta. Occorre ripartire dalla realtà. Assumendo la classe lavoratrice e il movimento operaio come riferimento centrale dell'alternativa. Non si tratta di abbandonare o considerare secondari i terreni della battaglia per l'acqua pubblica, per i beni comuni, per la democrazia. Al contrario. E' che non è possibile pensare di vincere e consolidare risultati su quegli stessi terreni senza rovesciare i rapporti di forza complessivi tra le classi. E non è possibile farlo senza una ripresa della lotta di milioni di salariati, la ricomposizione della loro unità, la radicalizzazione della loro mobilitazione. E' un caso che l'arretramento drammatico dei lavoratori in questi anni, con responsabilità decisiva delle burocrazie sindacali e delle sinistra politiche, abbia accompagnato l'arretramento dei diritti democratici e sociali su tutti i terreni ( ambiente, casa, scuola, sanità, trasporti..)? Di più: non puoi ricostruire oggi un'opposizione di massa al populismo renzista se non a partire da una frontiera di classe e una demarcazione tra sfruttatori e sfruttati. Si può non vederlo?

PER QUALE PROSPETTIVA CI BATTIAMO?

Ma alla base di tutto c'è la questione del programma. Verso quale prospettiva indirizziamo le mille lotte di resistenza che ci impegnano ogni giorno? Tutte le componenti dirigenti ( politiche e intellettuali) della lista Tsipras, e lo stesso Tsipras, rispondono:” Un'altra Italia e un'altra Europa”. Bene. Ma traducono questa banalità nell'ennesima riproposizione, nel nome del “nuovo”, della vecchia concezione del New Deal del liberale Roosvelt e del “welfare state” del dopoguerra: il vecchio “compromesso di progresso” tra capitale e lavoro. Un tempo usato per disinnescare le rivoluzioni anticapitaliste. Oggi riproposto oltretutto in un contesto storico completamente diverso ( crollo dell'URSS e assenza del boom economico) che rende quelle stesse ricette liberali totalmente utopiche. Forse possono servire per rendersi culturalmente e politicamente accettabili a futura memoria agli occhi delle classi dominanti e dei loro partiti, in vista di possibili eventuali ministeri o assessorati. Certo non servono per cambiare le condizioni della società.

No. Bisogna ripartire dalla realtà. La realtà è che siamo di fronte non alla crisi del “liberismo” ma del capitalismo. Di un intero sistema sociale fondato sullo sfruttamento del lavoro e della natura. Ogni sopravvivenza di questo sistema fallito si regge sull'ulteriore regressione delle condizioni di vita degli sfruttati. Distruzione quotidiana dei diritti, ritorno della xenofobia, ripresa del populismo reazionario e persino di tendenze fasciste in diversi paesi europei, sono facce diverse dell'imbarbarimento che avanza. Non c'è prospettiva di progresso fuori dal rovesciamento del capitalismo, e quindi da una prospettiva di rivoluzione. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro organizzazione e sulla loro forza, può realizzare un programma anticapitalista: espropriare i capitalisti e i banchieri, concentrare tutte le leve dell'economia e della società nelle mani degli sfruttati, riorganizzare su basi nuove la società. In Italia, in Europa ( Stati Uniti socialisti d'Europa), nel mondo. Portare questa consapevolezza fra i lavoratori e tutti gli sfruttati, ricondurre ogni lotta parziale ( sociale, ambientale, democratica) a questa prospettiva è l'unico modo di liberare un futuro di verso per l'umanità.

LE RAGIONI DI UN PARTITO RIVOLUZIONARIO

Ma per questa prospettiva c'è bisogno di un partito, in Italia e su scala internazionale. Non ce n'è bisogno per sventolare una bandiera progressista o anche per limitarsi alla resistenza quotidiana. Ce n'è bisogno per una prospettiva di rivoluzione.

Il PCL è nato e lavora per questo- assieme ad altre organizzazioni rivoluzionarie di altri paesi- aperto alla confluenza di tutti coloro che condividono questo programma. Siamo sempre stati e saremo sempre, incondizionatamente, a favore dell'unità di lotta più ampia di tutte le sinistre politiche, sindacali, associative, di movimento, contro i comuni avversari: le classi dominanti, i partiti borghesi, i populismi reazionari. Ma lo siamo portando in ogni lotta e in ogni battaglia comune il progetto di rivoluzione. La sola che può cambiare le cose.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
19-08-14, 18:42
Thyssen Krupp di Terni: contro i 550 licenziamenti - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=3997)

Thyssen Krupp di Terni: contro i 550 licenziamenti

4 Agosto 2014Testo volantino
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2775

Thyssen Krupp di Terni e il licenziamento di 550 lavoratori


1) Il Partito Comunista dei Lavoratori è dalla parte degli operai per l’OCCUPAZIONE della fabbrica da parte dei lavoratori finché il piano industriale non sia ritirato da parte dell’azienda.

2) Proponiamo la NAZIONALIZZAZIONE e l’ESPROPRIO della fabbrica senza INDENNIZZO e sotto il controllo dei lavoratori, perché l’indennizzo, è già stato ripreso da anni, tramite lo sfruttamento dei lavoratori. Di fronte alla più grande aggressione sociale contro il mondo del lavoro da parete dei “padroni” occorre rispondere con un azione di lotta altrettanto forte. Solo un’azione di lotta radicale e di massa può strappare risultati a favore dei lavoratori partendo dalla difesa incondizionata di tutti i posti di lavoro.

3) L'Italia è oggi governata dai capitalisti, smantellando diritti e salario ai lavoratori e dalla legge del profitto. E' ora che comandi il mondo del lavoro, solo un governo dei lavoratori, che rovesci la dittatura dei capitalisti, può riorganizzare su basi nuove la società. Solo una rivoluzione socialista può cambiare le cose.

Thomas Lenin
26-09-14, 19:58
ALLA DIREZIONE DELLA CGIL E DELLA FIOM: PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO. - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=4062)

ALLA DIREZIONE DELLA CGIL E DELLA FIOM: PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO.

26 Settembre 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2772

ALLA DIREZIONE DELLA CGIL E DELLA FIOM:
PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO.


Il senso di questa lettera pubblica è molto semplice. Siamo in presenza di una svolta politica reazionaria. Voi siete di fatto la direzione maggioritaria del movimento operaio italiano. La vostra responsabilità è politica, non solo sindacale, tanto più a fronte della crisi verticale della sinistra politica italiana. Noi pensiamo che le vostre scelte di fondo di lungo corso, in forme e con ruoli diversi, abbiano favorito in misura decisiva la deriva in corso. Per questo rivendichiamo una svolta radicale di indirizzo, capace di trarre un bilancio di verità e di affrontare un livello di scontro politico e sociale per molti aspetti nuovo. Senza una svolta di indirizzo, finirete complici di una disfatta del movimento operaio e di un successo reazionario. Che colpirà la stessa CGIL e la FIOM.


MATTEO RENZI, FRA THATCHER E BONAPARTE

La situazione politica e sociale italiana è segnata sempre più pesantemente da un corso politico reazionario. Il governo Renzi non è la semplice continuità dei governi Monti e Letta. Incarna una tendenza bonapartista alla concentrazione dei poteri nelle mani del premier con ampie ricadute sull'intero sistema delle relazioni sociali, politiche, istituzionali.

Il nuovo populismo di governo cerca la relazione diretta con la cosiddetta “opinione pubblica” fuori e contro le forme tradizionali della rappresentanza. Da un lato droga il senso comune con una recitazione d'immagine totalmente falsa che riprende in forma diversa il canovaccio del berlusconismo come di ogni populismo reazionario ( nuovo contro vecchio, futuro contro passato, giovani contro anziani, cittadini contro politici , sognatori contro burocrati..); dall'altro usa il consenso drogato, così costruito, come randello contro il movimento operaio , i suoi diritti, le sue organizzazioni.

L'operazione elettorale truffa degli 80 euro, messi a carico dei beneficiari, ha coperto e copre un ulteriore salto devastante sul terreno della precarizzazione del lavoro ( dal decreto Poletti allo smantellamento definitivo dell'articolo 18), col sostegno entusiasta di Sacconi e Berlusconi.
La campagna d'immagine sulla “buona scuola”, copre un passo avanti ulteriore nella privatizzazione strisciante dell'istruzione pubblica, col plauso pubblico di Gelmini e di Aprea.
La “riforma della pubblica amministrazione” maschera tagli ulteriori di decine di miliardi sulla spesa sociale, la continuità del blocco contrattuale per milioni di lavoratori , scelte discriminatorie e antisindacali in linea con Brunetta e con l'ammirazione di Brunetta.

Intanto i sindacati, a partire dalla CGIL, diventano bersaglio di una campagna pubblica sprezzante, e persino di irrisione, da parte del Presidente del Consiglio: che punta a fare della contrapposizione al sindacato una leva del proprio richiamo popolare. Mentre avanza un disegno reazionario di riforma elettorale e istituzionale- pattuito tra Renzi e Berlusconi- senza precedenti nella storia della Repubblica.


LE VOSTRE RESPONSABILITA'.

L'avanzata di questo populismo di governo chiama in causa le vostre responsabilità.

Gli 80 euro hanno brillato agli occhi di tanti lavoratori in misura proporzionale alla svendita per tanti anni dei loro interessi e all'assenza di una azione reale di mobilitazione contro le politiche dominanti e contro il padronato.

Prima la compromissione del gruppo dirigente CGIL nelle politiche di sacrifici del governo Prodi, in compagnia di tutta la sinistra politica italiana ( riduzione dell'Ires sui profitti di banche e imprese, precarizzazione del lavoro, riduzione del cuneo fiscale tutto a vantaggio dei padroni); poi la sua volontà di subordinare l'opposizione di massa antiberlusconiana alla riproposizione ( fallita) del centrosinistra, col risultato di disperderne potenzialità e radicalità; poi la sua sottomissione passiva alla macelleria di Monti contro lavoro e pensioni, in omaggio al patto con Bersani e in obbedienza a Napolitano e alla UE; parallelamente la politica di blocco con Confindustria sulla derogabilità dei contratti e sulla incontestabilità dei contratti in deroga, quale sponda auspicata e fallita di un nuovo patto di centrosinistra: l'insieme di queste scelte della CGIL ha non solo rappresentato una sconfessione delle ragioni del lavoro negli anni cruciali della grande crisi capitalista , ma un fattore decisivo di demoralizzazione, disgregazione, passivizzazione sociale, arretramento e confusione della coscienza politica di milioni di lavoratori. Il populismo reazionario ha pescato a piene mani proprio in questo arretramento, sia nella variante reazionario plebiscitaria del grillismo, sia in quella bonapartista del renzismo.

La FIOM ha in parte contrastato questa politica, in contrapposizione a Marchionne e a Monti. Ma non ha indicato un'alternativa di linea sul terreno dell'azione di massa e della sua prospettiva. E ha finito col rispondere alla propria sconfitta sindacale prima col tentativo di una ricomposizione pattizia con la maggioranza CGIL, poi con una spregiudicata apertura di credito verso Renzi contro i vertici CGIL. Nella ricerca ostentata ( e grave) di un asse diretto concertativo col Capo di un governo antisindacale. La copertura di CGIL e FIOM all'operazione truffa degli 80 euro ha rappresentato, con logiche diverse, una comune politica subalterna contro un principio elementare di verità. E un ulteriore fattore di confusione della coscienza di classe a vantaggio del populismo di governo, e della sua marcia contro il lavoro. Il fatto che l'infame decreto Poletti sia passato senza il contrasto di una sola ora di sciopero dietro la bandiera degli 80 euro, rappresenta una enormità. Ma anche la misura di una vostra politica disarmante.


PER UNA RISPOSTA PROPORZIONALE ALL'ATTACCO
PER UN'ALTRA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO

Il punto è che queste vostre politiche sono fallite. Non è un punto di critica, è un dato obiettivo. Il rullo compressore del renzismo avanza non solo contro i lavoratori ma anche contro di voi. L'aggressione finale contro l'articolo 18, in aperta sfida al movimento operaio e sindacale, torna ad essere la linea di raggruppamento dell'intero fronte padronale. Di più: Renzi fa dell'attacco frontale all'articolo 18 la bandiera della propria credibilità internazionale di uomo di rottura e sfondamento contro il movimento operaio e i sindacati. Siamo a un thatcherismo in versione populista, e per questo tanto più minaccioso.

E' l'ora di una risposta proporzionale all'attacco.

Le politiche di attesa “critica” o di ammiccamento equivoco vanno definitivamente archiviate. Ogni ipotesi di subordinazione alla dialettica interna al PD, in una logica di alleanza con i liberali della vecchia guardia contro i nuovi reazionari, non porterebbe da nessuna parte. Non sarà Massimo D'Alema, già guida in altre stagioni dell'attacco contro i lavoratori, la ciambella di salvataggio del movimento operaio italiano. Non sarà Stefano Fassina, già ministro del governo Letta e delle politiche di austerità, la clausola di salvaguardia della CGIL e tanto meno dei lavoratori. Ogni ennesima ricerca di un nuovo centrosinistra sarebbe al tempo stesso, tanto più oggi, subalterna e velleitaria. L'unica sua conseguenza concreta sarebbe la rimozione della mobilitazione di massa, a tutto vantaggio di Renzi (e di Grillo).

“Alla guerra occorre andare come alla guerra”. Renzi ha dichiarato guerra al movimento operaio e ai sindacati riunendo attorno a sé il fronte padronale. Il movimento operaio dichiari guerra al renzismo unendo attorno a sé - attorno ad una propria piattaforma di lotta indipendente - il grosso dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, della popolazione povera del Paese. Non bastano appuntamenti di contestazione simbolica delle misure del governo, per di più eventualmente divisi e concorrenziali fra loro. E' necessario unire le forze in uno scontro vero e prolungato. Il PCL, i suoi militanti e attivisti sindacali, si battono da anni per una svolta unitaria e radicale dell'azione di lotta del movimento operaio , ponendo questa esigenza in ogni lotta, in ogni sindacato di classe, in ogni occasione di confronto . Tanto più lo facciamo e lo faremo pubblicamente in questo momento cruciale della lotta di classe in Italia e in Europa.

Su di voi ricade una responsabilità enorme.
Su di noi quella di batterci fra i lavoratori e in ogni lotta per un'altra direzione del movimento operaio e sindacale, coerentemente classista e anticapitalista. La costruzione di un partito rivoluzionario, radicato nell'avanguardia della classe lavoratrice, è parte decisiva di questa battaglia.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
16-10-14, 20:08
GENOVA SOTT' ACQUA: UNA VITTIMA E MILIONI DI DANNI. L' ENNESIMA TRAGEDIA CAUSATA DAL CAPITALISMO - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=4088)
GENOVA SOTT' ACQUA: UNA VITTIMA E MILIONI DI DANNI. L' ENNESIMA TRAGEDIA CAUSATA DAL CAPITALISMO
comunicato stampa del PCL - sez. Genova
11 Ottobre 2014

http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2836

Una vittima e milioni di danni a negozi, edifici, strade ed autoveicoli: è il drammatico bilancio dell' alluvione dei giorni scorsi, che ha colpito la città di Genova e alcune zone della provincia (Montoggio e zona del Tigullio). Dopo le devastanti alluvioni del 1970, che provocò 25 morti, di quelle degli anni ‘ 93 -’98 e 2000 che provocarono ingenti danni in varie zone della città. E dopo quella del 2010 che devastò Sestri Ponente, fino a quella del 4 Novembre 2011, che provocò 6 morti e milioni di danni. Quella dei giorni scorsi rappresenta l' ennesima tragedia per la città, e l' ennesimo crimine del Capitalismo.
Sono tutte catastrofi causate dalla legge imperante del profitto: che ha tagliato le risorse per la ripulitura dei fiumi e per lo scollamento del Bisagno, ha autorizzato costruzioni edilizie a pochi metri dai corsi fluviali e massicce cementificazioni nelle zone costiere. E’ un fatto indiscutibile, per es., che da diversi anni, in questa città e in buona parte della Regione, le Amministrazioni locali applicano tagli continui nel settore delle manutenzioni ambientali e della pulizia di strade e tombini. Governi nazionali, di centrosinistra e centrodestra, impegnati a pagare ogni anno più di 50 miliardi di interessi alle banche strozzine o a finanziare mega speculazioni come il Terzo Valico, la Gronda e la TAV,hanno “risparmiato” sulla protezione della natura e della vita . Per questo sono i responsabili politici e morali di quanto è avvenuto. Assieme ai sindaci e ai governatori regionali che li hanno coperti e assecondati: sono tutti tenuti a dimettersi...!
Solo un governo dei lavoratori, rompendo con la legge del profitto, può investire uomini e risorse nel riassetto idrogeologico del territorio evitando, per sempre, il ripetersi di simili tragedie.
PCL - GENOVA

Thomas Lenin
16-11-14, 18:29
OCCUPARE LE ACCIAIERIE DI TERNI - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=4087)

OCCUPARE LE ACCIAIERIE DI TERNI

11 Ottobre 2014
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2833

Il licenziamento di centinaia di operai da parte dell'AST di Terni, unito all'abbattimento del salario degli occupati “superstiti”, è una provocazione inaccettabile. Il sostegno del governo all'azienda chiarisce coi fatti una volta di più la natura delle politiche del lavoro di Matteo Renzi.

Ma i sindacati non possono limitarsi ora a respingere la provocazione esprimendo “dissenso”. Debbono assumersi la responsabilità di una risposta radicale all'altezza dell'attacco subito. L'occupazione immediata della fabbrica da parte degli operai è la sola risposta adeguata. Il PCL l'ha sostenuto controcorrente sin dall'inizio della vicenda. I fatti ora dimostrano che è l'unica via. L'unica che può incidere sui rapporti di forza e strappare risultati.

Dopo aver blandito per mesi Matteo Renzi, ora Landini ha alluso alla possibilità di “occupare le fabbriche” contro i licenziamenti. Meglio tardi che mai. Ma è il momento di passare ai fatti. L'occupazione delle acciaierie di Terni potrebbe rappresentare un esempio contagioso per centinaia di altre vertenze e innescare una svolta radicale del movimento operaio.

E' l'unico evento che Renzi teme: non la manifestazione del 25 ottobre, ma l'azione di forza dei lavoratori . Se CGIL e FIOM rinunciano alla occupazione delle acciaierie di Terni non solo rinunciano alla difesa reale degli operai ternani e del loro lavoro. Ma fanno un enorme regalo al governo più anti sindacale degli ultimi 60 anni.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Thomas Lenin
11-01-15, 13:57
Per un intervento rivoluzionario alle prossime elezioni Risoluzione dell'EEK - conferenza straordinaria del 28 dicembre 2014 - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=4194)

Per un intervento rivoluzionario alle prossime elezioni Risoluzione dell'EEK - conferenza straordinaria del 28 dicembre 2014

6 Gennaio 2015
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2893

http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=2894



1. La bancarotta economica del Paese e la disintegrazione sociale hanno portato alla più acuta crisi di potere politico. Il governo Samaras-Venizelos, al collasso, legato al memorandum della troika, non è più in grado di governare; ed un successivo governo basato su Syriza non è un'opzione attuabile né per le classi dominanti né per le masse popolari che presumibilmente lo voteranno.

La corsa a capofitto di Samaras verso l'obiettivo del completamento del memorandum, con la sua retorica fallita da “storia di successo”, è terminata in una tragicommedia. La troika, innanzitutto lo stesso FMI e Schäuble, hanno fatto mancare il terreno sotto i piedi del governo Samaras-Venizelos chiedendo nuove devastanti misure antipopolari, e così accelerando verso le elezioni presidenziali ed elezioni politiche anticipate. Non c'è dubbio che l'ultimatum della troika abbia avuto come destinatario finale non l'attuale dimissionario primo ministro di destra, bensì il prossimo, di sinistra. Il cinico ricatto della UE è chiaro: o Syriza si piegherà a rifiutare le attese popolari o sarà schiacciata dai “mercati” – come a mandare un messaggio a Podemos in Spagna e a Sinn Féin in Irlanda.
Da parte della UE non c'è spazio per compromessi, dal momento che sta colando a picco nella recessione, nell'ultraindebitamento e nella deflazione, e che la crisi sistemica capitalista dalla periferia minaccia ora il centro: Italia, Francia e la stessa Germania. Dall'altro lato, la subordinazione politica della destra alla troika e al capitale sta ora eccedendo tutti i limiti di sopravvivenza del popolo. La politica di Syriza di ridurre l'austerità attraverso la negoziazione e il compromesso con la UE, il FMI e il capitale greco e internazionale eccede i limiti imposti dal peggioramento della crisi del capitalismo.
La reazione si sta preparando per il confronto, rafforzando le sue posizioni negli apparati statali, parastatali, repressivi, giudiziari, ideologici, così come nelle gang fasciste, per trasformare un governo Syriza in una “parentesi di sinistra” prima che l'estrema destra torni a prendersi la rivincita di una controrivoluzione sociale.
Le prossime elezioni sono indubbiamente un episodio cruciale della nuova fase della lotta di classe. In ogni caso, qualsiasi risultato possa esserci, è certo che esse non risolveranno ma esaspereranno ulteriormente la crisi politica e, alla fine, la crisi generale delle classi dominanti. I capitalisti non sono in grado di portare la società fuori dalla crisi del loro sistema. Solo la classe lavoratrice, appoggiata dalle classi popolari che oggi la crisi sta distruggendo, può garantire un'uscita dalla crisi, preparando l'abbandono di questo sistema di dominazione borghese e imperialista per il socialismo internazionale nella regione, in Europa e nel mondo intero.
Dal momento che l'epicentro del tutto è la crisi di potere stessa, la questione primaria di una strategia che si dica rivoluzionaria (tattiche di lotta di classe; tattiche elettorali; programma di transizione; posizione su debito, misure di “austerità” e UE; fronti, alleanze ecc.) deriva da ed è connessa con questo punto strategico fondamentale.


2. L'attuale battaglia politica si gioca sul campo nemico del parlamentarismo borghese, controllato dal capitale, dai partiti del sistema e dai media, che condanna al silenzio le voci della sinistra rivoluzionaria. Ciononostante, la battaglia prende corpo esattamente nelle condizioni di decomposizione avanzata del parlamentarismo borghese e sotto le grida di protesta popolari, che forniscono un'arena importante per un intervento rivoluzionario del EEK.


Queste elezioni politiche anticipate, con la loro puzza soffocante di scandali, “acquisti”, tangenti, concussioni e voltafaccia, hanno aumentato il decadimento del sistema politico. Hanno completamente smascherato un Parlamento zombie che ratifica decisioni preapprovate da un regime borghese in stato di “emergenza”. In nome dell'agonizzante democrazia borghese, i governanti, guidati dai bisogni della guerra di classe, hanno deciso di costruire prigioni “di tipo C” destinate non solo ai detenuti, ma a qualsiasi tipo di resistenza: per il confino dell'intera società. Le elezioni non resusciteranno un parlamentarismo morto vivente, sebbene illusioni parlamentari possano crescere con l'aspettativa di un “governo di sinistra”.
La strada per la libertà non passa attraverso “maggioranze” elettorali o coalizioni parlamentari e compromessi fra sinistra e centrosinistra o nazionalisti di destra del tipo di AN.EL. Greci Indipendenti (partito di destra anti-austerità – NdT), ma attraverso l'autorganizzazione dei lavoratori e la lotta di massa per il loro potere, il potere di chi “sta in basso” contro il potere di chi “sta in alto”. Questo sistema ha raggiunto i suoi limiti, e deve quindi essere abbattuto.



3. Il governo Samaras e i partiti dell'opposizione ufficiale stanno gareggiando per convincere i cittadini su chi sarà, nel febbraio 2015, “il più affidabile ed efficace negoziatore con la UE, la BCE e il FMI” fra il negoziatore di destra, le “facce familiari” a Juncker, Moscovici e Merkel, e il negoziatore di sinistra, “più duro”. In realtà, comunque sia, non c'è nessuno spazio per vere negoziazioni. Da una parte, i diktat di Berlino, Bruxelles e Washington non sono negoziabili; dall'altra parte, le nostre vite, le vite delle masse hanno raggiunto, se non già superato, i loro limiti, e non possono essere negoziate da nessuno.

Non scegliamo i negoziatori delle nostre vite! Il memorandum non sarà stracciato da nessun governo borghese, ma dagli stessi lavoratori con uno sciopero politico generale a oltranza come arma per la sua abolizione e per la connessa cancellazione del debito estero per gli usurai internazionali!
Chiunque sia eletto, l'unica scelta è la continuazione della lotta di classe fino alla vittoria dei lavoratori e di tutti gli oppressi.
Se, come molto probabile, la destra, sgretolata, sarà mandata via, non dovrà esserci un giorno né un'ora di tregua, negligenza o inattività, in attesa del “periodo di grazia” concesso al nuovo governo. La potenza delle masse deve immediatamente essere esercitata attraverso tutte le forme di mobilitazione e autorganizzazione delle sue forze nei quartieri, negli spazi pubblici, nei posti di lavoro e di studio. Se la causa della nostra liberazione dalla sofferenza è lasciata nelle mani dei “negoziatori”, la reazione nazionale e internazionale che si prepara in agguato per la sua vendetta vincerà. Quella della vittoria è una questione strategica al fine di organizzare la battaglia per il potere della parte degli oppressi, lavoratori e disoccupati, poveri e nuovi poveri causati dalla spirale del memorandum.

4. L'EEK non è indifferente né politicamente sprezzante nei confronti delle larghe masse che sperano in una vittoria di Syriza per poter avere anche il minimo respiro dal soffocamento dell'austerity. Non teniamo un atteggiamento di equidistanza e non minimizziamo le differenze fra la destra e Syriza, come fa il KKE stalinista. Condividiamo la rabbia del popolo e ci uniamo alla sua lotta. Siamo pronti per l'azione unitaria contro la troika, il memorandum, la destra nero-blu-verde (dai colori di riferimento rispettivamente di Alba Dorata, Nea Democratia e Pasok. "NdT")
e il comune nemico di classe.


Riconosciamo le condizioni e anche i limiti dello spostamento di massa a sinistra che a partire dal 2012 ha preso la forma di un sostegno politico di massa a Syriza, vista non più soltanto come una forza di opposizione e di pressione al potere borghese, ma come un'alternativa di governo della sinistra. Ma insieme con le speranze di molti, non ignoriamo le aspirazioni di alcuni “ex” pro-troika, “ex” Pasok, “ex” Sinistra Democratica, e altri furfanti che cercano in Syriza la piscina di Siloam in grado di assolverli dai loro peccati pubblici e di raggiungere la cucchiaiata di miele del potere borghese. Soprattutto, non perdiamo di vista quei gruppi capitalistici, circoli, e politici borghesi che sostengono “alleanze necessarie con un governo basato su Syriza” che rimanga sempre nel sistema capitalistico e nell'UE, e che porterà un domani a politiche di collaborazione di classe.
L'accettazione di una tale collaborazione di classe, che può solo essere contraria agli interessi dei lavoratori e del popolo, è già presente nella dichiarazione di lealtà della leadership di Syriza, tesa alla “continuità dello Stato” - nel momento della sua crisi di potere, a rimanere nell'UE e nella NATO e ad accettare le condizioni del soffocante coinvolgimento e dominazione imperialista nella nostra regione.

Facciamo appello alle forze che all'interno della classe lavoratrice, dei giovani, degli intellettuali appoggiano Syriza o investono in essa le loro speranze, a chiedere alla sua leadership di rompere con la borghesia, con i suoi politici, con tutti gli opportunisti e tutti gli attori del potere capitalista. Facciamo appello ad essi perché rifiutino la politica della “continuità dello Stato” e gli accordi con l'imperialismo, il capitalismo in bancarotta, la UE, il FMI e la NATO.

Ad ogni passo che la base popolare di Syriza farà in questa direzione, noi saremo al loro fianco, pur mantenendo la nostra indipendenza politica, le nostre critiche e i nostri avvertimenti sul fatto che i leader riformisti non sono affatto pronti a queste necessarie rotture. Essi stanno già mostrando la loro servilità con le dichiarazioni rassicuranti nei confronti del capitale e della UE, con le loro azioni, e specialmente con il loro programma.
Le misure di austerità non possono essere cancellate senza un annullamento unilaterale e senza esenzioni del debito nei confronti della prigione della UE, della BCE e del FMI. Le misure di austerità, il debito e la troika sono le teste di un'idra: non possiamo tagliare solo una delle teste lasciando in pace le altre. Il “programma di Salonicco” (avanzato da Syriza), totalmente inadeguato, vorrebbe svuotare l'oceano delle sofferenze popolari con un cucchiaino. Tutta la sua lealtà alla “continuità dello Stato” apre la strada ad una tragedia di tipo cileno del 1973.
Per avere pane, lavoro, sanità, istruzione, libertà, è necessario rovesciare il sistema di fame, disoccupazione, ignoranza e repressione. Altrimenti saremo sepolti sotto le rovine della bancarotta del capitalismo. Occorre una radicale riorganizzazione dell'economia su nuove basi sociali, cioè socialiste, secondo un piano scelto democraticamente, che vada incontro ai bisogni sociali; con la nazionalizzazione dei settori strategici, senza indennizzo agli squali capitalisti, sotto il controllo e la direzione dei lavoratori.
Occorre un potente fronte unico di tutti i lavoratori e delle organizzazioni popolari, movimenti, associazioni, di tutti i centri di resistenza sociale e di lotta contro la crisi esistenti e che nasceranno, di tutti i militanti della sinistra e del movimento rivoluzionario – dal KKE a Syriza ad ANTARSYA all'EEK alle altre organizzazioni di sinistra, agli anarchici e ai movimenti antiautoritari; che distrugga la reazione, il dominio imperialista, lo Stato di polizia, il parastato fascista, la schiavitù sociale, e che apra la strada all'universale emancipazione umana, che per l'EEK non è altro che l'universale comunismo della libertà.

5. La crisi non è una peculiarità della Grecia, ma un processo mondiale. All'epicentro di questa crisi capitalista mondiale c'è l'Europa. Una definitiva fuoriuscita dalla crisi non è praticabile se essa riguarda un solo Paese, con un'”autarchia” o un trinceramento nazionale. Il nazionalismo economico, che causò tragedie tra le due Guerre e portò al secondo conflitto mondiale, divampa ancora, specialmente nell'Unione Europea, con caratteristiche di estrema destra, di destra o “di sinistra”, a causa delle misure di cannibalismo sociale della UE e dei suoi governi. Se nel passato il nazionalismo economico ha dimostrato di essere inutile e distruttivo, oggi è un'utopia reazionaria, una ricetta per disastri. L'EEK dichiara senza ambiguità: nessun compromesso con il devastante nazionalismo economico, anche avente un segno “di sinistra”. La salvezza per le masse richiede nient'altro che una rivoluzione sociale. La lotta rivoluzionaria può iniziare in Grecia o in un altro Paese, ma la sua vittoria non può essere conseguita se non in scala internazionale, con l'unificazione di tutte le lotte rivoluzionarie, per l'unificazione socialista della nostra regione e dell'Europa sulle rovine dell'UE imperialista.


6. Tutte le necessità, le opportunità e i rischi del momento storico che stiamo vivendo richiedono che l'indipendenza politica della classe lavoratrice sia costruita e preservata da un nuovo Trattato di Varkiza [l'accordo del 1945 fra l'imperialismo britannico e i partigiani dell'ELAS traditi dallo stalinismo]. Ciò che rende più che mai necessario e urgente l'intervento politico indipendente delle forze rivoluzionarie, della sinistra rivoluzionaria e dell'EEK nell'imminente e, per le masse, cruciale battaglia elettorale.

È a questo proposito che abbiamo organizzato il 15 dicembre scorso, nella facoltà li legge dell'università di Atene, un'assemblea pubblica per presentare la proposta dell'EEK, intitolata “Sulla strada di dicembre – la risposta rivoluzionaria alla crisi”, invitando altre organizzazioni della cosiddetta sinistra extraparlamentare e del movimento. ANTARSYA ha risposto all'invito, e due rappresentanti delle organizzazioni NAR e SEK hanno partecipato e sono intervenuti. Il 18 dicembre c'è stato un incontro di delegazioni di ANTARSYA ed EEK (vedi la Dichiarazione del Politburo dell'EEK del 20 dicembre e il Comunicato congiunto di ANTARSYA ed EEK del 22 dicembre).
Sia all'assemblea pubblica che all'incontro con ANTARSYA, al di là dell'accordo su specifici punti programmatici (come la cancellazione del debito, le nazionalizzazioni senza indennizzo, il controllo dei lavoratori), l'EEK ha insistito sulla prospettiva del potere dei lavoratori come risposta rivoluzionaria antisistema alla crisi politica e come base di confronto con la proposta di governo di Syriza, e ha categoricamente rifiutato qualsiasi compromesso con qualsiasi nazionalismo “di sinistra”, e di conseguenza collaborazioni con formazioni quali “Piano B” e PAMES, che hanno organizzato iniziative con riconosciuti rappresentanti dell'area della “sinistra nazionalista” della Francia e dell'Italia imperialiste (Nikonoff e Campo Antimperialista).
Purtroppo, la maggioranza di ANTARSYA, con la responsabilità di NAR, ARAN e ARAS (uniti in PAMES) non solo non ha tenuto conto dei rilievi critici dell'EEK, ma ha anche firmato solennemente un'alleanza politico-elettorale con PAMES. “Piano B”, che è in questa coalizione fin dall'inizio, nello stesso momento in cui stringe la mano alla maggioranza di ANTARSYA non si fa problemi ad agitare provocatoriamente il suo nazionalismo e il suo feticismo per la dracma. I leader di “Piano B” hanno firmato il 19 dicembre (il giorno dopo l'incontro con ANTARSYA) una dichiarazione comune pubblica “per la creazione di un polo patriottico democratico” con l'EPAM di Kazakis e l'inesistente “Dracma – Movimento Democratico Greco Cinque Stelle” di... Katsanevas (un corrotto statista ex Pasok)!!
Ovviamente, l'EEK non avrebbe mai accettato di essere associato a tanto discredito, nemmeno in nome della sinistra rivoluzionaria, con il pretesto di vincere “le correnti che tendono a differenziarsi dal riformismo e si spostano a sinistra”. Non è difficile vedere che i “patrioti” di “Piano B” non rompono con il riformismo, e sono anzi alla destra del KKE, e anche di determinate forze interne a Syriza.
Senza essere accusati di voler “interferire” negli “affari interni” di ANTARSYA, con la responsabilità ed il coraggio derivanti da decenni di lotta comune, chiediamo ai compagni di ANTARSYA, specialmente ai compagni di NAR e della sua organizzazione giovanile, nKA, di rifiutare quest'opportunista alleanza politico-elettorale e di rifiutare di cadere nella palude del nazionalismo “di sinistra”.


7. In queste circostanze specifiche, estremamente difficoltose in termini di tempi e di necessità finanziarie, l'EEK deve sostenere sulle sue spalle la battaglia per l'indipendenza politica della classe lavoratrice e per l'internazionalismo proletario, e parteciperà in maniera indipendente alle elezioni. La voce dell'EEK sarà la voce della rivoluzione; una voce minoritaria, e tuttavia inconciliabile e insubordinata. Abbiamo il dovere di mostrare l'unica via d'uscita, di discutere con i lavoratori il più possibile, di mobilitarli fin da ora per l'indomani della sconfitta dei sostenitori del memorandum, di reclutare e organizzare forze rivoluzionarie, di prepararci ed educarci da avanguardie combattenti per la battaglia storica che incombe. L'esistenza dell'EEK, la sua ragion d'essere, è la lotta incessante per la rivoluzione permanente internazionale, con le più diverse condizioni – a volte straordinariamente sfavorevoli, sfidando ostacoli e avversari sulla strada della liberazione sociale e del comunismo.

Proviamoci ancora! Andiamo avanti con fermezza! Raccogliamo questa sfida storica!
EEK (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori), 28 dicembre 2014

Thomas Lenin
20-11-15, 17:07
Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=4692)

Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista

19 Novembre 2015
http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3353

PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO

Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.


IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”)

La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?

L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.


UN EPILOGO ANNUNCIATO

Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.


UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO

Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.

Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.

A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni.

Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.

Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.

Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.
Partito Comunista dei Lavoratori

Lord Attilio
22-06-18, 10:07
La sezione PCL diventa ora la sezione dell'alleanza "Per una sinistra rivoluzionaria", che comprende PCL e Sinistra Classe Rivoluzione.

Lord Attilio
22-06-18, 10:08
Aquarius – Contro il razzismo di Salvini e l’ipocrisia del Pd. Unità di classe di tutti i lavoratori!

La vita di 629 tra uomini, donne e bambini ha occupato il centro della campagna razzista del Ministro dell’interno e capo della Lega, Matteo Salvini. L’operato del governo giallo-verde è un attacco ai diritti dei profughi da respingere, senza se e senza ma.

È una campagna totalmente strumentale: la Marina italiana che nega lo sbarco all’Aquarius è la stessa che ha concesso l’approdo ai porti italiani di una nave di un’altra Ong, la Sea Watch, con 223 profughi, il giorno prima. Il 14 giugno oltre 900 persone sono sbarcate a Catania dalla nave “Diciotti” della Guardia costiera italiana.

Il governo giallo-verde non ha intenzione di chiudere i porti, ma di usare l’Aquarius come specchietto per le allodole per la propria base elettorale e, allo stesso tempo, per alzare la voce ai tavoli dell’Unione europea.

Mentre combattiamo la xenofobia di Salvini e soci, rifiutiamo di unirci al coro in difesa dell’Unione europea e dei suoi presunti “valori”. L’Unione europea è tutto fuorché un esempio di accoglienza. Nel 2017 nelle acque del Mediterraneo hanno perso la vita 3017 persone, nei primi cinque mesi del 2018, ben 638. E questi sono solo i dati ufficiali. Nessuno nei palazzi di Bruxelles, Parigi, Berlino o Madrid ha versato una lacrima per queste morti.

Sulla pelle degli immigrati si gioca uno scontro tra le borghesie europee. É vomitevole l’atteggiamento del governo Macron, che ha respinto oltre 10mila immigrati alle frontiere di Bardonecchia e Ventimiglia solo quest’anno. È solidarietà di pura facciata quella del governo del socialista Sanchez, che accoglie la nave a Valencia ma mantiene i muri, anzi le reti, alte 12 metri nelle sue enclavi in terra africana a Ceuta e Melilla, per impedire l’entrata di tanti disperati.

Non abbiamo nessun valore da condividere con quell’Europa tanto democratica e solidale da rinnovare (lo scorso aprile) l’accordo con la Turchia per trattenere i profughi siriani lontano dai suoi confini. Costo totale dell’operazione, sei miliardi di euro. Con una faccia tosta da criminale incallito, Erdogan ha spiegato che con quei finanziamenti sistemerà i profughi nelle zone conquistate all’Ypg, la milizia popolare curda.

Un’Europa che con la nuova Operazione Themis, che dal primo febbraio ha sostituito Triton, ribadiva il principio dell’inviolabilità della “Fortezza Europa” e “elimina l’obbligo di trasferire i migranti soccorsi in Italia” (il sole 24 Ore) e che, quindi, ha fornito un appiglio legale alla posizione di Salvini rispetto alla questione Aquarius.

Il capo della Lega non ha il dono dell’originalità nemmeno sulla proposta di chiusura dei porti italiani. Tale idea era stata avanzata nell’estate scorsa da Minniti, suo predecessore al Ministero degli interni. Il Partito democratico oggi si atteggia a campione di solidarietà ma ieri, al governo, è stato artefice dell’accordo con la Libia per la costruzione di 34 centri di “accoglienza” sul suolo del paese africano, finanziati dall’Italia. Centri in realtà di detenzione, veri e propri lager, oggetto di condanna dell’Onu per torture, stupri e ogni tipo di abuso nei confronti di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, ma che hanno assicurato a Minniti il plauso bipartisan di tutte le principali forze politiche.

E infatti, hanno tranquillizzato l’opinione pubblica e bloccato gli sbarchi: gli arrivi dalla Libia sono diminuiti dal 2016 del 78%. La gestione dell’emergenza umanitaria è stata “esternalizzata” ai signori della guerra libici. Libia oggi “terra di nessuno” anche a causa della guerra imperialista che portò alla caduta e poi uccisione di Gheddafi, approvata dal governo Berlusconi al cui interno c’era la Lega, un tempo “Nord”.

Il terreno fertile per la propaganda razzista è stato preparato dai governi del partito democratico a colpi di emergenze securitarie e di Daspo urbani. Il nostro antirazzismo non ha nulla a che spartire con la pietà caritatevole da salotto buono di “Repubblica”.

In Italia in realtà non c’è nessuna “emergenza migranti”. C’è un emergenza lavoro che non c’è, un emergenza salari da fame, un emergenza pensione a 70 anni, un emergenza casa… e ne citiamo solo alcune.

Davanti a una situazione insostenibile, milioni di lavoratori e giovani hanno dato fiducia al M5S (e in misura minore alla Lega) perché arrivasse un cambiamento. Il nuovo governo giallo-verde è nato sulla base del ricatto di Mattarella e dei mercati: Salvini e Di Maio sanno che non potranno rispettare nessuna delle promesse fatte ai lavoratori e ai pensionati. Utilizzano allora un’arma di distrazione di massa come il razzismo, che in tempi di crisi economica e sociale come quelli che viviamo in Italia può trovare un’eco, almeno temporaneamente, nella mancanza di una qualunque alternativa da parte del movimento operaio e soprattutto della sua direzione.

In realtà Salvini sa benissimo che di immigrati il capitalismo ha bisogno. Ha bisogno di chi raccoglie i pomodori a due euro all’ora, necessita di disperati disposti a lavorare a tutti i costi da utilizzare come leva per diminuire salari e diritti per tutti i lavoratori, italiani e immigrati. Non a caso Salvini propone di ammorbidire la legge contro il caporalato “che invece di semplificare le cose (per i padroni?, ndr) le complica”.

L’emergenza profughi è un affare per tante aziende. Dei 5 miliardi di euro destinati all’accoglienza da parte dello Stato, ben pochi vanno ai richiedenti asilo. La stragrande maggioranza se li intascano affaristi (di qualunque colore politico) la cui unica morale è il profitto.

Insomma, il razzismo serve al capitalismo, non solo dal punto di vista della propaganda.

Nella lotta contro il razzismo e la xenofobia non basta dunque un’opera di controinformazione, pur giustissima. È necessario operare una netta separazione tra le bandiere del movimento antirazzista e quelle del partito democratico e dotarsi di un programma che punti all’unità di classe tra lavoratori italiani e immigrati

Tale programma deve prevedere l’abolizione del decreto Minniti, della Bossi-Fini e di tutte le leggi che discriminano gli immigrati, l’abolizione del reato di immigrazione clandestina e della logica dei flussi; la cittadinanza italiana dopo tre anni di residenza per chi ne faccia richiesta e per tutti i nati in Italia. Antirazzismo è anticapitalismo!

Aquarius ? Contro il razzismo di Salvini e l?ipocrisia del Pd. Unità di classe di tutti i lavoratori! | Rivoluzione (http://www.rivoluzione.red/aquarius-contro-il-razzismo-di-salvini-e-lipocrisia-del-pd-unita-di-classe-di-tutti-i-lavoratori/)

Lord Attilio
25-06-18, 09:12
Domanda, perché i trozkisti (PCL e Alternativa Comunista) non mettono il feed rss ai loro siti come i loro benemeriti compagni di Sinistra Classe Rivoluzione? :ghigno:

Lord Attilio
30-06-18, 18:23
Prima gli sfruttati! La campagna contro gli immigrati è contro di te

“Prima gli italiani” è la bandiera di Salvini, con Di Maio complice.
Richiama facile consenso ma è una truffa contro di te. Serve a distogliere il tuo sguardo da chi ti sfrutta per indirizzarlo contro altri sfruttati. Perché il tuo vero nemico non è l'immigrato, è il padrone che ti toglie il lavoro, che ti paga un salario da fame, che ti costringe a orari massacranti, oppure il banchiere che ti impicca a un mutuo che vale una vita. Guarda caso sono gli stessi capitalisti cui Salvini e Di Maio regalano la Flat tax mettendola sul tuo conto. Altre decine di miliardi regalati ai padroni, pagati inevitabilmente coi tagli alla sanità, ai servizi, al lavoro (come hanno fatto i governi del PD). Gli italiani che vengono “prima” sono loro, non sei tu. Tu sei quello che paga. Per loro non è mai finita la pacchia, per te non c'è mai stata.

“Cacciamo 500.000 clandestini”, grida Salvini.
Ma i “clandestini” sono quelli che la legge Bossi-Fini ha reso tali. Perché magari hanno perso il lavoro, e dunque il permesso di soggiorno. Perché senza permesso sono sfruttabili senza tutele e senza limiti, a esclusivo vantaggio dei profitti. Perché anche centinaia di migliaia di immigrati regolari, nei campi o nei cantieri, vengono costretti a 12 ore di lavoro per un euro all'ora dalla sola paura di perdere il lavoro, e dunque il permesso. E per questo sono usati a loro volta come arma di ricatto contro i lavoratori italiani. Regolarizzare gli immigrati, cancellare la Bossi-Fini, è dunque nel tuo interesse, non in quello del tuo padrone. A uguale lavoro, uguali diritti!

“Gli immigrati arrivano in troppi, dobbiamo respingerli”.
La verità è che troppi sono i giovani, le donne, i bambini, costretti a fuggire da guerre e saccheggi che da sempre i capitalisti di casa nostra portano a casa loro, a caccia di petrolio, litio, cobalto, espropriando terre e corrompendo governi. In tutta la storia dell'umanità nessuna legge per quanto dura ha mai arrestato la fuga dalla fame e dalla morte. Se 34.000 morti nel Mediterraneo non sono stati sufficienti ad arrestare i flussi, quale legge sarà mai “sufficiente”? L'unico vero effetto degli sbarramenti è aumentare le pene dei migranti. Come quelle inflitte dalle milizie libiche nei campi lager finanziati da Minniti (coi soldi tuoi) col plauso di Salvini. Lo stesso che oggi vorrebbe pagare nuovi campi di concentramento in Libia. Questa è la vera complicità coi trafficanti, a tue spese.

“L'Europa ci ha lasciato soli e ora ci fa la morale”.
La verità è che nessun governo europeo può fare la morale a nessuno. Ognuno di loro vuole continuare a saccheggiare l'Africa (sgomitando con gli alleati concorrenti) e al tempo stesso respinge l'esodo che quel saccheggio produce. Ognuno dichiara principi umanitari, ma solo quando si tratta della frontiera altrui. Ognuno sventola la propria bandiera nazionale, Macron contro Salvini, Salvini contro Macron, i migranti presi come ostaggio: in realtà ognuno cerca di raccattare consenso tra i propri salariati per amministrare gli interessi dei propri capitalisti. Parlano della tua “sovranità”, ma è la sovranità del capitale contro di te. In ogni paese e sotto ogni governo.

C'è allora un solo modo di risolvere la questione dell'immigrazione. Mettere in discussione un regime inumano che la produce e la sfrutta. Quel regime si chiama capitalismo, in Italia, in Francia, in America e ovunque. Invece di farci arruolare dietro le bandiere nazionaliste dei nostri sfruttatori, in una guerra che non ci riguarda e che è fatta contro di noi, è necessario unire in una lotta comune tutti gli sfruttati, di ogni nazione e colore, contro il nemico comune. Per un'Europa socialista.

“Prima gli sfruttati” è ovunque l'unica nostra frontiera.

Partito Comunista dei Lavoratori

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Lord Attilio
03-07-18, 21:53
“Decreto dignità” – La montagna e il topolino

Il vicepremier, ministro del lavoro, dello sviluppo economico e delle politiche sociali nonché leader del primo partito italiano Luigi Di Maio ha promesso dignità. Parola grossa che vuole condensare in un decreto legge in corso di preparazione proprio mentre scriviamo.

Dignità per i lavoratori, i disoccupati, i precari, poveri che in questi dieci anni hanno pagato il prezzo maggiore della crisi del capitalismo. Vediamo ora quale topolino ha partorito questa montagna.

Lotta alla precarietà? Per i contratti a termine rimane il tetto dei 36 mesi (si parlava di ridurlo a 24); si riducono da 5 a 4 (che audacia!) i rinnovi possibil; si introdocono causali iper generiche; si allungano i termini per l’impugnazione; si chiede qualche spicciolo in più di contributi alle imprese. Sparisce l’impegno di abolire lo staff leasing.

Jobs Act: Nulla di fatto, tutto rimane come prima su articolo 18 e licenziamenti, sfuma anche l’ipotesi di elevare gli indennizzi per chi viene licenziato senza giusta causa.

Lotta alla povertà? L’idea di un salario minimo legale orario rimane confinata nelle chiacchiere da talk show.
Delocalizzazioni: Si introduce una penale per le grandi imprese (sopra i mille dipendenti) che delocalizzano all’estero nel caso abbiano goduto di contributi pubblici nei 10 anni precedenti. Una multa che certo non impressionerà le multinazionali, sempre ammesso che non venga poi stoppata in sede Ue.

Reddito di cittadinanza? “Partiamo subito”, “le coperture ci sono”, e via promettendo. Alla prova dei fatti non ne rimane traccia se non l’ipotesi di finanziare maggiormente il reddito d’inclusione varato dal governo Gentiloni (vedremo se, quanto e con quali risorse). Il reddito d’inclusione, ricordiamolo, tocca marginalmente solo un settore di poverissimi: famiglie con Isee sotto i 6mila euro e un reddito entro i 3mila, in cui ci siano figli minorenni o disabili, o disoccupati over 55.

Quanto alle ipotesi sul reddito di cittadinanza, i famosi 780 euro, Di Maio è stato chiaro: chi lo prende deve lavorare gratis per il Comune e frequentare corsi di formazione a tempo pieno accettando al massimo la terza proposta di lavoro. Sarà la manna dal cielo per gli enti di “formazione” più o meno fasulli, quasi tutti privati, i Comuni useranno i disoccupati invece di rispettare le piante organiche, ma di posti di lavoro non se ne vedrà l’ombra. Ad ogni modo per il momento anche queste sono chiacchiere da salotto.

Intervistato da Bianca Berlinguer il 26 giugno, Di Maio ha esordito dicendo che intende “porre fine alla guerra tra imprenditori e lavoratori”. Al ministro sfugge evidentemente che questa guerra viene condotta unilateralmente tutti i giorni dell’anno dai padroni (pardon, imprenditori) e che il suo frutto sono state precisamente quelle leggi come la Fornero, il Jobs Act, le privatizzazioni, le leggi precarizzanti, la Buona scuola, e decine di altre, in una lista che si allunga indietro nel tempo almeno di una trentina d’anni.
Naturalmente gli “imprenditori” non si sono fatti impressionare più di tanto e hanno iniziato subito a strillare come aquile per ridurre ulteriormente le già micragnose misure del decreto intimando che se ci sono soldi vadano a ridurre le tasse sui profitti, alle lucrose grandi opere e al pagamento degli interessi sul debito.
Se guardiamo ai contenuti reali, Di Maio finora sta seguendo una politica analoga a quella del centrosinistra e del Pd al netto della fase Renzi. Anche sul lavoro festivo senza regole, regalo del governo Monti che ha rovinato la vita a centinaia di migliaia di dipendenti del commercio con turni impossibili (e anche a molti piccoli esercenti costretti ad aperture no stop per fronteggiare la concorrenza della grande distribuzione), Di Maio propone di tornare alla situazione precedente, quando i Comuni “regolavano” le aperture (facendo sempre gli interessi della grande distribuzione); in aggiunta, ipotizza Di Maio, ci saranno 8 (otto) festività garantite. Insomma: tolti Natale e Capodanno il lavoratore avrebbe “ben” 6 tra domeniche e altre feste (Pasqua, Ferragosto…) che avrà la ragionevole certezza di poter trascorrere in libertà… Tripudio.
Di Maio sceglie un’immagine dialogante: Renzi insultava i sindacati mentre Di Maio li incontra spendendo buone parole e promesse, ma i dossier sul tavolo del Ministero sono brucianti, a partire dal caso Ilva, e non basta dire “incontreremo tutti i sindacati”, bisogna scegliere se schierarsi coi lavoratori o coi padroni.

Si ripropone con questo governo la storia del poliziotto buono (Di Maio) e di quello cattivo (Salvini) o, se si preferisce, di un pesante bastone accompagnato da una carota molto striminzita.
Il volto “riformista” e popolare del governo che Di Maio vorrebbe incarnare appare quindi assai pallido precisamente su quel terreno sociale che doveva essere il suo cavallo di battaglia. Del resto è la lezione di tutti quelli che in Europa in questi anni, da Tsipras a Hollande, hanno vinto le elezioni promettendo di cambiare rotta e sono finiti tutti, e molto rapidamente, ad applicare le ricette dell’austerità.

Il balletto continuerà quest’autunno sulle partite più pesanti della legge di bilancio, delle pensioni, ecc. Non facciamo ipotesi sulle ulteriori contorsioni, ma di una cosa siamo certi: a un certo punto il “terzo incomodo”, la classe lavoratrice, giungerà alla conclusione che se la dignità promessa non arriva con le buone maniere bisogna prendersela scendendo in campo in prima persona nelle piazze. Lavoriamo per questo!

?Decreto dignità? ? La montagna e il topolino | Rivoluzione (http://www.rivoluzione.red/decreto-dignita-la-montagna-e-il-topolino/)

Lord Attilio
06-07-18, 15:00
La prova del budino – Il governo giallo-verde e la classe lavoratrice


Un vecchio e noto proverbio inglese dice che la prova del budino è mangiarlo. Calza perfettamente anche per l’esperienza che milioni di persone si apprestano a fare del governo giallo-verde.

Per capirne le prospettive non possiamo accontentarci di giudicare gli avvenimenti a partire dalle parole che rivestono i fatti e le azioni dei diversi partiti. Chi, come gran parte dell'intellettualità progressista di area Pd, pensa di poter “smascherare” o addirittura mettere in crisi questo governo denunciando le incoerenze verbali di Salvini o Di Maio perde il suo tempo.


Il voto del 4 marzo

È necessario innanzitutto ribadire che il voto del 4 marzo è stato un voto segnato profondamente dalla condizione sociale. In un certo senso è stato un voto di classe, espresso però in modo passivo, ossia scegliendo (passivamente, appunto) tra gli “strumenti”, i partiti presenti sulla scheda, quelli che meglio si prestavano allo scopo.

Milioni di lavoratori, giovani, precari, poveri, disoccupati hanno detto in modo chiaro e inequivocabile che i partiti che avevano governato fino ad allora non hanno più il diritto di comandare e devono sparire. Pd, Forza Italia e rispettivi alleati sono stati frantumati dal voto quasi unanime di coloro che hanno pagato più pesantemente gli effetti della crisi economica.

È stata la condizione sociale a generare questo risultato: chi ha votato M5S e, in parte, persino la Lega, ha espresso un segnale chiaro: meno precarietà, salari e pensioni decenti, meno diseguaglianze sociali, sostegno a chi non ha lavoro. È stata una protesta rabbiosa e sacrosanta contro le politiche condotte per decenni. Tuttavia questo contenuto sociale del voto si è potuto esprimere solo in una forma politicamente e ideologicamente confusa, mescolando aspetti progressisti con altri pesantemente reazionari. E come poteva essere altrimenti?

Veniamo da anni, decenni lungo i quali i dirigenti della sinistra si sono impegnati allo stremo per screditare come peggio non si poteva qualsiasi prospettiva di cambiamento della società o anche di difesa degli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari. Ogni parola è stata trasformata nel suo contrario. La solidarietà non è più l’arma di chi lotta ma la carità predicata da chi ha la pancia piena a chi fatica ad arrivare a fine mese. Chiamano internazionalismo il servilismo verso le istituzioni internazionali del capitale, a partire dall’Ue. Sindacato è diventato, salvo rare eccezioni, sinonimo di svendita dei diritti del lavoro. Nel crollo dei punti di riferimento precedenti, la grande massa ha scelto come ha potuto votando “il cambiamento”.

In queste settimane tuttavia il razzismo pare farla da padrone e l’ascesa di Salvini sembra inarrestabile. Cosa alimenta questa ondata, che non è certo la prima nel nostro paese? La guerra fra poveri non è certo stata inventata da Matteo Salvini, che peraltro non crede a una sola delle parole che dice. La Lega proclama la guerra ai barconi degli immigrati e firma la pace coi motoscafi di lusso degli evasori fiscali e dei ricchi ai quali promette meno tasse.

Questa politica disgustosa, arrogante coi poveri e servile verso i ricchi, non mancherà di suscitare una protesta innanzitutto fra i lavoratori immigrati, ma anche fra i giovani che rifiutano le discriminazioni, le ingiustizie, la repressione.


I margini economici sono stretti

Ma è anche una politica dal fiato molto corto. Salvini gonfia il petto sul caso della nave Aquarius dicendo che finalmente l’Italia non ubbidisce più all’Unione europea, ma i nodi verranno ben presto al pettine. Un conto è speculare sulla pelle di 600 migranti, un altro è sfidare davvero le regole e le imposizioni della Bce, di Bruxelles, del grande capitale che comanda in Europa. La verità è che dal punto di vista economico i margini di manovra per questo governo saranno molto stretti, come ha ricordato Giovanni Tria, che per chi non lo ricordasse è il ministro dell’Economia dello stesso governo di Salvini. Tria è stato enfatico: “La posizione del governo è netta e unanime. Non è in discussione alcun proposito di uscire dall’euro. Il governo è determinato a impedire in ogni modo che si materializzino condizioni di mercato che spingano all’uscita.” (Corriere della sera, 9 giugno).

All’orizzonte c’è la fine del “quantitative easing”, vale a dire che la Bce smetterà di acquistare titoli emessi dallo Stato italiano. Il “bazooka” di Draghi è ormai scarico. La Bce ogni mese comprava 9-12 miliardi di Btp, cifra scesa poi a 7 miliardi e ora attorno ai 3,5 miliardi. Nel 2019 dovrebbe scendere a zero.

Questo significa che lo Stato italiano, che ogni anno deve rinnovare prestiti per 3-400 miliardi di euro, non potrà più contare su quell’“affezionato cliente” che è stato Mario Draghi. Per convincere i “mercati” si dovranno quindi offrire interessi più alti. Di quanto? Difficile stimarlo, si parla di 7 miliardi in più all’anno come cifra prudenziale, ma potrebbe essere molto di più. Negli Stati Uniti i tassi sono in rialzo e questo eserciterà una pressione diretta anche sull’Italia che ad ogni turbolenza economica e politica tornerà ad essere facile bersaglio della speculazione finanziaria.

Le prospettive sono problematiche anche sul piano industriale: la modesta ripresa dell’Italia dipende fortemente dalle esportazioni, ma a livello internazionale c’è una vera e propria escalation di dazi doganali e ritorsioni reciproche. Per l’industria italiana, che ha in Germania e Francia i suoi primi due mercati di sbocco, non è certo appetibile una rottura con l’Unione europea.

Per questi motivi il presidente di Confindustria Boccia ha dichiarato allarmato qualche settimana fa che uscire dall’Unione europea sarebbe “la fine dell’economia italiana”.

Questa dura realtà si porrà sul tavolo del governo al momento di fare la legge di bilancio.


Le promesse di Di Maio

Il M5S subisce l’offensiva della Lega, ma non va dimenticato che è il primo partito della coalizione di governo, e soprattutto che è stato direttamente investito dall’ondata di speranze generatasi con il voto del 4 marzo. Luigi Di Maio non può certo mettersi a competere con Salvini facendo a chi è più razzista. Userà quindi la sua posizione di ministro del Lavoro per cercare di accreditarsi come l’amico del popolo, il paladino dei lavoratori e il volto democratico e sociale del governo.

Ridare dignità al lavoro, introdurre un salario minimo, combattere la precarietà, rimettere mano al Jobs Act, dare un reddito ai disoccupati… sono promesse pesanti, che giocano direttamente con la vita di milioni di persone.

Per il momento Di Maio si sbraccia a destra e a manca: parla di dare diritti ai riders, incontra delegazioni sindacali (compresi sindacati di base) e non risparmia le promesse ai lavoratori di aziende in crisi.

I lavoratori e i disoccupati hanno dato fiducia a Di Maio e si attendono, anzi esigono risultati. Daranno del tempo ai 5 Stelle, ma non tutto il tempo del mondo.

Il fatto più rilevante politicamente è la fiducia e la speranza che si riversa su questo governo e in particolare sul capo dei 5 Stelle. I capi del Pd e del centrosinistra e gran parte dei dirigenti della Cgil irridono questi sentimenti e parlano con disprezzo dei lavoratori che si fanno incantare dai “demagoghi populisti”. Per costoro il popolo era saggio e responsabile solo fino a quando votava il Pd mentre ora, dopo avere assaggiato i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, sarebbe misteriosamente diventato ignorante ed egoista.

Ma per noi che vediamo e viviamo questi sentimenti a contatto con la nostra classe (pur senza condividerne le illusioni) la valutazione è assai diversa: questa speranza non è un fattore di passività, ma al contrario incoraggerà sempre di più i lavoratori a prendere l’iniziativa, ad avanzare le loro rivendicazioni a un governo che considerano diverso dai precedenti e aperto alle loro istanze.

In passato l’espressione “governo amico” veniva usata dalle burocrazie sindacali per illudere e addormentare i lavoratori. Oggi moltissimi lavoratori pensano che questo possa essere per loro un “governo amico” che risolva i problemi che i sindacati non hanno combattuto: dalla Legge Fornero al Jobs act e a seguire tutto il resto.

Poco importa qui discutere sulla buona o cattiva fede di Luigi Di Maio o di altri dirigenti dei 5 Stelle che cercano di assumere un’immagine più di sinistra come il presidente della Camera Fico. La sostanza è che tutti costoro hanno firmato una cambiale alla classe lavoratrice di questo paese, e ora sono chiamati ad onorarla. Se non lo faranno (e noi pensiamo che sarà così) scopriranno ben presto che giocare con le speranze popolari, con la rabbia accumulata dopo anni di sacrifici e di tradimenti e inganni è un gioco molto pericoloso.


Un governo instabile

Queste profonde contraddizioni precludono la prospettiva di una alleanza stabile e duratura tra Lega e 5 Stelle. Chi parla come se fossimo alla soglia di un nuovo ventennio fascista prende una cantonata clamorosa. Del resto sbagliano sempre. Parlavano di fascismo alle porte quando Berlusconi vinse per la prima volta le elezioni nel 1994, e dieci mesi dopo il governo cadeva in mezzo a una gigantesca ondata di scioperi. Parlavano di vent’anni di “renzismo” nel 2014, e meno di tre anni dopo Renzi era già un ex primo ministro.

Il compito della sinistra di classe oggi è quello di costruire una piattaforma ragionata, incentrata sui temi sociali e lavorare con metodo alla costruzione di un’azione politica e vertenziale che faccia leva precisamente su quella speranza di cambiamento che ha segnato il voto.

Questo non significa dare credito alle illusioni o alle speranze mal riposte. Anche se fino al 4 marzo quasi tutti i dirigenti sindacali demonizzavano i grillini, si iniziano a sentire (ad esempio nella Fiom, ma non solo) voci più indulgenti e aperture di credito da parte di qualche sindacalista che cerca di adattare le vele al cambiamento di vento. Questo atteggiamento è altrettanto dannoso della subalternità al centrosinistra.

Tutta la nostra battaglia deve fondarsi su una completa indipendenza dai due schieramenti principali che ci sono in parlamento. Dobbiamo insistere instancabilmente sulla necessità di un punto di vista autonomo dei lavoratori, sulla necessità della indipendenza politica e sindacale del movimento operaio sia dal governo che dall’opposizione di centrosinistra. Ma per giungere a questo obiettivo non basteranno la propaganda, la spiegazione e la pedagogia. Sarà necessaria l’esperienza, i fatti concreti, che noi dobbiamo accompagnare con la nostra azione.

Jobs Act, reddito, salari decenti, precarietà, legge Fornero, ecc.… ai lavoratori e a giovani non ci limiteremo a dire “vi hanno preso per i fondelli!”, diremo invece: “noi pensiamo che Di Maio non vi darà niente di questo, ma vi proponiamo che invece di discutere fra noi di cosa farà o non farà il governo impieghiamo le nostre energie per organizzare assemblee, manifestazioni, scioperi e qualsiasi iniziativa possa coinvolgere la massa in una lotta reale per raggiungere questi obiettivi.”

Questo approccio è indispensabile sia per agire sulle contraddizioni del governo, sia per separare nettamente la nostra opposizione da quella del Pd, tanto nella corrente confindustriale (Calenda, Gentiloni, Minniti) che in quella che tenta di ricrearsi un’immagine “di sinistra” (Zingaretti, Orfini).


Per l’indipendenza di classe!

Solo su questa strada sarà possibile dare sostanza all’obiettivo che dobbiamo porre al centro: raccogliere le forze per la costruzione di un partito dei lavoratori e di tutti gli sfruttati, che nel suo programma, nella sua ideologia e nella sua prospettiva si fondi incrollabilmente sugli interessi autentici della classe lavoratrice contro tutte le compatibilità imposte da questo sistema economico.

Questa lotta può sembrare oggi al suo punto minimo per chi guarda solo all’irrilevanza elettorale delle forze di sinistra. Ma il motore della storia non sono le schede elettorali, è la lotta di classe che dobbiamo sapere riconoscere anche quando assume forme spurie, confuse e persino paradossali.

Il voto del 4 marzo è stato precisamente il frutto di una protesta della classe lavoratrice alla quale il Pd e i dirigenti della Cgil hanno impedito per anni di trovare qualsiasi espressione; in questo senso è stata la lotta di classe a generare questo governo e sarà la stessa lotta di classe che ne spalancherà le contraddizioni.

I lavoratori dovranno toccare con mano ad ogni passo la realtà dei fatti, dovranno inevitabilmente entrare anche in più di un vicolo cieco, ma non rinunceranno a lottare per i loro obiettivi, non torneranno a casa. E quel “cambiamento” generico, confuso, a volte anche mescolato a sentimenti reazionari, dovrà precisarsi sempre di più nel suo contenuto sociale, economico, politico.

Il nostro compito, e quello di chiunque militi per la costruzione una sinistra di classe e di massa nel nostro paese, è imparare a nuotare in questo gorgo.

La prova del budino ? Il governo giallo-verde e la classe lavoratrice | Rivoluzione (http://www.rivoluzione.red/la-prova-del-budino-il-governo-giallo-verde-e-la-classe-lavoratrice/)

Lord Attilio
14-07-18, 13:42
Haiti in rivolta! Sciopero generale contro l’aumento del prezzo del carburante

Una protesta di massa è scoppiata lo scorso venerdì 6 luglio in tutta Haiti in opposizione al piano del governo di taglio ai sussidi al carburante. Il presidente Jovenel Moïse in un primo momento è apparso determinato ad andare avanti, incurante dalle proteste ma, con le manifestazioni in aumento per dimensioni e portata, sabato il governo ha fatto marcia indietro e ha annunciato una sospensione temporanea del rialzo dei prezzi.

Non c’è fiducia nel regime e un ambiente insurrezionale si è diffuso in tutto il paese. Le proteste hanno continuato a crescere durante il fine settimana, portando alla fine alla richiesta di dimissioni del presidente e a uno sciopero generale previsto per lunedì e martedì scorsi (9-10 luglio).

Dominio dell’imperialismo

Haiti non ha mai conosciuto la stabilità economica o politica dopo la grande rivoluzione degli schiavi del 1791 e l’indipendenza ottenuta nel 1804. Questa storica instabilità è radicata nel passato coloniale del paese e nella dominazione, moderna e devastante, dell’imperialismo. La classe dominante di Haiti è straordinariamente debole, corrotta e incompetente. Nonostante la rivoluzione e l’indipendenza formale, la classe capitalista di Haiti è stata per lungo tempo totalmente dipendente dai suoi padroni imperialisti e si è dimostrata completamente incapace di sviluppare il paese dal punto di vista economico, politico e sociale.
Di fatto, la borghesia haitiana è diventata così dipendente dall’imperialismo da poter mantenere il suo dominio solo sulla base del diretto sostegno economico, politico e militare delle potenze imperialiste. Questa situazione lascia al potere l’élite al potere haitiano e dà loro accesso alle briciole dalla tavola degli imperialisti. Per quanto riguarda gli imperialisti, hanno mano libera per sfruttare le risorse di Haiti e la manodopera a basso costo. Dato che gli imperialisti controllano i cordoni della borsa, esercitano un considerevole controllo sul paese. La forza di occupazione delle Nazioni Unite ha il compito di far rispettare questo controllo.
Gli imperialisti hanno storicamente usato due armi principali per dominare e soggiogare Haiti: il debito e l’occupazione militare diretta. Sin dal primo governo Aristide negli anni ’90, gli imperialisti hanno esercitato il loro controllo legando direttamente i prestiti e gli aiuti all’attuazione di vasti piani di privatizzazione; la creazione di zone per l’esportazione; l’attacco ai salari e ai sindacati; e la fine dei sussidi per il carburante.
Dopo il crollo del regime di Duvalier, gli imperialisti sono stati principalmente interessati a trovare un governo stabile per proteggere i loro investimenti. Ma un governo stabile è impossibile ad Haiti. La borghesia è troppo debole e la lotta di classe ad Haiti è troppo intensa. Questa situazione è poi amplificata dalla crisi in atto del capitalismo mondiale.
Ad Haiti, qualsiasi politica governativa a favore degli interessi dell’élite dominante fa infuriare la classe lavoratrice e i poveri, spesso con successive proteste di massa dalle dimensioni insurrezionali. Dall’altro lato, qualsiasi politica o riforma che favorisca gli interessi della classe lavoratrice e dei poveri, non importa quanto mite (come aumentare il salario minimo, costruire più scuole e ospedali e sviluppare programmi di alfabetizzazione), provoca una reazione rabbiosa dell’élite al potere e spesso conduce all’attuazione di azioni paramilitari e colpi di stato. Come abbiamo visto più volte negli ultimi 30 anni, al fine di proteggere i loro interessi (investimenti), gli imperialisti usano anche le forze di occupazione militare per “ristabilire l’ordine”.

Materiale infiammabile

Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale. Recenti statistiche della Banca Mondiale mostrano che più di 6 milioni di abitanti della popolazione di Haiti, pari a 10,4 milioni (59%), vivono al di sotto della soglia minima di povertà di 2,41 dollari USA al giorno, mentre oltre 2,5 milioni (24%) vivono al di sotto della soglia minima di estrema povertà di 1,23 dollari USA al giorno.
Il reddito nazionale lordo pro capite è 1.730 dollari (a parità di potere d’acquisto). In confronto, la media nel resto dei Caraibi / America Latina è 14,098 dollari. Poco più del 74% della popolazione urbana vive in baraccopoli. Oltre il 75% della popolazione nelle campagne è povera, il 50% dei bambini non frequenta la scuola, con un tasso di alfabetizzazione del 61-64% per i maschi e del 57% per le femmine. Meno della metà degli haitiani nelle aree rurali ha accesso all’acqua e solo il 24% di tutti gli haitiani ha accesso ai servizi igienici (con la maggior parte delle persone che fanno uso di latrine di fortuna).
Oltre a ciò, Haiti è estremamente esposta ai disastri naturali, che spesso devastano completamente il paese. Nel 2010 un forte terremoto ha colpito Haiti, devastando il paese e distruggendo l’equivalente del 120% del PIL. Si stima che circa 250.000 residenze e 30.000 edifici commerciali siano crollati o siano stati gravemente danneggiati dal sisma. Le stime del bilancio delle vittime variano, ma vanno da 100.000 a 300.000 morti nel disastro. Circa un milione e mezzo di persone sono state sfollate a causa del terremoto. Ad oggi Haiti non si è ancora completamente ripresa e ci sono ancora decine di migliaia di persone che vivono in tendopoli.
Haiti era ancora sconvolta dal terremoto quando è stata colpita dall’uragano Matthew nel 2016. La tempesta ha distrutto l’equivalente del 22 per cento del PIL. Tra le 500 e le 600 persone sono state uccise e centinaia di migliaia sono stati ospitati in rifugi per senzatetto, con circa 1 milione e quattrocentomila persone che hanno avuto bisogno di assistenza umanitaria, aggravando i problemi ancora presenti del terremoto.
La situazione rivoluzionaria che si stava sviluppando nel paese durante la seconda presidenza di Aristide nei primi anni 2000 è stata parzialmente fermata dall’occupazione dell’ONU e dal terremoto, dato che il paese era stato distrutto: centinaia di migliaia di persone erano morte e la gente era costretta a concentrarsi semplicemente a sopravvivere.
Tuttavia, nel 2013 la rabbia delle masse si è riversata nelle strade mentre migliaia di persone hanno protestato contro la mancanza di progressi nella ricostruzione post- terremoto, il livello di corruzione, l’aumento del costo della vita e il ritardo nella convocazione delle elezioni politiche e amministrative.
Il movimento è nuovamente ripreso nel 2015 fino a quando si sono tenute le elezioni. Sono avvenuto massicci brogli nelle elezioni presidenziali quell’anno. Ad esempio, Jovenel Moïse, imprenditore nel settore dell’export delle banane, che ha contribuito alla creazione di una zona di libero scambio agricolo ad Haiti, e un rappresentante diretto degli interessi imperialisti, ha ottenuto ufficialmente il 32,8% dei voti nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2015, eppure secondo gli exit polls del quotidiano Haiti Sentinel aveva ricevuto solo il 6%.
I brogli elettorali hanno scatenato proteste di massa e le elezioni sono state nuovamente rimandate. Una commissione istituita per indagare sui risultati ha rilevato brogli generalizzati e ha raccomandato di rifare le elezioni. Va notato che varie organizzazioni con sede ad Haiti avevano trovato prove importanti di brogli, ma gli osservatori internazionali hanno approvato i risultati addirittura prima che il rapporto della commissione fosse stato pubblicato. L’imperialismo Usa aveva trovato il loro uomo in Moïses. Dopo aver speso milioni per le elezioni, voleva il candidato preferito al potere, indipendentemente dal fatto che queste elezioni le avesse effettivamente vinte.

Gettando benzina sul fuoco

Alla fine sono state indette nuove elezioni nel novembre 2016 e Moïse ha vinto ufficialmente, sempre tra accuse di frodi e proteste di massa. Dal rovesciamento rivoluzionario del regime di Duvalier negli anni ’80, i tentativi della borghesia haitiana di governare “democraticamente” sono stati un fiasco completo. Considerando corruzione, brogli, molteplici colpi di stato e occupazioni militari, non dovrebbe sorprendere il fatto che il popolo haitiano abbia poca fiducia nella “democrazia” nel paese e ancora meno creda che il proprio voto sia importante.
L’affluenza alle elezioni del 2000, che portò per la seconda volta Aristide al potere, è stata circa del 50%, e si basava principalmente sull’entusiasmo generatosi all’epoca tra i lavoratori e i poveri nei confronti di Aristide. Dopo il colpo di stato che ha rovesciato Aristide e l’occupazione da parte dei caschi blu delle Nazioni Unite, l’affluenza alle urne del 2006 è scesa al di sotto del 40 per cento. Da allora, i livelli di affluenza sono crollati dal 22% nel 2010/2011, al 28,8% nel 2015 e solo al 18% nelle elezioni del novembre 2016. Ciò significa che, su una popolazione di 10 milioni di persone, solamente 600.000 circa hanno votato per Moïse, che chiaramente non avrebbe alcun mandato se non avesse vinto per mezzo di brogli.
Moïse, che si è dimostrato rappresentante degli interessi imperialisti ad Haiti, ha assunto la carica all’inizio di febbraio e alla fine del mese aveva firmato un accordo per l’assistenza economica da parte del Fondo monetario internazionale. L’accordo con il FMI garantirebbe l’accesso a 96 milioni di dollari in prestiti in cambio della completa privatizzazione della società energetica statale e dell’eliminazione dei sussidi per il carburante e l’elettricità.
Gli imperialisti hanno a lungo cercato di eliminare sovvenzioni per il carburante ad Haiti . Per un po’ di tempo è stato in funzione un meccanismo di adeguamento automatico per controllare la spesa statale destinata ai sussidi, progettato dagli imperialisti e dall’élite locale haitiana quando il prezzo del carburante è aumentato nella prima parte di questo secolo.
Di fronte al terremoto del 2010, il governo è stato costretto ad abbandonare questo meccanismo automatico. Con i prezzi del carburante congelati da marzo 2011, la spesa per sussidi è aumentata quando i prezzi degli idrocarburi hanno ripreso lentamente a salire dopo la recessione del 2008. La Banca Mondiale stima che nel 2014 i sussidi per il carburante ammontassero al 2,2% del PIL di Haiti, superando la spesa sanitaria, che è intorno allo 0,8 per cento del PIL.
L’argomento che usano gli imperialisti è che, poiché i poveri di Haiti usano una quantità minima di carburante, i sussidi vanno a beneficio sproporzionato dei ricchi. La Banca Mondiale stima che il 20 percento più ricco della popolazione riceva il 93 percento delle sovvenzioni per il carburante. Mentre è indubbiamente vero che i ricchi beneficiano in modo sproporzionato del sussidio per il carburante, questo non è un motivo per eliminarlo per tutti. Ben diverso sarebbe annullare il sussidio solo per la ricca élite (e l’eliminazione di quest’ultimo avrebbe anche un impatto minore sui ricchi), ma si tratta in realtà di attaccare i servizi a beneficio dei poveri e della classe operaia haitiani.
Gli imperialisti sostengono inoltre che le sovvenzioni non lasciano al governo risorse per investire nella spesa sociale per sanità e istruzione. La proposta degli imperialisti è che se i sussidi per il carburante vengono eliminati, il governo avrà più denaro da investire nelle scuole, nelle cliniche e negli ospedali.
Ma gli imperialisti non ingannano nessuno. La situazione ha certe similitudini con il gasolinazo in Messico l’anno scorso. I tagli al sussidio per il carburante influenzeranno direttamente e in maniera pesante la vita di milioni di poveri haitiani. La maggior parte degli haitiani vive in baraccopoli, senza connessioni a gas o elettricità. Solo la ricca élite dispone di questi servizi. La maggior parte degli haitiani poveri utilizzano benzina, diesel e cherosene per illuminare le loro case e cucinare, oltre che per recarsi al lavoro, ecc. L’aumento del costo del carburante fa anche aumentare il costo dei trasporti, e quindi del cibo e di altre merci. Tagliare il sussidio per il carburante significa anche che un numero maggiore di bambini non potranno frequentare la scuola.
Nonostante il fatto che i sussidi per i carburanti agevolino i ricchi in maniera sproporzionata , la realtà è che la classe lavoratrice e poveri di Haiti non possono sopravvivere senza questi sussidi. Un aumento dei prezzi del carburante sarà disastroso per i poveri haitiani che non possono tollerare altri soprusi e attacchi agli standard di vita.
Inoltre, perché la classe operaia e i poveri di Haiti dovrebbero rinunciano a un sussidio ora in cambio di vuote promesse di aumenti della spesa sociale? Data la storia del paese e la natura del governo, non vi è alcun motivo per avere la certezza che tali promesse saranno mai realizzate.
Infatti ci sono già stati diversi tagli al sussidio e aumenti dei prezzi nell’ultimo anno. Il governo ha aumentato il prezzo del carburante a maggio 2017. Nell’ottobre 2017 ha riattivato l’adeguamento automatico dei prezzi del carburante e firmato un accordo con i sindacati per eliminare gradualmente il sussidio per il trasporto pubblico.
Dopo l’accordo firmato nel febbraio 2018 con il Fondo monetario internazionale, il governo ha annunciato l’esistenza di un pesante deficit di bilancio e, insieme al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, ha incolpato il deficit in gran parte alle sovvenzioni per carburanti ed elettricità. Più recentemente, la Inter-American Development Bank (Banca interamericana di sviluppo) ha offerto un aumento dei finanziamenti se il governo si fosse impegnato pubblicamente a eliminare il sussidio per il carburante. Tutti sapevano che erano in arrivo i tagli ai sussidi per il carburante e una serie di proteste erano già state organizzate, dove la lotta contro l’aumento proposto dei tagli di combustibile era collegata in alcune aree con rivendicazioni del ritiro delle forze di occupazione straniere e un aumento del salario minimo. Varie organizzazioni politiche e sindacati hanno avvertito il governo che se avesse autorizzato i tagli per alimentare i sussidi, avrebbe dovuto affrontare una rivolta.

Insurrezione

Alle 16:00 di venerdì 6 luglio, mentre il paese era impegnato a guardare la Coppa del Mondo, il governo ha annunciato i tagli ai sussidi per il carburante. Il prezzo della benzina è aumentato del 38%, il diesel del 47% e il cherosene del 51%. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tutta la rabbia delle masse che è stata accumulata per anni è improvvisamente esplosa. Aggiungendo il danno alla beffa, il cherosene, che ha subito l’aumento più alto, è la fonte di carburante più utilizzata dai più poveri, dimostrando ancora che si tratta di un attacco ai poveri e la classe lavoratrice. Tali aumenti di prezzo per il carburante sarebbero già piuttosto difficili da affrontare per la popolazione nei paesi capitalisti avanzati, ma ad Haiti renderanno la vita impossibile per milioni di persone.
La risposta delle masse all’annuncio è stata immediata – e di massa. Le mobilitazioni sono iniziate a Port-au-Prince, ma si sono diffuse rapidamente in altre città e regioni come Les Cayes, Cap-Haïtien, Jérémie e Grand’Anse. Centinaia di barricate sono state costruite a Port-au-Prince per difendersi dagli attacchi delle polizia, paralizzando la capitale. La polizia è stata rapidamente sopraffatta e si è ritirata, lasciando il controllo delle strade ai manifestanti
Alla fine, i sindacato dei trasporti, del settore pubblico e vari sindacati e organizzazioni rurali e civiche hanno aderito alle manifestazioni. Diversi resoconti indicano che diverse organizzazioni sindacali e altre associazioni si sono riunite per formare un comitato di coordinamento della protesta, che ha rappresentato un importante passo in avanti. Il comitato ha convocato uno sciopero generale lunedì e martedì (9 e 10 luglio). Le rivendicazioni dello sciopero includevano la sospensione permanente dei tagli al sussidio per il carburante, la reintegrazione dei lavoratori licenziati dalle aziende statali, l’arresto da funzionari corrotti implicati nel furto di fondi Petrocaribe e infine, sono state richieste a gran voce le dimissioni del Presidente.
Altre resoconti forniscono un’indicazione sulla natura insurrezionale del movimento di massa che è scoppiato in tutto il paese. È significativo, come indicazione della rabbia acuta delle masse, che diversi articoli e resoconti indichino che la dimensione e la portata dell’attuale movimento sembrano rendere minuscola quella che portò alla caduta della dittatura di Duvalier.
Temendo una rivolta dalla portata rivoluzionaria, il governo ha operato una parziale ritirata e sabato, prima delle date proposte per gli scioperi, ha annunciato una sospensione temporanea dei tagli ai sussidi per il carburante,.
Già nel fine settimana i trasporti sono stati completamente bloccati, tutti i mercati erano chiusi e i media hanno sospeso le trasmissioni. Quando lo sciopero generale è iniziato lunedì, la capitale e la maggior parte del paese sono stati completamente bloccati. Le aziende erano chiuse e i trasporti si si sono fermati.
Mentre le notizie da Haiti sono difficili da recuperare a causa dello sciopero e della mancanza intenzionale di resoconti da parte della maggior parte dei media stranieri, le ultime notizie mostrano che lo sciopero è continuato ed ha conservato tutta la sua forza nella giornata di martedì. I sindacati dei trasporti si sono uniti allo sciopero e il paese è rimasto bloccato.
Tuttavia, sembra che il governo stia cercando di riprendere il controllo della situazione. Una manifestazione di fronte al Palazzo Nazionale che era stata convocata per martedì è stata attaccata dalla polizia nazionale. Sembra che le forze ONU, almeno per il momento, non siano intervenute.

Rivoluzione

Il magnifico movimento insurrezionale del popolo haitiano è riuscito a bloccare i tagli al sussidio per il carburante, per ora. Tuttavia, la sospensione operata dal governo è solo temporanea. Se il governo sopravvive alla mobilitazione, gli imperialisti insisteranno affinché venga attuato l’accordo firmato a febbraio. Come hanno fatto in passato, gli imperialisti tratterranno i fondi di cui il governo ha disperatamente bisogno nel tentativo di affamare il paese fino a quando non verranno attuati i tagli previsti.
Il governo subirà enormi pressioni da parte degli imperialisti e quindi il popolo haitiano non può avere fiducia nel governo o nella sospensione del taglio delle sovvenzioni.
Se la mobilitazione si ferma o fa un passo indietro di fronte alla sospensione dei tagli, il governo e gli imperialisti pazienteranno un po’ di tempo, ma a un certo punto cercheranno di ripartire con gli attacchi.
Non è ancora chiaro come si svilupperà la situazione. Il governo è molto debole, senza alcun mandato o sostegno popolare. Di fronte a una rivolta popolare, è del tutto possibile che il governo cada. Se i lavoratori e i poveri non riusciranno a prendere il potere, si potrebbe aprire la possibilità di un colpo di stato in una forma o nell’altra quando l’élite dominante cercherà di schiacciare il movimento delle masse e di far passare l’accordo del FMI.
Gli imperialisti hanno a disposizione anche la forza di occupazione delle Nazioni Unite, che a un certo punto potrebbe intervenire per aiutare l’élite al potere a “ristabilire l’ordine” fino a quando non sarà installato un nuovo governo borghese, in ultima analisi per assicurare che l’accordo del FMI sia attuato. Il popolo haitiano si è trovato in questa situazione più volte in precedenza.
Per la classe operaia e per i poveri di Haiti, non c’è modo di migliorare le proprie condizioni sulla base del capitalismo. Finché i capitalisti rimarranno al potere, il paese rimarrà completamente impoverito e in balia degli interessi delle potenze imperialiste. La classe dominante haitiana e gli imperialisti si sono dimostrati totalmente contrari e incapaci di risolvere qualsiasi problema che i lavoratori e i poveri devono affrontare.
Solo il socialismo offre una via d’uscita per il popolo haitiano. L’unico modo per fermare in modo permanente i tagli, proteggere gli interessi dei lavoratori e dei poveri, sviluppare l’economia e creare posti di lavoro è cacciare la borghesia e gli imperialisti dal potere.
Gli interessi della classe lavoratrice haitiana e dell’élite dirigente sono incompatibili. I capitalisti haitiani sono parassiti che traggono i loro profitti dallo spietato sfruttamento del popolo haitiano e dalle briciole gettate dall’imperialismo. Per questo motivo, l’élite al potere haitiano non può tollerare alcuna riforma a favore dei lavoratori e dei poveri, poiché ciò danneggia i loro profitti e mette in discussione il loro dominio sul paese. Hanno dimostrato più volte tutto ciò e la loro volontà di combattere fino alla morte per proteggere la loro ricchezza e potere durante la storia di Haiti. Ecco perché, sulla base del capitalismo, Haiti non sfuggirà mai all’incubo della povertà e del dominio imperialista.
Le masse lavoratrici e povere di Haiti devono prendere il potere nelle loro mani e formare un proprio governo che governi nei loro interessi. I lavoratori e i poveri devono rivendicare, come primi passi necessari, l’espropriazione delle élite al potere e degli imperialisti, nonché il ritiro delle forze di occupazione delle Nazioni Unite, insieme a un appello alla solidarietà rivoluzionaria da parte dei poveri, dei lavoratori e dei contadini dei Caraibi e tutte le Americhe.

https://www.rivoluzione.red/haiti-in-rivolta-sciopero-generale-contro-laumento-del-prezzo-del-carburante/

Lord Attilio
19-07-18, 20:30
Amazon, si sciopera in tutta Europa… E in Italia?

Il 17 luglio c’è stato lo sciopero europeo di Amazon nel giorno del Prime day, Spagna, Germania, Polonia si sono fermate.

In Spagna lo sciopero è stato di 72 ore, l’adesione è stata dell’80%. Ciò ha scatenato la reazione della multinazionale, che ha assoldato dei crumiri ed ha chiesto alla Polizia di caricare i picchetti dei lavoratori in sciopero. Tre lavoratori sono stati fermati e uno è stato ferito.

In Italia NO. Perchè? Perchè a maggio è stato firmato un accordo definito “storico” dai sindacati che in verità di storico ha ben poco per i lavoratori. Nel reticente articolo pubblicato su Rassegna.it il giorno prima dello sciopero europeo non si dice che lo sciopero toccava vari paesi europei contemporaneamnete, eppure dovrebbe trattarsi di una buona notizia visto che spesso ci dicono che queste cose sarebbe bello farle ma non si riesce a causa della globalizzazione. Nell’articolo poi si elogia l’accordo italiano scrivendo che “è stato approvato a larga maggioranza”, ma si dimentica di dire che ha votato solo un terzo dei lavoratori.

Come se ciò non bastasse l’ispettorato del lavoro poco tempo fa ha accertato che Amazon tra luglio e dicembre 2017 (nel periodo degli scioperi in Italia) ha abusato dei contratti a termine e ora deve porre rimedio, ma il nostro sindacato dov’era quando tutto ciò accadeva?
Per la cronaca è utile ricordare che Jeff Bezos, il patron di Amazon ha un patrimonio da 75,6 miliardi ed è considerato oggi l’uomo più ricco del mondo.
Qui puoi leggere l’articolo di questo numero di Rivoluzione sull’accordo Amazon, serve una vera battaglia contro un apparato sindacale che dire inutile è ancora troppo poco, sostienici al congresso Cgil.

https://www.rivoluzione.red/amazon-si-sciopera-in-tutta-europa-e-in-italia/

Lord Attilio
19-07-18, 20:32
Per un mondo senza frontiere e sfruttamento

Il PCL aderisce al corteo di Ventimiglia del 14 luglio

I governi europei e la loro Unione varano politiche criminali e inumane verso i migranti. Il governo giallo-verde di Salvini e Di Maio è capofila di queste politiche: chiusura dei porti, boicottaggio dei soccorsi, sostegno alla guardia costiera libica e ai suoi lager, taglio delle risorse per l'accoglienza a vantaggio dei respingimenti, attacco alla protezione umanitaria, discriminazione verso gli stessi immigrati “regolari” per l'assegnazione di asili, case, sussidi... Sulla scia di Minniti, ma oltre Minniti.

I paesi imperialisti, che sgomitano gli uni con gli altri per la spartizione delle zone di influenza in Africa, vogliono incassare i frutti della propria rapina senza pagarne gli oneri. L'Africa è da secoli terra di saccheggio da parte del capitalismo, a partire dallo schiavismo e dal colonialismo. Le migrazioni di oggi sono l'effetto ultimo di questo saccheggio storico. Anche per questo la distinzione tra rifugiati e migranti economici è del tutto ipocrita. Non solo perché gli stessi rifugiati e richiedenti asilo sono oggi privati dei propri diritti (con la copertura delle Nazioni Unite), ma anche perché morire per fame o per sete non è diverso che morire per guerra. Fame e guerre entrambe portate o alimentate dalla grande rapina imperialista.

La verità è che gli stessi governi europei di ogni colore politico che impongono sacrifici ai propri lavoratori cercano di dirottare la loro rabbia contro i migranti per impedire che si rivolga contro i capitalisti. Per questo alimentano xenofobia, odio, razzismo, nazionalismo. Le politiche xenofobe servono solo a dividere gli sfruttati a tutto beneficio dei loro sfruttatori.

È necessario spezzare questa dinamica. È necessario unire la lotta di tutti gli oppressi contro il nemico comune, contro ogni forma di concorrenza al ribasso tra gli sfruttati.

Certo, occorre battersi coerentemente per i diritti democratici dei migranti contro ogni forma di giustificazione (magari “sovranista”) di politiche razziste.
Ci battiamo contro la chiusura dei porti e delle frontiere.
Chiediamo corridoi umanitari a garanzia della vita dei migranti.
Ci battiamo per un sistema di accoglienza dignitoso e non carcerario, magari finanziato dalla cancellazione delle enormi spese di militarizzazione delle frontiere e dei respingimenti.
Rivendichiamo l'abolizione delle leggi anti-migranti degli ultimi vent'anni (Turco-Napolitano, Bossi-Fini, Minniti-Orlando), a partire dalla cancellazione del legame ricattatorio tra permesso di soggiorno e lavoro.

Ma non basta una lotta per i diritti dei migranti se non metti in discussione l'organizzazione capitalistica della società. “Se non c'è lavoro, casa, cure sanitarie per noi, come possono esservi per i migranti?”: questo è il tasto battuto da Salvini e con lui da tutti i reazionari.
È necessario attaccare frontalmente questo pregiudizio, dimostrare che il problema non sono i migranti ma il capitalismo; che lo stesso capitalismo che è all'origine delle migrazioni è il principale impedimento all'integrazione dei migranti; che una organizzazione alternativa della società è l'unica via per risolvere il problema.

Occorre rivendicare la ripartizione del lavoro tra tutti, con la riduzione dell'orario a parità di paga.
Un grande piano di nuovo lavoro in opere sociali di pubblica utilità, a partire da case popolari e asili.
La requisizione di grandi proprietà immobiliari, per dare a tutti il diritto alla casa.
L'abolizione del debito pubblico verso le banche e la nazionalizzazione delle banche, per garantire a tutti le protezioni sociali, a partire da sanità, pensioni, istruzione.

È una piattaforma di lotta che potrebbe unire lavoratori italiani e immigrati, rompere le loro divisioni, moltiplicare la loro forza. Ma l'insieme di queste misure chiama in causa il capitalismo e ne richiede il rovesciamento. Una prospettiva di liberazione per sua natura rivoluzionaria e internazionale.

Né Unione Europea degli Stati capitalisti né sovranismo nazionalista: solo un'Europa socialista governata dai lavoratori può liberare il vecchio continente dallo sfruttamento e dal razzismo. Solo la classe lavoratrice, al di là di ogni frontiera e di ogni colore, può guidare questa rivoluzione.
Costruire controcorrente tale consapevolezza tra gli sfruttati è il nostro impegno quotidiano.

Partito Comunista dei Lavoratori

Per un mondo senza frontiere e sfruttamento - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=5973)

Lord Attilio
05-09-18, 13:26
Ilva e Autostrade – Nazionalizzare subito!

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

La strage di Genova ha bruscamente posto al centro la questione delle nazionalizzazioni. Dopo decenni in cui si è privatizzato fino all’impossibile e in cui qualsiasi proposta di nazionalizzazione veniva considerata come un’eresia, è un fatto politico dirompente.

In realtà il sentimento popolare da diversi anni ormai è mutato. Dopo lo scoppio della crisi del 2008 abbiamo visto in tutti i paesi come migliaia di miliardi siano stati spesi per salvare il capitale privato dalla rovina. Le banche, le grandi imprese, sono state salvate mentre milioni di lavoratori hanno vissuto la disoccupazione, il calo dei salari, l’impoverimento di massa e un generale degrado delle loro condizioni.

Tuttavia ancora nella scorsa campagna elettorale nessuna delle principali forze politiche parlava di nazionalizzazioni. Anche i 5 Stelle tutt’al più richiamavano l’impegno all’acqua pubblica.

Dopo il crollo del ponte Morandi l’ondata di rabbia e di sdegno si è condensata un messaggio che ormai è incancellabile dalla coscienza di milioni di persone: il capitale privato è in affari solo per il proprio profitto. Non tutela né l’interesse, né la sicurezza o la cosiddetta efficienza in favore della collettività, ma solo i propri profitti.

Per questo la questione di nazionalizzare Autostrade è diventata un terreno centrale nello scontro politico e di classe nel nostro paese.

Lo hanno capito molto bene i padroni nostrani, che hanno subito aperto il fuoco di fila sui loro giornali e tv con la solita raffica di “balle spaziali” che usano impiegare quando sentono minacciati i propri interessi. Veniamo così a scoprire che la nazionalizzazione costerebbe “20 miliardi di euro”, che i “piccoli azionisti” verranno rovinati, che le nazionalizzazioni rovinerebbero il paese.

Per una coincidenza di date niente affatto casuale, negli stessi giorni è riesploso il caso Ilva, col ministro Di Maio che ha accennato alla possibilità di rivedere o annullare la gara che ha assegnato il gruppo al colosso Arcelor-Mittal.

Dato che il Pd è troppo screditato e diviso, a farsi strumento principale della campagna padronale sono la Lega da un lato e dall’altro quei governi regionali di destra nei quali la Lega collabora con Forza Italia. Ecco così che Salvini, dopo un iniziale assenso all’ipotesi, ha innestato la retromarcia – “Io non sono per le nazionalizzazioni, ma per un sano rapporto tra pubblico e privato” – seguito a ruota dal sottosegretario leghista Giorgetti.

Al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, i governatori di Lombardia, Liguria e Veneto si sono espressi contro. Particolarmente duro Giovanni Toti: “Credo che si stia creando un fronte di chi, ricordandosi del passato, sa quali danni hanno prodotto in questo Paese le nazionalizzazioni e vuole trovare soluzioni a problemi che sono giusti, come quello di rivedere le concessioni, quello di rinegoziarle, quello di dare strumenti di controllo superiori al governo e agli enti locali, ma la risposta della nazionalizzazione è sbagliata”.

Sintetizza il presidente di Confindustria: “Il governo vuole nazionalizzare? Va bene, quando scadrà la concessione (cioè nel 2042! – Ndr), ridiscuterà l’accordo. Ma se si fa ora un decreto per nazionalizzare, si crea un elemento di distonia dello Stato di diritto. Ma davvero vogliamo revocare una concessione ancora prima che le responsabilità siano accertate? Così daremmo una sentenza politica prima di quella penale, mettendo in gioco la credibilità dello Stato. Vedo il rischio di una pedagogia formativa negativa”.

Questo fuoco di fila dimostra che lo scontro è di fondo. Proprio per questo i 5 Stelle non sono in grado condurlo fino in fondo con coerenza.

Il punto è semplice: i pentastellati, da Di Maio in giù, sono schiavi della religione della “legalità”, non conoscono altro concetto, non vedono, non capiscono e non intendono che la legge è la legge del capitale e che questo scontro non è un minuetto per avvocati, ma uno scontro di classe che coinvolge gli interessi di milioni di persone. Può essere vinto solo se queste non rimangono spettatrici, ma entrano in prima persona nel conflitto.

Sull’Ilva Di Maio ha chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato riguardo alla regolarità della gara per la vendita. Risultato: “Non possiamo ancora renderlo pubblico perché altrimenti commetteremmo un illecito”. E Toninelli, intervistato su Autostrade: “Dobbiamo stare attenti perché quelli hanno fior di avvocati”. Imbarazzante.

Su questa strada finirà tutto in una bolla di sapone o, peggio, in una “nazionalizzazione borghese”, ossia in cui lo Stato versa lauti indennizzi ai proprietari, si accolla costi e e problemi per poi rimettere sul mercato un’azienda appetibile. La storia della stessa Ilva, privatizzatata quando rendeva e rinazionalizzata quando è scoppiata la crisi economica e ambientale, deve fare da monito. Per l’11 settembre è convocato lo sciopero di tutto il gruppo Ilva: è un passo importante. Solo l’intervento diretto della classe lavoratrice può dare uno sbocco vittorioso a questo scontro.

L’interesse dei lavoratori e della maggioranza della popolazione secondo noi è chiarissimo: Autostrade e Ilva devono andare in mano pubblica, non si deve dare un euro al grande capitale, siano i Benetton o le banche che ci hanno lucrato sostenendo l’operazione di acquisizione; vanno indennizzati solo quei piccoli azionisti che ne dimostrino la effettiva necessità; queste aziende devono essere gestite da comitati eletti di lavoratori, tecnici, utenti (nel caso di Autostrade) nell’interesse dei bisogni sociali collettivi.

Infine, questo deve essere il primo passo di un programma generale di nazionalizzazioni ed espropri su vasta scala, che inverta il saccheggio fatto nei trent’anni passati e crei le condizioni basilari per un’economia finalmente svincolata dal profitto, dallo sfruttamento, dalla speculazione e posta al servizio dei lavoratori e di tutti gli strati popolari.

31 agosto 2018

https://www.rivoluzione.red/ilva-e-autostrade-nazionalizzare-subito/

Lord Attilio
10-09-18, 16:35
Il piano sgomberi di Salvini e Di Maio

5 Settembre 2018

«La proprietà è sacra», ha esclamato compunto ad uso telecamere il ministro degli Interni.
È questa la bandiera del nuovo piano nazionale di sgomberi di case ed edifici occupati sull'intero territorio nazionale. Minniti si era coperto dietro la foglia di fico di una raccomandazione alle prefetture perché cercassero “abitazioni alternative”: era l'ipocrita ricerca di un ammortizzatore sociale capace di reggere il piano di sgomberi. Salvini fa a meno di ogni finzione: dirama l'ordine di sgombero come atto prioritario e incondizionato. È l'ordine di gettare in mezzo a una strada decine di migliaia di famiglie povere, italiane e immigrate. Persone magari in attesa (vana) di una casa popolare da molti anni, o sfrattate per morosità incolpevole, o impedite ad accendere un mutuo o a pagare un affitto dalla propria condizione precaria o perché licenziate, o lavoratori immigrati costretti alla “clandestinità” da leggi infami nonostante sgobbino spesso per 12 ore al giorno in cambio di un salario da fame. Per tutti costoro la proprietà non è sacra, ma proibita, al pari del diritto di disporre di un tetto. La proprietà sacra è solo quella delle grandi società immobiliari, interessate a mantenere appartamenti sfitti da far lievitare sul mercato, o di banche e assicurazioni detentrici di un patrimonio immobiliare enorme e passivo come pura voce di bilancio, o anche dello Stato e di enti pubblici che hanno abbandonato al degrado centinaia di strutture perché impegnati a tagliare servizi e spesa sociale. Per non parlare delle immense proprietà immobiliari di Chiesa e Vaticano. Questa è oggi la proprietà interessata a gettare in mezzo a una strada quella stessa popolazione povera cui ha negato il diritto alla casa.

Questa campagna di sgomberi, già operativa, non riguarda la sola questione abitativa. È parte di una campagna "legge e ordine" che il governo delle nuove destre vuole imporre nelle relazioni pubbliche, nelle politiche migratorie, nell'ordinamento giudiziario, nel rapporto di forza con ogni soggetto perturbatore dell'ordine costituito. È la stessa campagna che minaccia i centri sociali, arma di nuove pistole elettriche le forze di polizia, liberalizza la facoltà di sparare a chiunque violi la “sacra” proprietà. È una campagna che cerca il consenso tra le sue stesse vittime dirottando le frustrazioni sociali contro un nemico invisibile, ogni volta diverso e ogni volta uguale: il nemico della “sicurezza”. Ma l'unica sicurezza che in realtà si protegge è quella di chi ha tutto contro chi non ha nulla: è la sicurezza dello sfruttamento, della speculazione, dell'abuso. L'insicurezza del lavoro e della casa per ampie masse è il prezzo della sicurezza per speculatori e parassiti.

Contro questa campagna poliziesca di sgomberi è necessario costruire una resistenza diffusa, capace di coinvolgere nel più ampio fronte unitario tutte le organizzazioni impegnate sul fronte della lotta per la casa, ma anche le forze del movimento operaio e sindacale. Il diritto alla casa è un diritto universale come il diritto al lavoro. Gli sgomberi della forza pubblica devono trovare ovunque una resistenza organizzata e di massa.
In Italia vi sono milioni di persone senza casa, e milioni di case vuote, per un'unica e sola ragione, la ragione del profitto. La rivendicazione dell'esproprio delle grandi proprietà immobiliari e la loro destinazione a fini abitativi deve divenire ovunque una parola d'ordine unificante. Risolvere la questione della casa è possibile. Ma per dare sicurezza sociale a chi non ha casa e lavoro occorre violare la sicurezza del capitale. Solo un governo dei lavoratori, rompendo con la società capitalista, può dare la casa a chi non l'ha.

Il piano sgomberi di Salvini e Di Maio - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=6001)

Lord Attilio
20-09-18, 21:36
Bologna: assemblea pubblica antifascista

Qui un'intervista a Michele Terra (PCL Bologna). [Player in fondo alla pagina linkata]

Il razzismo e una cultura di destra radicale hanno fatto una breccia enorme nelle classi lavoratrici.
Il governo “del cambiamento” di Salvini e 5 Stelle ha fatto sue le parole d’ordine dell’estrema destra, dal razzismo istituzionale contro i migranti, all’omofobia integralista del ministro Fontana, alla sempreverde campagna antizingaro.

Ancora una volta razzismo e fascismo vengono utilizzati dalle destre per dividere la classe lavoratrice, ponendo da una parte i cosiddetti lavoratori autoctoni e dall'altra i migranti.
Sono superflue le richieste di applicazione delle leggi Scelba e Mancino contro le organizzazioni neofasciste, che oggi come ieri godono di sostegni e coperture a livello istituzionale.

Lo stesso Movimento 5 Stelle si è definito sempre in maniera ambigua rispetto ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo, definendosi sempre come né di destra né di sinistra. Emblematica la dichiarazione di Grillo nel 2013: “l’antifascismo non mi compete”.

È necessario e urgente riprendere il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato. In primo luogo recuperandone storia e coscienza.
Per questo proponiamo un appuntamento per il 22 settembre a Marzabotto, un momento di incontro e riflessione, aperto a tutti e tutte coloro si vogliano ancora porre sul terreno di un antifascismo di classe.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Bologna

Bologna: assemblea pubblica antifascista - Partito Comunista dei Lavoratori (http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=6007)

Lord Attilio
09-10-18, 23:25
Solo la lotta di classe può portare il cambiamento!

La politica economica del governo è ancora completamente avvolta nella nebbia. In attesa di atti ufficiali (l’aggiornamento al documento di economia e finanza e la presentazione della legge di bilancio) si rincorrono le voci, più o meno interessate, sui capitoli più importanti.

La confusione non deriva, come dicono gli sconfitti del 4 marzo Pd e Forza Italia, prevalentemente dalla “incompetenza” del governo. È invece il frutto di un dato politico fondamentale: il governo giallo-verde è fermamente intenzionato a fare una manovra che non tocchi gli interessi consolidati.

Non a caso sia Conte che Tria hanno chiarito al forum di Cernobbio, annuale raduno del padronato italiano, che non faranno fughe in avanti, che non si sforerà il deficit, che i “mercati” (pseudonimo del capitale finanziario) verranno tranquillizzati, che non ci saranno nazionalizzazioni e che insomma sono tutti bravi ragazzi e si comporteranno bene.

Di conseguenza il promesso “cambiamento” non arriva, e non arriverà.

Nulla può cambiare se non si è disposti ad attaccare e a scontrarsi duramente con i responsabili dell’attuale situazione, che non sono solo i partiti sconfitti alle elezioni, ma sono gli interessi del capitale di cui sono servitori.

Non si può migliorare la condizione dei poveri se non si è disposti ad attaccare la ricchezza; non si combatte lo sfruttamento se non si combattono gli sfruttatori; non si difendono i lavoratori se non si lotta contro la borghesia.

Le anticipazioni fin qui trapelate sui principali provvedimenti lo dimostrano.


Il reddito di cittadinanza

I giornali borghesi dicono che la proposta è stata ridimensionata a 300 euro, Di Maio ribadisce che saranno 780. Si litiga anche su quanto sarà larga la platea dei potenziali beneficiari. In attesa di chiarimenti, la domanda importante è: come verrà finanziato? Anche le proposte più ridotte implicano esborsi notevoli, diciamo dai 5 ai 17 miliardi all’anno. Dove trovarli? Le ipotesi sono: fondi europei, assorbimento del reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni, assorbimento parziale o totale degli 80 euro di Renzi, assorbimento parziale della Naspi, ossia dell’indennità attualmente in vigore per chi perde il lavoro.

Al di là di come verranno composte le cifre, è evidente che si tratta di una partita di giro: soldi che bene o male già erano destinati ai lavoratori più poveri o ai disoccupati, che cambiano semplicemente voce in bilancio. Nel migliore dei casi verrà magari aggiunto un altro paio di miliardi per finanziare la riforma dei centri per l’impiego, dove, testuali parole del ministro Di Maio, il disoccupato deve trovare un addetto che “gli sorride e gli stringe la mano”. Che gli trovi un lavoro, specie in certe aree del Paese, è tutt’altra questione.


Fisco e pensioni

Come è noto la flat tax è un provvedimento che avvantaggia i redditi alti, in quanto riduce le imposte dirette per le fasce ricche. Questo in accordo alla teoria del noto economista Matteo Salvini secondo il quale “i ricchi spendono” (non lo sfiora il dubbio che i poveri in proporzione spendono di più, dovendo soddisfare bisogni basilari). Ad ogni modo il ministro Tria propone di partire dall’aliquota più bassa, portandola dal 23 al 22 per cento, provvedimento che beneficerebbe tutti. Ottimo. E le famose coperture? Tria ha chiarito che si può coprire la spesa riducendo o abolendo le “tax expenditures”, le quali per farci capire sono le detrazioni fiscali, che effettivamente sono una giungla.

Peccato però che le detrazioni vadano quasi sempre a beneficio dei redditi bassi o medio bassi. Anche qui pertanto si fa un bel gioco delle tre carte per redistribuire la miseria sempre fra gli stessi.

Ancora più nebulose le proposte sulle pensioni: criteri, rendimenti, coperture. La “quota 100” (somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) verrà pesantemente annacquata sia mantenendo un’età minima di 64 anni (Salvini chiede 62) per andare in pensione, sia probabilmente andando a ridurre ulteriormente i rendimenti e usando quei criteri selettivi più utili alle aziende che devono ristrutturare e che non sanno cosa farsene degli ultra sessantenni nei reparti.

Con la “pace fiscale” poi la Lega cerca il classico scambio con quei settori di piccola e media borghesia che costituiscono uno dei suoi bacini elettorali di riferimento. Lo Stato vanta teoricamente 1.000 miliardi di crediti, ma gran parte sono irrecuperabili (soggetti o aziende falliti, deceduti, ecc.) e quanto più spesso si ripropongono misure di sanatoria, quanto più chi deve pagare tenderà ad aspettare la prossima occasione. La realtà è che i condoni (perché di questo si tratta) perdono forza quanto più vengono ripetuti, e sono decenni che si ripetono. Tria prevede entrate per 3 miliardi, Salvini dice che saranno 20… in ogni caso è una entrata una tantum che certo non può coprire provvedimenti strutturali.

La sostanza è che nel migliore dei casi il governo sposterà alcuni miliardi, diciamo uno 0,5 per cento del Pil, suddividendolo tra i diversi bacini elettorali dei due partiti della maggioranza a seconda dei rapporti di forza che si stabiliranno.


Il debito pubblico

Al convegno di Cernobbio Tria ha garantito che non si sforerà il deficit del 3 per cento, spiegando che non ha senso ricavare qualche miliardo in più da spendere in deficit se poi questo va speso in maggiori interessi per l’aumento dello spread. Intanto le tensioni sui mercati di agosto costeranno circa un miliardo in più quest’anno e tra 4 e 4,5 miliardi nel 2019, secondo la Ragioneria generale dello Stato (il Sole 24 ore,
10 settembre). Si potrebbe quindi arrivare a una spesa per interessi sul debito di 68 miliardi nel 2019, con l’aggravante che la prevista crescita del Pil è già stata ritoccata al ribasso.

In sintesi, nel migliore dei casi il debito pubblico calerà di ben lo 0,1 per cento rispetto al Pil. L’obiettivo di portare il rapporto debito/Pil sotto il 124 per cento entro il 2020 appare sempre più chimerico. Non sappiamo se l’Unione europea farà finta di non vedere o se tenterà di imporre un maggiore “rigore” sui conti. Ciò che conta è che questi dati confermano in modo inequivocabile che i margini di manovra del governo sono strettissimi e lo saranno anche in futuro.


La questione delle nazionalizzazioni

I casi di Autostrade e Ilva confermano in modo esplosivo che fino a quando i principali gruppi industriali sono in mano privata non saranno garantiti occupazione, salvaguardia ambientale, interesse pubblico. Dopo le sparate di agosto il governo ha già cambiato i toni. Conte dichiara che non ci saranno nazionalizzazioni. È vero che Autostrade è sotto scacco dopo la strage del Ponte Morandi e potrebbero essere costretti a fare un passo indietro, ma concretamente non si vede nulla di chiaro.

In Italia la storia dell’industria di Stato è vecchia di oltre 80 anni, quando il fascismo ricorse all’intervento dello Stato (lo stesso che negli Usa fece Roosevelt col New Deal) per fronteggiare le conseguenze della crisi del 1929. Ma questa storia ha sempre avuto un filo conduttore: socializzare le perdite, privatizzare i profitti. Lo Stato andava bene per rilevare settori in crisi, per costruire infrastrutture troppo onerose per il capitale privato (ferrovie, autostrade, reti), quando poi si trattava di raccogliere i frutti allora si faceva spazio al capitale privato, come è accaduto con i Riva per l’Ilva, i Benetton per Autostrade, i vari capitalisti italiani e stranieri che si sono arricchiti con la svendita di Telecom, Enel, Eni, e via di seguito.

Se anche oggi passasse la posizione di nazionalizzare Autostrade (cosa quantomai dubbia) non abbiamo dubbi che verrebbero concessi lauti indennizzi, tempi lunghi e compensazioni di ogni genere.

Eppure salta agli occhi come la nazionalizzazione sia un passo indispensabile per garantire occupazione, servizi, sicurezza e salvaguardia dell’ambiente.

La vicenda Autostrade ormai è fin troppo chiara, ma anche il caso dell’Ilva lo conferma. Gli impegni della nuova proprietà sono modesti ma soprattutto pressoché impossibili da garantire. Una volta che ArcelorMittal (ricordiamolo: il maggiore gruppo siderurgico al mondo) avrà il controllo dello stabilimento, chi avrà la forza per imporre il rispetto dei limiti delle emissioni o una ristrutturazione assai più costosa che liberi dall’impiego del carbone?

La storia dei Riva lo dimostra, solo il sequestro dell’impianto ha fermato temporaneamente il disastro ambientale, ma in mancanza di una prospettiva di ristrutturazione e riconversione tutto si è risolto con l’attuale passaggio ad ArcelorMittal. Una diversa prospettiva può essere fornita solo da una gestione pubblica, nella quale: 1) i profitti non vadano a ingrassare gli azionisti e le banche ma servano per i necessari investimenti anche sul terreno ambientale, oltre che per garantire salari, diritti e condizioni di sicurezza per i lavoratori dell’impianto; 2) a questo scopo il controllo sia in mano non a un consiglio d’amministrazione nominato dagli azionisti, bensì ai lavoratori stessi attraverso i loro rappresentanti e le loro organizzazioni, affiancati da rappresentanti pubblici del territorio e nazionali che 3) possano avvalersi della collaborazione dei tecnici, della medicina del lavoro, ecc.

L’esempio dell’Ilva, che vale alla lettera anche per Autostrade (in questo caso nella gestione dovrebbero entrare anche rappresentanti dell’utenza) dimostra la differenza tra le nazionalizzazioni borghesi (indennizzo ai proprietari, gestione a manager di Stato che seguono la stessa logica dei privati, prospettiva della successiva nuova privatizzazione) e le nazionalizzazioni che dovrebbe portare avanti un governo che rappresenti davvero gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari.

Qualsiasi politica economica realmente alternativa parte necessariamente da un attacco diretto al grande capitale. Se non si attaccano profitto, interesse e rendita il miglioramento delle condizioni delle masse rimane un’utopia, in particolare in una epoca di crisi generale del capitalismo.


“La proprietà privata è sacra!”

Non è un caso allora se mentre si promettono miracoli, si preparano nuove misure repressive tra le quali una stretta contro gli occupanti di case. Salvini come sempre si è fatto scudo dei sacrosanti diritti del risparmiatore che magari ha comprato la casa per i figli e se la trova occupata, e ha proclamato che “la proprietà privata è sacra!”, il che potrebbe diventare il vero slogan del suo partito. Peccato che mentre la proprietà privata viene dichiarata sacra il patrimonio pubblico, compreso quello immobiliare, sia stato saccheggiato da decenni di privatizzazioni; che non si costruisca quasi più un alloggio popolare; che banche, assicurazioni e immobiliari siano tra i proprietari che più si sono arricchiti sul mercato degli alloggi e dell’edilizia; che, infine, tutto questo porti a una situazione in cui ci sono circa 7 milioni di case vuote (e non sono tutte in zone turistiche o in comuni spopolati dall’emigrazione).

Il risultato è che circa 67mila sfratti che potrebbero essere facilmente risolti diventano una emergenza sociale.

Il “cambiamento” si fa con la lotta di classe!

1) Colpire il capitale finanziario. Fino a quando ogni anno si devono pagare decine di miliardi di interessi sul debito pubblico, ogni vera riforma rimane utopia. È impossibile alleggerire il carico fiscale sulle classi più povere, in particolare le imposte indirette come l’Iva o le famose accise, che Salvini prometteva di abolire e che sono ancora tutte al loro posto. Il debito pubblico è già stato ampiamente ripagato, se consideriamo che in 20 anni sono stati restituiti circa 1.900 miliardi di soli interessi.

Il debito va ripudiato, le banche, che hanno beneficiato dei salvataggi pubblici e del denaro facile fornito dalla Bce devono essere nazionalizzate e fuse in un unico sistema pubblico.

2) Colpire le grandi ricchezze mobiliari e immobiliari: tassare pesantemente i patrimoni, espropriare la grande proprietà immobiliare e fondiaria.

3) Nazionalizzare Autostrade e Ilva; avviare un piano di nazionalizzazioni a partire da quanto è stato privatizzato negli ultimi trent’anni (Telecom, Eni, Enel, municipalizzate, ecc.), nonché quelle aziende che delocalizzano, inquinano, licenziano, dismettono il patrimonio produttivo.

4) Si indennizzino solo i piccoli azionisti che ne dimostrano l’effettiva necessità.

Solo con queste risorse industriali e finanziarie e con la partecipazione attiva e organizzata dei lavoratori, dei giovani, dei disoccupati, sarebbe possibile avviare un piano economico rivolto ai bisogni sociali, ambientali, culturali della grande maggioranza della popolazione e non ai profitti di una minoranza sempre più ristretta e rapace.

Siamo assolutamente convinti che milioni di persone comuni che attendono con fiducia che questo governo porti loro un reale cambiamento, quando toccheranno con mano che questo non arriva, giungeranno all’unica conclusione corretta: che il cambiamento arriva solo con la lotta collettiva, con la lotta di classe diretta e aperta nella quale i lavoratori e tutti gli sfruttati si organizzano in difesa dei propri interessi e del proprio futuro.

https://www.rivoluzione.red/solo-la-lotta-di-classe-puo-portare-il-cambiamento/

Lord Attilio
09-10-18, 23:27
Decreto sicurezza – Clandestinità per i profughi, repressione chi lotta

Tanto tuonò che piovve.

Il decreto legge “Sicurezza” approvato all’unanimità dal consiglio dei ministri si inserisce completamente nella propaganda razzista di Matteo Salvini.

Il Dl cancella nei fatti la protezione umanitaria e ridimensiona lo Sprar (sistema di protezione dei richiedenti asilo), a cui potranno accedere solo i minori non accompagnati e coloro già titolari di protezione internazionale. Numerosi giuristi illustrano che stimano così esclusi il 90 per cento dei richiedenti asilo. Gli immigrati “clandestini” di certo non scompariranno per effetto del decreto legge: avremo semplicemente più persone a cui verrà negato il permesso di soggiorno, che vivranno di espedienti e alla mercè della criminalità organizzata e dei caporali. Si verificherà la crescita della carne da macello da sfruttare da parte dei padroni, a cui Salvini ha già promesso a suo tempo di alleggerire la legge sul caporalato.

A parole si dichiara guerra ai clandestini, in realtà il decreto sarà una vera e propria fabbrica di clandestinità.

I reati degli immigrati varranno doppio, arrivando fino alla revoca della cittadinanza italiana! Viene aumentata la casistica per la quale si può procedere al rimpatrio o alla revoca dello status di rifugiato (non a caso sono introdotte la violenza e la resistenza a pubblico ufficiale). Se esisterà più gente che vive ai margini della società sarà più facile soffiare sul fuoco della xenofobia e gonfiare quel clima di emergenza permanente che tanto fa comodo al governo gialloverde.

In questo provvedimento, Salvini si inserisce sul solco indicato dal suo predecessore, Minniti (Pd) che aveva già limitato i diritti giuridici dei profughi e aumentato il numero dei centri per il rimpatrio. Il governo Gentiloni aveva già creato i presupposti perché gli immigrati diventassero cittadini di serie B, oggi Salvini lo fa diventare realtà.

Con questo decreto il governo non dichiara solo guerra ai “clandestini”, ma la estende a tutti coloro che oseranno ribellarsi contro l’ordine costituito. Viene esteso l’uso del Taser, anche prima della fine del periodo di sperimentazione, dandolo in dotazione ai vigili urbani nelle città superiori ai 100mila abitanti.

Le aree di applicazione del Daspo urbano (altra creazione di Minniti e Orlando) vengono allargate ospedali, fiere, mercati, pubblici spettacoli. Insomma il Daspo contro gli ultras, introdotto all’epoca con il consenso unanime di quasi tutte le forze parlamentari, serviva come apripista per una sua futura applicazione generalizzata.

Per chi partecipa a blocchi stradali, le sanzioni non saranno più solo amministrative, ma anche penali.

Un evento visto in decine se non centinaia di lotte operaie (e non solo) come il blocco temporaneo di una strada diventa un reato penale, con l’aggravante per i lavoratori extracomunitari una condanna già in primo grado potrebbe portare all’espulsione.

Per chi si fa “promotore dell’invasione di terreni ed edifici”, la pena passa a 4 anni di reclusione e la multa da 264 a 2064 euro. Chi occupa un edificio può essere punito fino a due anni di carcere. Per le indagini si potranno utilizzare anche le intercettazioni telefoniche. Sono tutte pene raddoppiate rispetto al codice Rocco, ministro della giustizia ai tempi di Mussolini.

Si vogliono colpire le lotte presenti e future, ma si va anche oltre: vengono criminalizzati tutti coloro che dissentono o semplicemente solidarizzano con le proteste. Lo si fa partendo dall’anello più debole, gli immigrati, credendo di ottenere facili consensi, per passare a tutta la società.

Al desiderio di “legge e ordine” si allineano tutti i poteri dello Stato. Il caso dell’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ne è un esempio. La magistratura dimostra ancora una volta di non godere di alcuna indipendenza o autonomia davanti al volere della classe dominante e ai suoi partiti. Il modello di accoglienza del comune calabrese infatti è incompatibile con il vero e proprio “razzismo di Stato” di cui il vicepremier è fra i principali promotori.

Proprio per questo per fermare questo decreto non ci si può affidare al Presidente della repubblica o alla Corte costituzionale, che al massimo potranno modificarne solo alcuni aspetti del tutto secondari. Solo il conflitto di classe può sconfiggere Salvini. La solidarietà creatasi in questi giorni attorno a Mimmo Lucano fa comprendere che l’arroganza della Lega ha un limite: l’indignazione di milioni di giovani e lavoratori davanti alle ingiustizie. Indignazione che deve essere organizzata, in un programma che unisca lavoratori italiani e immigrati nella lotta.

https://www.rivoluzione.red/decreto-sicurezza-clandestinita-per-i-profughi-repressione-chi-lotta/

Lord Attilio
24-10-18, 14:59
Sinistra e “sovranismo”

“Sovranista” è l’insulto del momento, l’epiteto che la classe dominante usa per etichettare partiti e leaders politici che giudica ostili agli interessi capitalistici e in particolare alle istituzioni dell’Unione europea.

La parola d’ordine della borghesia liberale in Europa l’ha riassunta Massimo Cacciari proponendo “un fronte da Macron a Tsipras” contro “populisti e sovranisti”.

Di conseguenza fra un settore di militanti e di organizzazioni della sinistra si sta affermando una sorta di reazione a specchio: se la borghesia dice che il sovranismo è negativo, allora dobbiamo in qualche modo rivendicare questo concetto.

Riteniamo importante analizzare le posizioni in questo senso provenienti da organizzazioni come Rete dei Comunisti, Usb, Eurostop che giustamente rifiutano l’ennesima riproposizione di una alleanza di centrosinistra e che promuovono per il 20 ottobre una manifestazione che pone al centro la parola d’ordine delle nazionalizzazioni.

Ma proprio perché crediamo esista un terreno possibile di azione comune non vogliamo nascondere le nostre critiche, convinti come siamo che la chiarezza teorica sia indispensabile per costruire qualcosa di solido nel campo di una sinistra che si voglia rivoluzionaria. Per motivi di spazio rimandiamo a un testo futuro la disamina di questo dibattito a livello europeo.

“Sovranità popolare” o dominio di classe?

Dante Barontini nel testo Sovranità, sovranismo e sciocchezze spiega giustamente che parlare di sovranità in politica si riduce a una semplice tautologia, e che la questione decisiva è chi esercita tale sovranità. Giustissimo. Ma altrettanto giusto è domandarsi come, per quale mezzo, si esercita tale sovranità. Scrive Barontini: “In una democrazia in senso lato questo potere sovrano appartiene al popolo, come recita anche l’articolo 1 della Costituzione nata dalla Resistenza”.

Ci permettiamo di chiedere: il “popolo” non si divide forse in classi sociali contrapposte e in lotta fra loro? E la “sovranità”, non si esercita forse attraverso un apparato repressivo, poliziesco, burocratico, giudiziario e politico che stabilisce le leggi e ne garantisce l’applicazione, se necessario con la forza? Davvero possiamo buttare a mare duecento anni di elaborazione del marxismo e di esperienza concreta del movimento operaio e tornare al Contratto sociale?

Non a caso nell’elaborazione della sinistra “sovranista” non si incontra mai una definizione precisa dello Stato e del potere politico. Tanto varrebbe a questo punto accontentarsi delle parole del primo ministro Conte, che nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu ha appunto esordito dicendo che quando accusano il governo Salvini-Di Maio di essere sovranista e populista lui risponde citando l’articolo 1 della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo” ecc.

In una società divisa in classi la sovranità non appartiene mai al “popolo”, ma alla classe che detiene il potere economico e che difende tale potere attraverso il suo monopolio della forza, ossia col controllo dell’apparato statale. Possibile che dei comunisti, dei militanti classisti, abbiano dimenticato questa verità elementare?

Recentemente Di Maio e altri esponenti del governo si sono scagliati contro quegli alti dirigenti dei ministeri che boicottano il nuovo governo. Hanno scoperto così che “prendere il governo” in questa società significa ben poco. Che l’intero apparato amministrativo, burocratico, repressivo, soprattutto nei suoi livelli dirigenti, è formato da una burocrazia consolidata, selezionata da generazioni per servire gli interessi della classe dominante.

Di Maio, che è un piccolo borghese ignorante, attribuisce questa cattiva volontà ai dirigenti “nominati dai partiti”. Ma per i marxisti la questione è ben più profonda e va diretta al punto del dominio di classe.

Il ruolo degli Stati nazionali

Lo Stato nazionale è stato la creazione per eccellenza della borghesia sul piano politico. La rivoluzione borghese si è affermata storicamente creando gli Stati nazionali in contrapposizione tanto alla frantumazione economica, politica e amministrativa degli staterelli feudali, quanto agli imperi multinazionali. Tuttavia il capitalismo dal punto di vista economico è un sistema mondiale, il primo che ha stabilito l’unità economica del pianeta e una divisione del lavoro su scala mondiale.

Questo sviluppo, già prefigurato nelle pagine del Manifesto comunista, costituisce una enorme conquista e progresso di questo sistema rispetto ai suoi predecessori, ma al tempo stesso è anche uno dei fattori della sua crisi. Da un lato, infatti, le forze produttive (industria, trasporti, comunicazioni, ricerca scientifica, ecc.) si sviluppano su scala planetaria; dall’altro il potere della classe che le controlla, ossia della borghesia, rimane strutturato sulla base degli Stati nazionali. Oggi l’esistenza dello Stato nazionale, e in particolare dei “piccoli” Stati europei, è altrettanto irrazionale e reazionaria di quanto lo era quella degli staterelli dell’Italia o della Germania prima che venissero unificate. Questo è precisamente uno dei motivi della crisi storica del capitalismo, altrettanto fondamentale dell’altra grande contraddizione, ossia la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Il problema è che tutte le posizioni “sovraniste” a sinistra ignorano completamente il punto centrale, ossia i limiti insuperabili dell’economia capitalista e dello Stato borghese, o cercano di aggirarli con proposte confuse. Gli economisti Luciano Vasapollo e Rita Martufi ad esempio presentano nel loro nuovo libro La vendetta dei maiali la proposta di uscire dall’euro: 1) Uscita concertata dall’euro dell’area “euromediterranea” (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) mediante 2) creazione di un “simbolo monetario inizialmente anche virtuale – criptomoneta, moneta di conto e compensativa”. 3) Ridenominazione del debito nella nuova moneta. 4) Rifiuto di una parte del debito e rinegoziazione o azzeramento dello stesso e infine 5) Nazionalizzazione delle banche e controllo, fino al blocco temporaneo, dei movimenti dei capitali in uscita.

Uscire dall’euro senza uscire dal capitalismo?

Ma queste proposte assumono un senso realmente progressivo solo all’interno di una prospettiva di potere dei lavoratori, ossia se messe in atto da un potere che non è più l’apparato statale costruito dalla borghesia, bensì una struttura di autogoverno dei lavoratori e delle classi popolari (soviet, consigli, assemblee popolari). Altrimenti non staremmo parlando altro che di come gestire l’insolvenza dello Stato: certo anche in quel caso sarebbe nostro compito lottare per fare ricadere il più possibile le perdite sul capitale e sulla rendita, ma si tratterebbe di una lotta difensiva paragonabile a quella dei lavoratori che di fronte al fallimento della fabbrica lottano per farsi riconoscere i propri crediti o per ottenere una buonuscita dalla svendita dei macchinari.

Vasapollo e Martufi riconoscono esplicitamente che “il cambio di moneta non porta in sé nessun tipo di avanzamento nella correlazione delle forze a favore dei lavoratori; anzi, è il contrario.” Tuttavia non avanzano mai chiaramente la prospettiva di una rottura con il capitalismo. Usano invece un campionario di espressioni confuse: “monete sganciate dai circuiti finanziari egemonizzati dai poli imperialisti… progetti di politica monetaria a chiaro connotato antimperialista e di protezionismo solidale di classe… processi di transizione reali perché possibili”, ecc.

L’esempio del Venezuela e dell’Alba, l’area di cooperazione attorno ad esso, viene portato in maniera completamente acritica come modello da seguire, quando è del tutto evidente che la crisi economica profondissima e l’iperinflazione che attanagliano l’economia venezuelana (oltre al burocratismo dilagante) dimostrano precisamente i limiti insuperabili di queste “transizioni” generiche che rifiutano la rottura col capitalismo.

Un altro errore di questi autori è l’idea che tra i paesi “euromediterranei” ci possa essere una cooperazione paritaria e vantaggiosa per tutti che invece sarebbe preclusa nell’area dell’Euro a causa del dominio industriale tedesco. In realtà Italia, Grecia, Spagna e Portogallo non sono affatto economie simili né particolarmente integrate fra loro. Per fare solo un esempio, in termini di Pil pro capite la Grecia è più lontana dall’Italia di quanto l’Italia non sia dalla Germania. Su basi capitaliste non esiste una cooperazione vantaggiosa per tutti. Basti pensare alla divisione nord-sud che il capitalismo italiano perpetua e aggrava da un secolo e mezzo.

Si idealizza la democrazia borghese

Se Vasapollo e Martufi non esplicitano la necessità della rottura col capitalismo come sistema economico, Barontini fa lo stesso sul piano politico, ossia dello Stato. La sua critica all’Unione europea è infatti la seguente: “La sovranità si concentra in centri decisionali non elettivi (…). Il soggetto della sovranità è qui una oligarchia tecno-burocratica, quasi una nuova “classe di prescelti” con criteri non democratici, che prende decisioni che riguardano mezzo miliardo di esseri umani senza mai passare dalla verifica elettorale.”

E, dopo una critica del tutto condivisibile al “potere dei mercati”, conclude come segue:

“Abbiamo scoperto che ci sono diversi livelli di sovranità e anche diverse fonti di legittimazione.

C’è quella popolare, che storicamente può avere un ambito territoriale di applicazione anche assai variabile (nazionale o internazionale, in prospettiva storica anche mondiale), orientamenti politici anche opposti (socialismo, democrazia liberale, fascismo).

C’è quella sovranazionale a dimensione quasi continentale, che viene incarnata tipicamente da trattati e istituzioni dell’Unione europea.

C’è quella dei mercati, che non ha confini precisi, è tendenzialmente globale pur essendo orientata da interessi di piccolissimi gruppi (gli azionisti di controllo).”

Siamo quindi alla completa idealizzazione della “sovranità popolare”, che però da marxisti rivoluzionari vorremmo chiamare col suo nome, ossia democrazia borghese. Dove si possa arrivare su questa china lo dimostra Stefano Fassina, che in quanto neofita del campo “sovranista” si sente in dovere di fare sfoggio di zelo e si è sperticato in lodi per il “coraggioso e necessario” sforamento del deficit al 2,4 per cento, schierandosi di fatto a fianco del governo gialloverde.

Si parla della “sovranità dei mercati”, che più correttamente dovremmo chiamare “dittatura del capitale”. Ma tale sovranità non esiste nel vuoto, si esercita precisamente attraverso l’apparato statale, le sue leggi, il suo monopolio della repressione. A prescindere dalla sua forma istituzionale (parlamentare, dittatoriale, civile, militare, federale, ecc.) il contenuto reale della sua attività è il medesimo: la difesa del potere della classe dominante.

A meno di non voler tornare alle fantasie no global di moda qualche anno fa, quando i vari Toni Negri, Bertinotti, ecc. teorizzavano che lo Stato nazionale non esisteva più e che il potere capitalistico prescindeva da esso. Ma ci pare che oggi, in un’epoca di guerra commerciale, corsa al riarmo, protezionismo, autoritarismo rampante, il ruolo decisivo dello Stato come strumento centrale del dominio capitalistico sia difficile da contestare.

La prospettiva rivoluzionaria

Tutto questo significa che la questione dell’Unione europea, della rottura con i suoi Trattati e con la moneta unica sia questione indifferente? Assolutamente no. Politica interna e politica estera sono l’una conseguenza dell’altra. Gli accordi internazionali stretti dalla classe dominante sono parte importante del rafforzamento del suo potere, sia su scala interna (dove vengono usati per imporre una politica economica regressiva), sia per difendere il proprio potere nel mercato mondiale.

Il fatto che l’Unione europea viva una profonda crisi e contraddizioni enormi tra le diverse borghesie nazionali è quindi un grande vantaggio per chi lotta contro il sistema capitalista:

1) Perché l’avversario è diviso e quindi meno capace di rispondere in modo compatto a una lotta di classe condotta con decisione dal movimento operaio.

2) Perché l’Ue è uno strumento fondamentale di integrazione e cooptazione delle burocrazie riformiste sia nella sinistra che nel movimento sindacale, e la sua crisi a sua volta le indebolisce.

Non può esistere alcuna alternativa economica e politica all’interno dell’Unione europea, non perché sia un potere “oligarchico”, “sovranazionale” o altro, ma per lo stesso esatto motivo per cui non può esistere all’interno di questo Stato: per la sua natura di classe. Ogni altra lettura porta inevitabilmente a uno scivolamento opportunista nei confronti del populismo borghese e piccolo borghese che politicamente disarmerebbe la sinistra di classe così come la subordinazione all’europeismo ha demolito il riformismo di sinistra in Italia e non solo.



(Sono qui citati i testi di D. Barontini Sovranità, sovranismo e sciocchezze, L. Vasapollo e Rita Martufi, I paesi europei hanno visogno di una moneta diversa dall’euro, entrambi reperibili su contropiano.org. L’appello di Fassina per “Patria e Costituzione” è pubblicato sull’Huffington post).

Lord Attilio
24-10-18, 15:05
Devo dire che pur essendo trozkisti, problema difficilmente superabile, i compagni di Sinistra Classe Rivoluzione sono molto più ragionevoli e usano argomenti molto più condivisibili rispetto alla maggior parte dei trozkisti, che solitamente sono ultra-settari, rabbiosi e identitari.

Geralt di Rivia
18-10-21, 12:53
I socialcomunisti come Gian Maria, dicono che il marxismo leninismo non è mai stato applicato perchè c'era il capitalismo di stato.

Ma in Unione Sovietica c'era il Partito Unico che controllava tutto, e la proprietà privata non esisteva, quindi mi pare strano.

Allora c'erano persone libere di possedere beni che non erano controllate dallo stato a me non pare.

Gian_Maria
18-10-21, 19:19
I socialcomunisti come Gian Maria, dicono che il marxismo leninismo non è mai stato applicato perchè c'era il capitalismo di stato.
Il comunismo (o socialismo) non è mai stato applicato. Il capitalismo di stato è un prodotto del "marxismo-leninismo".