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Visualizza Versione Completa : Il Comunismo, il bene e la demonizzazione degli avversari



Pieffebi
05-03-02, 20:21
Nel contesto di quello che Max Weber chiamava il "disincantamento dell'uomo moderno", destinato a vivere "in un'epoca estranea a Dio e senza profeti", avviene quel processo di "secolarizzazione" della pulsione religiosa che si concretizza nelle ideologie politiche salvifiche. Nel comunismo moderno, che trova nel marxismo la sua sistematizzazione teorica ed ideale, vi è una fedele riproduzione del modello teologico giudaico-cristiano: una teleologia storica che si presenta... come escatologia "materialistica". Lo schema tuttavia è completamente importato dall'idealismo hegeliano e dalla sua "dialettica", per la quale la storia è "la realizzazione dell'idea della libertà".
La triade dialettica affermazione/negazione/negazione della negazione, si riproduce nello storicismo marxista, nello schema che conduce dal "comunismo primitivo", attraverso la negazione della società divisa in classi, al comunismo moderno. Questo schema è, nella sua sostanza, tendenzialmente ineluttabile.
La società che profetizzano Marx, Engels e poi Lenin, come "processo di storia naturale" e con "metodo scientifico", è il novello Eden, la società senza Stato, senza gerarchie sociali, politiche, senza denaro, senza tribunali, senza prigioni, senza divisione del lavoro, senza diseguaglianze. La "nuova età dell'oro", già immaginata da molti utopisti, alcuni dei quali eretici cristiani, che si presenta però non più come utopia, come sogno, ma appunto come "previsione scientifica". Un paradiso terreste senza Dio, creato direttamente dagli uomini come realizzazione del loro divenire finalmente integralmente tali. Non dimentichiamo che per Marx la storia è, infatti, "l'umanizzazione della scimmia".
Dunque il comunismo ha come fine la felicità umana, una felicità generale ed universale (ed in ciò si differenzia senz'altro dal nazionalsocialismo che persegue la felicità della sola razza ariano-nordica, ovvero ritiene che il bene dell'umanità consista nella dominazione di questa e nell'eliminazione della "peste giudaica").
Quindi, si dice, come ci si può contrapporre ragionevolmente all'IDEA del comunismo?
Contrapporsi all'idea del bene significa logicamente e necessariamente essere malvagi, essere dalla parte del male.
Se il comunismo persegue il bene, allora l'anticomunismo è l'anti-bene, ossia il male.
Semplice no? Elementare direi...in apparenza.
Il processo rivoluzionario che porterà al nuovo Eden, è ovviamente un processo complesso, che determinato dalle "contraddizioni insanabili della società borghese", porterà nel fuoco delle lotte di classe e nell'edificazione dei nuovi rapporti sociali di produzione, a forgiare "l'uomo nuovo socialista".
Nei manoscritti economici-filosofici Marx attribuisce all'uomo una natura "al di fuori di sè". L'uomo è "un essere naturale", ed un essere che non ha la propria natura "fuori di sè", NON è per il giovane Marx un essere naturale. Il Marx più maturo completerà il ragionamento affermando che la "coscienza sociale dell'uomo" è DETERMINATA dal suo "essere sociale", per cui al mutare di questo ultimo muta necessariamente anche la coscienza. La liberazione non è pertano per il "materialismo storico" un processo ideale, ma materiale. Marx ed Engels ridicolizzeranno, a loro dire, Bauer, Stirner e la sinistra hegeliana e le sue prediche sul mutamento della coscienza degli uomini come base del mutamento della società, o della liberazione dell'individuo.
Tuttavia la coscienza di classe, in quanto determinata da un lato dalla posizione che gli individui occupano nei rapporti di produzione, e dall'altro dalla "ideologia socialista portata agli operai dall'esterno"(Lenin), è un elemento fondamentale del processo.
Quello che appare assurdo o impossibile all'interno della società borghese, non è tale nel contesto di rapporti di produzione comunistici ove è abolita l'appropriazione privata del prodotto del lavoro, ossia il lavoro alienato e, il che è lo stesso, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
La società paradisiaca descritta dai comunisti vuole essere pertanto la realizzazione e realizzabilità dell'utopia. Non è vero, si dice, che essa contrasta con la natura umana e con le "leggi dell'economia e della storia", giacchè la natura dell'uomo è determinata dalla struttura sociale, e con il mutare di questa si trasforma a propria volta.
Questa mondanizzazione scientista della speranza religiosa, della sua escatologia, ha necessariamente esiti totalitari. E' proprio in virtù del fatto che i fini del comunismo sono buoni e paradisiaci, chiunque li ostacoli è forzatamente ritenuto in malafade, e lo fa evidentemente in difesa di propri interessi meschini ed egoistici.
La demonizzazione dell'avversario è connaturata a questa visione allucinata della storia, e non può non estendersi anche alle varianti della stessa ideologia comunista (le eresie), giacchè pare evidente che "qualunque allontanamento dall'ideologia comunista rappresenta un rafforzamento dell'ideologia borghese" (Lenin). Qualunque rottura del fronte unito per il comunismo, qualunque dissidenza che indebolisca l'unità del partito, rafforza oggettivamente l'avversario, e pertanto rappresenta una deviazione da combattere impietosamente, giacchè si frappone di fatto al perseguimento del bene, il comunismo. "L'inferno è lastricato di buone intenzioni" amava ripetere Lenin, soprattutto contro le altre correnti socialiste, quando gli si faceva rilevare che anch'esse perseguivano, in qualche modo, lo stesso scopo finale.
Scrive Ignazio Silone: "Tra il 1921 e il 1927 ebbi varie occasioni di recarmi a Mosca per partecipare, quale membro delle delegazioni comuniste italiane, ad alcune riunioni e congressi dell'esecutivo. Ciò che più mi colpì nei comunisti russi, anche in personalità veramente eccezionali come Lenin e Trotzky, era l'assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni contrarie alle proprie. L'avversario,per il semplice fatto che osava contraddire, era senz'altro un opportunista, se non addirittura un traditore ed un venduto. Un avversario in buona fede sembra per i comunisti inconcepibile(...) E' stato giustamente già osservato che per trovare un'infatuazione analoga bisogna risalire agli antichi processi contro gli eretici"
Mentre la religione teistica cristiana può distinguere la Chiesa come "Corpo Mistico del Cristo" e in quanto tale "indefettibilmente santa", dalla chiesa - comunità di uomini immersa nella storia, fatta da quindi da peccatori, difficilmente il comunismo moderno, avendo ucciso Dio nel proprio cuore, può separare la sua idea dalla sua prassi. Anche perchè proprio la certezza "scientifica" di conseguire il bene e della sua ineluttabile realizzabilità storica, fornisce la base logica e psicologica del suo potenziale totalitario. E ciò a prescindere addirittura dall'elementare constatazione, fatta già dai liberali e democratici radicali tedeschi a Marx ed Engels nel 1847, che l'abolizione della proprietà privata è incompatibile con la conservazione o con la realizzazione delle libertà individuali e politiche.
"L'inferno è lastricato dalle buone intenzioni" amava dire il comunista Lenin. Appunto!

Cordiali saluti.

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Pieffebi
05-03-02, 20:35
Autore Topic: Rosa Luxemburg e il Bolscevismo - per il singor Roderigo
Pieffebi
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posted 15-08-2000 13:07
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Rosa Luxemburg fu, sostanzialmente, una socialdemocratica della sinistra rivoluzionaria del partito, che non gradì affatto il cambiamento del nome del gruppo
spartachista in PC tedesco, piegandosi democraticamente alla maggioranza....
La Luxembug ha espresso, durante la sua vita politica, apprezzamento per l'intelligenza e la coerenza di Lenin, ma anche costante denuncia (fin dalla polemica sulla
natura del partito rivoluzionario, nei primi anni del novecento) alla concezione autoritaria, ultracentralista e sostanzialmente "asiatica" del leninismo. La Luxemburg
attaccò duramente le misure illiberali del potere sovietico, criticò con rigore marxista e internazionalista il dogma leniniano della "autodeterminazione nazionale", prese
le distanze da molte misure di Lenin e Trotzky.
Come socialista di sinistra, tuttavia, la Luxemburg riteneva che le deformazioni antidemocratiche e dispotiche del potere bolscevico fossero determinate
dall'arretratezza sociale della Russia, della sua classe proletaria, e marxisticamente, della sua stessa avanguardia rivoluzionaria. Sempre da socialista di sinistra la
Luxemburg riteneva tuttavia che lo sviluppo della rivoluzione potesse, in futuro, spazzare via le distorsioni iniziali, e, finita la guerra civile, indurre i bolscevichi a
democratizzarsi, anche in vista dell'estensione internazionale della rivoluzione proletaria in paesi evoluti.
In ultima analisi per la Luxemburg la vittoria della rivoluzione tedesca avrebbe fatto della socialdemocrazia rivoluzionaria di quel paese la nuova avanguardia del
movimento mondiale, ridimensionando naturalmente l'influenza dei bolscevichi (che avevano comunque il merito di aver avviato un processo rivoluzionario
progressivo) e inducendoli a seguire gli esempi dei socialisti occidentali su tutte le questioni ove questi manifestavano posizioni più democraticamente mature.
Per questo la Luxemburg, al contrario del grande marxista ortodosso Kautsky, non ritenne di dover rompere del tutto con il bolscevismo ed accettò, sebbene senza
risparmiare critiche assai dure, sostanzialmente la loro transitoria egemonia (dovuta evidentemente al possesso del potere statale nel primo stato socialista del
mondo) nella nuova internazionale proletaria.
Va da sè che la LUxemburg, assassinata nel 1919, non fece in tempo a vedere che la fine della guerra civile non contribuì per nulla alla democratizzazione del
potere sovietico, ma all'opposto alla radicalizzazione della sua natura totalitario-terroristica,fino a sfociare del terrore staliniano.
La Luxemburg non fece neppure in tempo a vedere la repressione di Kronstadt da parte di Lenin e Trotzky, con il massacro dell'avanguardia proletaria della
rivoluzione!
Come la Kollontaj sarebbe stata senz'altro dalla parte degli insorti, come fu dalla parte degli anarchici arrestati dai bolscevichi nel 1918.
Stalin attaccò duramente la Luxemburg come una democratica piccolo-borghese, pur ricordando il suo martirio. Ttotzky ne prese le difese, ma non si mise mai alla
sua scuola, nemmeno quando scriverà le parole autocritiche sulla rivoluzione che ho in altro post di altro forum riportato.Trotzky rimase un comunista, seppur "critico", Rosa
Luxeburg rimase, di fatto, una rivoluzionaria del tipo della socialista di sinistra.
Come liberale non posso certo accettare le teorie di Rosa Luemburg, che restano utopiche, irrealizzabili, comunque violente, e si fondano su un'analisi del capitalismo che i fatti hanno
smentito (soprattutto riguardo al preteso "crollo"), ma non posso nemmeno non rilevare come queste teorie siano decisamente più compatili con il pluralismo
democratico che non quelle comuniste di Lenin, Trotzky, Bordiga, Stalin, Gramsci, Mao, Castro, Pol Pot, che pur molto diversi fra loro hanno alla loro base la
stessa origine bolscevica, con il peccato originale denunciato da Rosa Luxemburg con le seguenti parole "soppressione della democrazia".
Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:36
Roderigo
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posted 15-08-2000 14:29
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L'evocazione di Rosa Luxemborg a sostegno di una critica democratica al bolscevismo, è compatibile con la pretesa di stabilire un principio assoluto d'incompatibilità tra libertà e comunismo?
Roderigo

P.s. come mai Rosa Luxemborg non visse abbastanza?


Pieffebi
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posted 15-08-2000 14:53
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Guarda che il post più sopra è proprio una risposta alla tua domanda, già formulata in termini simili in altro forum.
Comunque, rissumendo:
1) la Luxemburg era una socialista di sinistra, una rivoluzionaria internazionalista, NON una comunista in senso leniniano;
2) la Luxemburg si distingueva dai comunisti leninisti (bolscevichi), per una diversa concezione della democrazia politica, sia interna al partito proletario, sia nella società;
3) la Luxemburg attacco' duramente, l'ultracentralismo leninista e le sue implicazioni dispotico-autoriatarie sin dal 1904, soprattutto nel suo articolo "Problemi organizzativi della socialdemocrazia russa", in particolare la Luxemburg critica due testi sacri leninisti : "Che Fare?" e "Un passo avanti e due indietro".
In tale articolo la Luxemburg scrive testualmente : "L'ultracentralismo sostenuto da Lenin a noi appare come permeato non già di uno spirito positivo e creatore, bensì dello spirito sterile del guardiano notturno.";
4) la Luxemburg attacco' le misure antidemocratiche, dispotiche e terroriste del giovane governo sovietico accusandolo (testuale) di "soppressione della democrazia" ed enunciando il celebre principio, contro la tirannide di Lenin e Trotzky : "La libertà è pur sempre la libertà di chi la pensa diversaente";
5) la Luxemburg critico' molte posizioni, anche teoriche, dei bolscevichi, prima fra tutti quella della "autodeterminazione delle nazioni", e lo fece da un punto di vista internazionalista;
6) la Luxemburg restava una sovversiva, seppur non comunista, ma socialista di sinistra (accettò per deferenza verso la maggioranza il cambiamento di nome del partito, non senza protestare);
7) le sue azioni insurrezionali ed eversive non potevano non scatenare la reazione dello Stato tedesco, retto da un governo di centrosinistra;
8) la polizia la assassino' con il suo compagno K.L., simulando probabilmente un tentativo di fuga dopo un suo arresto.
9) tutto ciò dimostra che il comunismo moderno, nato con Lenin, è incompatibile fin dal principio con la democrazia e la libertà, giacchè gli elementi patologici insiti nella sua ideologia dispotica furono rilevati persino dalla socialdemocrazia rivoluzionaria di estrema sinistra;
10) il comunismo leniniano non è uno sviluppo moderno del marxismo-rivoluzionario, ma una sua involuzione che ha cancellato decenni di marcia della socialdemocrazia (anche nelle sue ali più estreme) verso la democrazia pluralistica;
11) mentre, come la socialdemocrazia ha dimostrato, può esserci un'evoluzione democratica del marxismo classico, sia nella forma revisionista che in quella massimalista, non vi può essere evoluzione democratica del comunismo, senza una rottura radicale con le proprie origini;
12) l'evoluzione democratica del comunismo, è in una parola, inevitabilmente, convergenza verso il socialismo democratico, sebbene verso le sue correnti più a sinistra;
13) ciò si è compiuto con il PDS in Italia (ma non del tutto completamente);
14) chi si dichiara comunista, o si inganna sulla storia e la denominazione che usa, o è potenzialmente disposto a ripercorrere il processo storico che ha generato le mostruosità dei regimi che conosciamo.
Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:38
Caro Pieffebì, di solito, coloro che hanno torto, evocano a sostegno delle proprie presunte ragioni un elenco interminabile di argomenti di modo che almeno qualcuno vada bene.
Il pensiero essenziale di Rosa Luxemburg sul bolscevismo e la Rivoluzione d'Ottbre era il seguente:

"Lenin e Trotsky [...] sono stati i primi che hanno dato l'esempio al proletariato mondiale [...] questo è l'elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso resta loro l'immortale merito storico di aver marciato alla testa del proletariato internazionale, conquistando il potere politico e ponendo praticamente il problema della realizzazione del socialismo [...]. In Russia il problema poteva essere soltanto posto. Non poteva essere risolto. Ed è in questo senso che l'avvenire appartiene ovunque al bolscevismo"

Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, ora in: Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1974, p.595

Roderigo



Pieffebi
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posted 16-08-2000 21:44
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quote:
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Messaggio originario di Roderigo:
Caro Pieffebì, di solito, coloro che hanno torto, evocano a sostegno delle proprie presunte ragioni un elenco interminabile di argomenti di modo che almeno qualcuno vada bene.
Il pensiero essenziale di Rosa Luxemburg sul bolscevismo e la Rivoluzione d'Ottbre era il seguente:

"Lenin e Trotsky [...] sono stati i primi che hanno dato l'esempio al proletariato mondiale [...] questo è l'elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso resta loro l'immortale merito storico di aver marciato alla testa del proletariato internazionale, conquistando il potere politico e ponendo praticamente il problema della realizzazione del socialismo [...]. In Russia il problema poteva essere soltanto posto. Non poteva essere risolto. Ed è in questo senso che l'avvenire appartiene ovunque al bolscevismo"

Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, ora in: Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1974, p.595

Roderigo


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Caro Roderigo,
l'argomento è perfettamente da me anticipato sopra, laddove dico chiaramente che la Luxemburg considerava la rivoluzione russa come l'inizio della rivoluzione proletaria mondiale e si aspettava dall'estensione internazionale della rivoluzione la "correzione" delle deformazioni antidemocratiche impresse dai bolscevichi al processo.
Infatti scrivevo: "Come socialista di sinistra, tuttavia, la Luxemburg riteneva che le deformazioni antidemocratiche e
dispotiche del potere bolscevico fossero determinate
dall'arretratezza sociale della Russia, della sua classe proletaria, e marxisticamente, della sua stessa
avanguardia rivoluzionaria. Sempre da socialista di sinistra la
Luxemburg riteneva tuttavia che lo sviluppo della rivoluzione potesse, in futuro, spazzare via le
distorsioni iniziali, e, finita la guerra civile, indurre i bolscevichi a
democratizzarsi, anche in vista dell'estensione internazionale della rivoluzione proletaria in paesi
evoluti.
In ultima analisi per la Luxemburg la vittoria della rivoluzione tedesca avrebbe fatto della
socialdemocrazia rivoluzionaria di quel paese la nuova avanguardia del
movimento mondiale, ridimensionando naturalmente l'influenza dei bolscevichi (che avevano comunque
il merito di aver avviato un processo rivoluzionario
progressivo) e inducendoli a seguire gli esempi dei socialisti occidentali su tutte le questioni ove questi
manifestavano posizioni più democraticamente mature.
Per questo la Luxemburg, al contrario del grande marxista ortodosso Kautsky, non ritenne di dover
rompere del tutto con il bolscevismo ed accettò, sebbene senza
risparmiare critiche assai dure, sostanzialmente la loro transitoria egemonia (dovuta evidentemente al
possesso del potere statale nel primo stato socialista del
mondo) nella nuova internazionale proletaria."


Io non ho mai detto che Rosa Luxemburg fosse altro che una rivoluzionaria marxista socialista di sinistra, non ho mai voluto farla passare per una liberale. Ho solo dimostrato che PERSINO per una siffatta rivoluzionaria marxista:
1) Lenin e Trotzky avevano ingiustificatamente "soppresso la democrazia";
2) che la dittatura del proletariato, nella visione del socialismo dell'epoca (prima dell'involuzione fanatica e da dispotismo asiatico del bolscevismo) non era affatto come riteneva Lenin "un potere di ferro, al di fuori di qualsiasi legge", assolutamente incompatibile con "le superstizioni democratiche piccolo-borghesi", ma al contrario un rapporto di classe, egemonico, che prevedeva TUTTE le libertà politiche, civili e sociali della "democrazia borghese".
Caro Roderigo il torto è tutto tuo, e dei mostruosi sistemi politici che con fanatica ciecità di ostini a difendere contro ogni evidenza.
E smettila con i grappini !!!

Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:39
posted 17-08-2000 22:43
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quote:
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Messaggio originario di Roderigo:
Caro Pieffebi, se ti diperdi tra mille particolari, può risultarti difficile cogliere la sostanza delle cose.
Rosa Luxemburg criticò gli aspetti antidemocratici del bolscevismo, non malgrado, ma proprio perché fu una marxista, socialista rivoluzionaria. Questo le conferì gli strumenti analitici e il titolo morale per farlo. Titolo morale che i liberali non potevano e non possono avere.

La differenza di fondo tra la Luxemburg e Lenin riguarda la dittatura del proletariato. Per la prima, essa si traduce nella dittatura dei consigli operai, per il secondo nella dittatura del partito. Tale differenza derivava dal fatto che la Luxemburg operava in Germania, il cuore dell'Europa industrializzata, con una forte classe operaia, mentre Lenin operava in un paese arretrato e con una popolazione al 90% contadina. Lenin quindi non poteva puntare sui consigli operai.

Sia la Luxemburg che Lenin erano convinti che la Rivoluzione russa non avrebbe avuto futuro senza una rivoluzione mondiale che investisse in primo luogo i paesi dell'Occidente, i quali avrebbero poi trainato lo sviluppo e la realizzazione del socialismo in Russia. I bolscevichi non attribuivano a se stessi un ruolo egemonico nel futuro del socialismo mondiale, infatti progettavano di stabilire a Berlino la sede dell'Internazionale comunista ed il tedesco fu e rimase negli anni successivi la lingua ufficiale del Komintern.

Roderigo



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PIEFFEBI:


Un passo avanti : ammetti finalmente che la concezione della dittatura del proletariato, da parte di Lenin, implicava necessariamente la dittatura del partito e che vi erano aspetti antidemocratici nel bolscevismo;
due passi indietro: "contestualizzi" questa differenza (meramente teorica e intellettuale) con la particolare arretratezza capitalistica della Russia. Ancora una volta una giustificazione del delitto con il pretesto della "contestualizzazione". D'altro canto in altro forum hai giustificato niente meno che lo sterminio della famiglia imperiale, BAMBINI COMPRESI. Ah, potere della contestualizzazione !!!
Ma torniamo alla Russia del 1917:
Detta arretratezza, secondo i canoni classi del marxismo, difesi, ad esempio, dai menscevichi, avrebbero escluso la possibilità di una rivoluzione socialista.
Lo stesso Lenin aveva formulato, a suo tempo, contro, ad esempio il giovane Trotzky, la teoria della "dittatura democratica degli operai e contadini", che vedeva il giovane proletariato russo, e la sua "avanguardia", alla guida della rivoluzione borghese. Prima dell'aprile 1917, e del ritorno di Lenin, lo stesso partito bolscevico aveva continuato a difendere detta strategia, scatenando le ire del capo.
Trotzky, nel 1905, aveva contrapposto al Lenin della "dittatura democratica" il seguente ragionamento : nella conduzione della rivoluzione borghese il proletariato non può non travalicare i limiti della rivoluzione stessa, ponendosi già da subito delle parole d'ordine socialiste e dei compiti socialistici, ad esempio infrangendo il diritto di propietà (teoria della Rivoluzione Permanente).
Bordiga formulerà a propria volta, più tardi, la teoria della "doppia rivoluzione", secondo la quale la rivoluzione russa del 1917 fu contemporaneamente borghese e socialista. Ossia la rivoluzione socialista, in un paese arretrato, comprendeva in sè l'espletamento dei compiti democratico-nazionali e borghesi.
Nella concezione di Bordiga lo stalinismo, è da interpretarsi come progressivo ACCORCIAMENTO della DOPPIA RIVOLUZIONE, in virtù del fallimento della rivoluzione in occidente e del suo isolamento internazionale in un paese arretrato, alla sola fase borghese.
La CONTRORIVOLUZIONE stalinista per Bordiga ha dato origine, infine, ad un sistema dispotico-bonapartista (falso comunismo staliniano) riconducibile, dal punto di vista economico-sociale, al un CAPITALISMO MONOPOLISTICO DI STATO.

Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:40
Roderigo
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posted 18-08-2000 13:08
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Sul fatto che, senza rivoluzione mondiale, la Rivoluzione d’Ottobre non potesse andare oltre la costruzione di un “capitalismo di stato” lo pensavano pure i bolscevichi.
Caro Pieffebi, che tu sia un attento lettore delle mie battute è meglio che niente. Perciò, riguardo al contenuto dei miei messaggi mi limito a ripeterli. Lo scorso 10 agosto, in una delle mie tante repliche, ho scritto che Lenin, insieme con Berstein, è stato il più grande revisionista del marxismo. A cosa mi riferivo se non al fatto che in Marx il soggetto rivoluzionario è il proletariato ed in Lenin il partito? È ovvia conseguenza che per il primo, il regime transitorio al comunismo sia la “dittatura del proletariato” e per il secondo “la dittatura del partito”. Poteva pensare in modo diverso Lenin, in un paese dove il proletariato industriale era di fatto inesistente?

In un’altra replica ho scritto che i bolscevichi, impegnati anche in una lotta politico-ideologica in seno al movimento socialista internazionale, cercarono di dimostrare la coerenza delle proprie scelte, dettate dalle necessità delle condizioni russe e della guerra civile, con l’ortodossia marxista, quindi provarono anche a dimostrare la coerenza della “dittatura del partito” con la “dittatura del proletariato”.

Siccome parliamo, non di filosofi che pensavano comodamente seduti sotto un albero, ma di leader rivoluzionari che attraversano anni di ferro e di fuoco, non ha senso giudicare il loro pensiero e la loro azione al di fuori di un contesto. I fatti, anche i più elementari, al di fuori di un contesto non hanno nessun significato. Prova altrimenti a rispondere alla domanda se sia giusto oppure no, che un funzionario pubblico circoli in costume da bagno, senza riferirti ad alcun contesto.

Roderigo

P.s. Riguardo alla soppressione della famiglia dello zar, essa fu decida dal Soviet regionale dell’Ural, a Ekaterinburg, mentre la città era tenuta sotto assedio dalle truppe ceche, nel periodo più cruento della guerra civile. La città sarebbe caduta dieci giorni dopo, e la famiglia reale liberata. Il significato della decisione compiuta dal Soviet dell’Ural era chiaro: togliere alla reazione qualsiasi simbolo attorno a cui potersi raccogliere. Dal mio punto di vista, quella decisione fu comprensibile e in fondo giusta. Chi invece ha passato la vita a dire che “i comunisti mangiano i bambini”, potrà vedere in quella decisione una conferma delle sue opinioni.



Pieffebi
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posted 18-08-2000 16:12
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Roderigo prendiamo due frasi "a caso" postate da te :
"Il monopartitismo ed il monofrazionismo sono parte integrante del marxismo-leninismo, solo se ci si riferisce al “vero” marxismo-leninismo (quello scritto con il trattino), cioè all’interpretazione del pensiero di Marx e di Lenin condensata nel “Breve corso di storia del Partito comunista bolscevico russo”, il cui autore è Stalin. Questa è l’autentica ideologia ufficiale dell’Urss. Basarsi su di essa, per dire e ribadire affermazioni generali e definitive su Marx e Lenin o sul comunismo, non è una operazione culturale seria.

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L'Urss non ha conferito tutto il potere ad un solo partito, quello bolscevico. Semmai è stato il partito bolscevico l'unico partito a costruire l'Urss, quindi ne è derivata la simbiosi tra stato e partito. Quello che si potrebbe imputare ai bolscevichi è di non aver promosso un regime democratico e pluralistico, ma non di averlo abolito, dato che esso non esisteva neppure prima del loro avvento al potere."

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Queste due affermazioni sono insostenibili, in relazione al "contesto" ideologico e storico di riferimento.
I bolscevichi hanno soppresso altri partiti, e in primo luogo altri partiti popolari e socialisti (menscevichi, trudovichi, menscevichi internazionalisti, socialisti rivoluzionari di destra, socialisti rivoluzionari di sinistra) oltre che liberali (costituzional democratici, liberalpopolari).
Almeno i partiti socialisti erano rappresentati oltre che nell'Assemblea Costituente (la cui soppressione fu un atto delittuoso contro la democrazia, IN QUEL CONTESTO) anche nei Soviet. Il sistema "elettorale" dei soviet era poi "indiretto" ed "ineguale" (ci volevano più contadini per eguagliare il voto di un solo operaio), quindi assolutamente NON democratico (come insegnava lo stesso Lenin, democrazia vuole dire eguaglianza).
Cosa avrebbero dovuto fare i bolscevichi? : se i liberali non erano in grado di condurre la rivoluzione borghese e conquistare la democrazia in senso pieno, secondo lo stesso programma bolscevico del 1905, difeso dalla redazione della Pravda contro Lenin ancora nell'aprile 1917, dovevano trasformarsi in "combattenti d'avanguardia per la democrazia" (già in Che Fare? - 1902!), imponendola se del caso alla stessa borghesia (soluzione giacobina, in cui la dittatura è "il dispotismo della libertà"). Questo era ciò che, in fondo, i socialisti di tutto il mondo si aspettavano da un partito marxista-rivoluzionario in umn paese "capitalisticamente immaturo" quale la Russia.
Che Fare ? In primo luogo un partito "proletario" in un paese capitalistico arretrato doveva, per il marxismo, spingere fino in fondo la rivoluzione borghese e democratica, iniziando pure incursioni di carattere socialistico sul diritto di propietà (tesi della rivoluzione permanente), ed in secondo tempo fare trascendere la rivoluzione borghese in rivoluzione socialista mutando il contenuto di classe della DEMOCRAZIA con il mutare dei rapporti di forza sociali.

Detto questo, la concezione leninista della dittatura del proletariato non è stata concepita per la situazione particolare della Russia, e nemmeno per i soli paesi "capitalisticamente arretrati".
Lenin combatte le critiche di Kautsky (e della Luxemburg) alla sua visione dispotica della dittatura rivoluzionaria, affermandone la portata ed il valore universale. Non a caso Lenin accusa (a torto) Kautsky di essere un rinnegato, e di avere una concezione LIBERALE della democrazia.
Ovviamente Lenin difende anche la situazione particolare russa, ma solo per meglio affermare i principi generali del suo teorizzare, che è rivolto al movimento operaio internazionale.
Lenin sosteneva che in occidente la guerra civile avrebbe preceduto la presa del potere, laddove il Russia l'aveva seguita. Questa era la principale differenza, a suo avviso, fra i due "contesti".
Lenin non si poneva gli scrupoli di Roderigo per stabilire chi era l'aggressore e chi l'aggredito nella guerra civile, era freddamente "oggettivo" e detestava la "politica moraleggiante", ed era evidente che la rivoluzione non aveva necessità della minaccia della reazione per essere "oggettivamente" giustificata.
La parola d'ordine "O dittatura del proletariato o dittatura reazionaria" era ideologico-propagandistica ed accessoria.
La concezione stalinista del marxismo-leninismo del "breve corso", che (almeno questo!!!) Roderigo critica, non è che una volgarizzazione ed estremizzazione della concezione leninista. La vera differenza attiene (oltre al livello intellettuale, abissamente più elevato in Lenin) al rapporto fra rivoluzione Russa e rivoluzione mondiale.
Il vero contenuto "reazionario" dell'ideologia stalinista sta nella concezione della "costruzione del socialismo in un paese solo", con le conseguenze che questa ha comportata per l'intero impianto teorico e per la prassi del potere (psicosi da fortezza assediata, teoria dell'acutizzarsi della lotta di classe nella fase di transizione ... prassi dell'epurazione continua della dirigenza del partito). Ma TUTTI gli elementi della struttura statale monopartitica, nonofrazionista, dispotico-totalitaria erano già presenti (e non solo in embrione...) nella visione leninista e nella pratica "edificazione" dello Stato sovietico durante il governo di Lenin e Trotzky.
Questo distingue per sempre il comunismo leniniano (prima ancora di quello staliniano, sua radicale conseguenza) dal socialismo di sinistra.
In altre occasioni dimostrerò come, nella prassi, le visioni socialiste di sinistra fossero inattuabili.
Se per contestualizzazione, caro Roderigo, intendi che l'unica "rivoluzione proletaria" possibile è quella comunista-leninista, perchè, ad esempio, quella luxemburghiana non può vincere o durare, hai perfettamente ragione. Ma questo non in Russia ....ma ovunque.
In questo, sul piano della politica come arte del possibile, o della machiavellica separazione fra politica ed etica, aveva ragione Lenin... anche contro Rosa Luxemburg.
In efetti, dialetticamente, si può dire che dal punto di vista etico-politico ed ideale la posizione della Luxemburg era superiore a quella di Lenin e rappresentava un grado di evoluzione del socialismo verso la democrazia infinitamente più alto. Sul piano pratico della realpolitik, quella leninista è l'unica via rivoluzionaria al socialismo, non in Russia, non nel 1917, ma ovunque. La dittatura proletaria si configura necessariamente, essendo frutto di un moto violento, come dittatura del partito rivoluzionario. E la disciplina del partito rivoluzionario deve essere necessariamente di ferro, trattandosi di un "partito-esercito" in guerra permanente.
Per questo si può dire che l'unico sbocco pratico dell'evoluzione democratica del socialismo sia il riformismo, che implica la profonda revisione del marxismo promossa, ad esempio da un E.Bernstein.
Bernstein aveva ragione contro Rosa Luxemburg, perchà portava alle sue logiche conseguenze l'analisi della "stabilizzazione del capitalismo" e della evoluzione democratica del socialismo. "Il movimento è il tutto, il fine è il nulla", la rivoluzione è la lotta per le riforme, per "la conquista della democrazia" e la sua estensione dal piano politico-istituzionale a quello economico-sociale. Questo è il riformismo revisionistico socialdemocratico, che in ultima analisi rinuncia ad ogni abbattimento del capitalismo, limitandosi a promuoverne il governo.
Ma il mio contendere con Roderigo non si spingeva a questo, voleva solo mettere a fuoco, da parte mia, il peccato originale IDEOLOGICAMENTE antidemocratico e totalitario del bolscevismo.
Chi vuole rifondare il comunismo non può non volerne le conseguenze, e se non le vuole, si inganna e inganna coloro (la classe operaia) al quale offre l'idea e la prassi della della "rifondazione".
Per quanto riguarda il criminale assassinio dei principini imperiali da parte dei bolscevichi la questione è ancora una volta di etica politica:
- possono dei bimbi essere eliminati scientemente e barbarmante in quanto simboli, dimenticando appunto che sono dei bimbi, delle giovanissime ed incolpevoli persone umane ?
La mia risposta, come quella della stragrande maggioranza delle persone oneste di destra, centro e sinistra, è un gigantesco NO !
Sull'argomento non ho altro da aggiungere.

Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:41
Roderigo
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posted 19-08-2000 11:19
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Caro Pieffebi, le due affermazioni da me postate, che hai cortesemente riproposto, sono difficilmente attaccabili. I bolscevichi non hanno messo fine ad alcun regime democratico parlamentare ed hanno fondato e costruito l'Urss. Quel che gli si può rimproverare è di non aver saputo poi sviluppare un modello di democrazia popolare alternativo alla democrazia borghese.
Infatti, la soppressione dei partiti ai quali tu ti riferisci non avviene in un contesto di pacifica, stabile, consolidata e democratica legalità istituzionale (come accade invece con i fascismi), ma di guerra civile promossa dalle forze reazionarie, nella quale è in gioco, non solo la sopravvivenza della Rivoluzione, ma della stessa vita dei bolscevichi.

I bolscevichi di fatto svolsero un ruolo di supplenza nei confronti dei liberali, poiché promossero una forma di capitalismo di stato e l'industrializzazione della Russia. Essi attuarono lo sviluppo capitalistico nelle forme possibili in una Russia con una debole borghesia ed un debole proletariato industriale. Non poterono invece applicare il tradizionale principio marxista, secondo cui i comunisti si alleano con i liberali e la borghesia, ogni qualvolta essi combattono contro le forze reazionarie dell'antico regime, poiché in Russia, nel vuoto rivoluzionario apertosi con il crollo del regime zarista, borghesia e aristocrazia furono alleate. Liberali e Borghesi, nella Russia del 1917, non furono insufficientemente rivoluzionari. Furono reazionari.

Ho già scritto, che i bolscevichi, impegnati in una lotta per l'egemonia in seno al movimento socialista mondiale, cercarono di dimostrare la coerenza delle loro scelte con l'ortodossia marxista, e quindi di attribuire una portata universale alle loro teorie, le quali in ogni caso furono maturate in un paese pre-capitalistico. L'alternativa rivoluzione-reazione, propagandistica o meno, si rivelerà vera in tutti e quattro i paesi investiti dall'ondata rivoluzionaria causata dalla "grande guerra": Russia, Germania, Italia, Ungheria.

Ragionare in termini di "peccato originale" è assai poco laico e conduce a propositi di lotta politica di tipo paranoico, quali per esempio il "maccartismo" o, in misura per adesso minore, l'anticomunismo berlusconiano". Chi vuole "rifondare" il comunismo, vuole appunto "rifondarlo", cioè rifarlo dalle fondamenta. Non penso affatto, che quello leninista sia l'unico modello valido di rivoluzione. Lo fu per la Russia del 1917, e lo stesso Lenin, nel 1921, ai partiti comunisti occidentali, indicava la via della partecipazione alle elezioni ed alle organizzazioni sindacali, tanto da essere accusato di "revisionismo besteiniano" da parte dell'ala sinistra di quei partiti.

Sul piano moralistico, a proposito dell'eliminazione della famiglia dei Romanov, puoi aver ragione, non solo per quanto riguarda i bambini, ma anche per le donne e gli adulti. Infatti, finchè poterono i bolscevichi li mantennero prigionieri. Ma sul piano della logica politico-militare non si poteva pretendere che il soviet regionale dell'Ural concedesse in dono i Romanov alle truppe controrivoluzionarie ceche, assedianti la città di Ekaterinburg.

Roderigo



Pieffebi
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posted 19-08-2000 21:50
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Una sola precisazione, è del tutto inesatto che Lenin abbia sostenuto la tattica della partecipazione dei comunisti ai parlamenti borghesi come accettazione di
quella istituzione, e del gioco democratico in occidente. Basta leggere "L'estremismo, malattia infantile del comunismo" per rendersi conto come quanto a
proposito detto da Roderigo, come in molte altre occasioni, è profondamente inesatto.
Lenin concepiva, contro gli ultrasinistri e contro Bordiga, la TATTICA elettoralistica come "utilizzazione rivoluzionaria della tribuna parlamentare" nell'ambito
della "combinazione del lavoro legale e del lavoro illegale".
Lenin non ha mai cessato, nemmeno per un secondo, di attaccare il parlamentarismo e il cretinismo parlamentare dei "socialtraditori", semplicemente rilevava
la stupidtà moralistica degli estremisti nel rinunciare ad utilizzare un'arma di lotta.
Per Lenin, come per il marxismo ottocentesco (Engels), le elezioni parlamentari non erano nulla più che "un termometro" ed un'occasione di agitazione e
propaganda rivoluzionaria.
Contro gli estremisti, Lenin illustrò,tra gli altri, l'esempio della partecipazione dei bolscevichi alle elezioni della Duma (pseudoparlamento zarista) in più
occasioni, a fronte di un solo caso di boicottaggio, motivato dalla situazione particolare.
Non solo, Lenin attaccava la rinuncia degli estremisti (ma non di Bordiga, che su questo era leninista) al lavoro nei sindacati "reazionari", per lo stesso motivo.
Lenin inseriva tutti questi ragionamenti in continuità alla sua concezione della coscienza politica di classe, che come specificato dal "Che fare?", può essere
portata alla classe operaia, solo "dall'esterno", cioè dal partito rivoluzionario, che non deve semplicemente offrire al proletariato dogmi ed analisi precostituite,
ma la pratica dimostrazione, attraverso l'esperienza della lotta concreta, della giustezza dei propri principi.
I pregiudizi piccolo-borghesi e democraticisti della classe operaia, devono essere combattuti, fra l'altro, dimostrando nella prassi ai lavoratori l'insufficienza del
parlamentarismo borghese, la sua natura di classe. Il parlamentarismo è parte integrante dello Stato borghese, che "si abbatte e non si cambia".
"Nel parlamento non si fa altro che chiacchierare con lo scopo deliberato di turlupinare il popolino" scrive Lenin ne "il rinnegato Kautsky", riferendosi non alla
Duma russa, ma alle assemblee elettive della Germania e dell'occidente democratico.
Le motivazioni dello scioglimento dell'Assemblea Costituente e quelle della sua stessa convocazione, appartengono a questa visione della lotta rivoluzionaria, e
del rapporto fra avanguardia cosciente e massa proletaria. Altro che contestualizzazione.
Trotzky in "Terrorismo e COmunismo" dichiara apertamente che i bolscevichi permisero le elezioni in ragione delle superstizioni piccolo borghese degli operai e
dei contadini, nella speranza tuttavia di vincerle. Una volta perse le elezioni lo strumento non serviva, e lo sviluppo delle istituzioni sovietiche poteva svolgere la
funzione di educazione della coscienza politica, oltre che di organizzazione dello Stato della dittatura comunista del proletariato.
La scelta fu ideologica e non "contestualizzata" ad uno stato d'emergenza, che fu poi invocato a rafforzamento delle motivazioni già addotte sul piano
meramente teorico-ideologico.
L'ostilità bolscevica alla democrazia parlamentare era radicale, su scala mondiale, ma non ottusa, non infantile, non masochista.
Per questo fu imposta la tattica dell'utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare...

Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:42
Autore Topic: Rosa Luxemburg e il Bolscevismo - per il singor Roderigo
Pieffebi
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posted 15-08-2000 13:07
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Rosa Luxemburg fu, sostanzialmente, una socialdemocratica della sinistra rivoluzionaria del partito, che non gradì affatto il cambiamento del nome del gruppo
spartachista in PC tedesco, piegandosi democraticamente alla maggioranza....
La Luxembug ha espresso, durante la sua vita politica, apprezzamento per l'intelligenza e la coerenza di Lenin, ma anche costante denuncia (fin dalla polemica sulla
natura del partito rivoluzionario, nei primi anni del novecento) alla concezione autoritaria, ultracentralista e sostanzialmente "asiatica" del leninismo. La Luxemburg
attaccò duramente le misure illiberali del potere sovietico, criticò con rigore marxista e internazionalista il dogma leniniano della "autodeterminazione nazionale", prese
le distanze da molte misure di Lenin e Trotzky.
Come socialista di sinistra, tuttavia, la Luxemburg riteneva che le deformazioni antidemocratiche e dispotiche del potere bolscevico fossero determinate
dall'arretratezza sociale della Russia, della sua classe proletaria, e marxisticamente, della sua stessa avanguardia rivoluzionaria. Sempre da socialista di sinistra la
Luxemburg riteneva tuttavia che lo sviluppo della rivoluzione potesse, in futuro, spazzare via le distorsioni iniziali, e, finita la guerra civile, indurre i bolscevichi a
democratizzarsi, anche in vista dell'estensione internazionale della rivoluzione proletaria in paesi evoluti.
In ultima analisi per la Luxemburg la vittoria della rivoluzione tedesca avrebbe fatto della socialdemocrazia rivoluzionaria di quel paese la nuova avanguardia del
movimento mondiale, ridimensionando naturalmente l'influenza dei bolscevichi (che avevano comunque il merito di aver avviato un processo rivoluzionario
progressivo) e inducendoli a seguire gli esempi dei socialisti occidentali su tutte le questioni ove questi manifestavano posizioni più democraticamente mature.
Per questo la Luxemburg, al contrario del grande marxista ortodosso Kautsky, non ritenne di dover rompere del tutto con il bolscevismo ed accettò, sebbene senza
risparmiare critiche assai dure, sostanzialmente la loro transitoria egemonia (dovuta evidentemente al possesso del potere statale nel primo stato socialista del
mondo) nella nuova internazionale proletaria.
Va da sè che la LUxemburg, assassinata nel 1919, non fece in tempo a vedere che la fine della guerra civile non contribuì per nulla alla democratizzazione del
potere sovietico, ma all'opposto alla radicalizzazione della sua natura totalitario-terroristica,fino a sfociare del terrore staliniano.
La Luxemburg non fece neppure in tempo a vedere la repressione di Kronstadt da parte di Lenin e Trotzky, con il massacro dell'avanguardia proletaria della
rivoluzione!
Come la Kollontaj sarebbe stata senz'altro dalla parte degli insorti, come fu dalla parte degli anarchici arrestati dai bolscevichi nel 1918.
Stalin attaccò duramente la Luxemburg come una democratica piccolo-borghese, pur ricordando il suo martirio. Ttotzky ne prese le difese, ma non si mise mai alla
sua scuola, nemmeno quando scriverà le parole autocritiche sulla rivoluzione che ho in altro post di altro forum riportato.Trotzky rimase un comunista, seppur "critico", Rosa
Luxeburg rimase, di fatto, una rivoluzionaria del tipo della socialista di sinistra.
Come liberale non posso certo accettare le teorie di Rosa Luemburg, che restano utopiche, irrealizzabili, comunque violente, e si fondano su un'analisi del capitalismo che i fatti hanno
smentito (soprattutto riguardo al preteso "crollo"), ma non posso nemmeno non rilevare come queste teorie siano decisamente più compatili con il pluralismo
democratico che non quelle comuniste di Lenin, Trotzky, Bordiga, Stalin, Gramsci, Mao, Castro, Pol Pot, che pur molto diversi fra loro hanno alla loro base la
stessa origine bolscevica, con il peccato originale denunciato da Rosa Luxemburg con le seguenti parole "soppressione della democrazia".
Cordiali saluti.




Roderigo
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posted 15-08-2000 14:29
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L'evocazione di Rosa Luxemborg a sostegno di una critica democratica al bolscevismo, è compatibile con la pretesa di stabilire un principio assoluto d'incompatibilità tra libertà e comunismo?
Roderigo

P.s. come mai Rosa Luxemborg non visse abbastanza?


Pieffebi
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posted 15-08-2000 14:53
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Guarda che il post più sopra è proprio una risposta alla tua domanda, già formulata in termini simili in altro forum.
Comunque, rissumendo:
1) la Luxemburg era una socialista di sinistra, una rivoluzionaria internazionalista, NON una comunista in senso leniniano;
2) la Luxemburg si distingueva dai comunisti leninisti (bolscevichi), per una diversa concezione della democrazia politica, sia interna al partito proletario, sia nella società;
3) la Luxemburg attacco' duramente, l'ultracentralismo leninista e le sue implicazioni dispotico-autoriatarie sin dal 1904, soprattutto nel suo articolo "Problemi organizzativi della socialdemocrazia russa", in particolare la Luxemburg critica due testi sacri leninisti : "Che Fare?" e "Un passo avanti e due indietro".
In tale articolo la Luxemburg scrive testualmente : "L'ultracentralismo sostenuto da Lenin a noi appare come permeato non già di uno spirito positivo e creatore, bensì dello spirito sterile del guardiano notturno.";
4) la Luxemburg attacco' le misure antidemocratiche, dispotiche e terroriste del giovane governo sovietico accusandolo (testuale) di "soppressione della democrazia" ed enunciando il celebre principio, contro la tirannide di Lenin e Trotzky : "La libertà è pur sempre la libertà di chi la pensa diversaente";
5) la Luxemburg critico' molte posizioni, anche teoriche, dei bolscevichi, prima fra tutti quella della "autodeterminazione delle nazioni", e lo fece da un punto di vista internazionalista;
6) la Luxemburg restava una sovversiva, seppur non comunista, ma socialista di sinistra (accettò per deferenza verso la maggioranza il cambiamento di nome del partito, non senza protestare);
7) le sue azioni insurrezionali ed eversive non potevano non scatenare la reazione dello Stato tedesco, retto da un governo di centrosinistra;
8) la polizia la assassino' con il suo compagno K.L., simulando probabilmente un tentativo di fuga dopo un suo arresto.
9) tutto ciò dimostra che il comunismo moderno, nato con Lenin, è incompatibile fin dal principio con la democrazia e la libertà, giacchè gli elementi patologici insiti nella sua ideologia dispotica furono rilevati persino dalla socialdemocrazia rivoluzionaria di estrema sinistra;
10) il comunismo leniniano non è uno sviluppo moderno del marxismo-rivoluzionario, ma una sua involuzione che ha cancellato decenni di marcia della socialdemocrazia (anche nelle sue ali più estreme) verso la democrazia pluralistica;
11) mentre, come la socialdemocrazia ha dimostrato, può esserci un'evoluzione democratica del marxismo classico, sia nella forma revisionista che in quella massimalista, non vi può essere evoluzione democratica del comunismo, senza una rottura radicale con le proprie origini;
12) l'evoluzione democratica del comunismo, è in una parola, inevitabilmente, convergenza verso il socialismo democratico, sebbene verso le sue correnti più a sinistra;
13) ciò si è compiuto con il PDS in Italia (ma non del tutto completamente);
14) chi si dichiara comunista, o si inganna sulla storia e la denominazione che usa, o è potenzialmente disposto a ripercorrere il processo storico che ha generato le mostruosità dei regimi che conosciamo.
Cordiali saluti.



Roderigo
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posted 16-08-2000 21:02
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Caro Pieffebì, di solito, coloro che hanno torto, evocano a sostegno delle proprie presunte ragioni un elenco interminabile di argomenti di modo che almeno qualcuno vada bene.
Il pensiero essenziale di Rosa Luxemburg sul bolscevismo e la Rivoluzione d'Ottbre era il seguente:

"Lenin e Trotsky [...] sono stati i primi che hanno dato l'esempio al proletariato mondiale [...] questo è l'elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso resta loro l'immortale merito storico di aver marciato alla testa del proletariato internazionale, conquistando il potere politico e ponendo praticamente il problema della realizzazione del socialismo [...]. In Russia il problema poteva essere soltanto posto. Non poteva essere risolto. Ed è in questo senso che l'avvenire appartiene ovunque al bolscevismo"

Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, ora in: Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1974, p.595

Roderigo



Pieffebi
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posted 16-08-2000 21:44
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quote:
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Messaggio originario di Roderigo:
Caro Pieffebì, di solito, coloro che hanno torto, evocano a sostegno delle proprie presunte ragioni un elenco interminabile di argomenti di modo che almeno qualcuno vada bene.
Il pensiero essenziale di Rosa Luxemburg sul bolscevismo e la Rivoluzione d'Ottbre era il seguente:

"Lenin e Trotsky [...] sono stati i primi che hanno dato l'esempio al proletariato mondiale [...] questo è l'elemento essenziale e duraturo della politica bolscevica. In questo senso resta loro l'immortale merito storico di aver marciato alla testa del proletariato internazionale, conquistando il potere politico e ponendo praticamente il problema della realizzazione del socialismo [...]. In Russia il problema poteva essere soltanto posto. Non poteva essere risolto. Ed è in questo senso che l'avvenire appartiene ovunque al bolscevismo"

Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, ora in: Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1974, p.595

Roderigo


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Caro Roderigo,
l'argomento è perfettamente da me anticipato sopra, laddove dico chiaramente che la Luxemburg considerava la rivoluzione russa come l'inizio della rivoluzione proletaria mondiale e si aspettava dall'estensione internazionale della rivoluzione la "correzione" delle deformazioni antidemocratiche impresse dai bolscevichi al processo.
Infatti scrivevo: "Come socialista di sinistra, tuttavia, la Luxemburg riteneva che le deformazioni antidemocratiche e
dispotiche del potere bolscevico fossero determinate
dall'arretratezza sociale della Russia, della sua classe proletaria, e marxisticamente, della sua stessa
avanguardia rivoluzionaria. Sempre da socialista di sinistra la
Luxemburg riteneva tuttavia che lo sviluppo della rivoluzione potesse, in futuro, spazzare via le
distorsioni iniziali, e, finita la guerra civile, indurre i bolscevichi a
democratizzarsi, anche in vista dell'estensione internazionale della rivoluzione proletaria in paesi
evoluti.
In ultima analisi per la Luxemburg la vittoria della rivoluzione tedesca avrebbe fatto della
socialdemocrazia rivoluzionaria di quel paese la nuova avanguardia del
movimento mondiale, ridimensionando naturalmente l'influenza dei bolscevichi (che avevano comunque
il merito di aver avviato un processo rivoluzionario
progressivo) e inducendoli a seguire gli esempi dei socialisti occidentali su tutte le questioni ove questi
manifestavano posizioni più democraticamente mature.
Per questo la Luxemburg, al contrario del grande marxista ortodosso Kautsky, non ritenne di dover
rompere del tutto con il bolscevismo ed accettò, sebbene senza
risparmiare critiche assai dure, sostanzialmente la loro transitoria egemonia (dovuta evidentemente al
possesso del potere statale nel primo stato socialista del
mondo) nella nuova internazionale proletaria."


Io non ho mai detto che Rosa Luxemburg fosse altro che una rivoluzionaria marxista socialista di sinistra, non ho mai voluto farla passare per una liberale. Ho solo dimostrato che PERSINO per una siffatta rivoluzionaria marxista:
1) Lenin e Trotzky avevano ingiustificatamente "soppresso la democrazia";
2) che la dittatura del proletariato, nella visione del socialismo dell'epoca (prima dell'involuzione fanatica e da dispotismo asiatico del bolscevismo) non era affatto come riteneva Lenin "un potere di ferro, al di fuori di qualsiasi legge", assolutamente incompatibile con "le superstizioni democratiche piccolo-borghesi", ma al contrario un rapporto di classe, egemonico, che prevedeva TUTTE le libertà politiche, civili e sociali della "democrazia borghese".
Caro Roderigo il torto è tutto tuo, e dei mostruosi sistemi politici che con fanatica ciecità di ostini a difendere contro ogni evidenza.
E smettila con i grappini !!!

Cordiali saluti.


Roderigo
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posted 17-08-2000 20:13
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Caro Pieffebi, se ti diperdi tra mille particolari, può risultarti difficile cogliere la sostanza delle cose.
Rosa Luxemburg criticò gli aspetti antidemocratici del bolscevismo, non malgrado, ma proprio perché fu una marxista, socialista rivoluzionaria. Questo le conferì gli strumenti analitici e il titolo morale per farlo. Titolo morale che i liberali non potevano e non possono avere.

La differenza di fondo tra la Luxemburg e Lenin riguarda la dittatura del proletariato. Per la prima, essa si traduce nella dittatura dei consigli operai, per il secondo nella dittatura del partito. Tale differenza derivava dal fatto che la Luxemburg operava in Germania, il cuore dell'Europa industrializzata, con una forte classe operaia, mentre Lenin operava in un paese arretrato e con una popolazione al 90% contadina. Lenin quindi non poteva puntare sui consigli operai.

Sia la Luxemburg che Lenin erano convinti che la Rivoluzione russa non avrebbe avuto futuro senza una rivoluzione mondiale che investisse in primo luogo i paesi dell'Occidente, i quali avrebbero poi trainato lo sviluppo e la realizzazione del socialismo in Russia. I bolscevichi non attribuivano a se stessi un ruolo egemonico nel futuro del socialismo mondiale, infatti progettavano di stabilire a Berlino la sede dell'Internazionale comunista ed il tedesco fu e rimase negli anni successivi la lingua ufficiale del Komintern.

Roderigo



Pieffebi
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posted 17-08-2000 22:43
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quote:
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Messaggio originario di Roderigo:
Caro Pieffebi, se ti diperdi tra mille particolari, può risultarti difficile cogliere la sostanza delle cose.
Rosa Luxemburg criticò gli aspetti antidemocratici del bolscevismo, non malgrado, ma proprio perché fu una marxista, socialista rivoluzionaria. Questo le conferì gli strumenti analitici e il titolo morale per farlo. Titolo morale che i liberali non potevano e non possono avere.

La differenza di fondo tra la Luxemburg e Lenin riguarda la dittatura del proletariato. Per la prima, essa si traduce nella dittatura dei consigli operai, per il secondo nella dittatura del partito. Tale differenza derivava dal fatto che la Luxemburg operava in Germania, il cuore dell'Europa industrializzata, con una forte classe operaia, mentre Lenin operava in un paese arretrato e con una popolazione al 90% contadina. Lenin quindi non poteva puntare sui consigli operai.

Sia la Luxemburg che Lenin erano convinti che la Rivoluzione russa non avrebbe avuto futuro senza una rivoluzione mondiale che investisse in primo luogo i paesi dell'Occidente, i quali avrebbero poi trainato lo sviluppo e la realizzazione del socialismo in Russia. I bolscevichi non attribuivano a se stessi un ruolo egemonico nel futuro del socialismo mondiale, infatti progettavano di stabilire a Berlino la sede dell'Internazionale comunista ed il tedesco fu e rimase negli anni successivi la lingua ufficiale del Komintern.

Roderigo



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Un passo avanti : ammetti finalmente che la concezione della dittatura del proletariato, da parte di Lenin, implicava necessariamente la dittatura del partito e che vi erano aspetti antidemocratici nel bolscevismo;
due passi indietro: "contestualizzi" questa differenza (meramente teorica e intellettuale) con la particolare arretratezza capitalistica della Russia. Ancora una volta una giustificazione del delitto con il pretesto della "contestualizzazione". D'altro canto in altro forum hai giustificato niente meno che lo sterminio della famiglia imperiale, BAMBINI COMPRESI. Ah, potere della contestualizzazione !!!
Ma torniamo alla Russia del 1917:
Detta arretratezza, secondo i canoni classi del marxismo, difesi, ad esempio, dai menscevichi, avrebbero escluso la possibilità di una rivoluzione socialista.
Lo stesso Lenin aveva formulato, a suo tempo, contro, ad esempio il giovane Trotzky, la teoria della "dittatura democratica degli operai e contadini", che vedeva il giovane proletariato russo, e la sua "avanguardia", alla guida della rivoluzione borghese. Prima dell'aprile 1917, e del ritorno di Lenin, lo stesso partito bolscevico aveva continuato a difendere detta strategia, scatenando le ire del capo.
Trotzky, nel 1905, aveva contrapposto al Lenin della "dittatura democratica" il seguente ragionamento : nella conduzione della rivoluzione borghese il proletariato non può non travalicare i limiti della rivoluzione stessa, ponendosi già da subito delle parole d'ordine socialiste e dei compiti socialistici, ad esempio infrangendo il diritto di propietà (teoria della Rivoluzione Permanente).
Bordiga formulerà a propria volta, più tardi, la teoria della "doppia rivoluzione", secondo la quale la rivoluzione russa del 1917 fu contemporaneamente borghese e socialista. Ossia la rivoluzione socialista, in un paese arretrato, comprendeva in sè l'espletamento dei compiti democratico-nazionali e borghesi.
Nella concezione di Bordiga lo stalinismo, è da interpretarsi come progressivo ACCORCIAMENTO della DOPPIA RIVOLUZIONE, in virtù del fallimento della rivoluzione in occidente e del suo isolamento internazionale in un paese arretrato, alla sola fase borghese.
La CONTRORIVOLUZIONE stalinista per Bordiga ha dato origine, infine, ad un sistema dispotico-bonapartista (falso comunismo staliniano) riconducibile, dal punto di vista economico-sociale, al un CAPITALISMO MONOPOLISTICO DI STATO.

Cordiali saluti.


Roderigo
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posted 18-08-2000 13:08
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Sul fatto che, senza rivoluzione mondiale, la Rivoluzione d’Ottobre non potesse andare oltre la costruzione di un “capitalismo di stato” lo pensavano pure i bolscevichi.
Caro Pieffebi, che tu sia un attento lettore delle mie battute è meglio che niente. Perciò, riguardo al contenuto dei miei messaggi mi limito a ripeterli. Lo scorso 10 agosto, in una delle mie tante repliche, ho scritto che Lenin, insieme con Berstein, è stato il più grande revisionista del marxismo. A cosa mi riferivo se non al fatto che in Marx il soggetto rivoluzionario è il proletariato ed in Lenin il partito? È ovvia conseguenza che per il primo, il regime transitorio al comunismo sia la “dittatura del proletariato” e per il secondo “la dittatura del partito”. Poteva pensare in modo diverso Lenin, in un paese dove il proletariato industriale era di fatto inesistente?

In un’altra replica ho scritto che i bolscevichi, impegnati anche in una lotta politico-ideologica in seno al movimento socialista internazionale, cercarono di dimostrare la coerenza delle proprie scelte, dettate dalle necessità delle condizioni russe e della guerra civile, con l’ortodossia marxista, quindi provarono anche a dimostrare la coerenza della “dittatura del partito” con la “dittatura del proletariato”.

Siccome parliamo, non di filosofi che pensavano comodamente seduti sotto un albero, ma di leader rivoluzionari che attraversano anni di ferro e di fuoco, non ha senso giudicare il loro pensiero e la loro azione al di fuori di un contesto. I fatti, anche i più elementari, al di fuori di un contesto non hanno nessun significato. Prova altrimenti a rispondere alla domanda se sia giusto oppure no, che un funzionario pubblico circoli in costume da bagno, senza riferirti ad alcun contesto.

Roderigo

P.s. Riguardo alla soppressione della famiglia dello zar, essa fu decida dal Soviet regionale dell’Ural, a Ekaterinburg, mentre la città era tenuta sotto assedio dalle truppe ceche, nel periodo più cruento della guerra civile. La città sarebbe caduta dieci giorni dopo, e la famiglia reale liberata. Il significato della decisione compiuta dal Soviet dell’Ural era chiaro: togliere alla reazione qualsiasi simbolo attorno a cui potersi raccogliere. Dal mio punto di vista, quella decisione fu comprensibile e in fondo giusta. Chi invece ha passato la vita a dire che “i comunisti mangiano i bambini”, potrà vedere in quella decisione una conferma delle sue opinioni.



Pieffebi
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posted 18-08-2000 16:12
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Roderigo prendiamo due frasi "a caso" postate da te :
"Il monopartitismo ed il monofrazionismo sono parte integrante del marxismo-leninismo, solo se ci si riferisce al “vero” marxismo-leninismo (quello scritto con il trattino), cioè all’interpretazione del pensiero di Marx e di Lenin condensata nel “Breve corso di storia del Partito comunista bolscevico russo”, il cui autore è Stalin. Questa è l’autentica ideologia ufficiale dell’Urss. Basarsi su di essa, per dire e ribadire affermazioni generali e definitive su Marx e Lenin o sul comunismo, non è una operazione culturale seria.

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L'Urss non ha conferito tutto il potere ad un solo partito, quello bolscevico. Semmai è stato il partito bolscevico l'unico partito a costruire l'Urss, quindi ne è derivata la simbiosi tra stato e partito. Quello che si potrebbe imputare ai bolscevichi è di non aver promosso un regime democratico e pluralistico, ma non di averlo abolito, dato che esso non esisteva neppure prima del loro avvento al potere."

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Queste due affermazioni sono insostenibili, in relazione al "contesto" ideologico e storico di riferimento.
I bolscevichi hanno soppresso altri partiti, e in primo luogo altri partiti popolari e socialisti (menscevichi, trudovichi, menscevichi internazionalisti, socialisti rivoluzionari di destra, socialisti rivoluzionari di sinistra) oltre che liberali (costituzional democratici, liberalpopolari).
Almeno i partiti socialisti erano rappresentati oltre che nell'Assemblea Costituente (la cui soppressione fu un atto delittuoso contro la democrazia, IN QUEL CONTESTO) anche nei Soviet. Il sistema "elettorale" dei soviet era poi "indiretto" ed "ineguale" (ci volevano più contadini per eguagliare il voto di un solo operaio), quindi assolutamente NON democratico (come insegnava lo stesso Lenin, democrazia vuole dire eguaglianza).
Cosa avrebbero dovuto fare i bolscevichi? : se i liberali non erano in grado di condurre la rivoluzione borghese e conquistare la democrazia in senso pieno, secondo lo stesso programma bolscevico del 1905, difeso dalla redazione della Pravda contro Lenin ancora nell'aprile 1917, dovevano trasformarsi in "combattenti d'avanguardia per la democrazia" (già in Che Fare? - 1902!), imponendola se del caso alla stessa borghesia (soluzione giacobina, in cui la dittatura è "il dispotismo della libertà"). Questo era ciò che, in fondo, i socialisti di tutto il mondo si aspettavano da un partito marxista-rivoluzionario in umn paese "capitalisticamente immaturo" quale la Russia.
Che Fare ? In primo luogo un partito "proletario" in un paese capitalistico arretrato doveva, per il marxismo, spingere fino in fondo la rivoluzione borghese e democratica, iniziando pure incursioni di carattere socialistico sul diritto di propietà (tesi della rivoluzione permanente), ed in secondo tempo fare trascendere la rivoluzione borghese in rivoluzione socialista mutando il contenuto di classe della DEMOCRAZIA con il mutare dei rapporti di forza sociali.

Detto questo, la concezione leninista della dittatura del proletariato non è stata concepita per la situazione particolare della Russia, e nemmeno per i soli paesi "capitalisticamente arretrati".
Lenin combatte le critiche di Kautsky (e della Luxemburg) alla sua visione dispotica della dittatura rivoluzionaria, affermandone la portata ed il valore universale. Non a caso Lenin accusa (a torto) Kautsky di essere un rinnegato, e di avere una concezione LIBERALE della democrazia.
Ovviamente Lenin difende anche la situazione particolare russa, ma solo per meglio affermare i principi generali del suo teorizzare, che è rivolto al movimento operaio internazionale.
Lenin sosteneva che in occidente la guerra civile avrebbe preceduto la presa del potere, laddove il Russia l'aveva seguita. Questa era la principale differenza, a suo avviso, fra i due "contesti".
Lenin non si poneva gli scrupoli di Roderigo per stabilire chi era l'aggressore e chi l'aggredito nella guerra civile, era freddamente "oggettivo" e detestava la "politica moraleggiante", ed era evidente che la rivoluzione non aveva necessità della minaccia della reazione per essere "oggettivamente" giustificata.
La parola d'ordine "O dittatura del proletariato o dittatura reazionaria" era ideologico-propagandistica ed accessoria.
La concezione stalinista del marxismo-leninismo del "breve corso", che (almeno questo!!!) Roderigo critica, non è che una volgarizzazione ed estremizzazione della concezione leninista. La vera differenza attiene (oltre al livello intellettuale, abissamente più elevato in Lenin) al rapporto fra rivoluzione Russa e rivoluzione mondiale.
Il vero contenuto "reazionario" dell'ideologia stalinista sta nella concezione della "costruzione del socialismo in un paese solo", con le conseguenze che questa ha comportata per l'intero impianto teorico e per la prassi del potere (psicosi da fortezza assediata, teoria dell'acutizzarsi della lotta di classe nella fase di transizione ... prassi dell'epurazione continua della dirigenza del partito). Ma TUTTI gli elementi della struttura statale monopartitica, nonofrazionista, dispotico-totalitaria erano già presenti (e non solo in embrione...) nella visione leninista e nella pratica "edificazione" dello Stato sovietico durante il governo di Lenin e Trotzky.
Questo distingue per sempre il comunismo leniniano (prima ancora di quello staliniano, sua radicale conseguenza) dal socialismo di sinistra.
In altre occasioni dimostrerò come, nella prassi, le visioni socialiste di sinistra fossero inattuabili.
Se per contestualizzazione, caro Roderigo, intendi che l'unica "rivoluzione proletaria" possibile è quella comunista-leninista, perchè, ad esempio, quella luxemburghiana non può vincere o durare, hai perfettamente ragione. Ma questo non in Russia ....ma ovunque.
In questo, sul piano della politica come arte del possibile, o della machiavellica separazione fra politica ed etica, aveva ragione Lenin... anche contro Rosa Luxemburg.
In efetti, dialetticamente, si può dire che dal punto di vista etico-politico ed ideale la posizione della Luxemburg era superiore a quella di Lenin e rappresentava un grado di evoluzione del socialismo verso la democrazia infinitamente più alto. Sul piano pratico della realpolitik, quella leninista è l'unica via rivoluzionaria al socialismo, non in Russia, non nel 1917, ma ovunque. La dittatura proletaria si configura necessariamente, essendo frutto di un moto violento, come dittatura del partito rivoluzionario. E la disciplina del partito rivoluzionario deve essere necessariamente di ferro, trattandosi di un "partito-esercito" in guerra permanente.
Per questo si può dire che l'unico sbocco pratico dell'evoluzione democratica del socialismo sia il riformismo, che implica la profonda revisione del marxismo promossa, ad esempio da un E.Bernstein.
Bernstein aveva ragione contro Rosa Luxemburg, perchà portava alle sue logiche conseguenze l'analisi della "stabilizzazione del capitalismo" e della evoluzione democratica del socialismo. "Il movimento è il tutto, il fine è il nulla", la rivoluzione è la lotta per le riforme, per "la conquista della democrazia" e la sua estensione dal piano politico-istituzionale a quello economico-sociale. Questo è il riformismo revisionistico socialdemocratico, che in ultima analisi rinuncia ad ogni abbattimento del capitalismo, limitandosi a promuoverne il governo.
Ma il mio contendere con Roderigo non si spingeva a questo, voleva solo mettere a fuoco, da parte mia, il peccato originale IDEOLOGICAMENTE antidemocratico e totalitario del bolscevismo.
Chi vuole rifondare il comunismo non può non volerne le conseguenze, e se non le vuole, si inganna e inganna coloro (la classe operaia) al quale offre l'idea e la prassi della della "rifondazione".
Per quanto riguarda il criminale assassinio dei principini imperiali da parte dei bolscevichi la questione è ancora una volta di etica politica:
- possono dei bimbi essere eliminati scientemente e barbarmante in quanto simboli, dimenticando appunto che sono dei bimbi, delle giovanissime ed incolpevoli persone umane ?
La mia risposta, come quella della stragrande maggioranza delle persone oneste di destra, centro e sinistra, è un gigantesco NO !
Sull'argomento non ho altro da aggiungere.

Cordiali saluti.


[This message has been edited by Pieffebi (edited 18-08-2000).]


Roderigo
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posted 19-08-2000 11:19
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Caro Pieffebi, le due affermazioni da me postate, che hai cortesemente riproposto, sono difficilmente attaccabili. I bolscevichi non hanno messo fine ad alcun regime democratico parlamentare ed hanno fondato e costruito l'Urss. Quel che gli si può rimproverare è di non aver saputo poi sviluppare un modello di democrazia popolare alternativo alla democrazia borghese.
Infatti, la soppressione dei partiti ai quali tu ti riferisci non avviene in un contesto di pacifica, stabile, consolidata e democratica legalità istituzionale (come accade invece con i fascismi), ma di guerra civile promossa dalle forze reazionarie, nella quale è in gioco, non solo la sopravvivenza della Rivoluzione, ma della stessa vita dei bolscevichi.

I bolscevichi di fatto svolsero un ruolo di supplenza nei confronti dei liberali, poiché promossero una forma di capitalismo di stato e l'industrializzazione della Russia. Essi attuarono lo sviluppo capitalistico nelle forme possibili in una Russia con una debole borghesia ed un debole proletariato industriale. Non poterono invece applicare il tradizionale principio marxista, secondo cui i comunisti si alleano con i liberali e la borghesia, ogni qualvolta essi combattono contro le forze reazionarie dell'antico regime, poiché in Russia, nel vuoto rivoluzionario apertosi con il crollo del regime zarista, borghesia e aristocrazia furono alleate. Liberali e Borghesi, nella Russia del 1917, non furono insufficientemente rivoluzionari. Furono reazionari.

Ho già scritto, che i bolscevichi, impegnati in una lotta per l'egemonia in seno al movimento socialista mondiale, cercarono di dimostrare la coerenza delle loro scelte con l'ortodossia marxista, e quindi di attribuire una portata universale alle loro teorie, le quali in ogni caso furono maturate in un paese pre-capitalistico. L'alternativa rivoluzione-reazione, propagandistica o meno, si rivelerà vera in tutti e quattro i paesi investiti dall'ondata rivoluzionaria causata dalla "grande guerra": Russia, Germania, Italia, Ungheria.

Ragionare in termini di "peccato originale" è assai poco laico e conduce a propositi di lotta politica di tipo paranoico, quali per esempio il "maccartismo" o, in misura per adesso minore, l'anticomunismo berlusconiano". Chi vuole "rifondare" il comunismo, vuole appunto "rifondarlo", cioè rifarlo dalle fondamenta. Non penso affatto, che quello leninista sia l'unico modello valido di rivoluzione. Lo fu per la Russia del 1917, e lo stesso Lenin, nel 1921, ai partiti comunisti occidentali, indicava la via della partecipazione alle elezioni ed alle organizzazioni sindacali, tanto da essere accusato di "revisionismo besteiniano" da parte dell'ala sinistra di quei partiti.

Sul piano moralistico, a proposito dell'eliminazione della famiglia dei Romanov, puoi aver ragione, non solo per quanto riguarda i bambini, ma anche per le donne e gli adulti. Infatti, finchè poterono i bolscevichi li mantennero prigionieri. Ma sul piano della logica politico-militare non si poteva pretendere che il soviet regionale dell'Ural concedesse in dono i Romanov alle truppe controrivoluzionarie ceche, assedianti la città di Ekaterinburg.

Roderigo



Pieffebi
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posted 19-08-2000 21:50
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Una sola precisazione, è del tutto inesatto che Lenin abbia sostenuto la tattica della partecipazione dei comunisti ai parlamenti borghesi come accettazione di
quella istituzione, e del gioco democratico in occidente. Basta leggere "L'estremismo, malattia infantile del comunismo" per rendersi conto come quanto a
proposito detto da Roderigo, come in molte altre occasioni, è profondamente inesatto.
Lenin concepiva, contro gli ultrasinistri e contro Bordiga, la TATTICA elettoralistica come "utilizzazione rivoluzionaria della tribuna parlamentare" nell'ambito
della "combinazione del lavoro legale e del lavoro illegale".
Lenin non ha mai cessato, nemmeno per un secondo, di attaccare il parlamentarismo e il cretinismo parlamentare dei "socialtraditori", semplicemente rilevava
la stupidtà moralistica degli estremisti nel rinunciare ad utilizzare un'arma di lotta.
Per Lenin, come per il marxismo ottocentesco (Engels), le elezioni parlamentari non erano nulla più che "un termometro" ed un'occasione di agitazione e
propaganda rivoluzionaria.
Contro gli estremisti, Lenin illustrò,tra gli altri, l'esempio della partecipazione dei bolscevichi alle elezioni della Duma (pseudoparlamento zarista) in più
occasioni, a fronte di un solo caso di boicottaggio, motivato dalla situazione particolare.
Non solo, Lenin attaccava la rinuncia degli estremisti (ma non di Bordiga, che su questo era leninista) al lavoro nei sindacati "reazionari", per lo stesso motivo.
Lenin inseriva tutti questi ragionamenti in continuità alla sua concezione della coscienza politica di classe, che come specificato dal "Che fare?", può essere
portata alla classe operaia, solo "dall'esterno", cioè dal partito rivoluzionario, che non deve semplicemente offrire al proletariato dogmi ed analisi precostituite,
ma la pratica dimostrazione, attraverso l'esperienza della lotta concreta, della giustezza dei propri principi.
I pregiudizi piccolo-borghesi e democraticisti della classe operaia, devono essere combattuti, fra l'altro, dimostrando nella prassi ai lavoratori l'insufficienza del
parlamentarismo borghese, la sua natura di classe. Il parlamentarismo è parte integrante dello Stato borghese, che "si abbatte e non si cambia".
"Nel parlamento non si fa altro che chiacchierare con lo scopo deliberato di turlupinare il popolino" scrive Lenin ne "il rinnegato Kautsky", riferendosi non alla
Duma russa, ma alle assemblee elettive della Germania e dell'occidente democratico.
Le motivazioni dello scioglimento dell'Assemblea Costituente e quelle della sua stessa convocazione, appartengono a questa visione della lotta rivoluzionaria, e
del rapporto fra avanguardia cosciente e massa proletaria. Altro che contestualizzazione.
Trotzky in "Terrorismo e COmunismo" dichiara apertamente che i bolscevichi permisero le elezioni in ragione delle superstizioni piccolo borghese degli operai e
dei contadini, nella speranza tuttavia di vincerle. Una volta perse le elezioni lo strumento non serviva, e lo sviluppo delle istituzioni sovietiche poteva svolgere la
funzione di educazione della coscienza politica, oltre che di organizzazione dello Stato della dittatura comunista del proletariato.
La scelta fu ideologica e non "contestualizzata" ad uno stato d'emergenza, che fu poi invocato a rafforzamento delle motivazioni già addotte sul piano
meramente teorico-ideologico.
L'ostilità bolscevica alla democrazia parlamentare era radicale, su scala mondiale, ma non ottusa, non infantile, non masochista.
Per questo fu imposta la tattica dell'utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare...

Cordiali saluti.


Roderigo
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posted 20-08-2000 11:49
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Tra il 1921 ed il 1923, diviene chiaro ai bolscevichi, che in Occidente non vi sarà una Rivoluzione socialista, sul modello di quella leninista. Il problema che si pone, non è dunque di tipo tattico, ma strategico. Lenin non avrà il tipo di sviluppare una nuova e compiuta strategia per i partiti nati dall'Ottobre, ma ne indicherà la via nella lotta, non contro, ma dentro le istituzioni liberali ed i sindacati socialdemocratici. Quindi non solo nel leninismo, ma già in Lenin, cambiando la situazione si verifica possibile un mutamento d'impostazione, a riprova della inesistenza di teorie universali sovrastoriche. La nuova impostazione sarà poi meglio sviluppata da Gramsci, nel concetto di "guerra di posizione", il quale già nel 1920, sull'Ordine Nuovo, scrisse che la Rivoluzione in due tempi, e cioè la conquista dello stato in una battaglia campale risolutiva e l'impiego della macchina statale per trasformare coercitivamente la società, non può costituire l'archetipo della rivoluzione proletaria. La Rivoluzione d'Ottobre era quindi da considerarsi l'ultima rivoluzione ottocentesca. La nuova impostazione darà effettivamente luogo ad una pratica di lotta interna alle istituzioni ed ai sindacati da parte dei partiti comunisti occidentali e costituirà per essi un punto di non ritorno. Quindi si trattò di una scelta, non tattica, ma strategica.
Roderigo



Pieffebi
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posted 20-08-2000 12:29
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Caro Roderigo questo è non solo "inesatto" ma completamente FALSO, e non puoi non saperlo se conosci i "sacri testi".
Quale fu il movente che indusse Lenin a difendere ed estendere la tattica della partecipazione dei comunisti al lavoro dei "sindaccati reazionari" ?
Il problema della coscienza politica di classe, da portare alla classe operaia da parte del partito rivoluzionario, che deve assicurare la sua influenza sulle masse.
"Bisogna - scrive Lenin - saper sopportare qualsiasi sacrificio, sapere superare i maggiori ostacoli per svolgere una propaganda ed un'agitazione sistematiche,
tenaci, costanti, pazienti, proprio nelle istituzioni, nelle società, nelle leghe - anche le più reazionarie - dovunque si trovino delle masse proletarie o
semiproletarie.E i sindacati e le cooperative operaie sono appunto le organizzazioni nelle quali si trovano le masse (....) Questi fatti dicono in modo lampante che
(...) lo sviluppo della coscienza di classe e la tendenza all'organizzazione soprattutto nelle masse proletarie, negli strati inferiori e negli strati arretrati(...)Milioni di
operai in inghilterra, germania, francia passano per la prima volta dalla disorganizzazione totale alla forma di organizzazione più elementare, più bassa, più
semplice, più accessibile(..) e cioè ai sindacati - e i comunisti di sinistra, rivoluzionari ma irragionevoli, se ne stanno in disparte e gridano che vogliono le masse
e rifiutano di lavorare in seno ai sindacati ! (...) Non è possibile immaginare una insensatezza maggiore, un maggior danno per la rivoluzione...
Il compito dei comunisti consiste infatti tutto nel saper convincere i ritardatari, nel saper lavorare fra loro, nel non separarsi da loro con parole d'ordine *di sinistra*
cervellotiche e puerili.." (L'estremismo, malattia infantile del comunismo - capitolo VI).
Questa lezione di tattica leninista, non ha proprio nulla a che vedere con quanto asserisce il signor Roderigo. I comunsti, infatti, con questi medesimi
presupposti tattici furono indotti persino al lavorare all'interno dei sindacati fascisti in pieno regime! Nulla a che vedere con le "svolte" politiche che esistono solo
nell'immaginazione di Roderigo.
Quanto al parlamentarismo la posizione di Lenin e dell'Internazionale Comunista, come già dimostrato, è ancora più chiara.
Ma diamo ancora una volta, a scanso di ogni equivoco, la parola a Lenin, che così commenta la parola d'ordine dei comunisti di sinistra tedeschi sul
"superamento del parlamentarismo":
"Il parlamentarismo è *storicamente superato* ciò è esatto dal lato della propaganda. Ma ognuno sa che di qui ad un superamento pratico c'é ancora molta
distanza. Molti decenni fa e con piena ragione si poteva dire che il capitalismo era storicamente superato, ma ciò no elimina affatto la necessità di una lotta
molto lunga e molto tenace sul terreno del capitalismo. Il parlamentarismo è storicamente superato nel senso della STORIA MONDIALE, cioè è finita L'EPOCA
del parlamentarismo borghese, ed è comunciata l'epoca della dittatura del proletariato. Questo è incontestabile. Ma su scala storica mondiale l'unità di misura
soo i decenni(..)
Il parlamentgarismo è *politicamente superato?* Questa è un'altra questione. Se fosse così la posizione dei sinistri sarebbe salda (..)Essi non possono portare e
non portano neppura l'ombra di una prova(..) Come si può dire dunque che il parlamentarismo è politicamente superato se milioni e legioni di proletari non
soltanto sono per il parlamentarismo in genere, ma sono addirittura controrivoluzionari (qui Lenin deride parole di un opuscolo comunista di sinistra, dimostrando
le false conclusioni dalle giuste premesse). E' chiaro che in Germania il parlamentarismo NON è ancora politicamente superato. E' chiaro che i sinistri hanno
scambiato il loro DESIDERIO, la loro posizione ideologica, per una realtà obiettiva. Questo è l'errore pi pericoloso per dei rivoluzionari.(...)
Per i comunisti, in Germania, il parlamentarismo, s'intende, è poliicamente superato; ma si tratta precisamente di NON ritenere ciò che è superato per noi, come
superato per la classe, per le masse(..) Voi siete in dovere di non scendere al livello delle masse, al livello degli strati arretrati della classe. Questo è
incontestabile. Voi avete il dovere di dire loro l'amara verità.
VOI AVETE IL DOVERE DI CHIAMARE PREGIUDIZI I LORO PREGIUDIZI DEMOCRATICI BORGHESI E PARLAMENTARI (sottolineatura mia, le altre sono di
Lenin stesso). Ma allo stesso tempo avete il dovere di considerare PONDERATAMENTE lo stato EFFETTIVO della coscienza e della maturità della classe tutta
intiera (e non soltanto della sua avanguardia comunista), di tutte quante LE MASSE lavoratrcici (e non soltanto dei suoi uomini avanzati)...
Finchè voi non siete in grado di sciogliere il parlamento borghese e tutte le altre istituzioni reazionarie d'altro tipo, voi avete l'OBBLIGO di lavorare nel seno di tali
istituzioni appunto perchè là vi sono ancora degli operai ingannati dai preti e dall'ambiente dei piccoli centri sperduti; altrimenti rischiate di essere soltanto dei
chiacchieroni(...)
è dimostrato che persino alcune settimane prima della vittoria della repubblica dei soviet, e persino DOPO questa vittoria, la partecipazione ad un parlamento
democratico borghese, non solo non nuoce al proletariato rivoluzionario, ma gli rende più facile DIMOSTRARE alle masse arretrate, perchè tali parlamenti
meritano di essere sciolti, FACILITA la riuscita di tale scioglimento, FACILITA il superamento politico del parlamentarismo borghese(..)"
Mi scuso per la lunga citazione, ma credo che, di fronte al fatto che le sintesi del pensiero leninista da me prima operate sono state ritenute errate (su basi del
mero pregiudizio estremistico), non avevo altra scelta.
Questa lunga citazione conferma, infine, la reale motivazione della convocazione e poi dello scioglimento dell'Assemblea Costituente da parte dei bolscevichi,
confutando radicalmente le tesi giustificazioniste di Roderigo, che rifiuta di ammettere l'evidenza della natura antidemocratica, ORGOGLIOSAMENTE
antidemocratica ed illiberale del bolscevismo e quindi del comunismo fin dalle sue origini leniniane.
Cordiali saluti.

Pieffebi
05-03-02, 20:43
quote:
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Messaggio originario di Roderigo:
Caro Pieffebì, la storia è più importante dei testi sacri, spulciati qua e là. E tre fatti storici sono incontrovertibili: 1) Preso atto della impossibilità della Rivoluzione in Occidente sul modello dell'Ottobre, Lenin indica ai partiti comunisti occidentali la via della lotta dentro, e non contro, le istituzioni liberali ed in sindacati socialdemocratici. 2) Tale via è sviluppata da Gramsci nel concetto di "passaggio dalla guerra di movimento alla guerra di posizione". 3) Dagli anni Venti, fino ad oggi, i partiti comunisti occidentali praticano effettivamente la "guerra di posizione", svolgendo un ruolo propulsivo in senso democratico, nell'ambito istituzionale e sindacale.
Che i comunisti negli anni Venti non esprimessero nei confronti della democrazia rappresentativa una adesione di tipo valoriale, è vero, ma è questione di secondaria importanza ed in ogni caso legittima, tanto più che un tale tipo di adesione faceva difetto anche e soprattutto alla borghesia ed ai suoi partiti, oltre che alla Chiesa. Di fronte all'emergere del proletariato quale nuovo soggetto politico di massa, la borghesia liberale non si fece scrupoli di archiviare la democrazia rappresentativa e di affidarsi ai fascismi: nella stessa Russia prima dell'Ottobre, in Italia, in Germania, in Ungheria, e poi ancora in Spagna, in Portogallo ed in Grecia. Anche i conservatori inglesi espressero il loro apprezzamento per il fascismo italiano, e senza Mussolini, pensarono di riproporlo nell'Italia del dopoguerra.

Ma, mentre la borghesia dell'epoca preferiva il fascismo alla democrazia rappresentativa a tutela di proprietà e privilegi, i comunisti aspiravano ad un ideale di democrazia sostanziale, che rimuovesse il carattere di delega dei parlamenti (allora in prevalenza assemblee di notabili), con organismi di democrazia diretta, (i consigli operai), e democratizzasse le istituzioni non democratiche, quali la burocrazia, l'esercito, la magistratura, nonché le imprese ed i centri di potere economico e finanziario. Problemi tuttora attuali. Il problema della democrazia e della sua perfettibilità è sempre stato riproposto e riformulato, l'aspirazione alla democrazia diretta e sostanziale del comunismo, è parte di questo processo storico. Che i sostenitori intermittenti della democrazia formale e delegata, pretendano di bollare il comunismo come anti-democratico, prendendo a pretesto gli effetti della guerra civile russa (1917-1921), la quale non sconfisse la Rivoluzione ma riuscì a deformarla, è questione che non appartiene né alla storia, né al pensiero politico. Appartiene solo alla propaganda.

Roderigo



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Povero Roderigo, la "democrazia sostanziale" da contrapporre alla democrazia formale "borghese",dei "notabili" (sic!!! se si pensa alle maggiornze parlamentari socialiste !) è appunto la dittatura del proletariato dei consigli. La democrazia sostanziale è una democrazia tendenzialmente totalitaria.
Le tue argomentazioni sono del resto già state confutate da me sopra, e dalla storia delle rivoluzioni comuniste successive a quella russa, ben posteriori agli anni venti.
Il comunismo è intrinsecamente illiberale e tendenzialmente totalitario, e tu non ci puoi fare niente.
Salutami il "compagno" Giorgio Amico.

brunik
06-03-02, 22:18
E' vero che voi antikomunisti non demonizzate mai i nemici komunisti?

Pieffebi
06-03-02, 22:25
E che bisogno c'è? Con i loro crimini che hanno insanguinato il pianeta e oppresso milioni di persone conculcando le libertà civili e sociali.....si sono già sufficientemente demonizzati da soli. Compresi quei comuisti che non essendo riusciti nell'intento di fare altrettanto, trovandosi casualmente nella sfera d'influenza occidentale, hanno per decenni apertamente applaudito (e additato ad esempio ai lavoratori del loro paese) le tirannidi criminali di cui sopra. E compresi quei "magistrati" che osannando alla "rivoluzione culturale" cinese del sanguinario tiranno stalinista Mao, e asserendo che la giurisdizione non deve essere neutrale nella lotta fra le classi e il processo rivoluzionario "proletario".... fondarono e portarono avanti l'associazione denominata "Magistratura Democratica" nel nome di della "realizzazione" della Costituzione, ovviamente intesa togliattianamente come "ponte" verso il comunismo.

Saluti liberali.

brunik
06-03-02, 22:28
Quel che mi divci è grave...

Dici che sono ancora così tanti e pericolosi e tramano nell'ombra?

Pieffebi
06-03-02, 22:30
No sono quattro gatti.....e in via di diminuzione.

Tutti giù per terra!

Shalom!

brunik
06-03-02, 22:33
Ah, ah, mi sto scompisciando.

Allora posso dormire tranquillo anche stanotte: i komunisti non mi appariranno nella penombra per impossessarsi delle mie proprietà.

E sai chi dobbiamo ringraziare, Pieffebi? Te lo dico io: il grande Silvio Berlusconi.

Altrimenti altro che girotondi, caro mio, questi passavano di notte a prelevarci dai letti per internarci nei Gulag,

Pieffebi
06-03-02, 22:39
No, no possiamo ringraziare gli agit-prop supponenti e "spiritosi" come te. I danni che fanno alla sinistretta italica loro....non li fa nessuno, proprio nessuno.

Shalom!:D

brunik
06-03-02, 22:42
Cazzo, mi hai fatto ricordare che devo andare nella sede dei DS a ritirare lo stipendio.

Dopo una giornata di demonizzazioni, torno a casa stanco ma felice. Peccato che i soldi del partito siano pochini.

Ciao, kamerata.

Pieffebi
07-03-02, 14:25
Essì...da quando è caduto il totalitarismo sovietico di rubli insanguinati da Mosca non ne arrivano più....restano solo le cooperative e gli imprenditori compiacenti che finanziano le ville di Greganti pensando di finanziare il partito....che ingenui!


Shalom!

Pieffebi
17-03-02, 17:52
"Il cavallo sovietico si trova ormai a poche incollature di distacco dal cavallo americano. Nel 1972 l'URSS sarà addirittura passata in testa ( :D ), non soltanto come potenza industriale, ma anche come livello di vita medio della sua popolazione ( :D )...
Tutti i vecchi luoghi comuni cadono come castelli di carta di fronte ai risultati raggiunti in quarant'anni dall'economia sovietica (:rolleyes: ).

Eugenio Scalfari : "L'espresso" - 11 ottobre 1959

"Una democrazia, quella sovietica, piena, integrale, diretta, in cui protagonista non è questo o quel gruppo, ma l'intero popolo chiamato quotidianamente in mille forme e con mille mezzi non solo ad esprimere il suo parere, ma ad orientare e a controllare la vita pubblica ( :K ) e sopra a tutto ad avanzare iniziative dirette ad accelerare lo sviluppo della società sovietica (:D )".

U. Cerroni : "il sistema elettorale sovietico", Roma, ass. Italia-Urss, 1963 - pag. 17


Essì....gli intellettuali ....e la sinistra....:D

Pieffebi
22-03-02, 21:51
Le obiezioni classiche del marxismo rivoluzionario "ortodosso" alle posizioni del terrorismo "individuale", ma che possono in qualche modo estendersi ad ogni "terrorismo" di sinistra, non sono certamente di carattere morale o "umanitario". L'aspetto principale riguarda essenzialmente la relazione fra azione terroristica e coscienza di classe.
In "Che fare?" (1902) Lenin critica il terrorismo sotto il profilo di quella che oggi si chiamerebbe "propaganda armata", rilevando come l'educazione del proletariato alla coscienza socialista e il suo trascinamento alla lotta abbia ben altri argomenti.
Lenin nella sostanza rileva che se la classe operaia non è trascinata alla lotta dalle proprie condizioni di sfruttamento e dalle ingiustizie che subisce non si vede il perchè dovrebbe farlo a seguito dell'assassinio politico perpetrato da una qualche mano "rivoluzionaria".
La concezione leniniana dello sviluppo della coscienza politica di classe distingue fondamentalmente fra coscienza tradeunionistica (sindacale), ancora sostanzialmente soggetta all'ideologia borghese (in quanto ideologia della classe dominante), e la coscienza socialista.
Mentre la prima si impone spontaneamente alla classe durante le lotte economiche e sindacali, la seconda deve essere portata "dall'esterno", ossia dall'attività politica del partito rivoluzionario, dalla sua capacità di operare come avanguardia cosciente del movimento operaio.
La lotta armata presuppone la coscienza politica di classe e può positivamente attuarsi soltanto come lotta per il potere, ossia come rivoluzione, avendo già la maggioranza della classe dietro di sè.
E la classe non la si conquista di certo con la lotta armata, ma con la pratica saldatura delle lotte sociali del popolo lavoratore e sfruttato con la dottrina socialista mediante la strategia e la tattica rivoluzionarie.
Per questo il terrorismo è da Lenin assimilato alla piccola borghesia e al suo inferocimento.
Il leninismo difende e afferma un altro terrorismo, quello esercitato dalla dittatura rivoluzionaria per spezzare la resistenza del "nemico" di classe: il Terrore rosso.
Altro elemento critico verso il terrorismo è fondato su motivazioni "pragmatche" che attengono all'effetto del terrorismo sulla politica dello Stato borghese e dal prevedibile restringimento degli spazi di agibilità politica per il movimento operaio e il suo partito rivoluzionario. Ma in quanto pragmatiche dette motivazioni non sono "dogmi" e possono variare al variare delle situazioni, per cui non si deve affatto escludere, da questo punto di vista, l'opportunità di ricorrere ad azioni armate, magari per finanziare il partito...
I movimenti che, richiamandosi al leninismo, hanno scelto il terrorismo e la lotta armata, in contrasto con alcune indicazioni del "maestro" lo hanno fatto in ragione di un'analisi dell'evoluzione della lotta politica durante l'era dell'imperialismo che si può definire parente con le analisi del Bucharin del 1916/17, contro cui pur polemizzò Lenin.
Si tratta non solo di una valutazione del ruolo della "democrazia imperialistica" e del restringimento dell'attività politica legale per i rivoluzionari nella fase delle "guerre e rivoluzioni" in cui l'alternativa che si pone è solo quella "fra dittatura e terrore rosso e dittatura e terrore bianco", ma anche di una diversa fase della storia del movimento operaio, corrotto dal riformismo espressione degli "agenti borghesi" e delle "aristocrazie operaie" che per "un piatto di lenticchie" vendono la loro primogenitura rivoluzionaria integrandosi nel sistema. Il riformismo diventato dapprima da ala destra del proletariato ad ala sinistra della borghesia è ora sempre più un'arma formidabile della borgheisa imperialistica per inebetire la classe operaia e per promuovere l'adeguamento continuo dei rapporti sociali e della produzione agli interessi complessivi dell'imperialismo.
La lotta armata diventa dunque, nel delirio "marxista-leninista" riformato dei comunisti combattent,i uno strumento della guerra di classe per ostacolare i processi di strutturazione del "potere borghese" (che sempre più impone una macelleria sociale al servizio dell'imperialismo con l'appoggio delle burocrazie riformiste, che anzi sono il principale sostegno del capitalismo in quanto ne assicurano la "copertura a sinistra" e il consenso di ampi strati popolari) ma anche un momento della guerra di classe in cui l'avanguardia rivoluzionaria si presenta come tale indicando alla classe apertamente i suoi nemici e stimolando uno scontro sociale sempre più radicale in cui gli spazi per il compromesso e il riformismo vengono irrimediabilmente bruciati. La prevedibile reazione borghese erode gli spazi di "democrazia formale" rappresentativa, mediante la quale la dittatura del capitale si esprime, e mostra al proletariato la reale natura dei rapporti sociali capitalistici e delle istituzioni dello Stato borghese. In questo quadro l'avangiuardia comunista può adempiere al compito di portare alla classe operaia la coscienza rivoluzionaria, divenendo stato maggiore dell'esercito proletario nella guerra mortale contro il capitalismo imperialistico.
La democrazia falsa e fascistizzata dell'era dell'imperialismo non solo non è il terreno dello scontro fra il proletariato e la borghesia, non solo non può essere gradualmente spinta in avanti nei suoi contenuti sociali ("democrazia progressiva") come pensava il PCI togliattiano, ma diventa il nemico principale della classe operaia nella misura in cui non permette alla stessa di avere immediata coscienza della natura reale della dittatura capitalistica. La lotta armata è dunque anche un rimedio contro il "cretinismo parlamentare" e contro ogni superstizione democraticista, ed un modo per riprendere la Resistenza partigiana, tradita per l'essere stata fermata alla fase della lotta antifascista, senza essere spinta verso la rivoluzione comunista, e per non essere stata neppure in grado di costruire quella "democrazia progressiva" prevista da Togliatti, vista l'espulsione delle sinistre dal potere nel 1947 e il successivo allineamento dello Stato democratico italiano alle politiche imperialistiche occidentale, in posizione di sostanziale sudditanza verso gli Stati Uniti.
Il comunista combattente è dunque, in questa visione delirante del terrorismo rosso,....il nuovo partigiano...l'erede politico e morale dello slancio rivoluzionario della "resistenza rossa", e il faro autocritico della coscienza comunista capace di riprendere il processo laddove fu interrotto, indicando ai lavoratori gli obiettivi concreti del processo di liberazione dal fascismo e dal capitalismo, che sono ormai indissolubilmente un tutt'uno nell'imperialismo.
La folle coerenza di questa visione è del tutto indifferente all'umanità dei soggetti in campo, tanto dei propri "combattenti" quanto dei "nemici di classe" individuati come obiettivi da eliminari. Ciascuno non è più un essere umano vivente con la propria dignità insopprimibile, ma un simbolo o un esponente o una sinapsi dei rapporti e delle razioni sociali, interpretate in modo freddamente astratto e analizzate secondo schemi dogmaticamente impermeabili ad ogni diversa visione, come ad ogni critica morale, umana e umanistica.
La politica rivoluzionaria terroristica non è più POLITICA, non si occupa della vita reale degli uomini concreti se non come manifestazione delle strutture economiche sociali individuate dalla dottrina marxista-leninista. Al più si occupa delle masse e delle classi, mai degli individui che sono insignificanti parti del tutto. Dunque... che cosa vale una vita umana?

Cordiali saluti.

Pieffebi
23-03-02, 18:31
torniamo ad affrontare il problema della struttura ideologica del comunismo combattente, generalmente inteso, e provando a capire il perchè il medesimo tenda molto spesso ad individuare i suoi bersagli (in senso purtroppo...letterale) preferibilmente fra uomini del campo riformista, sia di centrodestra che di centrosinistra, anzi...spesso dell'area politica e/o culturale della sinistra democratica .
Come abbiamo visto sopra... la matrice ideologica del comunismo combattente si nutre di "analisi" politiche fortemente condizionate dalla visione classista, ove i comportamenti politici dei soggetti in campo sono analizzati in relazione a quelli che vengono ritenuti gli interessi concreti delle classi e frazioni di classe e del "sistema" del capitalismo imperialistico inteso nel suo complesso, con le sue esigenze di riproduzione e continuo adeguamento.
In questa visione astratta e "materialistica" dei rapporti sociali il riformismo è il primo nemico del proletariato e dei suoi interessi storici, sia perchè rappresenta al meglio i tentativi della "borghesia imperialistica" di ristrutturare continuamente le forze produttive al fine di adeguarle alle crescenti esigenza di competitività economica, promuovendo altresì l'adeguamento dei rapporti sociali agli obiettivi della classe dominante, sia perchè rappresenta la formazione ideologica che più facilmente riesce a "inebetire" la coscienza di classe delle masse lavoratrici.
Il riformismo in quanto "agente borghese" penetra nella "classe operaia", disarmandola ideologicamente, e questo è ritenuto tanto più nocivo e pericoloso per la causa della "emancipazione dei lavoratori" quanto più le forze riformiste si collocano alla testa del movimento operaio organizzato "ufficiale".
Fin qui si potrebbe dire che il "comunismo combattente" non propone ne' promuove nulla di nuovo rispetto al comunismo moderno delle origini (leniniano), sorto dalla "spinta propulsiva" della rivoluzione bolscevica.
Nella prima fase della direzione staliniana del Komintern fu promossa, come è noto, la teoria del "socialfascismo" secondo la quale, nella sostanza, le forze socialiste e socialdemocratiche avevano oggettivamente un ruolo "controrivoluzionario" paragonabile a quello di Hitler e Mussolini.
La fazione bordighiana della sinistra comunista italiana, che ebbe un ruolo egemonico nella formazione del PCd'I nel 1921, sostenne sempre una posizione di durissima e settaria contrapposizione non solo verso il riformismo ma anche verso ogni "cedimento" ideologico rispetto alla purezza rivoluzionaria del marxismo.
Nessuno tuttavia aveva mai pensato che la lotta contro il riformismo si potesse combattere attraverso amazzamenti terroristici di suoi esponenti.
Questo non appartiene affatto alla tradizione rivoluzionaria, neppura delle formazioni più settarie del comunismo storico.
Ma questo ci riporta al fatto che i comunisti combattenti ritengono volontaristicamente di incidere nei processi storici attraverso le loro azioni di "guerra di classe", tanto "destrutturando" il campo avversario quando stimolando la "coscienza di classe" ovvero...favorendo situazioni per le quali si rendano sempre meno sostenibili i "pregiudizi opportunistici" dei "traditori" del movimento operaio.
Al tempo stesso sembrano voler imporre una sorta di "giustizialismo" rivoluzionario secondo il quale l'esecuzione di un personaggio che opera per favorire, ad esempio, la "ristrutturazione imperialistica del mercato del lavoro", erodendo persino le conquiste storiche del precedente riformismo, debba essere punito con la violenza più barbara. Questo non soltanto per scoraggiare altri dall'intraprendere la medesima strada ("colpiscine uno per educarne cento"), ma per indicare alle "avanguardie" più coscienze del proletariato la via della guerra di classe come via anche di immediato riscatto, anche attraverso azioni esemplari di "giustizia proletaria".
Questi ultimi elementi rappresentano senza dubbio un punto di discontinuità con l'impostazione classica dell'estremismo rivoluzionario, e un salto di qualità verso il delirio criminale e omicida.

Saluti liberali.

Pieffebi
24-03-02, 17:29
Tra i nemici principali del comunismo più estremistico, fin dalla fine degli anni 70 fu individuata la direzione politica del Partito Comunista Italiano. La critica al "revisionismo del PCI" ha, nell'estrema sinistra marxista, diverse fonti:
a) la sinistra comunista antistalinista di matrice bordighista, che considera fin dagli anni trenta il PCI un partito oggettivamente "antirivoluzionario", legato all'URSS di Stalin in cui era in corso una feroce controrivoluzione;
b) la sinistra comunista trotzkysta per la quale il PCI era, sempre almeno dagli anni trenta, un "partito operaio burocraticamente degenerato" e stalinista, così come l'URSS era uno "Stato operaio burocraticamente degenerato";
c) i gruppi marxisti-leninisti anti-togliattiani che durante la Resistenza Armata avevano duramente criticato la politica "Ciellenista" del PCI e la sua rinuncia a trasformare da subito la lotta antifascista in lotta per il comunismo;
d) i gruppi marxisti-leninisti che non accettarono il krhushovismo e l'abbandono formale dello stalinismo da parte dell'URSS e del PCI, ritenendo questo come un tradimento "revisionistico"
e) i gruppi marxisti-leninisti-maoisti che saldandosi con l'ideologia neo-stalinista di quelli precedenti faranno riferimento alla CINA di Mao come alla nuova guida rivoluzionaria internazionale del comunismo, laddove l'URSS era ormai ritenuta una potenza "socialimperialista";
f) i gruppi operaisti e radicali che criticavano l'abitudine inveterata della dirigenza del PCI alla politica riformatrice e legalitaria, pensando che il lavoro nelle istituzioni e la formazione delle burocrazie d'apparato, tanto nel partito che nel sindacato, avessero snaturato e "imborghesito" il partito nominalmente comunista, la cui natura sociale prevalente era del resto sempre meno operaia e sempre più "inquinata" dai ceti medi e dalla loro ideologia opportunista e gradualista;
g) i gruppi spontaneisti che riterranno superata la vecchia politica di partito facendo appello alla spontaneità rivoluzionaria delle masse, e alle forme politiche dalle stesse generate che devono sostituire le organizzazioni sclerotizzate tradizionali.

Non tutti i dirigenti del PCI erano messi sullo stesso piano, nei confronti della sinistra ingraiana e di quella vetero-leninista secchiana ci saranno tentativi di dialogo.....e la rottura degli igraiani dissidenti de "il Manifesto" con il partito poteva in un primo momento alimentare le speranze di una ricomposizione delle forze rivoluzionarie. Speranze ben presto deluse.


Il comunismo combattente ha radicalizzato la critica al PCI comune all'estrema sinistra extraparlamentare, in tutte le sue tendenze, inserendo la variante dell'intervento nel processo determinato dalle sue strategie politiche.

Quando dopo il GOlpe Cileno Enrico Berlinguer lancerà la strategia del compromesso storico, inziando il processo di revisione "euro-comunista" dell'ideologia del partito, pur nella continuità dell'impianto togliattiano profondo, l'ultrasinistra risponderà che la lezione del Cile non additava la necessità di una unità interclassista delle "forze popolari", bensì l'inevitabilità della via armata e rivoluzionaria al socialismo.

La linea di Berlinguer era perciò considerata un'accelerazione del processo di trasformazione del Partito Comunista Italiano in un partito apertamente socialdemocratico, riformista e occidentalizzato. Tanto più che erano crescenti le critiche provenienti dalla dirigenza berlingueriana del PCI verso l'Unione Sovietica e i paesi del blocco socialista, Cina maoista compresa.

Con la crisi petrolifera e il successivo avvio dei giganteschi processi di ristrutturazione del capitalismo internazionale, e di quello italiano innanzi tutto, il PCI e il sindacato collaterale inaugurarono una politica riformatrice "della moderazione", della "responsabilità" e "dell'austerità", in cui si tendeva a dimostrare concretamente l'indispendabilità della partecipazione delle organizzazioni del movimento operaio alla gestione della crisi e quindi, necessariamente, al governo del paese.

Non solo, dopo un iniziale indecisione, sempre più apertamente la linea politica del PCI fu portata da Berlinguer al rifiuto dell'estremismo e, ancor più, del terrorismo criminale di sinistra.
L'emergenza della crisi economica e quella del terrorismo indussero il PCI a proporre una nuova "ciellenista" politica di unità nazionale, che sfociò nell'ingresso progressivo del partito nell'area di governo, fino al governo delle astensioni e fino all'appoggio esterno al gabinetto Andreotti.

Il comunismo combattente non poteva non ritenere questo processo come il principale nemico ed ostacolo per la "guerra di classe" e per la prospettiva rivoluzionaria dell'abbattimento dello Stato Imperialistico delle Multinazionali.

Un partito nato rivoluzionario che diventava "complice" dei processi di ristrutturazione del capitalismo, un partito e un sindacato che offrivano al padronato "moderazione salariale", aumento dei ritmi e della produttività...in cambio di "sedie" nelle amministrazioni, e in prospettiva.....nel governo, era ormai sicuramente da considerarsi, una formazione politica di "traditori" di classe, comunista a parole e borghese e controrivoluzionaria nei fatti.

Fermare questo processo divenne dunque uno degli obiettivi stategici principali per le formazioni comuniste combattenti.

Cordiali saluti.

Pieffebi
25-03-02, 22:17
La concezione marxista-leninista dello Stato individua questo ultimo come il prodotto dell'antagonismo insanabile delle classi, come organizzazione della classe socialmente ed economicamente dominante che per mezzo suo si propone anche come classe POLITICMENTE dominante, ed infine, in regime capitalistico, come "comitato d'affari" della borghesia e come "capitalista collettivo ideale".
Questa dottrina rivoluzionaria sullo Stato giunge alla conclusione che "il proletariato non può ne' infrangere ne' modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione, da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borgehse" (tesi n° 3 del Programma del Partito Comunista Italiano, livorno 1921), e che "tra la società capitalistica e quella comunista vige il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra, la cui forma politica può essere soltanto la dittatura rivoluzionaria del proletariato" (Marx).
Anche la forma rappresentativa e democratica dello Stato, fondata sulle "libertà borghesi" e sul "suffragio universale" non sfugge a questa concezione. Per Lenin la "repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo" (Stato e Rivoluzione) e "un paradiso per i ricchi e una trappola ed un inganno per i poveri e gli sfruttati" (Il rinnegato Kautsky), e per Gramsci "ogni Stato è una Dittatura", per cui la democrazia borghese è una forma "della dittatura del capitale".
Per non dire del Bordiga per il quale non è neppure lecita la tattica leniniana dell'utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare borghese nell'ambito della "combinazione del lavoro legale e quello illegale", secondo gli insegnamenti della maggioranza dell'Internazionale Comunista diretta dai bolscevichi.
Il terrorismo comunista tuttavia, pur partendo da questi presupposti giunge a analisi e concezioni strategiche e tattiche non solo "più esasperate", non solo "più violente", non solo senz'altro criminali, ma protese a una diversa visione della funzione dello Stato nel processo moderno di riproduzione dei rapporti sociali capitalistici nell'epoca dell'Imperialismo.
Nella sostanza per il terrorismo la natura di classe della democrazia borghese, nell'epoca dell'imperialismo, si è addirittura accentuata, e non esistono possibilità di utilizzarne gli spazi politici per politiche rivoluzionarie tese a spostare a vantaggio della classe proletaria gli equilibri, in attesa del colpo di mano finale dell'insurrezione rivoluzionaria nell'epoca della "crisi finale" del capitalismo.
La democrazia imperialista è un demone che manifesta capacità di concentrazione della violenza e della repressione tanto più pericolose per la classe operaia tanto più sono mascherate da parvenze di libertà politica e di legalità.
La legalità dello Stato borghese è infatti una "legalità di classe" che si rivolge sempre e comunqe a protezione dello sfruttamento e dell'imperialismo e contro le lotte di classe proletarie e contro le forze rivoluzionarie.
Contro lo Stato democratico borghese sono pertanto leciti gli strumenti di lotta armata che altrimenti si ritenevano giustificate, da parte non solo dei marxisti, contro le tirannidi fasciste.
Il deliro terrorista non distingue quindi tra potere democratico e dittatura fascista. La democrazia imperialista è una democrazia repressiva, violenta e "fascistizzata", in cui le fazioni in lotta sono tutte espressioni degli interessi borghesi, e rappresentano soltanto diverse frazioni sociali della classe dominante e diversi interessi particolari comunque subordinati a quello generale del capitalismo imperialistico.
Dei riformisti e dei "comunisti ufficiali" abbiamo già parlato, e abbiamo visto che per i terroristi ultracomunista sono soltanto "agenti borghesi" nel movimento operaio e traditori di classe. Dunque non vi è motivo per no ritenerli dei bersagli, anzi, in certe circostanze sono i bersagli privilegiati.
Per certi versi il terrorismo preferisce i governi della destra autoritaria, in quanto attraverso questi la classe operaia può più facilmente rendersi conto del fatto che lo Stato democratico "è un nemico da abbattere".
La concezione criminale della lotta armata del comunismo combattente giunge, come visto, a colpire individui inermi in quanto rappresentanti e simboli del "potere di classe" della borghesia imperialistica.
Contro il terrorismo non ci possono essere distinzioni di schieramento fra destra, centro e sinistra, anche perchè il terrorismo azzera da parte sua queste differenze ed è pronto a colpire spietatamente chiunque, con lo scopo ultimo di abbattere lo Stato democratico per distruggere il capitalismo e darci la schiavitù comunista.

Saluti liberali.

Pieffebi
26-03-02, 14:30
In che senso il terrorismo rosso interviene o pretende di intervenire nei processi e nei cicli delle lotte di classe? In che modo i flussi e riflussi dei conflitti sociali e i "climi" che i medesimi generano favoriscono o inibiscono la lotta armata terroristica?
E, infine, in che modo un clima sociale particolarmente teso e la diffusione di posizioni massimalistiche ed estremistiche in strati crescenti della popolazione possono favorire il reclutamento di nuove generazioni di terroristi o di .....forze collegate con il terrorismo?
Non è facile rispondere a queste domande, anche perchè le risposte credo che debbano variare a seconda delle varie fasi storiche.
In altre parole il 2002 non è il 1969, non esistono più le condizioni economio-sociali e politiche di quegli anni, e la stessa composizione sociale dell'Italia e dell'occidente è profondamente mutata, così come sono cambiate le fabbriche.
Cercherò di affrontare comunque questi temi, per quanto sinteticamente, nei prossimi giorni, servendomi dell'analisi delle ideologie e dei processi sociali per poter abbozzare alcune seppur provvisorie e problematiche risposte.

Cordiali saluti

Pieffebi
27-03-02, 22:25
Come ho già detto in un precente post vi è una divergenza di fondo fra concezione marxista-leninista classica del partito e del suo ruolo nel portare al movimento operaio la coscienza politica "socialista" nel corso delle lotte sociali, e quella del comunismo combattente. Il partito combattente è sempre più un esercito, un'organizzazione militare e sempre meno un organismo politico che interviene nella politica quotidiana.
La strategia della "guerra di classe" promossa dai vari fautori della lotta armata, siano essi "militarsti" o "movimentisti" deve tuttavia tenere conto del "contesto" e della fase delle lotte di classe e di quello che oggi si usa chiamare..."il clima sociale".
Il presupposto della scelta della lotta armata è però quello secondo il quale,ormai, non esistono altri concreti terreni di lotta, per il proletariato, che quelli connessi con l'esercizio della violenza di classe, di cui la lotta armata è il necessario punto d'approdo. Per il comunismo combattente il moderno imperialismo è caratterizzato dall'estrema violenza dei rapporti sociali e dalla brutalità della borghesia, che si dimostra in tutti i suoi effetti nei paesi del terzo e quarto mondo, mentre è appena mascherata, nelle metropoli imperialistiche dalla finzione della democrazia formale borghese, e dalla corruzione sistematica degli strati superiori della classe sfruttata e della sua rappresentanza ufficiale, politica e sindacale.
L'azione terroristica è reputata pertanto quale l'unica espressione genuina della straegia rivoluzionia e dell'attività progandistica del partito armato.
Colpire "il cuore dello Stato" non significa soltanto eliminare coloro che garantiscono alle istituzioni il migliore funzionamento e la capacità di adattamento alle esigenze della classe dominante , significa anche indicare nemici, obiettivi e rendere possibile l'epifania della realtà concreta dello sfruttamento capitalistico e del depredamento imperialistico. La lotta armata produce, secondo il deliro ideologico dei terroristi, una crescita della coscienza di classe, e surroga in questo in modo imponente le normali e quotidiane lotte politiche e sindacali del movimebto operaio, altrimenti condannate al piccolo cabotaggio e al riformismo, ossia al costante e progressivo cedimento nei confronti del Capitale.
Tutto questo non significa che le contraddizioni del capitalismo non producano spontaneamente lotte sociali dure. Queste però vengono contenute e deviate dal riformismo, e nella fase "putrescente" e tarda dell'imperialismo, nell'epoca della globalizzazione, sono necessariamente lotte "difensive" e "conservative" nei confronti dell'offensiva della classe dominante che, giorno per giorno, erode le concessioni che fu costretta a fare in precedenti fasi della storia del conflitto internazionale fra capitale e lavoro.
Dunque per il comunismo combattente, anche nell'immediato, l'espressione normale di una lotta di classe proficua contro il capitalismo imperialistico e il suo Stato risulta essere senza alternative possibili.....la lotta armata.
Quando i terroristi parlano di avanzata o riflusso delle lotte rivoluzionarie, di necessità di organizzare l'offensiva o la "ritirata strategica", si riferiscono perciò non solo e non tanto ai conflitti sociali reali che si verificano nella politica concreta e nelle "relazioni industriali" fra le parti sociali, ma appunto alle fasi di organizzazione ed attuazione della lotta armata.
Nella visione allucinata dei comunisti combattenti la lotta di classe è dunque ormai sostanzialmente GUERRA di classe, scontro militare, che inizia ad attuarsi con azioni dimostrative e con l'eliminazione di obiettivi che per il ruolo che ricoprono possano rappresentare dei "gangli vitali" dell'organizzazione nemica.
Il fatto che vengano uccisi uomini non famosissimi, che ricoprono ruoli defilati (rispetto alla grande opinione pubblica) ma comunque importantissimi non deve ingannare.
Il comunismo combattente indica gli obiettivi con l'azione armata, e del resto colpisce quegli obiettivi la cui eliminazione può essere in grado di contribuire a disarticolare la politica della borghesia imperialistica, offrendo alla classe operaia, inoltre, la dimostrazione concreta della natura "reazionaria" e "imperialistica" del riformismo, che è sempre più incondizionatamente un'arma della borghesia rapace.
L'analisi brigatista sulla fase "neo-corporativa" della politica "controrivoluzionaria" delle classi dominanti, vuole vedere nel sindacato non solo un organismo che tende naturalmente ad essere "reazionario" (già Lenin, come è noto ai conoscitori del marxismo, la pensava così), ma che nelle politiche di concertazione (e di "pompieraggio" verso le lotte spontanee dei lavoratori e le loro istanze profonde), diventa di fatto - seppur in modo extra/istituzionale - parte integrante di quello "Stato Imperialista delle Multinazionali" che è compito dei combattenti comunisti "colpire al cuore".
Quegli uomini che per le loro funzioni svolgono il ruolo di "intermediazione" e "proposta" nel dialogo neo-corporativo fra le "parti sociali" e le istituzioni borghesi sono, in questa fase della "guerra di classe" condotta dai criminali brigatisti, obiettivi particolarmente importanti, soprattutto se rivelano intelligenza e capacità propositiva per le vie da intrapredere, da parte del governo e della classe dominante, per adeguare le istituzione e i quadri normativi alle esigenze della competitività capitalistica e dello sfruttamento imperialistico.


....continua....


Cordiali saluti.

Pieffebi
29-03-02, 20:37
....continuazione...

Da tutto ciò si potrbbe ricavare la falsa convinzione che nel loro delirio "rivoluzionario" i terroristi non abbiano rapporti e/o non cerchino di averne con i movimenti sociali e le loro dinamiche, che non cerchino collegamenti con le formazioni e i militanti che in detti movimenti assumono spontaneamente le posizioni più estreme e politicamente più "mature" dal punto di vista eversivo.
Non significa neppure che il comunismo combattente rinunci ad infiltrare le organizzazioni "nemiche", sia a fini asserviti agli obiettivii "militari" che, laddove dette organizzazioni abbiano una buona presenza nel proletariato, allo scopo di un sotterraneo lavoro politico di "propaganda rivoluzionaria" e di reclutamento in strutture politiche parallele ai nuclei combattenti, in una sorta di stazioni di transito in grado di fornire il necessario supporto logistico ai combattenti e di formare politicamente le nuove leve di terroristi.
E' in questa area che la correlazione fra radicalizzazione del conflitto sociale e crescita della simpatia verso le posizioni terroristiche diventa probabile e può determinare l'espansione e il radicamento del comunismo combattente a dispetto dei tentativi di..."isolarlo".
La barriera fra il radicalismo massimalistico delle frage più estreme delle formazioni tradizionali della sinistra e del movimento operaio sindacale è non solo ideologica ma anche morale. Tuttavia una concezione della realtà del capitalismo imperiastico tesa alla sua demonizzazione, secondo schemi vetero-marxisti, contornati da denunce moraleggianti portate ad individuare un pretesa natura intrinsecamente violenta e criminale della società borghese in quanto tale, permette, accanto alle analisi della natura dello Stato e dei suoi apparati, al comunismo combattente di penetrare la suddetta barriera.
La mitologia dell'esisteza di un "doppio Stato" permanente, autore e ispiratore di ogni nefandezza, e la rappresentazione delle forze dell'ordine come apparati intrinsecamente "reazionari" ....costituisce uno dei possibili canali di comunicazione fra massimalismo, estremismo e terreno di cultura del terrorismo.
Per converso nel campo delle forze terroristiche, o decisamente fiancheggiatrici del terrorismo rosso, la varietà delle tattiche messe in campo è più ampia di quanto non si possa sospettare. Il gruppo di "Iniziativa Comunista", ad esempio, se sono vere le ipotesi della magistratura, combina in modo interessante, per dirla con Lenin...il "lavoro illegale" della lotta armata, con quello "legale" della presentazione di liste locali alle elezioni degli "organi rappresentativi borghesi".
La comunanza della maggior parte del patrimonio ideologico e della maggior parte delle analisi sui rapporti economico-sociali esistenti e sulla loro evoluzione, non implica automaticamente una complicità politica fra estremismo radicale di sinistra e terrorismo rosso.
E' però da rilevare quello che in tempi e modi diversi hanno detto tanto l'ulivista Massimo Cacciari, quanto l'ex fiancheggiatore del terrorismo e teorico della viiolenza proletaria Oreste Scalzone: se si è davvero convinti che in Italia sta risorgedo il regime fascista ad opera di un governo di squadristi e di farabutti, bisogna essere conseguenti, impugnare le armi e....salire in montagna. Chi sostiene seriamente una simile premessa o "analisi" catastrofica, e ce ne sono non pochi, anche fra i cosiddetti intellettuali, è stato definito cretino da Cacciari in un'intervista tv del febbraio 2002.
Da parte sua Oreste Scalzone ha detto, dopo l'omicidio Biagi, che per trarre le conseguenze ineludibili di certe rappresentazioni della politica italiana....bisogna "avere le palle" e non solo la lingua.
Insomma, per essere dei catttivi maestri, a certi propagatori di odio.. non manca tanto il furore ideologico quanto la consequenzialità del proprio pensiero e fra il proprio dire e il proprio fare.
La tesi della fascistizzazione strisciante dello Stato democratico era infatti ben conosciuta nella vecchia ultrasinistra violenta di trenta anni fa.

continua....

Pieffebi
01-04-02, 17:49
La penetrazione del comunismo combattente nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, negli atenei, era riuscita benino alle formazioni terroristiche di trenta anni fa. Intendiamoci, non sono mai riuscite a raccogliere consensi apprezzabili, ma una minoranza, non inconsistente, di "militanti" operai e studenti... hanno a diversi livelli espresso consenso, o addirittura collaborazione, se non direttamente con i gruppi armati, almeno con le loro "strutture di massa" fiancheggiatrici.
La lotta armata inoltre non era e non è l'unica forma di "violenza di classe" teorizzata dalle formazioni del comunismo combattente.
L'intimidazione e la violenza verso i "capetti", i "capi reparto", i "quadri", in quanto "strumento della disciplina capitalistica" nei luoghi di lavoro fu largamente praticata. Pestaggi, minacce, piccoli attentati contro la proprietà di questi "servi del capitale" erano all'ordine del giorno in molti grandi complessi industriali nella prima metà degli anni settanta. E anche il sabotaggio della produzione, il neo-luddismo, fu teorizzato, predicato e praticato dalla "sinistra di classe" più vicina alle formazioni del comunismo combattente.
"Autonomia Operaia Organizzata" teorizzava appunto questo tipo di "lotta di classe", che implicava necessariamente l'utilizzo della violenza, vista "l'intrinseca crescente violenza presente nei rapporti di produzione capitalistici". Non mancavano anche soluzioni più "pacifiche". Qualcuno teorizzò che se tutti i lavoratori del mondo industrializzato capitalistico, per un mese di fila anzichè andare a lavorare fossero andati....a spiaggia, l'imperialismo capitalistico sarebbe....caduto sa solo!
Infatti l'assenteismo cronico fu teorizzato da "intellettuali" neo-marxisti dell'area dell'autonomia operaia, quale idoneo strumento della lotta contro il capitale, accanto alle forme di violenza sopra descritte.
Violenza e illegalità (ricordiamoci che "la legalità è borghese") erano dunque mezzi leciti per condurre la guerra ai padroni e allao Stato Imperialistico delle Multinazionali. L'assassinio politico e gli attentati terroristici, inclusi gli espropri di autofinanziamento, facevano parte del più alto livello dello "scontro di classe".
Oggi in gran parte la situazione del mondo di lavoro è cambiata, profondamente cambiate sono le fabbriche, tuttavia non è da escludersi affatto che simili fenomeni, seppur "aggiornati" ai nostri tempi possano tentare di riprodursi.
Sicuramente il fronte "di lotta" oggi si sposta di più sul fronte "internazionale" della "guerra di classe alla globalizzazione neo-liberale" e alla "ristrutturazione produttiva del capitalismo imperialistico" con la "erosione dei diritti e dei livelli di vita conquistati dalla classe operaia delle metropoli imperialistiche".

continua...

Pieffebi
02-06-04, 16:41
up!

MrBojangles
03-06-04, 00:53
In origine postato da Pieffebi
up!

In mancanza d'argomenti...:K

yurj
03-06-04, 18:23
http://www.legnostorto.com/misc/ieeditor/upload/www.legnostorto.com/saddamhussein.jpg

Pieffebi
14-10-04, 14:41
up!