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Visualizza Versione Completa : Narcomafia: il Paradiso Fiscale del riciclaggio



PROLET
06-03-02, 03:56
Il paradiso (fiscale) esiste

Fausto Caffarelli


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Bahamas, Belize, Seychelles: luoghi esotici che evocano paesaggi straordinari e vacanze da sogno, ma anche "casseforti" a prova di bomba per chi vuole occultare dagli sguardi indiscreti del fisco e della legge i propri capitali. In giro per il mondo ce ne sono parecchi. Si chiamano paradisi fiscali, o più correttamente paesi off-shore (letteralmente al largo), e sono un pilastro fondamentale del sistema economico odierno, nel quale l’economia di carta conta assai di più rispetto a quella reale.

La loro crescita è esplosa negli ultimi 30 anni, favorita dalla maggiore libertà di movimento dei capitali, dalle innovazioni tecnologiche e dalla nascita di nuovi prodotti finanziari, sotto lo sguardo compiaciuto e connivente dei grandi Stati. Due anni fa un rapporto delle Nazioni Unite ne aveva individuati 48, ma altre stime parlano di un numero più rilevante — tra le 60 e le 90 unità — tra cui, per limitarci all’Europa, figurano stati come la Svizzera, Andorra, Malta e il Principato di Monaco.

Il risparmio assicurato
I motivi per cui i patrimoni approdano nei paradisi sono essenzialmente due: il risparmio fiscale e la ripulitura del denaro sporco, che deriva da attività illecite. Vediamo il primo caso. Oggi più che mai le aziende, per stabilire dove insediare le loro produzioni, attuano quella che si chiama "pianificazione fiscale", che significa studiare i diversi regimi d’imposizione a livello mondiale allo scopo di individuare i più vantaggiosi.

La struttura operativa utilizzata per massimizzare il risparmio fiscale è costituita da una società madre (controllante) e da alcune società figlie (controllate). La madre sta in un paese ad alta tassazione mentre le figlie risiedono in qualche paradiso fiscale a tassazione leggera, e operano tra loro in modo che la maggior parte dei costi gravino sulla prima (più costi, meno base imponibile, meno imposte), mentre i ricavi siano appannaggio delle seconde (la base imponibile aumenta, ma i tributi pesano poco). In un secondo tempo, distribuendo il dividendo ai soci — e quindi principalmente alla casa madre — queste faranno tornare il reddito alla società controllante.

Tutto formalmente legale, a differenza del riciclaggio del denaro sporco, che deriva da attività come il commercio di droga, la vendita di materiale nucleare e di armi, il traffico di immigrati e la corruzione. L’Interpol ha stimato in tremila miliardi di dollari l’anno i profitti complessivi di questi commerci illeciti.

Lavare è un gioco

Il processo di "ripulitura" si snoda lungo tre tappe. Il "prelavaggio" è la fase in cui il denaro entra nel circuito legale. I sistemi sono diversi, uno dei più semplici è quello di frazionare i capitali in piccole somme, meno sospette, da versare successivamente in diversi conti bancari da, cui — è il passo successivo — nasceranno altri conti, aperti questa volta in centri off-shore, assai refrattari a fornire informazioni in caso d’indagini giudiziarie. La tappa finale è il riciclaggio vero e proprio: attraverso società di comodo costituite nei paradisi fiscali, il denaro viene reinvestito, in modo apparentemente legittimo, in immobili, catene di ristorazione, partecipazioni azionarie… e il gioco è fatto.

Ma questo, come quello dell’elusione fiscale, è un fenomeno per cui la collettività intera paga, e ha pagato, una posta altissima. Ci troviamo di fronte a un’economia drogata, nella quale l’entità del denaro di origine criminale è in grado di alterare i meccanismi della concorrenza, di disturbare il movimento dei capitali con il rischio di gravi crisi finanziarie, come già successo nel passato (basterebbe citare solo il caso della Russia post-comunista), e di destabilizzare interi sistemi bancari.

I mancati introiti fiscali, invece, hanno accelerato, insieme ad altri fattori (deficit demografico, espansione incontrollata di alcuni privilegi, corruzione) la crisi del Welfare State, indebolendo la capacità dei governi di soddisfare i bisogni dei cittadini. La fuga dei capitali italiani all’estero ha provocato, negli ultimi anni, minori entrate per circa 230 miliardi di euro e minori investimenti per 400 miliardi di euro (fonte: Ares2000, associazione di ricerca socio economica). Se ciò non fosse accaduto avremmo potuto, ad esempio, ridurre fortemente il debito pubblico, la disoccupazione non avrebbe mai toccato le cifre che conosciamo e il deficit dell’Inps godrebbe oggi di una salute migliore.




Prima e dopo l’11 settembre

Un sistema del genere è stato tollerato per anni e la responsabilità va ricondotta alle grandi potenze che non hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di fare ordine nell’arcipelago off-shore. A onor del vero qualcosa si sta finalmente muovendo e una brusca accelerazione, almeno nelle intenzioni, è conseguita alla tragedia dell’11 settembre: "Solo prosciugando le fonti di approvvigionamento e interrompendo i finanziamenti, si possono sterilizzare le azioni dei terroristi […]. Bin Laden ha potuto agire grazie ai suoi soldi […]. Li tiene — depositati o investiti — nelle banche dei soliti paradisi fiscali: Cipro, Panama, Isole Cayman, ma soprattutto a Vaduz nel Liechtenstein, a Nassau nelle Bahamas e a Riad, in Arabia Saudita" (Antonio Di Pietro, newsletter personale, 28 settembre 2001).

Prima del crollo delle Torri Gemelle esistevano due linee di pensiero, una più dura, vicina alla filosofia dell’Unione Europea, secondo la quale era ormai ineludibile modificare in senso più restrittivo le deboli legislazioni dei paradisi fiscali, l’altra più soft, rappresentata dall’amministrazione statunitense, ai cui occhi i paesi off-shore non apparivano così pericolosi. Solo nel luglio 2001 il presidente George W.Bush aveva respinto al mittente un piano del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale dell’Ocse (GAFI) che prevedeva misure severe nei confronti dei paradisi fiscali.

Oggi appaiono tutti più determinati, anche se è bene nutrire più di un dubbio visto che nelle 76 pagine della nuova strategia americana contro il terrorismo, partorita subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle, solo una è dedicata alla caccia dei capitali illegali.

Il problema è di pura volontà politica, perché se si è riusciti a imporre pesanti piani di aggiustamento strutturale a grandi paesi come il Brasile e la Russia, al di là delle pesanti conseguenze che essi hanno provocato in queste nazioni, appare inverosimile che non si possa limitare l’immunità finanziaria e fiscale di piccoli Stati. Si potrebbe, per esempio, decretare che tutte le operazioni finanziarie con i paradisi fiscali sono nulle o sanzionare imprese e istituti bancari che utilizzano centri off-shore e il circuito elusivo-illegale riceverebbe un duro colpo.

E’ evidente, quindi, che la pressione di alcune lobbies internazionali è stata talmente forte da impedire di assumere decisioni che andassero verso una regolazione del fenomeno. Da questo punto di vista la responsabilità delle multinazionali, che concentrano gran parte delle loro ricchezze nei paradisi sparsi per il globo, è enorme. Trovata la gallina dalle uova d'oro, perché abbandonarla?


Il ruolo dei cittadini

Una risposta importante sta arrivando, invece, dalla società civile che, di solito, di fronte alle grandi questioni di carattere economico rimane ammutolita, perché pensa di non avere voce e possibilità di incidere sulle scelte dei governi. Il 3 giugno 1998, a Parigi, sulla spinta di un articolo pubblicato da "Le Monde diplomatique" intitolato "Disarmare i mercati", è nata l’Associazione per la Tassazione delle Transazioni Finanziarie per l’Aiuto ai Cittadini (ATTAC), ormai diffusa a livello internazionale. Giornalisti, sindacati, associazioni e semplici cittadini, ritenendo che di fronte ai guasti provocati da una globalizzazione non controllata non si potesse più rimanere inerti, hanno dato vita a una serie d’iniziative (la più nota è il Forum Sociale mondiale di Porto Alegre) volte a mobilitare l’opinione pubblica internazionale.

Sul tema dei paradisi fiscali sono state espresse posizioni molto nette, insieme alla proposta di una serie di misure urgenti per contrastare il fenomeno: l’applicazione delle leggi antiriciclaggio senza limiti territoriali, una maggiore trasparenza delle grandi banche internazionali, l’obbligo di cooperazione dei paradisi fiscali con il resto del mondo con relative sanzioni in caso di mancato rispetto (ad esempio, il taglio dei canali informatici), la definizione del crimine internazionale d’impresa. La parola d’ordine è una sola: chiudere le porte dei paradisi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Attac.it, I paradisi fiscali ovvero la finanza fuorilegge, Asterios Editore, 2001

Susan Strange, Denaro impazzito, Edizioni di Comunità, 1998



NOTE:

I PAESI OFF-SHORE


Nella pubblicistica corrente si è soliti parlare di "paradisi fiscali" anche per indicare, in realtà, territori che non fanno perno solo sulla leva fiscale per attirare capitali dall’estero. Nel corso dell’articolo ci adeguiamo a questo criterio per esigenze di leggibilità, ma è bene ricordare che esistono anche "paradisi societari" — cioè paesi nei quali è difficile penetrare i segreti delle società costituite — e "paradisi finanziari" — in cui è possibile trasferire e custodire denaro senza dichiararlo. L'insieme di questi regimi è quello comunemente detto dei paesi off-shore, definizione che nasce negli Stati Uniti durante gli anni 20 quando, per aggirare il proibizionismo, vennero utilizzate navi ancorate al di fuori delle acque territoriali statunitensi, sulle quali si poteva bere alcolici e giocare d’azzardo.


GLOSSARIO


BASE IMPONIBILE: è l’importo al quale si applica l’aliquota per il calcolo dell’imposta. Semplificando al massimo, in un’impresa è la differenza tra costi e ricavi.

DIVIDENDO: quota dell’utile di una società per azioni che viene distribuito per ogni azione posseduta.

ELUSIONE FISCALE: comportamento del contribuente che, facendo leva sulla complessità delle norme fiscali, si sottrae in modo legale al pagamento delle imposte

SOCIETA’ DI COMODO: società commerciali che di fatto non svolgono alcuna attività, costituite al solo scopo di intestare ad esse determinati beni (immobili e pacchetti azionari), per occultarne la reale proprietà.

WELFARE STATE: sistema sociale attraverso il quale lo Stato garantisce ai cittadini un livello minimo di reddito e alcuni servizi ritenuti essenziali (scuola, sanità).

PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE: complesso di riforme economiche (riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni, svalutazione della moneta) che il Fondo Monetario Internazionale impone ai paesi che non sono in grado di pagare i debiti verso l’estero.

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www.prolet.too.it

alessandro74
30-05-19, 10:35
È arrivata l’ora di usare il pugno duro contro questi paesi.
Sanzioni o missili a bombardargli le banche.
Voglio vedere se faranno ancora riciclaggio e giochi sporchi.

BlackSheep
30-05-19, 10:37
È arrivata l’ora di usare il pugno duro contro questi paesi.
Sanzioni o missili a bombardargli le banche.
Voglio vedere se faranno ancora riciclaggio e giochi sporchi.

sono satanisti?

alessandro74
30-05-19, 10:59
sono satanisti?

Sicuramente c’è di mezzo satanaro.
Complotti sporchi sono per lui calamite.