Oscar
06-03-02, 14:30
Processo al processo. La signora parla troppo e rischia di fare il gioco dell'imputato, quello Slobo Milosevic, primo capo di Stato a giudizio per crimini di guerra. Il procuratore Carla Del Ponte con facilità eccessiva lo ha definito il "mostro di Belgrado", e dimostrando di cadere nei luoghi comuni della storia l'accusa di "crimini medioevali", un'epoca meno buia di quanto pretendono fumetti e film hollywoodiani, come ormai si riporta anche nei libri di scuola.
"Troppo chiasso in tv e sui giornali, prima ancora di entrare in aula", la rimprovera in un'intervista all'Ansa, Antonio Cassese, che fu il presidente del Tribunale penale internazionale, nei primi quattro anni dalla sua creazione. "In fondo - ha detto - tutte le dichiarazioni della Del Ponte prima del dibattimento, in cui sbandierava di avere prove schiaccianti e che avrebbe fatto condannare Milosevic, hanno consentito all'imputato di trasformare l'aula dell'Aja in una tribuna politica. E questo danneggia il Tribunale, che finora aveva operato molto bene, perché la giustizia non si fa con le sparate sui media."
Chi conosce Cassese, e la sua assoluta correttezza, comprende che deve essersi sentito tirato per i capelli dal procuratore del "suo" tribunale per rompere il silenzio in modo così clamoroso.
Com'è inevitabile, il processo non occupa più lo spazio dei primi giorni sui giornali di tutto il mondo, ma di udienza in udienza, l'avvocato Milosevic, legale di se stesso, si sta dimostrando molto più abile, preparato e agguerrito della sua avversaria. Il difetto della signora è comune a molti suoi colleghi, impegnati in processi meno storici. Ci si illude che lo spazio in Tv e sulla stampa equivalga a inoppugnabili dossier d'accusa. Ma la giustizia non è uno spot pubblicitario. Non basta ripetere "il mio imputato è un mostro" fino all'ossessione per giungere al verdetto sperato. Per la verità, anche gli imputati che se lo possono permettere usano lo stesso metodo per convincere l'opinione pubblica di essere vittime di un complotto. Come Slobo.
La Del Ponte ha sbagliato anche a scegliere alcuni testi, incalza Cassese, gente squalificata che l'imputato ha messo con le spalle al muro. E oltre in storia, è insufficiente in geografia: accusa Milosevic d'aver violato il confine tra Serbia e Kosovo, che non esiste. Non ancora. E' troppo spesso diserta l'aula, per andare a caccia d'altre prove. Innanzi alla storia Slobo non può essere assolto, si ripete. Ma questa è un'affermazione che già ferisce la giustizia.
Persino contro un Hitler, che preferì il cianuro ai tribunali, si dovrebbe procedere con il rispetto giuridico che si riserva a un assassino comune. E' il prezzo che dobbiamo pagare, se vogliamo credere di essere migliori dei "mostri".
di Roberto Giardina
"Troppo chiasso in tv e sui giornali, prima ancora di entrare in aula", la rimprovera in un'intervista all'Ansa, Antonio Cassese, che fu il presidente del Tribunale penale internazionale, nei primi quattro anni dalla sua creazione. "In fondo - ha detto - tutte le dichiarazioni della Del Ponte prima del dibattimento, in cui sbandierava di avere prove schiaccianti e che avrebbe fatto condannare Milosevic, hanno consentito all'imputato di trasformare l'aula dell'Aja in una tribuna politica. E questo danneggia il Tribunale, che finora aveva operato molto bene, perché la giustizia non si fa con le sparate sui media."
Chi conosce Cassese, e la sua assoluta correttezza, comprende che deve essersi sentito tirato per i capelli dal procuratore del "suo" tribunale per rompere il silenzio in modo così clamoroso.
Com'è inevitabile, il processo non occupa più lo spazio dei primi giorni sui giornali di tutto il mondo, ma di udienza in udienza, l'avvocato Milosevic, legale di se stesso, si sta dimostrando molto più abile, preparato e agguerrito della sua avversaria. Il difetto della signora è comune a molti suoi colleghi, impegnati in processi meno storici. Ci si illude che lo spazio in Tv e sulla stampa equivalga a inoppugnabili dossier d'accusa. Ma la giustizia non è uno spot pubblicitario. Non basta ripetere "il mio imputato è un mostro" fino all'ossessione per giungere al verdetto sperato. Per la verità, anche gli imputati che se lo possono permettere usano lo stesso metodo per convincere l'opinione pubblica di essere vittime di un complotto. Come Slobo.
La Del Ponte ha sbagliato anche a scegliere alcuni testi, incalza Cassese, gente squalificata che l'imputato ha messo con le spalle al muro. E oltre in storia, è insufficiente in geografia: accusa Milosevic d'aver violato il confine tra Serbia e Kosovo, che non esiste. Non ancora. E' troppo spesso diserta l'aula, per andare a caccia d'altre prove. Innanzi alla storia Slobo non può essere assolto, si ripete. Ma questa è un'affermazione che già ferisce la giustizia.
Persino contro un Hitler, che preferì il cianuro ai tribunali, si dovrebbe procedere con il rispetto giuridico che si riserva a un assassino comune. E' il prezzo che dobbiamo pagare, se vogliamo credere di essere migliori dei "mostri".
di Roberto Giardina