Dragonball (POL)
08-03-02, 12:29
Da La Stampa:
IL TITOLARE LEGHISTA DEL WELFARE SI SENTE «SCARICATO» DA PALAZZO CHIGI E ANCHE DAL SUO SEGRETARIO
Lo sfogo del ministro:mi lasciano solo sulle barricate
«Però io non ci sto a far la parte di quello che vuol fregare i lavoratori»
MILANO
RACCONTARE che non l'ha presa bene è soltanto un eufemismo gentile. «Sembra proprio un messaggio rivolto a me, no?». Sull'aereo che lo riporta a Varese si legge i primi commenti dalle agenzie di stampa. «Eccolo qui Alemanno, il primo a dire che Umberto ha ragione...». Per Roberto Maroni l'uscita di Bossi è stata una sorpresa a metà. Sapeva che da sempre la pensa così, e già l'aveva dichiarato. Quel che non sapeva, non si aspettava, è che lo ripetesse proprio ieri, all'uscita del Consiglio dei Ministri. «Poi ci siamo parlati, tutto chiarito». Sarà anche così, ma l'impressione che Maroni si possa sentire isolato, quasi abbandonato e perfino da Bossi, è dura da cancellare. «Entro mercoledì prossimo troveremo la soluzione. Arrivati a questo punto mica posso rimanere sulle barricate da solo». Eppure, al Consiglio dei Ministri, ne aveva discusso con Bossi e sembrava non esistessero problemi. Si era avvicinato Fini, si era avvicinato Alemanno. «Tutti d'accordo nel dire che il sindacato sta mistificando, che qualunque cosa io dica Cofferati risponde che è un trucco». Tutti d'accordo, ma sul portone Bossi dice quel che ha sempre pensato. «Non dobbiamo farci incastrare, la Lega non appoggerà mai decisioni che possono danneggiare i lavoratori o i pensionati». Il bello è che anche Maroni la pensa così. «Ora mi aspetto qualcuno che dica "Bossi ha scaricato il suo ministro". Dicano pure. La verità è che il Governo, tutto il Governo, non ha ribattuto a Cofferati e alla sua campagna di "controinformazione". Così Angeletti e la Uil sono finiti con Cofferati mentre Pezzotta e la Cisl ormai sono sul piano inclinato». Al ministero del Welfare, tra i collaboratori di Maroni, c'è chi rimpiange il giorno dell'indecisione. Quando poi il sottosegretario Maurizio Sacconi riuscì a convincere Maroni e cominciò la partita dell'articolo 18. «Però il governo del Grande Comunicatore non ha saputo gestire la vendita del prodotto e Cofferati ha cominciato ad attaccare». Prima vittima, sembra, proprio Maroni. «No, non è così - risponde - La verità è che Cofferati lo sciopero generale l'ha deciso il 15 maggio, il giorno delle elezioni. Cercava un pretesto e si è buttato sull'articolo 18, una norma che tocca 100 casi in un anno, dal suo punto di vista molto è molto meno grave dell'accantonamento del Tfr. Il risultato è che mi vogliono far passare per quello che non sono: uno che vuole fottere i lavoratori». E questo a Maroni brucia. «E' un'etichetta che mi dà fastidio, ma è un altro risultato della campagna di Cofferati». Si ha l'impressione, a sentire Maroni, che questa partita sia diventata quasi uno scontro personale. Cremona contro Varese, e viceversa. La musica lirica contro il blues. «E pensare che eravamo colleghi, facevamo i dj nella stessa radio privata». Bei tempi. Finiti. «Ammetto che il sindacato su questo terreno è stato molto attivo, molto più attivo del Governo». E ammette che, nel Governo, «pochi hanno voluto esporsi». Anzi nessuno. Neppure un mese fa c'era stato il caso Brambilla, il suo sottosegretario in quota Lega che si era poi ritrovato senza più delega. Un suo «Appunto», un suo documento inviato a Palazzo Chigi, era sembrato il primo passo verso l'abbandono della battaglia sull'articolo 18. Le dichiarazioni di Bossi all'uscita da Palazzo Chigi sono un altro passo, e vale triplo. A Maroni non resta che preparare quella che, dipenderà dai punti di vista, sarà o la via di fuga o la soluzione. «Entro mercoledì», ripete senza voler aggiungere dettagli. Comunque sia, per Maroni, questa resterebbe un'occasione sprecata. E può fare impressione sentire un ministro del Governo Berlusconi dire che «è stato un problema di comunicazione e di controinformazione falsa. «Enzo Biagi il 15 gennaio ha chiamato nella sua trasmissione Cofferati, che ovviamente mi ha bombardato. Quando ho chiesto di poter replicare mi è stato risposto che l'argomento non era più di attualità. Dovevamo andare da Bruno Vespa, finalmente io e lui, impossibile bluffare, e all'ultimo momento Cofferati ha rinunciato...». La via di fuga, o la soluzione «entro mercoledì». Con un dispiacere in più: «Perché Umberto non ha ripetuto quel che ha detto sabato scorso al Congresso?». Che Cofferati mistifica, che la Lega non vuole licenziare nessuno, che la Lega non colpirà i lavoratori... L'ha detto, sì. Ma anche Bossi deve aver visto i sondaggi di Berlusconi, o comunque deve aver capito che il rischio è proprio quello di passare come gli alleati dei terribili Padroni che dai licenziamenti passeranno alle pensioni. A Maroni l'aveva detto quando c'era Brambilla da sistemare, la delega da revocare al sottosegretario indisciplinato. «Va bene, Roberto. Però questa storia dell'articolo 18 deve finire presto o rischiamo di rimanere da soli sulle barricate». Da ieri, a sentire Bossi, sulle barricate rischia solo Maroni.
Non avevo molta stima di Maroni prima,ma ora devo ammettere che la sua determinazione e COERENZA al governo mi sembrano molto positive.
Forza Maroni! :)
IL TITOLARE LEGHISTA DEL WELFARE SI SENTE «SCARICATO» DA PALAZZO CHIGI E ANCHE DAL SUO SEGRETARIO
Lo sfogo del ministro:mi lasciano solo sulle barricate
«Però io non ci sto a far la parte di quello che vuol fregare i lavoratori»
MILANO
RACCONTARE che non l'ha presa bene è soltanto un eufemismo gentile. «Sembra proprio un messaggio rivolto a me, no?». Sull'aereo che lo riporta a Varese si legge i primi commenti dalle agenzie di stampa. «Eccolo qui Alemanno, il primo a dire che Umberto ha ragione...». Per Roberto Maroni l'uscita di Bossi è stata una sorpresa a metà. Sapeva che da sempre la pensa così, e già l'aveva dichiarato. Quel che non sapeva, non si aspettava, è che lo ripetesse proprio ieri, all'uscita del Consiglio dei Ministri. «Poi ci siamo parlati, tutto chiarito». Sarà anche così, ma l'impressione che Maroni si possa sentire isolato, quasi abbandonato e perfino da Bossi, è dura da cancellare. «Entro mercoledì prossimo troveremo la soluzione. Arrivati a questo punto mica posso rimanere sulle barricate da solo». Eppure, al Consiglio dei Ministri, ne aveva discusso con Bossi e sembrava non esistessero problemi. Si era avvicinato Fini, si era avvicinato Alemanno. «Tutti d'accordo nel dire che il sindacato sta mistificando, che qualunque cosa io dica Cofferati risponde che è un trucco». Tutti d'accordo, ma sul portone Bossi dice quel che ha sempre pensato. «Non dobbiamo farci incastrare, la Lega non appoggerà mai decisioni che possono danneggiare i lavoratori o i pensionati». Il bello è che anche Maroni la pensa così. «Ora mi aspetto qualcuno che dica "Bossi ha scaricato il suo ministro". Dicano pure. La verità è che il Governo, tutto il Governo, non ha ribattuto a Cofferati e alla sua campagna di "controinformazione". Così Angeletti e la Uil sono finiti con Cofferati mentre Pezzotta e la Cisl ormai sono sul piano inclinato». Al ministero del Welfare, tra i collaboratori di Maroni, c'è chi rimpiange il giorno dell'indecisione. Quando poi il sottosegretario Maurizio Sacconi riuscì a convincere Maroni e cominciò la partita dell'articolo 18. «Però il governo del Grande Comunicatore non ha saputo gestire la vendita del prodotto e Cofferati ha cominciato ad attaccare». Prima vittima, sembra, proprio Maroni. «No, non è così - risponde - La verità è che Cofferati lo sciopero generale l'ha deciso il 15 maggio, il giorno delle elezioni. Cercava un pretesto e si è buttato sull'articolo 18, una norma che tocca 100 casi in un anno, dal suo punto di vista molto è molto meno grave dell'accantonamento del Tfr. Il risultato è che mi vogliono far passare per quello che non sono: uno che vuole fottere i lavoratori». E questo a Maroni brucia. «E' un'etichetta che mi dà fastidio, ma è un altro risultato della campagna di Cofferati». Si ha l'impressione, a sentire Maroni, che questa partita sia diventata quasi uno scontro personale. Cremona contro Varese, e viceversa. La musica lirica contro il blues. «E pensare che eravamo colleghi, facevamo i dj nella stessa radio privata». Bei tempi. Finiti. «Ammetto che il sindacato su questo terreno è stato molto attivo, molto più attivo del Governo». E ammette che, nel Governo, «pochi hanno voluto esporsi». Anzi nessuno. Neppure un mese fa c'era stato il caso Brambilla, il suo sottosegretario in quota Lega che si era poi ritrovato senza più delega. Un suo «Appunto», un suo documento inviato a Palazzo Chigi, era sembrato il primo passo verso l'abbandono della battaglia sull'articolo 18. Le dichiarazioni di Bossi all'uscita da Palazzo Chigi sono un altro passo, e vale triplo. A Maroni non resta che preparare quella che, dipenderà dai punti di vista, sarà o la via di fuga o la soluzione. «Entro mercoledì», ripete senza voler aggiungere dettagli. Comunque sia, per Maroni, questa resterebbe un'occasione sprecata. E può fare impressione sentire un ministro del Governo Berlusconi dire che «è stato un problema di comunicazione e di controinformazione falsa. «Enzo Biagi il 15 gennaio ha chiamato nella sua trasmissione Cofferati, che ovviamente mi ha bombardato. Quando ho chiesto di poter replicare mi è stato risposto che l'argomento non era più di attualità. Dovevamo andare da Bruno Vespa, finalmente io e lui, impossibile bluffare, e all'ultimo momento Cofferati ha rinunciato...». La via di fuga, o la soluzione «entro mercoledì». Con un dispiacere in più: «Perché Umberto non ha ripetuto quel che ha detto sabato scorso al Congresso?». Che Cofferati mistifica, che la Lega non vuole licenziare nessuno, che la Lega non colpirà i lavoratori... L'ha detto, sì. Ma anche Bossi deve aver visto i sondaggi di Berlusconi, o comunque deve aver capito che il rischio è proprio quello di passare come gli alleati dei terribili Padroni che dai licenziamenti passeranno alle pensioni. A Maroni l'aveva detto quando c'era Brambilla da sistemare, la delega da revocare al sottosegretario indisciplinato. «Va bene, Roberto. Però questa storia dell'articolo 18 deve finire presto o rischiamo di rimanere da soli sulle barricate». Da ieri, a sentire Bossi, sulle barricate rischia solo Maroni.
Non avevo molta stima di Maroni prima,ma ora devo ammettere che la sua determinazione e COERENZA al governo mi sembrano molto positive.
Forza Maroni! :)