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MrBojangles
09-03-02, 14:02
Lodo Mondadori sentenza precotta, il giudizio fu scritto in anticipo
di Susanna Ripamonti

«Signor Treglia, vorrei capire meglio: qui lei ha scritto che la sentenza per il Lodo Mondadori fu decisa nella camera di consiglio del 14 gennaio del 1991. È esatto?». Risposta: «Certo signor presidente». Il presidente Paolo Carfì prosegue: «E qui, alla voce “consegna dell’originale” lei ha segnato la data del 15 gennaio: è sicuro di questa data?». Risposta, con tono quasi irritato: «Sicurissimo, il 15 gennaio io la sentenza ce l’avevo bell’e pronta». Domanda: «Già dattiloscritta?». Treglia: «Certo, consegnata in originale voleva dire che era già dattiloscritta e pronta per la firma del presidente». Carfì nasconde a stento la sorpresa, chiede una pausa, forse ha bisogno di bere un bicchier d’acqua. Siamo al processo milanese per la vicenda del Lodo Mondadori, quello che deve accertare se la sentenza del gennaio del ‘91, che strappò a Carlo De Benedetti la Mondadori, consegnandola a Silvio Berlusconi, fu una sentenza comprata. Il teste Vincenzo Treglia, che all’epoca dei fatti era dirigente della cancelleria della prima sezione civile della corte d’Appello di Roma, quella accusata di aver emesso una sentenza truccata, ha prodotto un brogliaccio, sul quale con meticolosa precisione si segnava tutte le date che segnano la vita di un verdetto, dalla camera di consiglio al momento in cui, dopo la stesura, vengono depositate le motivazioni. Secondo l’accusa, Silvio Berlusconi (indagato e poi prescritto) comprò i magistrati, avvalendosi delle entrature di Cesare Previti. Stando all’accusa i giudici, quando entrarono in camera di consiglio, non solo avevano già deciso le sorti del processo, ma addirittura il relatore Vittorio Metta, ora imputato per corruzione, aveva già scritto e fatto dattiloscrivere le motivazioni. Adesso Vincenzo Treglia sta fornendo alla pm Ilda Boccassini una prova decisiva: la sentenza fu consegnata in cancelleria all’indomani della camera di consiglio. Il cancelliere ora in pensione, aveva anche spiegato che per la sua formidabile produttività, Metta era considerato «la maglia rosa delle sentenze» ma 24 ore per stilare e dattiloscrivere 167 pagine di motivazioni sono chiaramente un record impossibile. L’accusa ha sempre sostenuto che quella sentenza non fu scritta negli uffici della corte d’Appello di Roma, ma nello studio dell’avvocato Giovanni Acampora, altro imputato di questo processo e che fu preconfezionata. Altri testi, nelle udienze precedenti, avevano dichiarato che a dicembre, con un mese di anticipo, tutti sapevano che il verdetto era già deciso e che era favorevole a Berlusconi. E già erano sorprendenti le date ufficiali conosciute fino ad ora: si sapeva che le motivazioni della sentenza erano state depositate il 24 gennaio del 91, dieci giorni dopo la camera di consiglio (calcolando anche i festivi). Per tutta la mattinata in aula erano sfilate le dattilografe della Corte d’Appello di Roma, in servizio all’epoca. Nessuna ricordava con certezza di aver dattiloscritto la sentenza, ma tutto sommato era possibile che lavorando a tempo pieno e dividendo il lavoro, le impiegate della corte d’appello avessero battuto in poco più di una settimana tutto il malloppo. Ma ecco Treglia che spiega che addirittura le motivazioni erano nelle sue mani all’indomani del verdetto. Poi il tempo tecnico per farle firmare dal presidente e il 24 erano ufficialmente depositate, a disposizione delle parti. Sul brogliaccio fornito dal teste sono segnate le date di tutte le sentenze del periodo 90-91: una scrittura precisa, senza sbavature e cancellature, da burocrate di lungo corso. C’è la data in cui la sentenza viene emessa, 14 gennaio, consegnata, 15 gennaio, mandata al presidente per la firma, il 15 gennaio stesso, quella in cui ritorna firmata, il 22 gennaio e quella in cui viene depositata, 24 gennaio. Treglia precisa: «sulle altre date non garantisco, a volte erano scritte a capoccia, ma quella della decisione, quella della consegna e quella del deposito sono esatte». Dopo la pausa chiesta dal presidente il teste torna in aula, è un po frastornato, forse ha intuito la portata delle sue dichiarazioni e le reazioni che hanno provocato lo confondono. Carfì incalza: «Come sarebbe a dire che le altre date sono scritte a capoccia, non poteva sbarrarle, non metterci niente?» Treglia va un po’ nel pallone, anche perchè Carfì gli fa notare la rigorosa precisione e la coerenza di tutte le sue annotazioni, che non sembrano affatto casuali, ma quello che ha detto è agli atti. Il teste esce di scena lasciando a bocca asciutta i difensori degli imputati, che se ne vanno un po’ dimessi, anche perchè, paradossalmente, quel brogliaccio che incastra i loro assistiti, non è una prova prodotta dall’accusa, ma dalla controparte: un clamoroso autogol.

MrBojangles
09-03-02, 20:56
MILANO - «Il 14 gennaio del '91 c´è stata la decisione. Il 15 il giudice Metta ha depositato l´originale, battuto a macchina, della sentenza; lo stesso giorno 15 l´ho consegnata per la firma al presidente». Il cancelliere dirigente della prima sezione della Corte di appello civile di Roma, Vincenzo Treglia, riapre nell´aula del processo Imi-Sir Lodo Mondadori il giallo del brogliaccio dell´ufficio: le 167 pagine con cui i giudici annullarono il lodo arbitrale per la Mondadori, a favore della cordata Fininvest ed estromettendo il gruppo Cir, sarebbero state quindi scritte in una sola notte. Difficile, se non impossibile, per un giudice, Metta appunto, abituato a scrivere a mano le sentenze per poi farle battere a macchina dalla segreteria dell´ufficio di presidenza della Corte.
Il giudice Paolo Carfì, presidente della quarta sezione penale, interrompe il dirigente: «È sicuro che il giudice Metta consegnò la sentenza il giorno successivo alla decisione?». «Sì» risponde Treglia. Il presidente: «Ricorda bene, cancelliere?». Treglia: «Sì, sono sicuro». Carfì, per la terza volta, ritorna sulla data: «I giudici decisero la questione Mondadori il 14 gennaio e il 15 il testo già dattiloscritto era pronto in cancelleria. Ho capito bene?». «Sì, presidente - ripete il teste - ha capito bene». E nel tentativo di spiegare, Treglia aggiunge ancora: «Il brogliaccio serviva al cancelliere come timone, per seguire l´iter delle sentenze ed evitare che si perdessero». Nell´aula, l´imbarazzo è evidente sulla sequenza di date per una sentenza tanto complessa, quanto rapida nella pubblicazione: soli dieci giorni, dal 14 al 24 gennaio. Un tempo record, lontano dai sei mesi impiegati, ad esempio, per depositare un´altra sentenza complessa, quella su Imi-Sir. Commenterà alla fine Giuliano Pisapia, avvocato di parte civile: «Questa deposizione è un punto a favore dell´accusa».
La memoria di Treglia non è sempre così salda. Incalzato dalle domande, il dirigente della cancelleria tenta di correggersi, spiegando che quel brogliaccio era un «registro interno», che non avrebbe dovuto finire dov´è, nelle mani dei giudici. Ad un certo punto, in difficoltà, Treglia pare contraddirsi: «Le registrazioni erano messe a casaccio, a "capocchia", tanto per riempire gli spazi».
Ieri in aula, i giudici hanno sentito le segretarie della Corte di appello, le quali erano solite - così hanno spiegato - battere a macchina nei tempi morti del loro lavoro le sentenze dei giudici. Due in particolare: Gabriella Bruni e Agnese Cherubini, le impiegate alle quali si rivolgeva Metta. Nessuna delle due ha memoria della sentenza Lodo Mondadori, mentre Cherubini ricorda la gemella Imi-Sir. Affermazioni che contrastano con quanto dichiarato da Metta al pm Ilda Boccassini. «Alla Cherubini consegnavo parti del manoscritto, mano a mano che procedevo nella stesura. Così potevo controllare la conformità dell´originale e l´esattezza della trascrizione».
Le affermazioni di Treglia seguono le rivelazioni inquietanti di Carlo Sanvitale, oggi avvocato ma negli anni '90 cancelliere di Orlando Falco, giudice della Corte di appello civile di Roma. «Un giorno a casa di Falco vidi una valigetta con un miliardo in contanti». Sanvitale - che dopo la morte di Falco ereditò con Metta l´intero patrimonio - non aggiunge altro. Interrogato durante l´inchiesta, Metta disse di aver ricevuto ingenti somme di denaro da Falco, utilizzate per pagare l´acquisto della casa della figlia. Per l´accusa, quei soldi erano una tangente.

MrBojangles
10-03-02, 19:51
Previti-Pacini Battaglia
Una serie di 21 telefonate fatte dal banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia tra il 5 luglio ed il 26 agosto 1997 all'onorevole Cesare Previti con un telefono cellulare a scheda ricaricabile sequestrato a Pacini al momento del suo arresto il 21 gennaio scorso per l'inchiesta sulle tangenti ferroviarie.È questo uno degli ultimi argomenti dell'inchiesta del pool "Mani pulite" sui giudici romani. Pacini ha spiegato che quelle telefonate erano dovute all'interesse che Previti avrebbe avuto «a conoscere la vicenda Eni» e «soprattutto i rapporti tra l'Eni e il pool» perché Previti «voleva attivare - ha detto Pacini - una campagna di stampa». Il banchiere è stato interrogato per un'ora e mezza il 6 novembre scorso dal Pm Ilda Boccassini. «Io consegnai a Previti copiosa documentazione riferibile all'Eni perché lui mi disse che era interessato soprattutto ai rapporti tra l'Eni e il pool Mani pulite». Pacini ha aggiunto: «In quel periodo, l'onorevole Tiziana Parenti stava presentando un'interpellanza parlamentare contro l'Eni utilizzando proprio le informazioni che passavo a Previti».
Studio dell'avvocato Cesare Previti Via Cicerone, 60 00193 Roma, Italia Telefono: (39 6) 3234623 Fax: (39 6) 3235618 e-mail: previti@mbox.vol.it

Chi ha complottato contro chi??
:confused: