Roderigo
09-03-02, 15:22
«Ma così perderemo la guerra»
GERUSALEMME
NELLA giornata in cui i palestinesi hanno avuto una cinquantina di morti, fra cui il generale Abu Humeid, lo storico militare israeliano (di origine olandese) Martin Van Creveld è più convinto che mai che Israele stia per perdere la partita e che i palestinesi abbiano la vittoria in pugno.
Nei suoi studi ha seguito il declino di potenze militari e le vittorie di popoli più deboli. La rivolta ebraica descritta da Giuseppe Flavio non si concluse duemila anni fa con la vittoria del più forte, ossia delle legioni romane?
«Quella del popolo ebraico - ribatte - è appunto la storia di una debolezza cronica, vechia di duemila anni, che matura infine in una grande forza militare. Ma adesso, aggiunge, questa forza militare si trova senza obiettivi. Di conseguenza, l'80 per cento dei nostri attacchi sono sferrati contro l'aria».
Dove si nasconde mai lo stato maggiore palestinese?
«E' appunto quello il problema, per Israele. Ci troviamo a combattere contro un nemico in cui non esiste la separazione classica fra esercito, governo e popolo. Da loro tutto è mischiato. Di conseguenza è difficile trovare obiettivi».
Da un punto di vista militare, che senso ha per Israele colpire sistematicamente le forze di sicurezza palestinesi?
«Se si vuole convincere Arafat a riprendere il controllo della situazione, non ha alcun senso. Zahal (acronimo ebraico di: Esercito di difesa di Israele) sta semplicemente dando in escandescenze gratuite. Non ha alcun piano».
Sharon avrà pure un piano.
«Sharon non ha la più pallida idea del da farsi. Cambia idea ogni giorno. Zahal ha dovuto chiedere l'aiuto di uno psichiatra per cercare di comprendere meglio il primo ministro».
Lei sta scherzando.
«Assolutamente no».
Nell'ultima settimana la pressione militare israeliana non sta avendo effetti?
«Non quello sperato da Israele. Prendiamo l'ultimo esempio, la resa a Tulkarem di decine di combattenti palestinesi. Hanno resistito agli attacchi dell'esercito israeliano per quasi due giorni. Questo tipo di battaglie galvanizzano i palestinesi. Mentre fra gli israeliani, ogni perdita viene accolta con alti lamenti, cosa che indebolisce il morale della popolazione».
Cosa ne pensa del rifiuto di 300 riservisti israeliani di partecipare alla repressione della rivolta nei Territori?
«E' la cosa migliore che ci è accaduta negli ultimi tempi. Costoro cercano di farci uscire dalla folle via intrapresa dal governo e da Zahal, di recuperare l'equilibrio mentale. Il secondo sviluppo positivo è il recente crollo di Sharon nei sondaggi di opinione. Per la prima volta esiste adesso la possibilità che i laburisti abbandonino il governo di unità nazionale, magari solo per non andare a picco con il Likud».
Israele insomma non può vincere, ma non può nemmeno perdere.
«Ci vuole un muro. I muri talvolta risolvono, o alleviano conflitti. Resta da vedere dove potrebbe essere tracciato. Esistono almeno due possibilità: o lungo i confini del 1967 (fra Israele e Cisgiordania) oppure lungo il fiume Giordano (fra la Cisgiordania e la Giordania)».
Lungo il Giordano?
«In passato Sharon aveva visto nella Giordania il futuro stato palestinese. Potrebbero accadere sommovimenti in Giordania, la dinastia hashemita potrebbe cadere. Qualcuno in Israele potrebbe pensare allora ad una espulsione forzata dei palestinesi dalla Cisgiordania».
e.st.
La Stampa 9 marzo 2002
GERUSALEMME
NELLA giornata in cui i palestinesi hanno avuto una cinquantina di morti, fra cui il generale Abu Humeid, lo storico militare israeliano (di origine olandese) Martin Van Creveld è più convinto che mai che Israele stia per perdere la partita e che i palestinesi abbiano la vittoria in pugno.
Nei suoi studi ha seguito il declino di potenze militari e le vittorie di popoli più deboli. La rivolta ebraica descritta da Giuseppe Flavio non si concluse duemila anni fa con la vittoria del più forte, ossia delle legioni romane?
«Quella del popolo ebraico - ribatte - è appunto la storia di una debolezza cronica, vechia di duemila anni, che matura infine in una grande forza militare. Ma adesso, aggiunge, questa forza militare si trova senza obiettivi. Di conseguenza, l'80 per cento dei nostri attacchi sono sferrati contro l'aria».
Dove si nasconde mai lo stato maggiore palestinese?
«E' appunto quello il problema, per Israele. Ci troviamo a combattere contro un nemico in cui non esiste la separazione classica fra esercito, governo e popolo. Da loro tutto è mischiato. Di conseguenza è difficile trovare obiettivi».
Da un punto di vista militare, che senso ha per Israele colpire sistematicamente le forze di sicurezza palestinesi?
«Se si vuole convincere Arafat a riprendere il controllo della situazione, non ha alcun senso. Zahal (acronimo ebraico di: Esercito di difesa di Israele) sta semplicemente dando in escandescenze gratuite. Non ha alcun piano».
Sharon avrà pure un piano.
«Sharon non ha la più pallida idea del da farsi. Cambia idea ogni giorno. Zahal ha dovuto chiedere l'aiuto di uno psichiatra per cercare di comprendere meglio il primo ministro».
Lei sta scherzando.
«Assolutamente no».
Nell'ultima settimana la pressione militare israeliana non sta avendo effetti?
«Non quello sperato da Israele. Prendiamo l'ultimo esempio, la resa a Tulkarem di decine di combattenti palestinesi. Hanno resistito agli attacchi dell'esercito israeliano per quasi due giorni. Questo tipo di battaglie galvanizzano i palestinesi. Mentre fra gli israeliani, ogni perdita viene accolta con alti lamenti, cosa che indebolisce il morale della popolazione».
Cosa ne pensa del rifiuto di 300 riservisti israeliani di partecipare alla repressione della rivolta nei Territori?
«E' la cosa migliore che ci è accaduta negli ultimi tempi. Costoro cercano di farci uscire dalla folle via intrapresa dal governo e da Zahal, di recuperare l'equilibrio mentale. Il secondo sviluppo positivo è il recente crollo di Sharon nei sondaggi di opinione. Per la prima volta esiste adesso la possibilità che i laburisti abbandonino il governo di unità nazionale, magari solo per non andare a picco con il Likud».
Israele insomma non può vincere, ma non può nemmeno perdere.
«Ci vuole un muro. I muri talvolta risolvono, o alleviano conflitti. Resta da vedere dove potrebbe essere tracciato. Esistono almeno due possibilità: o lungo i confini del 1967 (fra Israele e Cisgiordania) oppure lungo il fiume Giordano (fra la Cisgiordania e la Giordania)».
Lungo il Giordano?
«In passato Sharon aveva visto nella Giordania il futuro stato palestinese. Potrebbero accadere sommovimenti in Giordania, la dinastia hashemita potrebbe cadere. Qualcuno in Israele potrebbe pensare allora ad una espulsione forzata dei palestinesi dalla Cisgiordania».
e.st.
La Stampa 9 marzo 2002