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benny3
09-03-02, 17:49
Morselli, comunisti e borghesi nel mirino


Adelphi pubblica il primo volume della raccolta di romanzi dello scrittore. Penna disincantata e ironica, riuscì a non farsi ingabbiare nelle maglie politiche o ideologiche.
di Diego Gabutti

MILANO - Come Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'autore de Il Gattopardo , anche Guido Morselli diventò un caso letterario solo dopo morto, quando Adelphi lo trasse finalmente dalla tenebra per consegnarlo, da un giorno all'altro, alla storia della grande letteratura. Come certi matrimoni, che non hanno da farsi né ora né mai, anche certi autori e certi libri nascono sotto una cattiva stella. Di solito hanno il
torto di non condividere le ossessioni dominanti (la filosofia della storia di moda, l'esistenzialismo incoraggiato dalle autorità culturali, i tic metafisici di rigore tra le persone chic). È per questo che la loro attualità viene riconosciuta sempre troppo tardi, finita la festa, quando le opinioni approvate hanno perso tutto il loro appeal. Per una vita intera, dalla fine della guerra al 1972, l'anno della sua morte, Morselli aveva affidato invano le sue opere al mare in tempesta dell'editoria italiana, che rifiutò sistematicamente ogni suo manoscritto nella bottiglia.

Per esempio Rizzoli, che aveva accettato alla fine degli anni sessanta, dopo un lungo tira e molla, uno dei romanzi di Morselli oggi più famosi e celebrati, Il comunista , prima ne rimandò per prudenza la pubblicazione da un anno all'altro e alla fine, più prudentemente ancora, lo cancellò dai suoi programmi editoriali. Morselli, che non faceva parte d'una banda, a differenza di quasi tutti gli scrittori di successo, non capì mai bene perché il romanzo, di cui aveva già corretto le bozze, fosse stato abortito dall'editore, come un figlio indesiderato e deforme. Probabilmente la Rizzoli non voleva guai con la cultura di sinistra, che oggi fa fino dichiarare inesistente, come il cavaliere del romanzo calviniano, ma che a lungo ha dominato la nostra scena culturale attraverso star intellettuali organiche al partito comunista, sensibili come contatori Geiger ai suoi umori e malumori. Prima del gran rifiuto rizzoliano, anche lo stesso Italo Calvino aveva del resto rifiutato Il comunista nel sacro nome della casa editrice Einaudi. Calvino non giudicava "abbastanza realistica" (lui, l'autore delle Cosmicomiche e del Visconte dimezzato ) la rappresentazione morselliana dell'universo italomarxista.

Ma quella dell'autore puramente e semplicemente censurato (come Pasternak o l'Achmatova sotto le lune del Soviet supremo) è in fondo soltanto una delle tante favole che circolano nell'Italia del birignao vittimista elevato a sistema ideologico. Non è vero che le disavventure editoriali di Morselli risultarono soltanto dalla sua estraneità ai circoli intellettuali dominanti (per lo più clericomarxisti). Sempre come Lampedusa, che scrisse un romanzo storico e verista nell'epoca dei minimalismi engagés e trionfalisti, Morselli non fu in realtà un autore "scomodo".

Osservatore ironico della realtà italiana, penna disincantata e introversa, letterato puro, senza devozioni, Morselli fu piuttosto un autore incomprensibile agli occhi degli intellettuali allineati, eternamente fissi sulle loro ossessioni, ciechi e sordi a ogni altra passione, letteratura in primis. Semplicemente non capivano di che diavolo stesse parlando l'autore del Comunista e di Un dramma borghese. Sfogliavano questi manoscritti con espressione cespugliosa e si grattavano pensierosamente la pera. Da come la vedevano loro, che un romanziere scrivesse romanzi, punto e basta, era cosa che non stava né in cielo né in terra, del tutto inconcepibile e forse anche un po' sgradevole, come più tardi la "volgarità" degli spot televisivi. Lukacs non l'aveva previsto; e non era così che Pasolini e Moravia si guadagnavano il pane.

Bocciarono Il Comunista. Giubilarono Un dramma borghese. Riuscirono a ignorare anche Brave borghesi, la grande inchiesta morselliana tra le donne dell'upper middle class italiana, che sarebbe diventato un classico del giornalismo se soltanto qualche giornale avesse avuto il buon senso (e la fortuna) di pubblicarlo. Nessuno prese in considerazione Roma senza papa, un romanzo che esplorava l'enigma italiano col terzo occhio della fantapolitica, cioè con gli strumenti della letteratura, di gran lunga più nobili di quelli che l'idelogia mette a disposizione del primo imbecille che passa. Dissero di no persino a Contropassato prossimo , una delle più belle ucronie moderne, il cui "intermezzo" filosofico sfidava a singolar tenzone nientemeno che la Storia maiuscola, dio supremo del XX secolo. Nella trama di questi rifiuti si consumò la vita di Guido Morselli.

Non fu censura: la censura ha una sua grandezza, un suo oscuro perché. Fu molto peggio. Fu ottusità. Fu cecità nuda e cruda. Poi Adelphi, il cui catalogo spezzò l'incantesimo dell'egemonia clericomarxista sulla cultura, trasse anche Morselli dall'oblio. Nel frattempo l'autore di Contropassato prossimo, stanco di penare la pubblicazione delle sue opere, era morto suicida nel 1973. Oggi la casa editrice milanese, in una collana elegante e preziosa, "La nave d'Argo", pubblica il primo volume dei Romanzi morselliani (Uomini e amori, Incontro col comunista, Un dramma borghese, Il comunista, Brave borghesi ). Curano il volume Elena Borsa e Sara D'Arienzo con la collaborazione di Paolo Fazio. Bellissima e importante l'introduzione di Valentina Fortichiari.