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Der Wehrwolf
10-03-02, 15:38
PREMESSA
I gravissimi fatti accaduti in settembre a
New York ci inducono a far mente ai temi
trattati lo scorso anno in occasione di questo
Convegno, a quanto già è stato detto e scritto.
Si era allora cercato di dimostrare, col
conforto di opportuna documentazione, che la
dottrina islamica, per sua intrinseca natura, da
14 secoli spinge i suoi fedeli alla conquista
del mondo. Intendiamo l’Islam puro, in particolare
la corrente sunnita wahhabita che fa
capo alla stessa monarchia dell’Arabia
Saudita e che troviamo attivissima e protagonista,
assieme al salafismo puritano, nelle
zone oggi alla ribalta delle cronache.
Avevamo illustrato i tentativi di penetrazione
dell’Europa attraverso l’immigrazione
che - è fatto macroscopico sotto gli occhi di
ciascuno - privilegia nella sua quasi totalità
popolazioni di religione islamica.
Avevamo richiamato la prospettiva di
Samuel Huntington, quella dello “scontro
delle civiltà”, così bene inserito nel disegno
massonico di Repubblica Universale, che
vede, dopo le ormai note fasi della caduta
delle monarchie con la prima guerra mondiale,
dei grandi nazionalismi affogati nelle sanguinose
stragi della seconda, della formazione
dei due grandi blocchi transcontinentali
americano e russo, della subitanea scomparsa,
200 anni esatti dopo la Rivoluzione francese,
dell’impero sovietico, con la sua terrificante
coda di stermini e genocidi, ad opera degli
stessi Grandi Burattinai che nel 1917 l’avevano
fatto sorgere, del vuoto istituzionale e politico
conseguentemente subentrato in A s i a
centrale e riempito con l’Islam, finalmente -
la fase conclusiva che stiamo vivendo - il suo
compimento negli ultimi atti che dovrebbero
condurre a un mondo unipolare, allargato alle
grandi civiltà che massonicamente riconoscono
il proprio fondamento spirituale in una
religione comune, quella della New Age.
Avevamo pure osservato che lo scontro
fra civiltà non avrebbe in alcun modo dovuto
condurre alla supremazia di una particolare
civiltà, ma piuttosto alla confusione e alla
distruzione di tutte, quella islamica inclusa.
Una distruzione che, essendo di dimensioni
mondiali - argomentavamo - per essere tale,
avrebbe dovuto fondarsi su armi di distruzione
di massa, come preconizzava ancora nel
1993 il Brzezinski, personaggio che in questa
sede non ha bisogno di presentazioni 1.
Avevamo inoltre posto in evidenza, citando
casi concreti, l’utilità dello strumento
“fondamentalista” in mano ai reggitori occulti
che si servivano - e si servono - della
potenza militare ed economica degli Stati
Uniti per la realizzazione dei loro fini 2.
La Tradizione
Cattolica 7
Pubblichiamo il testo della relazione del Prof. Paolo Taufer, tenuta al 9° Convegno di Studi
cattolici di Rimini il 27 ottobre u.s.
L’attualità dell’argomento richiede questo “anticipo” sul volume degli Atti che sarà pubbli -
cato in seguito.
del prof. Paolo Taufer
Torri Gemelle e
Governo Mondiale:
ancora uno sforzo!
LASITUAZIONE PRIMA
DELL’11 SETTEMBRE
La situazione prima dell’11 settembre era,
occorre dirlo, stagnante. Putin con pugno di
ferro, nonostante le martellanti censure occidentali
ispirate dal mondo anglosassone,
aveva ripreso in Cecenia il controllo delle vie
del petrolio caspico e con politica spregiudicata
nel 1996 era riuscito a riunire nel Patto
economico-militare di Shanghai i principali
attori dell’Asia, ovvero Cina, Russia,
Kazakhstan, Tagikistan e Kirghizistan (ai
quali il 15 giugno scorso si è aggiunto
l’Uzbekistan), in attesa dell’ingresso di Iran e
India, un’organizzazione regionale in grado
di porsi come un polo geopolitico rivale degli
USA.
Nel contempo Putin gettava le basi di una
collaborazione col Giappone al quale la
Russia, attraverso i progettati oleodotti e tunnel
sottomarini fra l’isola Sakhalin e le isole
giapponesi, faceva balenare la possibilità in
prospettiva di sganciarsi dalle fonti energetiche
del Medio Oriente e quindi dal controllo
americano. Una situazione che avrebbe potuto
ricacciare indietro i piani testé descritti
verso un temutissimo blocco economicomilitare
antiamericano e verso un energico
contenimento di quelle forze dell’Islam fino a
quel momento impegnate nella destabilizzazione
dell’area.
Gli Stati Uniti, che, non lo si dimentichi,
rappresentano il mondo anglosassone, culla
dei centri occulti tesi alla Repubblica
Universale, si sono ben presto trovati in Asia
centrale in uno stato di progressiva emarginazione,
una regione da essi dichiarata, immediatamente
dopo il crollo sovietico, area di
assoluta primaria importanza strategica.
Scriveva il “Turkish Daily News” del 17
luglio scorso, citando l’analisi di un membro
dell’Istituto per gli Studi Strategici e Politici
Avanzati di Washington:
“Gli Stati Uniti avevano calcolato che la
Russia era troppo debole e la minaccia agli
stati dell’Asia centrale troppo insignificante
perché valesse la pena di affrontare i costi e
gli sforzi necessari a costituire la propria
cornice di sicurezza mantenendo i regimi
delle repubbliche dell’Asia centrale. Questo
calcolo errato fu uno dei motivi centrali che
spiegano perché Stati Uniti e Turchia hanno
perduto a tutti gli effetti l’Asia centrale,
relegata quindi in una posizione nella quale
ambedue, Cina e Russia, potevano estendere
le loro sfere di influenza attraverso vaste
regioni culminando nella cre a z i o n e
dell’Organizzazione del Patto di Shanghai” 3.
L’attentato dell’11 settembre con la sua
altissima carica emotiva suscitata dalla barbarie,
dalla cinica ferocia e dalle sataniche
modalità di attuazione - genuina espressione
del “mistero di iniquità già in atto” (2a Ts 2,
7) - ha rimesso tutto in movimento proiettando
le forze americane direttamente su quei
territori per il cui controllo l’URSS aveva
scatenato una sanguinosissima guerra, regolarmente
perduta grazie al massiccio appoggio
americano.
Ed è sintomatico che l’attenzione americana
si sia spostata sull’Afghanistan, il paese
più povero e primitivo dell’area, ma strategicamente
rilevante per i paesi che formano i
suoi quattro confini, ossia Russia, Cina - possibili
potenze concorrenti degli USA - Iran e
Pakistan, paesi chiave del mondo musulmano.
Chi controlla l’Iran, infatti, controlla la
porta principale di accesso all’Asia centrale,
soprattutto all’area caspica con le sue gigantesche
fonti energetiche4 e anche al Caucaso.
Segnala in proposito una fonte indiana5
che Putin agli inizi di giugno di quest’anno,
nel corso di un incontro a Mosca con i capi
delle repubbliche centro asiatiche ex sovietiche,
aveva accennato ad un’azione militare
congiunta da scatenare contro i taliban che
miravano al controllo di vaste aree ricche di
petrolio e di gas di tali repubbliche, tentando
di insediare i loro uomini al potere.
L’Afghanistan, con la sua ostilità e instabilità,
impediva inoltre all’Iran di sviluppare
il piano congiunto con Russia e India peril
trasporto del petrolio e del gas del Caspio
verso i paesi dell’Asia meridionale, condizione
alternativa assai auspicata oltre che
dalle parti in causa, anche dai paesi del
Sudest asiatico ansiosi di rompere la loro
dipendenza dal petrolio del Golfo, e quindi
dal controllo USA. Ancora nell’autunno del
2000, infatti, Russia, Iran e India avevano firmato
un patto intergovernativo per l’apertura
di un corridoio commerciale via ferrovia e
via mare verso il Sudest asiatico in grado di
La Tradizione
Cattolica 8
ridurre da 2 a 3 volte il tempo di percorrenza
delle merci dall’Europa verso quei paesi
necessario in caso di passaggio attraverso il
Canale di Suez. Il programma prevedeva la
realizzazione del contenuto del patto entro il
2010, anno in cui si prevede che la produzione
di petrolio del Caspio dovrebbe eguagliare
quella del Golfo.
Con tali premesse solo un evento eccezionale
avrebbe potuto catapultare rapidamente
gli americani in quelle contrade per battere
sul tempo i russi e porre un freno alle loro iniziative,
dilaganti e ricche di successo e, in
ultima analisi, per affermare la propria egemonia
sui ricchi giacimenti di petrolio del
Caspio e del gas del Turkmenistan.
Ma occorre tornare a quel martedì 11 settembre.
* * *
Al di là della giusta pietà cristiana che una
strage siffatta di vittime civili inermi suscita,
della speranza che Dio, nella Sua grande
misericordia si sia servito di quei momenti
spaventosi per salvare le anime di quella
povera gente, viene da chiedersi come possa
collocarsi un episodio di così gravi dimensioni
nel disegno della Repubblica Universale.
Esistono in proposito dei precedenti, storicamente
accertati anche se ufficialmente sottaciuti
e ignorati dai mass-media.
Iniziamo dall’episodio del Lusitania della
prima guerra mondiale.
PRECEDENTI STORICI: ILLUSITANIA
Alle 14.10 del 7 maggio 1915 la più grande
nave britannica che solcasse i mari, il
“Lusitania”, salpata da New York il 1° maggio,
veniva colata a picco al largo dell’Irlanda
da un sommergibile tedesco e 1200 dei suoi
passeggeri perirono fra i flutti.
L’orrore suscitato nell’opinione pubblica
americana per la morte di tante persone inermi
e la subitanea campagna giornalistica contro
la “barbarie” tedesca6, contribuirono grandemente
a condizionare gli americani - fino
ad allora assolutamente contrari ad una partecipazione
al conflitto in corso in Europa - in
modo da creare lo stato d’animo indispensabile
a suscitare il ricercato consenso a scendere
in guerra a fianco dell’Inghilterra contro la
Germania.
La partecipazione USA, infatti, sarebbe
l’indispensabile garanzia degli esiti che le
logge intendevano trarre dalla guerra, attraverso
la pace successiva.
Negli anni Settanta si resero disponibili
documenti e testimonianze dell’Ammiragliato
britannico, americane, di giudici inquirenti
inglesi e del comandante del sommergibile,
che prese assieme, offrivano un quadro del
“Lusitania” e del suo viaggio affatto diverso
della tranquilla nave passeggeri insidiata da
un sommergibile assassino, per sostituirlo
con l’immagine di una nave di linea armata
(aveva a bordo diversi cannoni) e destinata al
trasporto truppe, nelle cui stive giacevano
centinaia e centinaia di tonnellate di materiale
bellico7, mentre nelle cabine aveva preso
posto un numero insolitamente elevato di
passeggeri, ignari della natura del carico,
mandati perciò a morte sicura. Fra passeggeri
ed equipaggio erano in totale a bordo 1959
persone.
La ricca documentazione emersa dimostrava
infatti che:
-già nel 1914 gli inglesi conoscevano il
cifrario tedesco usato per comunicare con le
unità da guerra della Kriegsmarine ed erano
quindi al corrente, grazie alla fitta rete costiera
di intercettazione posta in essere, delle
mosse dei sommergibili al punto che potevano
disporre di una mappa che veniva continuamente
tenuta aggiornata con le posizioni
delle rispettive unità dei due schieramenti nei
mari prospicienti l’Inghilterra;
-nelle sue memorie l’eminenza grigia del
Presidente Wilson, il Colonnello House, 33°
grado del RSAA e membro delle società di
vertice dell’area del Potere, narra come, nel
corso di un’udienza concessagli dal re
Giorgio V poco prima dell’affondamento, il
re gli ponesse inaspettatamente la domanda:
“Colonnello, che farebbe l’America se i tede -
schi affondassero il “Lusitania””8? Ora
House si era imbarcato per l’Europa sul
“Lusitania” il 30 gennaio 1915 e vi sarebbe
rimasto fino al 1° giugno, col compito di portare
nelle principali capitali europee un “messaggio
di pace” da parte del massone Wilson,
docile strumento, in realtà, nelle mani dello
stesso House. Anche se la dichiarazione di
guerra sarebbe giunta solo il 2 aprile 1917, il
30 maggio, poche settimane dopo l’affonda-
La Tradizione
Cattolica 9
mento del “Lusitania”, House nel suo giornale
poteva scrivere: “Sono arrivato alla con -
clusione che la guerra con la Germania è ine -
vitabile… mia ferma intenzione è di insistere
presso il Presidente perché non si faccia una
guerra all’acqua di rose”9;
-la comunità tedesca di New York, avendo
avuto sentore che gli Stati Uniti sarebbero
prima o poi entrati in guerra e che erano
attenti a cogliere tutto quanto poteva essere
suscettibile di provocazione da parte tedesca,
tentò di correre ai ripari allestendo un avviso
da pubblicare su 50 giornali americani onde
scoraggiare i viaggiatori alla traversata atlantica.
Ma nessun giornale, salvo uno, e solo il
giorno della partenza del “Lusitania” da New
York, il 1° maggio, procedette alla pubblicazione;
-il comando della Kriegsmarine fu messo
al corrente da “qualcuno” che “un grande tra -
sporto di truppe inglesi sarebbe giunto da
ovest e dalle coste sud dell’Inghilterra” e
provvide all’invio in quelle acque di tre sommergibili;
-l’incrociatore britannico “J u n o”, che
avrebbe dovuto scortare il “Lusitania”, ricevette
misteriosamente l’ordine di rientrare nel
porto di Queenstown mentre era in mare
lasciando che il “Lusitania” entrasse nelle
acque dove il sommergibile tedesco U20
attendeva in agguato dal 5 maggio.
All’esplosione dell’unico siluro lanciato - uno
dei pochi lanci coronati da successo dati i
vistosi difetti dei siluri del tempo e che normalmente
su un battello di quella stazza
avrebbero dovuto causare danni limitati - se
ne aggiunse una seconda, inattesa e catastrofica,
che fece affondare il transatlantico in
soli 18 minuti;
-contrariamente al “Lusitania”, il “Saint-
Paul”, salpato dall’Inghilterra alla volta degli
Stati Uniti il 1° giugno con il Colonnello
House a bordo, venne scortato lungo tutto il
percorso dalla Marina britannica;
-Lord Mersey, il giudice a capo della
commissione d’inchiesta, a conclusione della
stessa scrisse: “La responsabilità della tragi -
ca perdita di vite umane in questa catastrofe
ricade interamente su coloro che idearono il
crimine e su coloro che lo perpetrarono”.
Chiese poi di essere sollevato dal suo incarico
di giudice, aggiungendo che “il caso del
“Lusitania”… è stato una cosa maledetta -
mente sporca”10;
-il capo dei servizi segreti britannici negli
Stati Uniti, sir William Wiseman, membro
dei cenacoli superiori che avevano deciso la
guerra e che si era occupato in prima persona
a fianco di Churchill dell’affare Lusitania,
alla fine della guerra venne associato alla
potentissima banca ebraica Kuhn & Loeb di
New York, la stessa che coi suoi finanziamenti
aveva reso possibile la rivoluzione
russa11.
PRECEDENTI STORICI:
PEARL HARBOR
Un attacco sul quale oggi si conoscono
ormai molti aspetti. Dalle provocazioni al
Giappone mediante il congelamento dei suoi
beni negli USA, alla chiusura del canale di
Panama al transito di naviglio giapponese,
all’embargo sulle esportazioni vitali giapponesi,
fino all’invio di un ultimatum il 26
novembre 1941, 11 giorni prima dell’attacco
a Pearl Harbor, nel quale gli USA chiedevano,
come prerequisito per riaprire i commerci
al Giappone, il suo ritiro dalla Cina,
dall’Indocina e dal Patto Tripartito con la
Germania e con l’Italia.
Ancora nel 1940, all’indomani dell’elezione
di Franklin Delano Roosevelt, un sondaggio
Gallup rivelava che l’88% degli americani
era contrario ad un coinvolgimento
degli USA nella guerra, in totale contrasto,
quindi, con la volontà di Roosevelt di entrare
in guerra a fianco dell’Inghilterra. Quello
stesso anno l’ammiraglio J.O. Richardson,
comandante della flotta del Pacifico volava a
Washington per protestare contro gli ordini di
Roosevelt che imponevano alla flotta di
restare agli ormeggi nelle isole Hawaii, invece
di pattugliare la costa occidentale americana.
Egli era infatti ben conscio della vulnerabilità
di Pearl Harbor, facilmente raggiungibile
da ogni direzione, priva di reti e di protezioni
contro l’eventuale azione degli aerosiluranti,
difficile da rifornire e mantenere in
stato di prontezza operativa. La risposta fu la
rapida sostituzione di Richardson col più duttile
Kimmel.
I servizi americani erano abilmente riusciti
a decrittare il codice usato dai giapponesi
per comunicare con le loro ambasciate
La Tradizione
Cattolica 10
ancora nel 1940, e leggevano perciò apertamente
il traffico delle comunicazioni da e per
Tokyo. Copia del codice di decifrazione
venne dato ai comandi superiori, Marina
inclusa, alle massime autorità americane e
britanniche, ma, stranamente, non fu inoltrato
a Pearl Harbor, che pure era un obiettivo ad
alto rischio.
Il 9 ottobre 1941 il Dipartimento della
Guerra aveva intercettato un dispaccio da
Tokyo destinato al console giapponese di
Honululu in cui si chiedeva di dividere il
porto di Pearl Harbor in cinque aree specifiche
e di fornire per ciascuna di esse l’esatta
posizione delle navi all’ancora.
Un’informazione mai giunta al comandante
della flotta americana, l’ammiraglio Kimmel,
accuratamente tenuto all’oscuro da
Washington.
Il 18 novembre un’intercettazione avvisava
che Tokyo avrebbe emesso uno speciale
comunicato radio per indicare l’approssimarsi
delle ostilità. Il messaggio che sarebbe stato
ripetuto tre volte alla radio nel corso di un normale
bollettino meteorologico era “Higashi no
kaze ame”, che significava: “vento dell’est,
pioggia”, dove “vento dell’est” stava per Stati
Uniti e “pioggia” per rottura delle relazioni
diplomatiche. Il 4 dicembre il messaggio veniva
trasmesso dalla radio giapponese e larg amente
raccolto dagli americani.
Ma non solo il codice di comunicazione
diplomatico fra Tokyo e le ambasciate era
noto agli americani, ma anche quello adottato
nei dispacci della Marina da guerra giapponese.
Ciò è stato portato a conoscenza l’anno
scorso da Robert B. Stinnett, un veterano
della Marina americana che combatté nella
seconda guerra mondiale, sulla base di numerosi
documenti ufficiali declassificati in virtù
di una recente legge americana sulla libertà di
informazione12.
Il 26 novembre 1941 gli americani potevano
così leggere a libro aperto il messaggio
inviato da Yamamoto alla flotta in navigazione:
“il gruppo da battaglia, mantenendo il suo
movimento strettamente segreto ed esercitan -
do una stretta vigilanza contro gli attacchi di
aerei e di sommergibili, avanzerà nelle acque
hawaiane e all’apertura delle ostilità attac -
cherà la forza principale della flotta degli
Stati Uniti infliggendogli un colpo mortale.
La prima incursione aerea è pianificata per
l’alba del giorno x. L’esatta data sarà forni -
ta con ordine successivo”.
In mano americana era caduta poi, fin dall’inizio
del 1941, di una mappa strategica
giapponese che provava con chiarezza l’intenzione
di un attacco a Pearl Harbor.
Scriveva il Segretario della Guerra Henry
Stimson il 25 novembre, il giorno che precedette
l’ultimatum USA al Giappone:
“La domanda era come noi avremmo
dovuto manovrarli (i giapponesi, N.d.R.) in
modo che sparassero il primo colpo”.
Il 2 dicembre il comando americano
seguiva da vicino i movimenti della flotta
giapponese in navigazione, partita il 25
novembre dalla madrepatria verso le Hawaii,
come testimonia l’addetto navale olandese
che aveva accesso all’Office of Naval
I n t e l l i g e n c e americano. Quello stesso 25
novembre la marina americana vietava alle
proprie navi, al traffico commerciale americano
e alleato, incluso il naviglio russo ancorato
nei porti americani, la navigazione nel
Pacifico settentrionale, dove avrebbero dovuto
transitare le portaerei giapponesi. Il motivo
dell’estensione del divieto al traffico commerciale
era l’eventualità di imbattersi nel
gruppo da battaglia giapponese e quindi lanciare
l’allarme a Pearl Harbor. Il contrammiraglio
Richmond K. Turner, addetto alla pianificazione
della guerra sul mare, nel 1941 lo
aveva dichiarato con franchezza:
“eravamo preparati a deviare il traffico
quando credemmo che la guerra fosse immi -
nente. Deviammo il traffico a sud attraverso
lo Stretto di Torres in modo che il passaggio
della task force giapponese sarebbe stato
libero da ogni traffico”13.
La settimana che precedette l’attacco i
servizi segreti americani avevano dato
all’ammiraglio Kimmel “un avviso di guerra”
in cui si diceva che era prevedibile un eventuale
attacco giapponese da sud ovest.
Kimmel inviò gli aerei a pattugliare inutilmente
più di due milioni di kmq di oceano,
senza trovare traccia alcuna di naviglio da
guerra nemico.
Di più: quando Kimmel si rese conto che
le relazioni diplomatiche erano critiche, alla
fine del novembre 1941 fece quello che tradi-
La Tradizione
Cattolica 11
zionalmente ogni marina compie in questi
casi, cioè far prendere il mare alle proprie
navi inviando, all’insaputa di Washington, 46
unità da guerra nel nord del Pacifico. Non
appena però Washington fu messa la corrente
dell’iniziativa di Kimmel, impartì l’ordine del
rientro immediato giustificandolo con il motivo
che la presenza di navi da guerra americane
poteva essere interpretata dai giapponesi
come una provocazione. In aggiunta il
comandante in capo della Marina, l’ammiraglio
Harold Stark (CFR), ordinò l’allontanamento
delle portaerei destinandole alle
M i d w a y, sguarnendo in tal modo Pearl
Harbor dall’ombrello aereo.
Il 7 dicembre 1941 allo stesso Stark, capo
delle operazioni navali, venne inoltrato un
messaggio urgente da cui risultava l’imminenza
di un attacco a Pearl Harbor e l’importanza
di procedere ad una comunicazione
immediata all’ammiraglio Kimmel. Ma Stark
rifiutò e non fece nulla. Anni dopo egli
dichiarò alla stampa che la sua coscienza era
tranquilla per quanto accadde, dal momento
che le sue azioni erano state dettate da
“un’autorità superiore”14. E l’unica “autorità
superiore” sopra Stark era il 33° grado del
R S A A Franklin Delano Roosevelt (CFR,
Pilgrims Society), lo stesso che nel corso
della seconda guerra mondiale avrebbe tranquillamente
dichiarato:
“in politica nulla accade a caso. Ogni
qualvolta sopravviene un avvenimento si può
star certi che esso era stato previsto per svol -
gersi in quel modo”15.
Pearl Harbor si risolse per gli americani in
18 navi affondate (di cui 8 navi da battaglia),
188 aerei distrutti, più di 2.000 morti.
L’inazione americana era a quel punto
superata, l’indignazione dell’opinione pubblica
fu enorme e l’ingresso degli Stati Uniti
nella seconda guerra mondiale venne approvato
in soli 33 minuti dal Congresso americano
all’indomani stesso dell’attacco di Pearl
Harbor16, permettendo così agli Stati Uniti,
per il gioco delle alleanze, di entrare in guerra
contro la Germania a fianco
dell’Inghilterra.
PRECEDENTI STORICI: CUBA
La notizia è recente, riportata da un organo
di informazione che fa capo a Lyndon
LaRouche, personaggio vicino alla Sinarchia
europea dei Rothschild, che intende proporre
la propria candidatura alla presidenza degli
Stati Uniti per il 2004, sembra assai bene al
corrente delle penombre e dei risvolti meno
noti della politica americana.
Narra in sostanza il LaRouche che, in
virtù di una speciale commissione creata da
Clinton per la revisione dei documenti raccolti
sull’assassinio di Kennedy, nel 1998-
1999 ne vennero declassificati alcuni che
invece non dovevano esserci, dal momento
che qualcuno aveva dato l’ordine di distruggerli
40 anni or sono. Un giornalista investigativo
di nome James Bamford, ha raccolto
tale documentazione in un libro pubblicato la
scorsa primavera col titolo “Body of Secrets:
Anatomy of Ultra-Secret National Security
Agency” (“Massa di segreti: anatomia del -
l’ultrasegreta National Security Agency”)17.
Secondo tale fonte, nel 1962 - ben prima
della famosa crisi di Cuba dell’ottobre -
venne proposto al governo americano di
“lanciare una guerra segreta e sangui -
nosa fondata sul terrorismo contro il pro -
prio paese per convincere il popolo america -
no a supportare una guerra non accetta che
si avrebbe voluto scatenare contro Cuba”.
Si trattava della “Operation Mongoose”,
affidata al Dipartimento della Difesa dopo la
cattiva prova data dalla CIA con l’invasione
alla Baia dei Porci del 17 aprile 1961 per
rovesciare Castro.
Responsabili dell’operazione erano stati
nominati un alto funzionario della CIA,
Edward Lansdale, direttore dell’Uff i c i o
Operazioni Speciali del Pentagono, e il generale
Lyman Lemnitzer, membro del CFR.
Quest’ultimo propose, fra le altre, le
seguenti azioni:
- “una serie di incidenti coordinati” attorno
alla baia di Guantanamo, consistenti in
rivolte, scoppi di munizioni, di incendi e
sabotaggi agli aerei da parte di elementi
indossanti uniformi cubane;
- “far saltare in aria una nave americana
nella baia di Guantanamo e accusare i cuba -
ni”, dal momento che: “una lista di incidenti
nei giornali americani causerebbe un’utilis -
sima onda di indignazione nazionale”;
- “sviluppare una campagna di terrore da
addossare alla Cuba comunista nell’area di
La Tradizione
Cattolica 12
Miami, in altre città della Florida e anche a
Washington”… “affondare una nave carica di
cubani in rotta per la Florida (reale o simu -
lata)”;
- “far esplodere alcune bombe al
plastico” e arrestare quindi “agenti cubani”
come pure “dirottare aerei e mezzi di superfi -
cie civili”.
Un’altra proposta, riferisce il LaRouche,
era di abbattere un aereo civile americano
nello spazio aereo cubano, anche se poi non
se ne fece nulla per la sopravvenuta crisi di
Cuba dell’ottobre successivo.
CRONACA DI IERI E DI OGGI:
I TALEBANI
È un tema sul quale ci siamo già soffermati
lo scorso anno, dicendo quello che oggi
è pacificamente ammesso da tutti i massmedia
cioè che i talebani sono una creatura
suscitata dai servizi segreti congiunti americano,
dell’Arabia Saudita e britannico18, servendosi
strumentalmente dell’ISI (I n t e r
S e rvice Intelligence agency), il servizio
segreto pakistano, cresciuto in seguito a
dismisura attorno ad essi: i talebani stanno
infatti all’ISI come il figlio sta al padre.
Bin Laden fu uomo di tali servizi e la logica
suggerisce che a tutt’oggi potrebbe essere
rimasto un uomo controllato dagli stessi interessi.
Inquietante in proposito l’articolo
apparso il 31 ottobre sul notissimo giornale
francese “Le Figaro” dal titolo: “Luglio 2001:
Bin Laden incontra la CIA a Dubai”, chiaramente
ispirato dai circoli governativi francesi.
Vi si apprende che dal 4 al 14 luglio Bin
Laden sarebbe stato in trattamento dialitico
presso il moderno ospedale americano di
Dubai (fu inaugurato nel 1995), proveniente
da Quetta, in Pakistan. Accompagnato da
quattro guardie del corpo, dal fedelissimo
vice Ayman al-Zawahiri e da un’infermiera
algerina, Bin Laden dopo essere stato immediatamente
sottoposto alle terapie del caso,
ricevette i suoi familiari e, in data 12 luglio,
anche “l’agente della CIA locale”.
La notizia, subitamente smentita da un
portavoce della CIA e liquidata come “una
totale assurdità”19, il giorno seguente veniva
tuttavia rilanciata dall’emittente governativa
“Radio France Internationale”, che, a supporto
della sua autenticità, forniva anche il
nome dell’agente, tal Larry Mitchell20, indicato
come specialista del mondo arabo, e circostanziando
che il giorno successivo alla partenza
di Bin Laden costui era volato senza
indugio a Washington. Significativo il totale
silenzio dei medici interpellati, che avevano
avuto in cura l’uomo più ricercato del mondo.
In un articolo di accompagnamento “Le
Figaro” faceva poi tutta la storia dei contatti
fra Bin Laden e i circoli militari e dello spionaggio
americano a partire dal 1979. Si
apprendeva così che l’esplosivo usato nell’attentato
all’ambasciata americana di Nairobi
dell’agosto 1998 era parte di un lotto fornito
dagli americani agli afghani nel corso della
guerra contro i russi. “Le Figaro” osservava
quindi che l’FBI: “…proseguendo nelle sue
indagini aveva scoperto “strutture” svilup -
pate per anni dalla CIA assieme ai suoi
«amici islamici». L’incontro di Dubai - concludeva
il giornale - è quindi nulla più che il
logico seguito di una «certa politica ameri -
cana»”21.
Il senso di tale articolo e il momento scelto
per la sua pubblicazione sono forse riposti
nella cruda opposizione mossa da quasi un
secolo dai circoli della Sinarchia europea alle
massonerie anglosassoni, queste ultime
ormai sul filo di lana del traguardo del compimento
della Repubblica Universale secondo
i disegni concepiti in Gran Bretagna a
cavallo fra i secoli XIX e XX.
L’ISI venne costituito dal generale Zia ul
Haq nel corso degli anni ’80 come organizzazione
idonea a trasmettere capillarmente in
territorio afghano i sei miliardi di dollari
americani e sauditi in armi e forniture militari
destinate ai mujaheddin afghani. Esso si
affiancava all’Intelligence Bureau - quest’ultimo
peraltro posto sotto il controllo del
Primo ministro del Pakistan - in compiti di
organizzazione di operazioni clandestine sia
sul territorio nazionale che all’estero. Fu tuttavia
il generale pakistano Hamid Gul, “ideo -
logo dell’Islam all’interno dell’esercito di
Islamabad”22, vero padre dell’ISI, a favorire,
a partire dal 1995, l’ascesa dei taliban. Essi,
sotto la guida dell’emiro Omar, e grazie ai
fondi di Bin Laden e ai finanziamenti
dell’Arabia Saudita, si assicurarono ben presto
il controllo della quasi totalità
La Tradizione
Cattolica 13
dell’Afghanistan, lasciato, all’indomani della
sconfitta dei russi, in preda alle lotte fra le
varie fazioni.
Negli stessi anni l’ISI crebbe fino ad
avere 20.000 addetti e quando nel 1989 la
Russia fu costretta ad abbandonare
l’Afghanistan e di conseguenza il flusso di
dollari americano subì un sostanziale rallentamento,
l’ISI continuò invece stranamente a
dilatarsi e ad assumere un ruolo via via più
indipendente dai poteri centrali, una specie di
stato nello stato, fino a contare oggi 40.000
collaboratori finanziati con un bilancio
annuale di un miliardo di dollari “di origine
totalmente incontrollabile”23 da impiegare in
operazioni speciali in Afghanistan e nel
Kashmir.
In quest’ultima regione l’ISI ha suscitato
quasi 10.000 giovani combattenti della
“jihâd” dediti al terrorismo, addestrati nei
campi (sono 55) che esso gestisce in
Afghanistan24. In India l’ISI è stato pesantemente
coinvolto negli attentati di Nuova
Delhi del 12 marzo 1993, quando tredici
bombe esplosero in due ore e mezzo causando
317 morti, e dell’aprile 1996 in collaborazione
con i Sikh - i separatisti del Punjab -
con la conseguenza di innescare una “sporca
guerra” da parte indiana nel Kashmir a base
di esecuzioni sommarie, incendi di villaggi,
sequestri, massacri di civili inermi che contribuiscono
vieppiù ad alimentare un odio su
base religiosa fra popolazioni autoctone
musulmane e minoranza indù.
È interessante accostare a questi dati il
pensiero del pragmatico Brzezinski sull’atteggiamento
che gli Stati Uniti, soltanto due
anni or sono, avrebbero dovuto tenere nei
riguardi del terrorismo caucasico di origine
islamica:
“Il governo americano - sosteneva - […]
non deve cadere nella politica del «tutti uniti
contro Bin Laden»”25, concetto fatto proprio
dalla “Military Review”, prestigiosa rivista
dell’esercito americano, dove si sosteneva, a
proposito dei mujaheddin ceceni, la necessità
di “integrare i terroristi nella strategia ame -
ricana”26.
E non solo i terroristi ceceni, bensì anche i
radicali talebani, a motivo dell’imprescindibile
esigenza americana di controllare, sia pure
indirettamente, la cosiddetta “H e a rt l a n d” ,
ovvero l’Asia centrale, avviata a diventare in
pochi anni il secondo grande polo planetario
delle risorse energetiche fondate sugli idrocarburi.
Vale la pena citare qui la rivista italiana
di geopolitica “L i M e s” :
“L’affermazione dei taleban corr i s p o n d e -
va ad un disegno strategico degli Stati Uniti.
Washington voleva un Afghanistan normaliz -
zato sia pur sotto il tallone dei taliban per
c re a re un asse con il Pakistan e pro b a b i l m e n -
te con l’Uzbekistan. L’obiettivo era costr u i re
una p i p e l i n e che dai giacimenti petroliferi del
Mar Caspio convogliasse il greggio nei port i
pakistani, nel contempo evitando l’Iran ed
e m a rginando definitivamente la Russia
dall’Asia centrale. Infatti l’oleodotto avre b b e
bypassato le condotte russe nella regione, al
momento le sole esistenti. Nota il giornalista
pakistano Hamid Mir, del quotidiano A u s a f d i
Islamabad, che un ulteriore obiettivo ameri -
cano sarebbe stato quello di utilizzare
l’Afghanistan dei taliban come re t rovia logi -
stica e di addestramento per i ribelli islamici
uiguri dello Xinjiang in funzione anticine -
s e”2 7.
Non si tratta tuttavia solo di petrolio o di
indurre instabilità entro i confini cinesi, pur
sempre interessante per i mondialisti, ma è
soprattutto il disegno di lungo termine di
smantellare la Russia (e quindi l’Europa) e
impadronirsi delle sue ricchezze l’obiettivo
primario: abbiamo infatti già illustrato la strategia
USA dell’accerchiamento della Russia
mediante una cintura “verde” islamica che,
partendo dai Balcani, attraverso la Turchia e il
Caucaso dovrebbe saldarsi con le repubbliche
dell’Asia centrale. Sulla “Grande Scacchiera”
ai talebani era riservato il ruolo di lievito
regionale del rigore sunnita, da esportare nei
paesi limitrofi, che a loro volta avrebbero
dovuto fungere da basi di partenza per la
destabilizzazione della Russia. La carta talebana
sembra peraltro aver suscitato solo un
profondo odio nella popolazione afghana e
manifestato la propria sostanziale incapacità
di superare il duro scoglio dell’Alleanza del
Nord, supportata e controllata dai russi. Non
per questo gli americani hanno fatto mancare
alla loro creatura il sostegno, e ciò fino alla
vigilia quasi dell’undici settembre. Riferiva in
proposito il giornale “T h e Washington Post”
del 25 maggio 2001:
La Tradizione
Cattolica 14
“L’amministrazione Bush non si è scorag -
giata. La settimana scorsa essa ha promesso
un altro versamento di 43 milioni di dollari di
aiuti all’Afghanistan, che fa salire il totale
degli aiuti di quest’anno a 124 milioni di dol -
lari, rendendo in tal modo gli Stati Uniti il
maggior sostenitore umanitario di questo
paese”.
11 SETTEMBRE 2001
Con tali premesse veniamo all’attentato
dell’11 settembre.
Innanzitutto un fatto che sembra andare
oltre la mera coincidenza.
Fu l’11 settembre del 1990, infatti, che
Bush padre, rivolgendosi ad una sessione
congiunta del Congresso americano, dichiarò
la necessità di addivenire ad un “nuovo ordi -
ne mondiale” trattando dell’invasione del
Kuwait da parte di Saddam Hussein. In quel
discorso, dopo breve descrizione dei quattro
obiettivi da conseguire nella guerra che si
annunciava contro l’Iraq, Bush aggiunse:
“al di là di questi tempi travagliati può
emergere il ns. quinto obiettivo - un nuovo
ordine mondiale… oggi vediamo le Nazioni
Unite assolvere i compiti per i quali le volle -
ro i fondatori ”. Fondatori che, come è noto a
chi ci ha seguiti in questi anni, provenivano
senza eccezione tutti dagli alti cenacoli mondialisti,
gli stessi che oggi hanno premuto sull’acceleratore
della Repubblica Universale.
La dichiarazione di Bush padre è avvenuta
esattamente undici anni or sono, ditalché il
numero 11 si ripeterebbe tre volte, 11 settembre,
11 anni di distanza, di nuovo 11 settembre.
Confermiamo il nostro disgusto ad imitare
i cabalisti che traggono auspici e conclusioni
dalle combinazioni e dagli accostamenti
dei numeri, ma è un fatto che l’essenza della
massoneria risiede nella cabala e che la cabala
si fonda a sua volta sulle valenze magiche
attribuite ai numeri.
Nella “teologia” cabalistica, infatti, dieci
sono le Sephiroth (Sephirot in ebraico significa
n u m e r i) che costituiscono l’A d a m
Kadmon, o Uomo Primordiale, e tutte dieci
sono emanazioni dell’Infinito, o Ensoph, da
cui tutto deriva ciò che è esistito, esiste ed esisterà.
Un universo costituito perciò da 11 elementi,
parodia che alla Trinità divina e ai
“sette angeli che sono sempre davanti al
trono di Dio” (Ap 1, 4) contrappone le 10
Sephiroth dominate dall’Ensoph - l’11° elemento
- rappresentazione di Dio. Ecco cosa
dice in proposito il “Dizionario massonico”
del Troisi:
“Nel simbolismo massonico (il numero
11, N.d.A.) ha un posto di grande importan -
za: 11 sono gli Eoni maggiori e dalla loro tri -
nità nasce il Trentatrè, il simbolo del
Perfettissimo, del Pleroma dei Pleromi dello
G n o s t i c i s m o”2 8. Dove il Perfettissimo è
l’Ensoph, che abbiamo visto essere la versione
cabalistica di Dio. In realtà siamo di fronte,
dice Mons. Meurin 2 9, al mistero
dell’Angelo decaduto riproposto in forma
arcana e rivelato solo ai gradi superiori delle
gerarchie gnostiche.
Nel numero dell’aprile 1974 della rivista
del CFR “Foreign Affairs”, Richard Gardner,
esponente di spicco della comunità ebraica
americana, ex ambasciatore americano in
Italia, membro del CFR, della Trilaterale,
della Pilgrims Society, del Rhodes Group -
queste ultime due società superiori dell’area
del Potere - scriveva che “la casa dell’ordine
mondiale” doveva raggiungersi con paziente
gradualismo erodendo pezzo per pezzo la
sovranità delle nazioni e trasferendola man
mano all’ONU. Ma accanto a questo modo di
procedere c’è n’è un altro, ampiamente collaudato
dalla storia, che consente di bruciare
le tappe: scatenare crisi improvvise come
guerre, rivoluzioni, disastri, terrorismo o
simili per sgomentare la gente e spingerla ad
accettare un nuovo assetto, un nuovo ordine.
L’attacco alle Torri dell’11 settembre presentava
senza dubbio tali caratteri. Quel che è
accaduto, in fondo, non ha reso il mondo
molto diverso da prima, come si proclamava
nei giorni che seguirono l’attentato: ha solo
chiarito a tutti, in modo definitivo, la necessità
di un’erosione della sovranità degli stati
a favore di strutture che si collochino sopra di
essi in un abbraccio planetario, naturalmente
per garantire la loro sicurezza.
NOVUS ORDO SECLORUM
Il 14 settembre 2001 il CFR teneva un
incontro a Washington della “Commissione
Americana sulla Sicurezza Nazionale nel 21°
La Tradizione
Cattolica 15
secolo” - Commissione voluta da Clinton
(CFR, Bilderberg, Trilaterale), e dal portavoce
Newt Leroy Gingrich (uomo del vivaio di
Kissinger, membro del CFR e del Bohemian
Club, un’emanazione della società superiore
Skull & Bones) e diretta dai senatori Gary
Hart (CFR30) e Warren Bruce Rudman (presidente
della Raytheon - azienda americana di
punta nella fabbricazione di missili e di elettronica
militare31 - e direttore, fino all’anno
scorso, del CFR) - sul tema: “Dopo l’attacco.
Una nuova urgenza”.
Nel corso di quel convegno Hart dichiarò:
“Al Presidente degli Stati Uniti è offerta
una possibilità di usare questo disastro per
portare a termine l’opera del padre - (vale a
dire) una frase che suo padre ha usato, penso,
una sola volta e che da allora non è stata più
usata - ossia un nuovo ordine mondiale”32.
La possibilità, intendeva Hart, di mettere
al passo gli Stati Uniti e gli stati ribelli col
Novus Ordo Seclorum che domina il dollaro
americano.
Ora è noto che anche George Bush figlio
è, al pari del padre, 33° grado del RSAA33 e
membro della società superiore dell’area del
Potere Skull & Bones (nota anche come “The
Order”, un vivaio dove sono reclutati coloro
che un giorno dovranno assumere altissime
responsabilità) alla quale venne ammesso
vent’anni dopo il padre, nel 196834. Per non
parlare del nonno, Prescott Sheldon Bush,
membro fin dal 1917 della stessa Skull &
Bones, con una solida frequentazione bancaria
a Wall Street, associato degli Harriman35
nel finanziamento di Hitler attraverso Fritz
Thyssen.
Giova precisare che tale Commissione si
inserisce in un progetto più ampio ispirato dal
Center for Strategic and International
Studies (CSIS) di Washington e battezzato
“Defending America: Redefining the
Conceptual Borders of Homeland Defense”
(Ridefinizione dei limiti concettuali della
difesa del territorio). Come è noto il CSIS è
guidato da mondialisti di gran levatura come
H. Kissinger e Z. Brzezinski; vi appartiene
anche Edward Luttwak (CFR), gettonato
politologo ed economista dello schieramento
conservatore americano, le cui dichiarazioni
nel corso della guerra del Kosovo si sono
distinte da quelle dei politici per equilibrio e
obiettività. Egli non ha mancato di aggiungere
la sua voce a quella di Hart:
“Le bombe del World Trade Center hanno
creato nuove priorità: la scossa è stata tanto
violenta da creare un nuovo ordine mondia -
le”, richiamando quindi l’attenzione sul fatto
che fra Cina36, Russia, India e Stati Uniti si è
ben tosto creata “una coincidenza di interessi
contro l’Islam”37.
Direttore del progetto di difesa territoriale
dell’America è F red C. Ikle ( C F R )
Sottosegretario alla Difesa con Reagan, oggi
consigliere di Bush. Il suo gruppo di lavoro
annovera il conte Arnaud de Borchgrave
(CFR) ex-editore dello “Washington Times”
di proprietà del “reverendo” Moon e Dov S.
Zakheim (CFR), direttore amministrativo del
Dipartimento della Difesa. Uno dei giornali
di LaRouche riferisce che Ikle aveva previsto
che “sarebbe stata necessaria una nuova
Pearl Harbor terrorista” prima che gli americani
prendessero in seria considerazione l’idea
della necessità della difesa interna38.
In realtà, riferisce il giornale britannico
“The Guardian” sotto il titolo assai eloquente
“Non possiamo dire che non ce l’avevano
detto”, il 31 gennaio 2001 la Commissione
diretta da Hart39 e da Rudman presentò ufficialmente
al Senato americano un
“Rapporto” di 150 pagine intitolato “Road
Map for National Security: Imperative for
Change” (Carta stradale per la sicurezza
nazionale: l’imperativo del cambiamento)
firmato dai 12 componenti la Commissione
fra cui personaggi del calibro dell’ex direttore
della CIA l’israelita James Rodney
Schlesinger (CFR, Atlantic Council), Donald
Rice (CFR, presidente della Rand
Corporation), Leslie H. Gelb, attuale
Presidente del CFR, e, fra gli altri, anche la
moglie Lynne Ann dell’attuale vicepresidente
USADick Cheney.
La conclusione del documento era sensazionale,
riferisce il giornale britannico:
“Stati, terroristi e altri gruppi ostili
acquisiranno armi di distruzione di massa e
alcuni le useranno. È probabile che ameri -
cani moriranno su suolo americano, forse
in gran numero”. Nel suo rapporto Hart
menzionava poi in modo specifico la mancanza
di prontezza a rispondere al caso di
La Tradizione
Cattolica 16
impiego di “un’arma di distruzione di massa
in un edificio a molti piani”.
Il giornalista prosegue rilevando che sorprendentemente
i mass-media americani,
salvo qualche eccezione, ignorarono semplicemente
il Rapporto. Il “New York Times” e il
“Wall Street Journal”, portavoci per antonomasia
dei centri di potere presieduti dai membri
della Commissione40, singolarmente non
dedicarono una riga né al Rapporto, né alla
conferenza stampa tenuta per la sua presentazione.
Anche le televisioni, salvo la CNN,
non riservarono spazio alcuno. La stessa Casa
Bianca, che aveva fissato alla Commissione
un’udienza per la settimana del 7 maggio,
successivamente la cancellò adducendo motivi
di opportunità di politica interna41.
Nel Rapporto veniva in particolare posta
in rilievo la necessità della rapida creazione di
un’Agenzia specializzata contro il nuovo terrorismo,
in grado di assumere la responsabilità
della difesa interna del territorio americano
contro possibili atti terroristici anche non
convenzionali. Fra l’altro si diceva:
“La combinazione della proliferazione di
armi non convenzionali con la persistenza del
terrorismo internazionale porranno fine alla
relativa invulnerabilità del territorio ameri -
cano (US homeland) mediante un attacco
catastrofico. Un attacco diretto contro citta -
dini americani su suolo americano è probabi -
le nel prossimo quarto di secolo. Il rischio
non è solo morte e distruzione ma anche una
demoralizzazione che potrebbe minare la
leadership globale americana. Di fronte a
questa minaccia la nostra nazione non pos -
siede stru t t u re governative idonee e
integrate”42.
Parole molto chiare che avrebbero trovato
tragicissima conferma ben prima di un quarto
di secolo.
L’ATTENTATO: BIN LADEN O…
Dopo la comprensibile emozione che tutti
abbiamo vissuto di fronte a scene che immaginavamo
confinate ai film di fantascienza…
sono iniziate le reazioni.
Reazioni di tutti i tipi, utilissime a tenere
vivo un rumore di fondo nel quale informazione,
disinformazione e controinformazione
potessero confondersi, accavallarsi e intrecciarsi
depistando, scatenando influssi, emozioni,
orientamenti secondo le ormai consolidatissime
tecniche di manipolazione delle
folle.
Abbiamo sentito di tutto: dalla stampa
araba che diffondeva la notizia che 4.000
ebrei impiegati negli uffici delle Torri sarebbero
stati avvisati dal Mossad il giorno precedente
l’attentato di non presentarsi al lavoro43,
a quella occidentale che, per bocca di
Bush e di Rumsfeld chiamava alla “crociata”
contro un nemico non ben definito, adottando
senza batter ciglio un termine che prima
d e l l ’ 11 settembre era sinonimo di ottuso
fanatismo e di sopraffazione al punto che
Giovanni Paolo II aveva ritenuto di chiedere
ripetutamente perdono ai popoli musulmani
per le crociate, a quasi dieci secoli da quelli
avvenimenti.
Abbiamo udito Bush invocare ripetutamente
Dio (certamente, peraltro, non quello
cristiano, ma quello della massoneria, e quindi,
come si è visto, dell’ebraismo cabalistico
- non si dimentichi che ha giurato da
Presidente su una bibbia del 1767, di proprietà
della Saint John’s Lodge n. 1 di New
York, la più antica loggia di rito scozzese
degli USA4 4) e indicare l’operazione che
avrebbe dovuto scattare di lì a poco contro le
fonti indicate del terrorismo col nome di
“Giustizia infinita”45, ossia ancora Dio, prendendo
a prestito dal Vangelo il “chi non è con
me è contro di me” e stravolgendolo, con
assai poco giudizio, nel “con noi o contro di
noi”46. Ovvero chi si oppone alla “Giustizia
infinita” si oppone a Dio stesso. Se non è
guerra di religione, questa….
In questo grande tramestio aff i o r a n o
anche i lucrosi affari che Bush padre e Bush
figlio avrebbero fatto, a partire agli anni ’60,
e fino a pochissimi anni or sono, con la famiglia
di Bin Laden, la quale avrebbe investito,
assieme alle grandi famiglie saudite, nella
compagnia petrolifera dei Bush. Del resto i
Bin Laden erano di casa nel Texas dei Bush,
dove, negli anni ’70 avevano costituito anche
una compagnia aerea, la “Bin Laden
Aviation”. Intrecci con la CIA, alla cui guida
Bush padre era stato preposto nel 1976, con
l’alta finanza americana e presenze nel più
grande scandalo del secolo, quello della
BCCI di Atlanta, in quegli anni si sovrapponevano
in una girandola di capitali che anco-
La Tradizione
Cattolica 17
ra nel 1989 giovarono a salvare dal fallimento
la compagnia petrolifera di Bush, dapprima
chiamata “Arbusto” (traduzione spagnola di
“Bush”, che significa, infatti, “arbusto”) indi
diventata “Harken Energy Corporation”4 7.
Preoccupazione comune dei media, nella
fase che ha preceduto l’azione in
Afghanistan, ma non solo, è stata di esorcizzare
l’idea della prospettiva di una guerra fra
religioni, martellando il L e i t m o t i v d e l l a
necessaria distinzione fra musulmani moderati
“buoni” e fondamentalisti “cattivi”.
Stranamente i paesi arabi, vera fonte ideologica
del fondamentalismo islamico - alludiamo
in particolare al wahhabismo destabilizzatore
e intollerante dell’Arabia Saudita -
non vengono degnati di attenzione e gli
sguardi si appuntano sempre più insistentemente
sull’Afghanistan e su Bin Laden indicato
al mondo come il responsabile principale
della strage di New York.
Commenta su “LiMes” Giulietto Chiesa,
acuto giornalista de “La Stampa” e suo corrispondente
da Mosca: “L’individuazione di
Osama bin Laden come unico responsabile è
però troppo mutuata da James Bond (alludeva
alla similitudine con un’opera di Fleming
avente James Bond come protagonista,
N.d.A.) per essere credibile. Penso che anche
l’amministrazione americana sia, più o meno
confusamente, consapevole di ciò, come
dimostra il discorso di Bush, che parla di una
guerra globale, di lunga lena. Se fosse solo
un uomo non occorrerebbe tanto”48.
BIN LADEN O…: PUNTI DI VISTA
RUSSI, E NON SOLO
Nel frattempo dal rumore di fondo emerge
qualche voce fuori dal coro: è il caso dell’agenzia
di informazione russa “National
Information Serv i c e S t r a n a”4 9, prossima a
posizioni governative, che qualche giorno
dopo aver rivelato la nazionalità cecena di
uno dei terroristi kamikaze, il 14 settembre
pubblica un’intervista ad un personaggio eminente
dei servizi segreti russi, intervista che
getta parecchie ombre sul ruolo reale di Bin
Laden nella faccenda. Si tratta di Andrei
Kosyakov, vicedirettore nel periodo 1991-
1993 della Sottocommissione russa per il
controllo delle attività russe di spionaggio.
Quello che ne viene fuori è una serie di constatazioni
logicamente
fondate:
- il fatto che
l’attentato fosse
stato prog r a mmato
da mesi
come dimostrano
le partenze dei
quattro aerei d a
quattro punti diff
e r e n t i a distanza
di pochi minuti
uno dall’altro e
l’arrivo sugli
obiettivi a poca
distanza fra di
loro: per
Kosyakov e i
suoi analisti per
ottenere un simile risultato la collaborazione
di uno stato è indiscutibile;
- la difficoltà oggettiva di trovare tutti quei
piloti preparati e determinati al suicidio;
- le telefonate fatte dagli aerei, dove nessuno
ha in alcun modo accennato a terroristi
arabi, ad accenti, aspetti o pronunce particolari,
per cui Kosyakov e i suoi analisti ne
deducevano che i terroristi non potevano
essere differenti dagli altri passeggeri;
- la macchina noleggiata dai terroristi
prima dell’azione e visibilmente abbandonata
in un aeroporto, con il baule pieno di
Corani scritti in arabo e di manuali di volo
pure in arabo, chiaramente lasciata ritrovare
per depistare le indagini. Vista tanta professionalità,
argomenta Kosyakov, come spiegare
un errore così banale che contrasta invece
con la cura dei dettagli?
- il fatto che nessuno abbia rivendicato
l’attentato. Ciò significa, secondo Kosyakov,
che gli autori intendono mantenere l’anonimato,
che siamo di fronte a professionisti che
nulla hanno tralasciato, giovandosi dell’alta
tecnologia e dell’appoggio complice di una
qualche rete. Gli autori materiali dell’attentato
potrebbero essere fondamentalisti islamici
americani o europei, mentre le menti - prosegue
il Kosyakov - se ne starebbero tranquille
altrove e pronte a colpire ancora - l’America
in particolare - “fino a giungere alla fase del
conflitto globale, scopo di tutte queste azio -
La Tradizione
Cattolica 18
ni”. A quel punto, conclude Kosyakov, “essi
riveleranno il loro volto per ottenere una
riserva di mobilitazione”;
- Bin Laden per Kosyakov potrebbe anche
avere avuto una parte nell’azione dell’11 settembre,
ma solo in ruolo marginale e secondario.
Egli infatti: “non è un ideologo, è trop -
po visibile. Quelli che organizzano tutto que -
sto sono troppo astuti per mettersi così in
vista”50.
In sostanza Kosyakov lascia intendere che
i piloti suicidi erano dei manipolati da una
potentissima organizzazione, con caratteristiche
tipiche di un grande servizio segreto.
L’attentato sarebbe dunque una drammatica
espressione del nuovo terrorismo “globalizzato”
che viaggia, cioè, sopra la testa delle
nazioni. Per contrastare tali minacce servirebbe,
allora, una rete organizzativa anch’essa
stesa al di sopra delle nazioni.
Si conclude che l’attentato ha richiesto:
1. grande tecnologia
2. cooperazione internazionale
3. logistica di alta complessità
4. notevole inventiva
5. alto livello di addestramento dei piloti
nel quadro di una disciplina di ferro
6. determinazione perfetta delle modalità
e della tempistica di azione.
Con tali premesse sinceramente neppure a
noi riesce di immaginare come avrebbe, dalle
sue caverne in Afghanistan il ricercato n. 1
Bin Laden, potuto coordinare tutto questo,
giovandosi dei telefonini satellitari e di
Internet, mezzi gestiti e controllati senza sforzo
alcuno dagli americani.
Se fosse stato capace di tanto i suoi uomini
da tempo avrebbero dovuto conquistare le
regioni del Caucaso e del Medio Oriente dove
ora vigerebbe incontrastata la legge coranica.
Lo stesso 14 settembre il vice presidente
della Commissione A ffari Esteri del
Consiglio della Federazione Russa Mikhail
M a g r e l o v, esperto di spionaggio e bene
addentro al mondo islamico, a margine dello
spettacolare attentato contro le Torri Gemelle
e il Pentagono, formulava alla televisione
russa NTV alcune osservazioni:
• nessuna organizzazione islamica dispone
delle enormi capacità necessarie ad un
attentato così spettacolare. Almeno 200 persone,
a suo dire, devono avere collaborato per
almeno sei mesi;
• le organizzazioni terroristiche sono
necessariamente sotto il controllo dei servizi
segreti, controllo che, anche se magari non si
allunga ai loro meandri interni, si estende
almeno al quadro generale;
• il dirottamento contemporaneo di diversi
aerei con piloti altamente addestrati, la
paralisi dei sistemi di controllo del traffico
aereo durante tutto il tempo dell’azione dei
terroristi(notizia questa, apparsa qua e là solo
nelle prime fasi successive all’attentato e
quindi soffocata, N.d.A.) e la perfezione dell’impatto
degli aerei per ottenere il massimo
danno possibile presuppone un’organizzazione
estesa e specialistica51.
La conclusione è identica a quella di
Kosyakov, si tratterebbe più di servizi segreti
che di organizzazioni “islamiche”. Giova
aggiungere che questi due personaggi, al
quale si è accodato, sempre negli stessi giorni
- si noti - il direttore dell’Istituto Russo per
le Valutazioni Strategiche A l e x a n d e r
Konovalov, il cui pensiero per motivi di brevità
non riportiamo, riflettono un solo concetto:
i russi - che pure conoscono bene sulla
loro pelle cosa sia e da dove provenga il terrorismo
islamico - all’attentato di matrice
islamica non credono. Opinione autorevolmente
condivisa dai “s e rvizi segreti di
Israele” - rincara Konovalov - aggiungendo:
“gente che il proprio lavoro lo conosce
bene”52.
Vale la pena concludere questa parte con
la lucida opinione del citato Giulietto Chiesa
riportata sullo stesso numero di “LiMes”:
“Non credo che questa “cupola” possa
essere stata costruita da un solo servizio
segreto di un solo paese islamico. E nemme -
no dall’alleanza tra più servizi segreti, anche
senza il consenso formale dei rispettivi
governi. La possibilità di mantenere la segre -
tezza in queste condizioni si sarebbe imme -
diatamente ridotta a zero. Con maggiore pro -
babilità si può ipotizzare che questa cupola
contenga alcuni altissimi esponenti di alcuni
servizi segreti di alcuni paesi… L’identikit
collettivo di questa cupola sembra essere
questo: ottimi conoscitori dell’Occidente,
altrettanto ottimi conoscitori della dispera -
zione del Sud del mondo, manipolatori bril -
lanti del fanatismo religioso islamico, straor -
La Tradizione
Cattolica 19
dinariamente ricchi, frequentatori dei più
esclusivi circoli finanziari internazionali,
dotati di alta capacità di «insider trading»53,
con accesso a informazioni riservate di carat -
tere politico, diplomatico e militare”54.
* * *
All’insistente e fastidioso rumore di fondo
potrebbe appartenere anche la dichiarazione
del braccio destro del famoso terrorista
Carlos, Anis Naccache, raccolta dal giornale
libanese “The Daily Star” secondo la quale
l’attentato alle due Torri potrebbe trattarsi “di
un progetto criminale uscito dagli allievi
della scuola di infiltrazione del fondamentali -
smo che il Mossad aveva organizzato in
Marocco negli anni ’80”55.
“Avvenire” del 21.9.2001 invece riflette
una notizia pubblicata sul “New York Times”
secondo la quale dopo l’attentato “sei giovani
israeliani sarebbero stati sorpresi a festeg -
giare a bordo di un pulmino, e di conseguen -
za espulsi”.
Rumore, rumore, rumore incessante: “è il
segreto della libera stampa: le informazioni
non sono nascoste, sono coperte dal rumore
di fondo. Non ci sono segreti, ci sono notizie
insignificanti e altre no”56.
LA POSIZIONE MILITARE
AMERICANA
In tempi brevissimi, dopo l’attentato di
New York, viene definita esattamente anche
la posizione strategica militare americana a
riguardo delle fasi successive di supporto alle
scelte politiche. Il 30 settembre 2001 il
Dipartimento della Difesa pubblicava sulla
“Q u a d rennial Defense Review ” (R i v i s t a
Quadriennale della Difesa) un rapporto di 72
pagine in cui erano ribaditi gli interessi e le
priorità americane da perseguire nell’area
eurasiatica57.
Vi si apprende che interesse e obiettivo
primario degli Stati Uniti è “precludere una
dominazione ostile (agli USA, N.d.R.) delle
a ree critiche, particolarmente l’Euro p a ,
l’Asia nordorientale, il litorale orientale
asiatico, il Medio Oriente e l’Asia sudocci -
dentale” (p. 10) assicurando nel contempo
agli USA “l’accesso ai mercati strategici
chiave e alle risorse strategiche”.
Il rapporto affronta il problema del sorge -
re di un possibile competitore militare nella
regione asiatica dotato “di una formidabile
base di risorse” (p. 12), constatando come
“(in Asia) la densità delle infrastrutture fisse
e mobili U.S. sia più bassa che in altre zone
critiche”, per cui occorre rapidamente sviluppare
“sistemi in grado di sostenere operazio -
ni a grande distanza con un minimo di sup -
porto di base”.
Preso quindi atto che “gli Stati Uniti e i
loro alleati e i loro amici continueranno a
d i p e n d e re dalle risorse energetiche del
Medio Oriente, una regione in cui diversi
stati… stanno sviluppando capacità di
costruire missili balistici, forniscono suppor -
to al terrorismo internazionale, espandono il
loro strumento militare in modo da minaccia -
re gli stati amici degli USA, e negando alle
forze americane l’accesso alla regione”. Il
documento prosegue dichiarando che le stesse
forze “sotto la guida del Pre s i d e n t e ,
saranno in grado di sconfiggere un avversa -
rio in uno o due teatri… imponendo la
volontà americana e rimuovendo ogni futu -
ra minaccia che esso potrebbe porre. Tale
capacità comprenderà l’occupazione del
territorio o le condizioni da imporre per il
cambio di regime, qualora richiesto” (p. 29).
Perfettamente in linea con il pensiero dei
pianificatori strategici che abbiamo passato
in rassegna nel Convegno dello scorso anno e
che oggi sembrerebbe concretizzarsi nella
La Tradizione
Cattolica 20
Zbigniew Brzezinski, autore del libro
“La grande scacchiera”.
prospettiva di una presenza militare americana
e della NATO sul territorio afghano. A tal
punto non sorprenderebbe neppure un risveglio
ad opera americana degli “sconfitti” taliban,
in forma di Esercito di Liberazione da
lanciare direttamente contro le repubbliche
centro asiatiche (come sta accadendo per
l’UCK in Macedonia) per destabilizzarle.
OGGI L’AFGHANISTAN, DOMANI…
Dai rumori di guerra spiccano sempre più
nette voci di un possibile attacco e occupazione
dell’Iraq, trasversalmente accusato di essere
il responsabile degli attentati biologici a
base di antrace58.
Si tratta di testate autorevoli, come il “The
Daily Telegraph” del 10 ottobre u.s. che in un
articolo a firma di Stephen Pollard (membro
anziano del “Centro per la Nuova Europa” di
Bruxelles) intitolato: “La vera minaccia è
l’Iraq - come gli uomini di Bush hanno detto
per anni”, cita un documento presentato a
Clinton il 26 gennaio 1998 a firma degli stessi
personaggi oggi presenti nel governo americano,
ovvero Rumsfeld, Wo l f o w i t z ,
Zoellick, Armitage, Perle, Paula Dobrianski
(vicepresidente del CFR) ed Elliott Abrams
(CFR).
I firmatari di detto documento59 accusavano
Saddam di sviluppare armi NBC (nucleari,
biologiche e chimiche) e di costituire una
minaccia permanente per Israele, per gli stati
arabi “moderati” e per le compagnie petrolifere
angloamericane. In realtà oltre a queste
motivazioni ce ne sono altre, non ultima la
posizione geopolitica dell’Iraq, paese importante
dell’assetto asiatico che permette, assieme
all’Afghanistan, di accerchiare l’Iran,
porta di accesso all’Asia centrale e al petrolio
del Caucaso.
La lettura di tale documento è sufficiente,
scrive quel giornale, “per capire cosa accadrà
prossimamente”, aggiungendo: “Tutto
quanto venne scritto nella lettera del 1998
oggi è reale. L’Iraq sarà il prossimo bersaglio”.
Non sarebbe più, quindi, questione se
l’Iraq verrà attaccato, ma quando e come60.
Curiosamente, agli inizi di settembre, nel
sultanato dell’Oman 24.000 soldati britannici,
appoggiati da carri armati pesanti e aerei avevano
lungamente manovrato, mentre 25 navi
da guerra della Royal Navy incrociavano nel
golfo omonimo, di fronte alle coste iraniane.
Notizia assai recente: l’ex direttore della
CIA R. James Woolsey, uno dei falchi dell’establishment
americano, in un discorso
tenuto il 22 ottobre incentrato sui possibili
autori dell’attentato dell’11 settembre,
dichiarava:
“Ci sono troppe cose, troppi esempi di
identità trafugate, di documentazione dili -
gentemente contraffatta, di coordinamento
attraverso i continenti e fra stati… che non
conducono molto lontano dalla conclusione
che qui è coinvolto uno stato e un servizio
segreto altamente efficiente”61.
Il 26 ottobre lo stesso Woolsey, da Londra
dove era stato inviato da Wolfowitz, ribadiva
una volta di più la determinazione americana:
“Se il governo prende la decisione fonda -
ta sulle notizie in suo possesso di intrapren -
dere un’azione militare contro ogni altro
stato che non sia l’Afghanistan, credo che il
mondo vedrà come la nostra reazione sarà
spietata, implacabile e devastante” e concludeva:
“…finora non avete visto ancora
nulla”62.
Né il cielo sopra la Siria si presenta meno
cupo: è ancora il “Daily Telegraph” britannico
che in un articolo datato 20 ottobre dal
titolo “Syria sponsors terrorism” (La Siria
sponsorizza il terrorismo) minacciava:
“…Per il momento gli alleati sono con -
centrati sulla sconfitta di Osama bin Laden,
mentre cercano di ravvivare i colloqui di
pace in Medio Oriente per inserire gli arabi
nella coalizione contro il terrorismo. Quando
questa fase avrà termine, la Siria verrà posta
di fronte alla scelta, secondo la linea presen -
tata da Israele ad Arafat: o essa procede alla
chiusura degli uffici islamici di Damasco e
ammette la presenza dell’esercito libanese
nel Libano meridionale, o sarà giudicata uno
stato canaglia (rogue state) e quindi passibi -
le di azione militare punitiva”.
Ad ogni buon conto all’indomani dell’11
settembre gli USA hanno incrementato del
20% il bilancio della Difesa (che per l’anno
in corso ammontava già a 375 miliardi di dollari),
in ciò mossi anche dal fine non secondario
di stimolare un’economia in affanno a
causa di un’immensa bolla speculativa che,
La Tradizione
Cattolica 21
sfuggendo sempre più al controllo, rischia di
far saltare l’intero sistema finanziario mondiale.
Un aspetto questo poco noto, ma non
per questo meno reale: basti dire che il banchiere
israelita Felix Rohatyn (per quarant’anni
numero uno della Lazard - una delle
banche d’affari di vertice di New York, che
cura gli interessi degli Agnelli), ancora il 25
settembre u.s. scriveva sul “Wall Stre e t
Journal” che la situazione era tale da richiedere
un programma immediato da 250 miliardi
di dollari a sostegno dell’economia.
Riferisce il LaRouche6 3 che Stephen
Roach, direttore degli economisti della
Morgan Stanley, una delle maggiori banche
d’affari di Wall Street, in un editoriale pubblicato
sul “Financial Times” del 29 settembre
osservava che il nuovo paradigma economico
non sarà più costituito da investimenti “per
l’aumento della produttività”, bensì per “la
difesa”.
Stare al vertice quando si ha la supremazia
comporta - è risaputo - crisi costanti, tensioni
e guerre combattute: uno stato di guerra
protratto in Eurasia, secondo le linee guida
dello “scontro delle civiltà”, non potrà dunque
che essere il benvenuto e offrire ai reggitori
occulti solo vantaggi, anche se - la storia
recente lo dimostra - i Putin sono sempre dietro
l’angolo.
I PERSONAGGI DELLAREAZIONE
AL TERRORISMO
I nomi che si rincorrono in questi giorni
sono quelli dei “falchi” di Washington, in particolare
Donald Henry Rumsfeld ( C F R ,
Atlantic Council, Bilderberg), P a u l
Wo l f o w i t z (CFR, Bilderberg, Tr i l a t e r a l e ) ,
membro della lobby ebraica del Washington
Institute for the Near East Policy e
dell’AIPAC, possente gruppo di pressione
ebraico sul Senato e il Congresso americani
che raggruppa 141 associazioni ebraiche fra
cui la potentissima massoneria del B’nai
B ’ r i t h6 4, Richard (Dick) Bruce Cheney
(CFR, Trilaterale), ricco personaggio che ha
fatto ottimi affari col petrolio a fianco dei
Bush in Texas, Colin L. Powell ( C F R ,
Bilderberg, già capo di Stato maggiore ai
tempi della guerra del Golfo), Condoleeza
Rice (CFR, Atlantic Council, presente nei
consigli di amministrazione della Chevron,
della Morgan & Co., e della Transamerica
Corp.), gli israeliti Richard Norman Perle
(CFR), Henry Kissinger (Pilgrims Society,
CFR, Trilaterale, Bilderberg, Pugwash,
Aspen Institute, Fondazione Rockefeller),
l’ex direttore della CIA R. James Woolsey
(Rhodes Scholar, CFR, Atlantic Council),
Robert B. Zoellick (CFR, Bilderberg, membro
del comitato esecutivo della
Commissione Trilaterale, già presidente del
CSIS di Kissinger e Brzezinski), George P.
Shultz (CFR, Trilaterale, Pilgrims Society,
direttore della banca J.P. Morgan, paladino -
al pari di Soros - della droga libera), mentre
Brent Scowcroft, ex generale oggi consigliere
di Bush per la sicurezza nazionale, è a sua
volta membro del CFR, della Trilaterale, dei
Circoli Bilderberg, dell’Atlantic Council, del
CSIS e della Kissinger Associates - società di
consulenza per stati e multinazionali presieduta
da Kissinger - e, incarico non marginale,
presidente del Consiglio degli Affari turcoamericano
(Turkish-American Business
Council).
Come si vede tutti costoro appartengono
senza eccezione al CFR, o al Bilderberg o
alla Trilaterale, o a tutti e tre contemporaneamente,
conciliaboli dell’area del Potere da
cui - come è noto - emanano gli ordini operativi
verso i rispettivi governi orientati alla
creazione della Repubblica Universale.
UNO SCONTRO DI CIVILTÀ?
Uno degli aspetti sui quali i protagonisti
di questi giorni battono senza posa è la natura
della “guerra al terrorismo” in corso: giammai
uno “scontro di civiltà” fra due religioni,
presentate invece entrambi come altissime e
di pari dignità, ma solo interventi circoscritti
miranti a sradicare, il più asetticamente possibile,
le centrali del terrore.
Eppure fin dai primi giorni il termine
“scontro di civiltà” è ricorso molto spesso
praticamente su tutta la stampa occidentale.
L’autorevole quotidiano inglese “T h e
Daily Telegraph” per la penna del suo esperto
del settore Difesa John Keegan, in un articolo
dal significativo titolo (sottolineatura
dell’autore) “In questa g u e rra di civiltà,
l’Occidente prevarrà”, francamente ammette:
“Lo “scontro di civiltà” 65 di Huntington
La Tradizione
Cattolica 22
venne (a suo tempo, N.d.R.) a m p i a m e n t e
discusso, sebbene nessuno lo prendesse in
seria considerazione. Dall’11 settembre inve -
ce è stato preso molto sul serio”. Il lungo articolo
così si conclude:
“… la risposta all’aggressione islamica…
non è una crociata. Le crociate furono episo -
di localizzati nel tempo e nello spazio, nel
contesto religioso fra Cristianità e Islam.
Questa guerra si colloca entro lo spettro
molto più ampio di un conflitto assai più
vecchio, fra Occidentali stanziali, creativi e
produttivi e Orientali predatori e distrutti -
vi”66.
Il 30 luglio 2001 alla Casa Bianca ci fu un
incontro riservato sul Medio Oriente fra esponenti
dell’amministrazione Bush, noti per la
loro visione geopolitica affine allo scenario
descritto da Huntington dello “scontro delle
civiltà”, e, udite, udite… fondamentalisti
americani cristiani ed ebrei.
I personaggi presenti per conto dell’amministrazione
erano il sottosegretario di Stato
Richard Armitage, direttore della Camera di
Commercio Americano-Azera, organizzazione
che punta a fare dell’Azerbaigian il punto
di forza per il controllo americano del petrolio
del Caucaso. Nel “Consiglio consultivo
d’onore” di tale Camera troviamo i soliti
Kissinger, Brzezinski, l’attuale vicepresidente
Dick Cheney e il 33 James A. Baker III (CFR,
Trilaterale, Atlantic Council) - avvocato texano
amico di famiglia dei Bush - il succo del
cui pensiero si riassume nel conseguimento
della supremazia indiscussa anglosassone,
politico-economico-militare, in Eurasia; Paul
Wolfowitz, strenuo sostenitore di Israele, il
ministro della Giustizia americano John D.
Ashcroft, uomo di riferimento dei “fonda -
mentalisti cristiani”. Sono costoro una setta
protestante americana, assai lontana dal cattolicesimo,
con forti connotazioni ebraicizzanti,
nata negli anni attorno al 1870, la cui dottrina
è assai vicina agli esiti preannunciati dallo
“scontro di civiltà “ di Samuel Huntington.
Centro di tale dottrina è il ritorno degli ebrei
in Palestina, la ricostruzione del Tempio e la
battaglia finale di Armageddon seguita dalla
sopravvivenza dei soli eletti.
Da parte “religiosa” erano presenti la
“Religious Round Ta b l e”, guidata da E d
McAteer. Nelle fila di questa associazione
militano personaggi come il 33 Jesse Helms o
Jerry Falwell, il fondatore della “M o r a l
Majority” (un’associazione con 20 milioni di
simpatizzanti) che nel 1982 fu insignito da
Begin - nel corso di un viaggio in California
e in Texas che gli era stato organizzato dal
B’nai B’rith per prendere contatti con la
destra protestante - del premio Jabotinski
“per i servizi resi a Israele” e fanatici telepredicatori
che annunciano l’apocalisse prossima
ventura.
Alla “Religious Round Table” si affiancavano
la “Christian Broadcasting Network”
(lett. “Rete di Trasmissione Cristiana”),
l’“Ambasciata Cristiana di Gerusalemme”, il
cui scopo primario è fungere da canale per i
finanziamenti ad Israele, la “C h r i s t i a n ’s
Israel Public Action Committee”, una lobby
di pressione a favore di Israele,
l’«Organizzazione Sionista dell’America» e
l ’ «Americans For a Save Israel»
(“Americani per la Salvezza di Israele”),
emanazione americana del Likud israeliano
che non fa mistero della sua intenzione di
procedere alla ricostruzione del Tempio. Il
suo Presidente, Herb Zeibon, presente all’incontro
alla Casa Bianca, dichiarò ad un intervistatore
che in America ci sono “70 milioni
di evangelici” i quali costituiscono “la base
politica di Bush”, che non avrebbero esitato a
“devastarlo” politicamente qualora intendesse
deviare dai loro programmi67.
Dal fatto che un esponente del Likud
possa farsi portavoce in tali termini di gruppi
che si definiscono cristiani, appare evidente
fino a qual punto il protestantesimo di matrice
anglosassone si sia allontanato dalla fede
cattolica dando luogo a una forma più che di
cristianesimo, di larvato ebraismo.
Infine vorrei citare un passo del libro
“Guerra senza limiti”, edito a Pechino nel
1999 a cura dell’Esercito popolare di liberazione,
che contiene il pensiero di due colonnelli
cinesi - chiaramente ispirato e avallato
dalle sfere superiori - che analizza la guerra
cosiddetta globale, senza limiti, condotta con
ogni mezzo, inclusi quelli non convenzionali.
Il passo recita (si ponga attenzione che siamo
nel 1999!):
“Resta da stabilire… se si è pensato o
La Tradizione
Cattolica 23
meno di combinare il campo di battaglia e le
operazioni non militari, che significa più pre -
cisamente combinare gli aerei che eludono i
radar e i missili Cruise, con le organizzazio -
ni dei killer, la deterrenza nucleare, le guerre
finanziarie (i due colonnelli equiparano altrove
Soros a un terrorista finanziario, appioppandogli
il titolo di “caimano della finanza,
con un volume d’affari in capitale flottante da
120 miliardi di dollari”, con esplicito riferimento
alle conseguenze disastrose dei terremoti
finanziari che Soros aveva scatenato in
Inghilterra, in Messico e nel Sudest asiatico),
e gli attacchi terroristici, o, più semplicemen -
te, Schwarzkopf + Soros + bin Laden. Questa
è la partita che si sta giocando”. Passando
quindi a rilevare la mancanza di prospettiva
dei comandi americani, i cinesi osservavano:
“… che si tratti delle incursioni di hacker,
di una grande esplosione al World Trade
Center o di un attentato dinamitardo di bin
Laden, tutto ciò va ben oltre il campo visivo
degli alti gradi americani…”68.
* * *
A questo punto non serve spingere oltre:
qui intendiamo infatti arrestarci non prima
però di aver preso atto della nostra impossibilità
ad affermare con certezza che l’attentato
dell’11 settembre possa essere stato opera di
gruppi o personaggi affatto differenti da quelli
pubblicamente chiamati in causa. Non ci è
parimenti dato, tuttavia, di ignorare l’esistenza
di formidabili elementi di dubbio, corroborati
dall’attuale modo di procedere occidentale,
che sembra interpretare al meglio quei
piani e quei disegni di Repubblica Universale
ripetutamente analizzati in questa sede.
SCENARI
Non essendo addetti ai lavori ed avendo
negata ogni concreta speranza di accesso a
quegli ambienti dove si forgiano gli avvenimenti,
ci rimane praticamente soltanto lo
strumento della logica e le nostre categorie
cattoliche - di cui andiamo fieri - che nondimeno
riteniamo ampiamente sufficienti a prospettare
qualcuno, almeno, dei numerosi scenari
possibili.
1. L’autorevolissimo “New York Times”
del 24 settembre u.s. ospitava a firma di un
portavoce d’occasione, Robert Wright, ricercatore
presso l’Università della
Pennsylvania, un articolo dove veniva affrontata
la questione della cessione della sovranità
nazionale USA alle Nazioni Unite, presentata
come condizione essenziale per la
prevenzione di attacchi terroristici non convenzionali
contro il territorio americano.
Sarebbe stato anzi proprio il senso nazionale
americano, sosteneva il Wright, ad impedire
gli sforzi delle Nazioni Unite per il controllo
della diffusione delle armi di distruzione di
massa.
“Stare attaccati alla sovranità nazionale -
proseguiva il nostro autore - a tutti i costi non
è esattamente sbagliato, è impossibile. Se i
governi non rispondono con nuove forme di
organizzazione internazionale, la civiltà, così
come la conosciamo potrebbe davvero essere
finita. Così la domanda non è se cedere la
sovranità nazionale. La domanda è come,
cautamente e sistematicamente, o caotica -
mente e catastroficamente?”.
Dove si vede che gli americani sono fritti
al pari di noi e che la marcia verso il vertice
unico che regna su un’unica organizzazione
sovrannazionale - si chiami essa ONU o una
nuova organizzazione sorta dalle sue ceneri -
sta liquidando, dopo l’attentato dell’11 settembre,
l’ultima grande nazione, ancorché
superpotenza, nel grande calderone mondialista.
2. Nel suo libro dal titolo “F i g h t i n g
Terrorism” (Lotta al terrorismo) l’ex capo del
governo di Israele Benjamin Netanyahu, nel
1995, con sorprendente lungimiranza scriveva:
“Le organizzazioni terroristiche che
fanno capo all’estremismo islamico annulla -
no in larga misura la necessità dell’Islam di
disporre di una potenza aerea o di missili
intercontinentali per lanciare attacchi con
esplosivi atomici. I terroristi stessi saranno il
sistema attraverso il quale tali attacchi
saranno sferrati. Nel peggiore di questi sce -
nari, le conseguenze potrebbero essere rap -
presentate non da un auto bomba, ma da una
bomba atomica collocata nel seminterrato
del World Trade Center”69.
Sei anni dopo, commentando l’accaduto
dell’11 settembre, Netanyahu in un’intervista
La Tradizione
Cattolica 24
del mese scorso richiamava quelle parole:
“In definitiva, l’esplosione e il crollo del
World Trade Center sono stati provocati da
300 tonnellate di carburante aereo piuttosto
che da un ordigno nucleare, e questo signifi -
ca che il tragico orrore di cui siamo stati
testimoni questa settimana non è il peggiore
scenario possibile… Il terrorismo non costi -
tuirà più una minaccia solo per singoli indi -
vidui o edifici: intere città potranno venire
distrutte, interi stati essere tenuti in ostaggio.
Il mondo è sull’orlo di un abisso… È neces -
sario intervenire adesso”70.
Se la fosca visione di Netanyahu deve
essere presa in seria considerazione, allora è
lecito pensare che ogni bomba che cade sulle
teste musulmane contribuisca a creare le premesse
per l’attuazione di una simile apocalisse.
Circa la minaccia di terrorismo con armi
nucleari, è noto che alcuni paesi islamici,
soprattutto delle ex repubbliche sovietiche71,
in qualche modo posseggono ordigni di questo
tipo. La prospettiva di impiego di tali armi
da parte di vettori umani con vocazione al suicidio
in luogo di un missile, non sembra in fin
dei conti così remota: una testata da 150kton
(più di sette volte quella di Hiroshima), infatti,
occupa nel corpo di un missile uno spazio
all’incirca pari a quello di un cilindro alto una
settantina di centimetri con un diametro di
base sui 40 centimetri. Come dire che sta in
uno zaino.
Solo Kissinger sembra non darsi eccessivo
pensiero per tali aspetti. In una recente
intervista al “Turkish Daily News” egli preconizzava
infatti, in luogo di uno scontro fra
religioni e civiltà “uno scontro all’interno del
mondo islamico”.
“C’è una lotta - diceva - nel mondo isla -
mico fra coloro che propongono un Islam
radicale e quelli che propongono invece un
Islam moderato. O vinceranno i radicali o
viceversa. La lotta principale è nel mondo
islamico”72.
In sintesi: la distruzione dell’Islam
dovrebbe passare o attraverso una soluzione
violenta, esiziale per entrambe le religioni, o
attraverso una via “seduttiva” agente attraverso
le forti correnti occidentaliste attive all’interno
dell’Islam, che dissolverebbe man mano
l’Islam nel gran brodo mondialista, sterilizzandone
i contenuti indesiderati per ricoagularlo
come una delle componenti, a fianco
della chiesa conciliare, nella religione mondiale
della Nuova Era. Allo stato attuale quest’ultima
soluzione sembrerebbe la meno
probabile, in considerazione dei tempi lunghissimi
di attuazione e dell’incertezza sugli
esiti finali.
Occorrerà dunque osservare il comportamento
americano e capire fino a che punto i
reggitori vorranno far salire la febbre nel
mondo musulmano, spingendo i “moderati” -
già legati agli “estremisti” dal filo dei bombardamenti
anglosassoni sull’Iraq e
s u l l ’ A f g h a n i s t a n7 3 e dell’appoggio USA a
Israele - con effetto domino verso quei lidi
oltranzisti disposti alle conseguenze ultime
della grande ecpirosis finale.
Le opzioni sono molte. Debolezza da
sfruttare della Turchia, del Pakistan, paesi
indebitati fino al collo sull’orlo della bancarotta,
facendone collassare i governi ad es.
mediante un attacco all’Iraq. L’ i n s t a b i l i t à
della regione potrebbe far collassare la
Turchia, concausa non ultima il riacutizzarsi
della questione curda, ma soprattutto per la
temutissima pressione già oggi esercitata sul
governo, guidato dai Bilderberg Bulent
Ecevit (capo del Governo) e Ismail Cem
(ministro degli Esteri)74, da parte di un popolo
sempre più sensibile al richiamo all’Islam75
e per nulla immemore della propria memoria
storica. Ciò è particolarmente attuale in considerazione
della gravissima crisi dell’economia
turca, rovinata dalle manovre dell’Alta
Finanza, la stessa che ora - per il tramite della
Banca Mondiale e del Fondo Monetario
Internazionale - le nega quel prestito di nove
miliardi di dollari indispensabili alla pura
sopravvivenza (l’inflazione del paese è ormai
prossima al 75%, la svalutazione della lira
turca si è impennata fino a raggiungere il
60%, al punto che in data 5 novembre 2001 si
è resa necessaria l’introduzione di banconote
da 20 milioni di lire turche, mentre i nuovi
disoccupati hanno superato il milione e si
parla di 16.000 imprese fallite76).
E anche se il celebre columnist israelita
del New York Times William Safire ipotizza
una manovra a tenaglia USA-Turchia nel
nord dell’Iraq per annettersi i campi petroliferi
di Kirkuk e Mosul, lo scenario potrebbe
La Tradizione
Cattolica 25
essere ben diverso, con una Turchia che
bascula invece rapidamente in area islamica
in un improvviso rovesciamento degli schieramenti,
rendendo più visibile e reale la prospettiva
di uno scontro di civiltà.
Altra ipotesi: attacco alla Siria, paese
chiave del mondo arabo; sfruttamento delle
vicende interne di Israele al quale qualcuno
potrebbe dare il via per schiacciare i palestinesi,
infine il quadro più tetro, quello di un
attentato distruttivo alla moschea di Omar o
di al-Aqsa da parte di oltranzisti ebraici in
vista della ricostruzione del Tempio di
Gerusalemme, con conseguenze dirompenti
sul mondo arabo.
Se pure le ipotesi citate non esitassero
fino alle loro conseguenze estreme, l’orizzonte
del Novus Ordo si illumina di quelle prospettive
che avevamo tratteggiato nel corso
dei nostri convegni, e che Pascal Bernardin,
specialista francese dell’ecologismo mondialista,
così asciuttamente sintetizza:
“La lotta contro gli stati canaglia, ribelli
al Nuovo ordine mondiale è naturalmente
uno dei temi di riflessione dei circoli mondia -
listi77. Si è riflettuto abbastanza alle sue con -
seguenze: operazioni di polizia internaziona -
le sotto l’egida della NATO col sostegno di
Russia e Cina; accresciuta cooperazione fra
servizi segreti; sorveglianza stretta di tutte le
operazioni finanziarie; rafforzamento dei
corsi internazionali; demilitarizzazione della
società mondiale sotto il controllo della
NATO e dell’ONU; imposizione della “cultu -
ra della pace”, destinata a trasformarci in
schiavi apatici e felici, soddisfatti del loro
destino e dei divertimenti televisivi quotidia -
ni”78.
3. Fra gli innumerevoli vantaggi offerti
dall’operazione in corso potrebbe esserci
anche un giro di vite alle libertà individuali,
motivato con la necessità di scoraggiare terroristi
e fiancheggiatori dal compiere azioni
gravissime. Una necessità, probabilmente, ma
non esente da “benefici collaterali” secondo
la collaudata ricetta: “dateci la vostra libertà,
il vostro spirito e noi garantiremo la vostra
sicurezza, il vostro benessere”.
L’occasione sarebbe buona per emarginare
anche coloro che professano il nome di
Cristo senza compromessi, che potrebbero
essere presi di mira per il loro “integrismo”,
la loro “intolleranza”, il “fanatismo” che li
animerebbe, additandoli per esempio al pubblico
ludibrio a causa del loro rifiuto
dell’Islam, per la loro pervicace ostinazione a
considerarlo una falsa religione e offrendo in
tal modo il fianco ad accuse di suscitare un
clima di odio sociale.
Non dimentichiamo, amici, che l’Islam è
solo un obiettivo contingente dei fautori della
Repubblica Universale e che il loro vero
nemico rimane sempre Cristo e il Suo
Vangelo, la Sua Verità e coloro che la professano
senza cedimenti.
CONCLUSIONE
Sono ormai anni che in occasione dei
nostri convegni vengono affrontati questi
argomenti, spesso con toni marcati che facevano
presagire esiti infausti. Purtroppo i fatti
ci stanno dando ragione.
Che fare?
“E quando sentirete parlare di guerre e di
rumori di guerre,- dice il Signore - badate di
non turbarvi: perché bisogna che queste cose
succedano …” (Mt 24, 6): la cattiveria e la
perfidia umane le avremo sempre con noi,
macchie indelebili impresse dal peccato originale
al pari della povertà, delle malattie,
della morte.
Quando i niniviti udirono la voce di Dio
che per bocca del profeta Giona proclamava:
“ancora quaranta giorni e Ninive sarà
distrutta” (Gn 3, 4), vi prestarono ascolto e al
“che fare?” risposero vestendosi prontamente
di sacco e facendo penitenza, avendo chiarissima
dinanzi agli occhi la dimensione del
loro peccato.
Il Signore Dio, mosso a pietà di un intero
popolo sinceramente pentito, ritirò il suo
intendimento.
Ebbene, commentando quel fatto Gesù,
nello sforzo di toccare il cuore indurito dei
suoi ascoltatori, aggiungeva: “ora qui c’è più
di Giona” (Mt 12, 41), ben altra è la Persona
che può intercedere per voi presso il Padre.
Oggi un “Occidente della morte”, che
uccide i propri figli più inermi, e intanto
invoca “i diritti del fanciullo”, che protegge i
delinquenti e gli assassini accusando delle
loro azioni una democrazia ancora imperfetta,
che garantisce a tutti diritti inalienabili,
La Tradizione
Cattolica 26
che ottunde la gioventù nelle spirali della
droga e del rock, che, secondo i dettami del
catechismo umanitario, ritiene tutti idonei al
lavoro intellettuale, che riconosce un giovane
maturo nella misura in cui consegue buoni
risultati nello sport, sa leggere il giornale
locale e fare una ricerca sul razzismo, questo
Occidente moralmente è alle corde. Non
passa giorno senza che siamo raggiunti dal
lezzo di una civiltà in via di decomposizione,
dove quello spirito di sacrificio e di rinuncia,
comun denominatore anche solo della generazione
dei nostri padri, oggi non c’è più, spirito
che traeva linfa dal comune credere, fermo
e saldo, in Dio e nella sua Provvidenza.
L’Occidente sembra ignorare che questo
spirito di sacrificio alligna invece profondamente
in quel mondo col quale si sta confrontando,
come è il caso degli afghani, nati in
mezzo ad avversità di ogni sorta, ed è il motore
che intrepidamente li spinge finanche alla
rinuncia drammatica della propria vita. Non
mi si fraintenda: essi lo fanno per la causa terribilmente
sbagliata della jihâd: Allah - nonostante
le insistenti esternazioni di Giovanni
Paolo II - non è il Dio vero, quello trinitario,
rivelato dal Signore Gesù e che fonda la
nostra fede!
Dopo tanto insulso pacifismo instillato in
decine di anni di martellamento postconciliare
sulla dignità dell’uomo e l’esaltazione
incondizionata, a partire da Paolo VI, ma
soprattutto ad opera di Giovanni Paolo II,
della pax massonica ONUsiana, indicata ai
cattolici come suprema istanza da perseguire,
di colpo si è riaffacciato il volto inumano e
atroce di una guerra che si annuncia di dimensioni
immani. La strombazzata “pace e sicu -
rezza” universali sotto l’egida dell’ONU non
si è avverata e la rovina, come profetizzato da
San Paolo (1 Ts 5, 1-6), si è abbattuta su coloro
che van gridando “pace, pace! E pace non
c’è” (cfr. Ger 8, 11).
È bene dunque por mente al pusillus grex
delle Scritture, e in questi tempi calamitosi
ancorarsi all’incrollabile certezza della nostra
fede, mediante la quale ci volgiamo a Colui
che è “ben più di Salomone, ben più di
Giona”, al Figlio di Dio in persona, affinché
disponga Egli - oggi come all’epoca di Ninive
- dei tempi della Sua giustizia che l’abisso del
peccato di tre secoli di liberalismo massonico
ha richiamato, quasi un’immensa depressione
che inizia a muovere masse d’aria altrettanto
immense.
Il Signore ci raccomanda di non temere
l’avvicinarsi di rumori di guerra: in fondo,
amici, tutto ciò che abbiamo a disposizione è
solo il momento presente e mentre lo affermo
esso scivola già nel passato, il futuro non ci
appartiene in alcun modo, al punto che solo la
Sua volontà ci tiene in vita istante per istante.
Non ci appartiene, infatti, che un istante alla
volta, con esclusione di tutti gli altri: è la
nostra condizione umana, marcata dall’incommensurabile
distanza fra creatura e
Creatore, il quale possiede invece la sovranità
di possesso dell’esistenza al di fuori di
ogni limitazione di spazio-tempo, proprietà
tipiche del mondo fisico.
La vera posta non è, in alcun modo, un
benessere materiale entro cui il più mollemente
possibile avvolgerci dalla culla alla
tomba, destinato - come ci ha inculcato il
pensiero massonico - a crescere indefinitamente,
ma la salvezza dell’anima nostra, da
guadagnare in questi anni di militanza che ci
sono concessi.
Possa il Signore illuminare il nostro intelletto
e donarci in quell’istante che ci appartiene
un cuore sereno e forte nelle avversità.
NOTE
1) Zbigniew Brzezinski nel suo: “Il mondo
fuori controllo”, ed. Longanesi, Milano, 1993,
dopo avere indicato l’ovale che va dall’Adriatico
al Sinkiang come la zona dove nei prossimi anni
(siamo all’inizio degli anni ’90) si svilupperà la
massima violenza, a pagina 168 dichiara: “A un
certo punto, è prevedibile che le armi di distruzio -
ne di massa vengano usate in alcuni dei possibili
conflitti che coinvolgono sentimenti etnici e reli -
giosi”, alludendo chiaramente alla fascia islamica.
2) Sul numero 17 del settembre 2001 di
“Analisi Difesa”, un periodico presente solo in
Internet (www.analisidifesa.it) che riflette le posi -
zioni governative su questioni militari, si apprende
che gli USA sono i maggiori finanziatori oltre
che di Israele, anche dei palestinesi, e che gli
incontri del Comitato congiunto israelo-palestine-
La Tradizione
Cattolica 27
se avvengono sotto la presidenza della CIA.
3) Estratto del servizio speciale: “Strategic
Alliance in Central Asia creates new Eurasian
power center” (L’alleanza strategica in Asia cen -
trale crea un nuovo centro eurasiatico di potere).
Ben diverso è il tenore delle dichiarazioni oggi.
Scriveva infatti il “Wall Street Journal” in un arti -
colo a firma di tal Hugh Pope: “La Turchia ha otte -
nuto la benedizione britannica per la sua offerta di
mettersi a capo dei pianificatori che dovranno sta -
bilire la pace qualsiasi sarà la fase postbellica di
ricostruzione in Afghanistan. L’approvazione dà
alla Turchia una marcia in più che dovrebbe
accrescere la sua influenza in Europa…” (riportato
dal “Turkish Daily News” del 23 ottobre 2001).
4) Lo stesso servizio cita un simposio tenuto a
Gerusalemme nel maggio 2001 dal titolo “Acqua
turca, energia del Caspio: una priorità nazionale
per Israele e l’Occidente” nel quale si sottolineava
la necessità della creazione di una nuova struttura
regionale estesa ad Azerbaigian, Georgia, Armenia
ed estesa al Mediterraneo meridionale attraverso la
Turchia, contro il “nuovo atteggiamento” di
Mosca. In questo disegno l’area caspica dovrebbe
supplire ai bisogni di petrolio e di gas di Israele e
Turchia, evitando ogni dipendenza da Russia e
Iran. In dicembre, infatti, l’Iran comincerà l’invio
verso la Turchia, via gasdotto, di nove milioni di
metri cubi di gas al mese.
5) www.Indiareacts.com/story33.htm
6) Il settimanale “Ti m e” del 17 febbraio 1936
scriveva: “Il diritto dei Tedeschi di affondare il
L u s i t a n i a è stato riconosciuto da uno dei più alti
ufficiali della marina britannica, l’ammiraglio
Earl of Cork and Orre ry, Comandante della Home-
Fleet (1933-1935)… Davanti ad un uditorio londi -
nese in cui le sue parole cadevano poco a poco nel
più profondo silenzio, l’ammiraglio dichiarò: “I l
L u s i t a n i a a v rebbe potuto essere impiegato per tra -
s p o rt a re in un sol viaggio 10.000 uomini di tru p p a
americani per combattere la Germania. Se donne e
bambini ci tenevano assolutamente a navigare in
zone di guerra dovevano attendersi ciò che poi è
accaduto. Colando a picco il L u s i t a n i a,
l’Ammiragliato tedesco era interamente nel suo
diritto. C’erano inoltre delle munizioni a bordo” ” .
Riportato da Yann Moncomble in: “Les vrais
responsables de la troisième guerre mondiale”, ed.
Faits et Documents, Paris, 1982, p. 67.
7) Colin Simpson “Il Lusitania”, ed. Rizzoli,
Milano, 1974, pp. 98-99.
8) Id., p. 142. La polemica intorno al libro del
giornalista britannico da parte dei negazionisti
della tesi del complotto è ancora vivace, ma a
Simpson si riconosce l’esattezza, e quindi la validità,
delle fonti di cui si è servito.
9) Riportato nel libro del suo biografo, il professore
di storia di Yale Charles Seymour (CFR)
“The Intimate Papers of Colonel House”
(“Carteggio intimo del Colonnello House”), ed.
Houghton Mifflin, Boston, 1926, p. 507.
10) C. Simpson “Il Lusitania”, cit., p. 231.
11) Massone d’alto bordo, Wiseman fu una
delle personalità più in vista del movimento anglosionista,
favorito dalla maggiore banca di Wall
Street del tempo, la Kuhn & Loeb (cit. in: “Dope
Inc.” (= “Droga S.p.A.”), a cura degli editori
dell’Executive Intelligence Review, Washington
D.C., 1992, pp. 135, 467, 504).
12) V. Robert B. Stinnett “Day of Deceit: The
Truth about FDR and Pearl Harbor” (Giorno di
inganno: la verità su Franklin D. Roosevelt e
Pearl Harbor), The Free Press, 2000, ISBN 0-
684-85339-6. Ha scritto Gore Vidal - uno dei più
famosi saggisti e prosatori americani della nostra
epoca (il cui vero nome è Eugene Luther Vidal) -
a commento di questo libro: “(esso) mostra che il
famoso attacco “a sorpresa” non fu una sorpresa
per i nostri decisori della guerra e che i tremila
militari americani uccisi o feriti quella domenica
mattina a Pearl Harbor furono, per i nostri gover -
nanti e per i loro odierni epigoni, un prezzo picco -
lo da pagare per quell’“impero globale” che oggi
presidiamo così inettamente”.
Altri testi di riferimento di fonte americana
sono: John Toland “Infamy: Pearl Harbor and Its
Aftermath” (Infamia: Pearl Harbor e sue conse -
g u e n z e”, Berkley Pub Group, 2001, ISBN
042509040X; Contrammiraglio Edwin T. Layton
“And I Was There” (E io ero lì), 2001, ISBN
1568523475.
13) Cfr. la rivista conservatrice americana
“New American”, vol. 17, n. 12, 4 giugno 2001,
articolo “Pearl Harbor: The Facts Behind the
Fiction” (Pearl Harbor: i fatti dietro la finzione).
14) Rileva il Moncomble nel suo pregevole
“Les vrais responsable de la troisième guerre
mondiale”, ed. Faits et Documents, Paris, 1982, a
pagina 123, che il 18 dicembre 1941 venne formata
una Commissione governativa di inchiesta militare
e navale (Commissione Roberts) le cui conclusioni
giunsero rapidamente ancora il 23 gennaio
1942, indicando come unici responsabili del
disastro di Pearl Harbor l’ammiraglio Husband E.
Kimmel, comandante della flotta del Pacifico e il
generale Walter C. Short, comandante del settore
delle Hawaii. Assolti in pieno invece il Segretario
alla Guerra Henry Stimson (CFR, Pilgrims
La Tradizione
Cattolica 28
Society) e alla Marina Frank Knox (CFR), il
comandante dell’Esercito, il generale massone
George C. Marshall (CFR) - che nel corso di una
conferenza stampa nel novembre 1941 aveva confidenzialmente
pronosticato che la guerra sarebbe
scoppiata i primi dieci giorni di dicembre - e il citato
ammiraglio Harold Stark della Marina. Giova
segnalare che la loro l’assoluzione fu opera del
giudice Roberts della Corte Suprema USA, alto
membro degli stessi centri di potere del CFR e
della Pilgrims Society.
15) Epiphanius “Massoneria e sette segrete. La
faccia occulta della storia”, ed. Ichthys, Albano
Laziale, 1996, p. 217.
16) V. “Panorama”, 27.9.2001. p. 34.
17) New York, ed. Doubleday, aprile 2001.
18) Cfr. “La guerra del terrore” in: “I quader -
ni speciali di “LiMes””, supplemento al n.4/2001,
p. 11.
19) Cfr. “La Repubblica”, 2.11.2001, p. 3.
20) Ibidem.
21) V. anche “EIR Strategic Alert”, Vol. 15, n.
45, 8 novembre 2001.
22) V. “Panorama”, 27.9.2001, p. 28.
23) Cfr. “The Christian Science Monitor”, 3
ottobre 2001.
24) Cfr. “Crisi del Kashmir: separatismo e
minaccia islamista” in: “Rivista Italiana Difesa”,
n. 5/2001, pp. 62 e segg.. Il quotidiano “ The Times
of India ” in data 30 ottobre 2001 faceva notareche
“Washington (solo, N.d.R.) ora dice che l’ISI ha
usato anche i campi di al-Quaeda in Afghanistan
per addestrare agenti segreti coperti da impiegare
in una guerra del ter rore contro l’India”.
25) Zbigniew Brzezinski su “Le Monde”, 18
novembre 1999.
26) Articolo a cura di Raymond Finch
“Chechen Fighter Shamil Basayev” (Il combatten -
te ceceno Shamil Basayev), giugno 1997.
27) Cfr. “I quaderni speciali di LiMes: “Nel
mondo di Bin Laden”, supplemento al n. 4/2001,
pag. 52.
28) Luigi Troisi, “ Dizionario massonico”, ed.
Bastogi, Foggia, 1987, p. 410. Un’ulteriore interpretazione
massonica del significato del numero 11
è la seguente: “il numero “undici”… è il cielo
“infinito” con i “luminari fuori dalla nostra por -
tata che lo popolano”” (Jules Boucher “La simbo -
logia massonica”, ed. Atanòr, Bologna, 1990, p.
375).
29) Mons. Leone Meurin “La Frammassoneria
sinagoga di Satana”, ed. Presso l’Ufficio della
Biblioteca del Clero, Siena, 1895, p. 10.
30) Richiamiamo per il lettore la gerarchia dell’area
del Potere, che vede società superiori come
la Skull & Bones e il Rhodes Trust ai vertici e dalle
quali emanano potenti strumenti come la Pilgrims
Society, il CFR, il Bilderberg Group, l’Atlantic
Council, la Trilateral Commission. Fondato nel
1921 dai Rockefeller come ramo americano
dell’Istituto Internazionale Affari Internazionali
britannico (RIIA), il Council on Foreign Relations
(CFR) esercita un’influenza determinante sul
Dipartimento di Stato e sul governo americano
tanto da guadagnarsi il titolo di “governo ombra”
USA. Lo stesso CFR fu all’origine dell’ONU, del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca
Mondiale. Oggi vi fanno parte circa 3.400 membri
selezionati. La Trilaterale invece, anch’essa fondata
dai Rockefeller, è una macchina finanziaria e
intellettuale unica (circa 300 componenti), sostenuta
dall’Alta Finanza e operante lungo i tre lati,
atlantico, europeo e giapponese dello schieramento
occidentale, per spingere le nazioni in direzione
di un governo mondiale. Molto più riservato ed
elitario è il Bilderberg Group che, una o più volte
l’anno, raduna le élites del mondo anglosassone ed
europeo onde “anticipare” gli avvenimenti.
31) Il complesso militare industriale americano,
di cui la Raytheon è significativa componente,
ha bisogno “di provare sul terreno, ogni sei-sette
anni almeno, nuove famiglie di dispositivi e meto -
diche operative: dottrine, armi, tecniche di impie -
go, etc.” (v. “Rivista Italiana Difesa”, n. 4/2000, p.
79). In tale ottica si giustificano i bombardamenti
pesanti contro la Jugoslavia, nel contesto di un’azione
internazionale di guerra (pudicamente definita
di polizia internazionale per non turbare le
sensibili coscienze democratiche), e l’applicazione
oggi delle nuovissima dottrina “Ricognizione e
attacco globali (GRS)” (cfr. la stessa “Rivista”, n.
10/2001, pagg. 34 e segg.) in Afghanistan, ponendo
in essere un’impressionante potenza di fuoco
dall’aria (bombardamenti di precisione e massicci)
e dal mare (portaerei e missili da crociera) colpendo
in parallelo centinaia di obiettivi, civili e militari,
in attesa di scatenare forze terrestri leggere e
micidiali con il compito di costringere l’avversario
a concentrarsi per quindi distruggerlo nuovamente
dall’aria.
32) V. “The New American”, rivista conservatrice
americana, vol. 17, n. 22, 22 ottobre 2001,
articolo “The UN is NOT Your Friend” (L’ONU
NON è vostro amico).
33) V. “Lectures Françaises” n. 527, marzo
2001, p. 25.
34) V. anche “Il Giornale”, 19.4.2001.
35) Averell Harriman (Pilgrims Society, inizia-
La Tradizione
Cattolica 29
to alla Skull & Bones nel 1913) salvò dalla bancarotta
il suo amico Prescott Bush che nel grande
crollo del 1929 aveva perso tutti i suoi averi, prestandogli
il denaro necessario a mantenere le sue
quote bancarie e riprendere quindi a guadagnare.
Gli Harriman metteranno in piedi fra le due guerre
la più grande banca di investimenti americana del
tempo, la Brown Brothers Harriman, che diventerà
la banca americana di quei grandi sostenitori di
Hitler che furono i Thyssen, i magnati tedeschi
dell’acciaio (v. Antony C. Sutton “A m e r i c a ’s
S e c ret Establishment”, Liberty House Press,
Billings, Montana, 1986, pp. 20-22, 121, 166, 168.
36) Nella visione di Huntington, tuttavia,
dovremmo assistere all’emergere di un asse confuciano-
islamico che sarebbe dovuto diventare presto
motivo di scontro con l’Occidente (cfr. Samuel
P. Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo
ordine mondiale”, ed. Garzanti, Milano, 1997, pp.
353 e segg.).
37) “Panorama”, 27.9.2001, p. 36.
38) “Strategic Alert”, Vol. 15, n. 40 del 4 otto -
bre 2001.
39) Gary Hart assieme a Walter Fritz Mondale
(CFR, Bilderberg, Trilaterale), sotto l’ombrello
della potente lobby ebraica dell’AIPAC, presentarono
nella primavera del 1984 al Congresso degli
Stati Uniti l’inaudito progetto di trasferimento dell’ambasciata
USA in Israele da Tel Aviv a
Gerusalemme, progetto divenuto realtà nell’ottobre
1995.
40) Proprietaria del “New York Times” è la ricchissima
famiglia israelita dei Sulzberger, i cui
legami con il B’nai B’rith sono notori (cfr.
G e o rges Virebeau “…Mais qui gouverne
l’Amerique?”, Paris, 1991, p. 49), che agli inizi
degli anni ’90 controllava un gruppo editoriale di
53 testate, era comproprietaria dello “Washington
Post” e possedeva diverse catene televisive
41) Cfr. “The Guardian”, 2 ottobre 2001.
42) Si veda il sito del CFR: w w w. e m e rgency.
com/2001/21stcentury_rpt.htm
43) “ Il Giornale ” di Milano riportava in data
17 settembre 2001 l’elenco degli 5095 scomparsi
classificandoli per nazionalità. Secondo tale computo
Israele avrebbe avuto 2 morti e 2 dispersi, 651
il Pakistan, 400 la Gran Bretagna e 52 l’Italia.
44) V. “Lectures Françaises”, n. 527, marzo
2001, p. 25.
45) Cfr. “la Repubblica” 19 settembre 2001.
46) È anche il titolo col quale l’autorevole
quotidiano israeliano “Ha’aretz” si presentava il
13 settembre 2001, seguito all’indomani, in un
articolo sullo stesso tono di R.W. Apple, dal
“Washington Post”.
47) V. “Corriere della Sera”, 22.9.2001.
48) Cfr. “La guerra del terrore” in: “I quader -
ni speciali di “LiMes””, suppl. al n.4/2001, p. 91.
49) Il sito Internet di Strana è il seguente:
www.russianobserver.com .
50) Tale intervista è stata riportata anche dall’agenzia
“EIRNS” del citato LaRouche in data
14.9.2001, v. sito Internet www.larouchepub.com
51) V. www.russianobserver.com del 14 settembre,
articolo “Deputies favor a well considered
approach” (I deputati a favore di un approccio ben
ponderato).
52) Articolo del 10.10.2001 pubblicato nel sito
della nota precedente col titolo: ““The Taliban
may cause the war spill over to Uzbekistan and
Pakistan”: Alexander Konovalov” (I Taliban pos -
sono far sì che la guerra trabocchi in Uzbekistan
e in Pakistan: Alexander Konovalov).
53) Consiste nell’utilizzo di informazioni
riservate e confidenziali circa i possibili sviluppi e
le tendenze in corso per la compravendita di titoli
di una società a danno di coloro che non le possiedono.
L’insider trading è illegale nella maggior
parte delle piazze finanziarie.
54) V. “LiMes”, cit., pp. 90-91.
55) “Il Giornale di Brescia”, 24.9.2001.
56) Maurizio Blondet “Gli “Adelphi” della
Dissoluzione”, edizioni Ares, Milano, 1994, p.
234.
57) www.defenselink.mil/pubs/qdr2001.pdf).
58) Non deve sfuggire come l’antrace sia uno
strumento anzitutto di guerra psicologica. Esso è
infatti riuscito a creare quei ricercati “etats d’e -
sprit” (stati d’animo) così utili nelle mani dei reg -
gitori a rendere docili e reattive al minimo stimolo
le masse, stanche di vivere in ansia, quando non
in uno stato isterico di panico. E ciò nonostante la
minaccia sia limitata e “non esistano evidenze di
collegamenti con il terrorismo organizzato”, come
dichiara il direttore dell’FBI Robert S. Mueller III
(cfr. “Washington Insider”, vol. 11, n. 43, 25 ottobre
2001).
59) Disponibile al sito www.newamericancentury.
org/iraqclintonletter.htm
60) Qualche lume lo offre David Perlmutter
quando il 13 settembre, sul “P h i l a d e l p h i a
Inquirer” (L’informatore di Filadelfia), scriveva
che stati come Corea del Nord, Siria, Sudan, Iran,
Libia e Iraq dovranno “prepararsi alla distruzione
sistematica di tutte le centrali elettriche, di tutte le
raffinerie di petrolio, di tutti gli oleodotti… di tutti
gli uffici governativi del paese… vale a dire
all’affondamento completo della loro economia e
La Tradizione
Cattolica 30
dei loro governi per una generazione”.
61) “Washington Post”, 24 ottobre 2001, articolo
“Gli USA sembrano attenuare la retorica
sull’Iraq” di K. De Young e Rick Weiss.
62) “The Daily Telegraph”, articolo “Building
the case against Iraq”, (Costruzione del caso con -
tro l’Iraq), 26 ottobre 2001. Il citato ex generale
pakistano Hamid Gul, anima dell’ISI, ha a sua
volta dichiarato: “L’America in questa campagna
non ha chiarito quali siano i suoi obiettivi e non ho
dubbio alcuno che il vero bersaglio sia l’Islam e il
modello di vita (the way of life) islamico” concludendo:
“… quando gli USA avranno terminato la
loro guerra contro l’Afghanistan, colpiranno il
Pakistan. E anche l’Iraq, l’Iran e l’Arabia Saudita
saranno parte della loro campagna contro l’Islam”
(cfr. “The Times of India”, 7.11.2001).
63) V. “EIR Strategic Alert”, vol. 15, n. 40,
4.10.2001.
64) “Il gruppo di pressione meglio finanziato
in America” a dire del “Wall Street Journal” del
24.6.1987. Secondo il defunto re di Giordania, il
33° grado del RSAA Hussein ibn Talal, in Medio
Oriente “gli Stati Uniti non possono agire che nei
limiti concessi dall’AIPAC e da Israele” (V. M.
Blondet “I fanatici dell’Apocalisse”, ed. Il
Cerchio, Rimini, 1995, p. 119).
65) In realtà il termine “Scontro di civiltà” non
è di Huntington, ma dello storico israelita Bernard
Lewis il quale ricorda l’ovvio dato che l’Islam è
sempre stato per 1000 anni contro la civiltà cristiana
mettendola in grave pericolo. “Siamo dinanzi a
un vero e proprio scontro di civiltà - dichiarava il
Lewis nel 1990 - alla reazione… di un antico riva -
le contro la nostra tradizione ebraico-cristiana, il
nostro presente laico e l’espansione a livello mon -
diale di entrambi” (riportato in: Samuel P.
Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo
ordine mondiale”, ed. Garzanti, Milano, 1997, p.
311).
66) “The Daily Telegraph”, 8 ottobre 2001.
67) Fonte: “Washington Insider”, vol. 11, n.
33-34, 16 agosto 2001.
68) Riportato in: “I quaderni speciali di
LiMes: “Nel mondo di Bin Laden”, suppl. al n.
4/2001, pag. 104.
69) V. “Panorama”, 27.9.2001. p. 39.
70) Ibidem.
71) “Se mi chiedete se il terrorismo nucleare è
possibile, penso che la risposta più breve sia sì”,
ammette Ivan Safranchuk, direttore del Centro
Informazioni della Difesa di Mosca (dal giornale
canadese “The Toronto Star” del 21 ottobre 2001,
articolo “P e n s a re l’impensabile: il terro r i s m o
nucleare è prossimo?”).
72) “Turkish Daily News”, 4.10.2001.
73) “Avvenire” del 18.10.2001 riporta la notizia
secondo cui il Pentagono ha autorizzato i piloti
USAin azione nei cieli dell’Afghanistan “a sce -
gliersi da soli i bersagli da colpire”. Quando dei
militari sono autorizzati ad agire al di fuori di un
quadro di rigida disciplina diventa difficile distinguere
la professione militare dalle azioni dei fuorilegge:
in ogni caso le atrocità sono assicurate.
74) Ad essi si aggiunge il turco Kemal Dervis,
chiamato da Ecevit nel marzo di quest’anno a
fronteggiare la crisi economica turca che si stava
vieppiù approfondendo. Dervis, fino a quel
momento vice-presidente della Banca Mondiale a
Washington, venne nominato ministro al Tesoro,
alla Pianificazione e alle Privatizzazioni.
Superfluo rilevare che l’applicazione delle terapie
ormai standard della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale hanno precipitato il
paese in una spirale di bisogno crescente e latente
sottosviluppo.
75) L’attuale guida dell’islamismo “moderato”
turco, espresso dal partito Giustizia e Sviluppo
(AKP), è Recep Tayyip Erdogan, personaggio che
nel 1997, in un discorso tenuto nella città turca di
Siirt, proclamando la propria, irrinunciabile fede
islamica, dichiarava: “I minareti sono baionette, le
cupole elmetti, le moschee caserme e i credenti
soldati. Nessuno può far tacere la chiamata alla
preghiera, essi non saranno mai in grado di sotto -
metterci… non ci volgeremo indietro neppure se i
cieli e la terra si fendessero e le tempeste e i vul -
cani ci coprissero. Il mio riferimento è l’Islam.
Non posso parlare di vita se non porto a compi -
mento il mio mandato” (v. “Turkish Daily News”,
23 luglio 2001).
76) Cfr. “Washington Post” del 15 ottobre
2001, articolo: “Turkey Faces Dilemma by
Backing U.S.” (La Turchia di fronte al dilemma
del sostegno agli USA), dove si annota che il 70%
della popolazione è contraria ai bombardamenti
sull’Afghanistan. Nel “Turkish Daily News” del 3
novembre 2001 si rileva invece che più dell’80%
della popolazione è contraria all’invio delle truppe
richieste dagli americani in Afghanistan.
77) Bernardin cita all’uopo la rivista del CFR
“F o reign A f f a i r s” numeri di gennaio/febbraio
2000, p. 45 (articolo di Condoleeza Rice) e di
maggio/giugno 2001, p. 62.

alessandro74
24-02-20, 03:03
Quello che dicevo come esempio estremo che rende l’idea in merito alla selezione dell’immigrazione in UK, è che gli attentatori sapevano bene la lingua inglese e guadagnavano piu di 30000 sterline annue.

Ci sono molti imprenditori di cui anche italiani che sono andati lì, hanno creato aziende e poi hanno escluso gli inglesi nelle assunzioni in modo razzista.

Tipico modo di fare dei meridionali.

alessandro74
24-02-20, 03:07
PREMESSA
I gravissimi fatti accaduti in settembre a
New York ci inducono a far mente ai temi
trattati lo scorso anno in occasione di questo
Convegno, a quanto già è stato detto e scritto.
Si era allora cercato di dimostrare, col
conforto di opportuna documentazione, che la
dottrina islamica, per sua intrinseca natura, da
14 secoli spinge i suoi fedeli alla conquista
del mondo..

Da evidenziare anche questo.