Österreicher
11-03-02, 19:01
Caro Benigni, come avevo promesso chiudendo il mio articolo di sabato, le voglio dare atto di aver avuto coraggio. Mi ha anche commosso. Mi ha anche divertito ed esaltato: lei non è soltanto un cittadino della mia stessa patria, ma anche un concittadino di cui vado fiero. E non perché la pensa come me: lei è un uomo che non la pensa come me, ma che non professa la fede dell'odio, e anzi la combatte. Lei ha visto: la sinistra ha abbozzato imbarazzata, su quel che ha detto. Ma il modo più pavido di rispondere al suo coraggio sarebbe quello di tirare per la giacca e dalla propria parte l'artista Benigni, per trascinarlo come una preda. Gli altri fanno cosi': lo hanno fatto con il più vecchio dei giornalisti italiani e lo fanno con i chimici, i teatranti, gli astronomi, i sarti, con chiunque. Questo gioco non ci interessa. Ma c'è qualcosa che invece interessa molto i nostri lettori e interessa me. E un dato di fatto che lei abbia accolto, o sì è comportato come se avesse accolto, il nostro appello contro l'odio. 0 meglio: contro l'uso della comicità e della satira come coperture per gli agenti dell'odio, del razzismo politico, del rancore sprezzante e a senso unico che viene scaricato in questi anni come un magma tossico sui «berlusconiani», cioè su quella trascurabile maggioranza di italiani che dal 1994 si sentono beffati a forza di ribaltoni, di trasformismo emigratorio dentro e fuori del Parlamento.
Lei forse non sa, caro e commovente Benigni, che nelle scuole la gente che osa professare una fede liberale (e sottolineo liberale, non fascista) viene trattata come una sottorazza minore e disprezzabile, dotata anche di caratteristiche fisiche, oltre che morali, disgustose e risibili. La stessa cosa accade nelle redazioni dei giornali, sui posti di lavoro e persino in Parlamento dove la minoranza usa trattare la maggioranza comportandosi come se l'intelligenza, l'onestà, la rettitudine civìle, nonché il senso dell'umorismo, la cultura, la musica, il cinema per non parlare della televisione, appartenessero, e anzi appartengano per un diritto ecclesiastico feudale acquisito alla sinistra e soltanto alla sinistra. Naturalmente, caro Benigni, c'è modo e modo di essere di sinistra. lo e molti come me, essendo prima di tutto dei liberali democratici, desideriamo con passione civile che esista in Italia una sinistra libera e liberale, portatrice di progetti affascinanti e grandiosi, legata ai valori della nostra civiltà occidentale (fra cui il rispetto per le altre civiltà) che proprio lei, Benigni, con travolgente passione mantiene viva con la sua arte.
E qui apro una digressione: io sono di quelli cui il film La vita è bella non è piaciuto. E non mi è piaciuto perché suonava falso alle mie orecchie, come suonava falsa e imbarazzante la striscia Sturrntruppen. Lei ha avuto con quel film un grande successo e me ne compiaccio. Ma la mia ammirazione va piuttosto all'altro Benigni, quello che ride con erotica felicità anche quando canta il Paradiso. Lei ha dedicato a noi italiani sabato sera un discorso alto, con cui solo in parte sono d'accordo, ma che è molto ragionevole. E che merita considerazione proprio perché in queste ore un altro uomo di cinema, Nanni Moretti, sembra impazzito, scatenato sulla devastata politica della sinistra profferendo frasi inconsulte che all'Italia e alla sinistra possono soltanto portare ulteriore degrado, sventura, stupidità e confusione. Inoltre, Benigni, lei ha duramente preso posizione contro l'imbecillismo girotondista ed ha persino osservato che Di Pietro ha scoperto di avere le palle soltanto quando gli ha fatto comodo, emettendo il suo primo «che c'azzecca». Lei non ha niente a che vedere con quella razza dì devastatori anche se molti cattolici l'hanno scambiata per un irriguardoso mangiapreti per aver gridato quel «Wojtylaccio» che aveva le sue radici nei toscanismi, («preparati la bara, Giannettaccio!») e adesso sono disorientati dal suo modo spiazzante di adorare
sia come Maria madre e figlia di suo figlio, sia andando a frugare sotto le vesti delle ragazze che per lei rappresentano l'opera più bella del creato.
E qui torno alla sua orazione di sabato, al suo manifesto artistico e politico. Lei ha detio rispondendomi: no, noi comici non spargiamo odi ma siamo invasati da una forza che non conosce argini e che fa parte di una natura al di fuori e al di là delle leggi e dei regolamenti. Ed è bene che sia cosi, ha detto, perché ciò che i comici portano è il contrario dell'odio, ed è proprio l'amore: i comici sono pazzi come gli innamorati, portatori appunto d'amore. E per dimostrare che quel che pensava era vero, ha tessuto il più straordinario, straziante ed esaltante elogio dell'amore che si sia mai udito in televisione, con le parole, con lamusica, con la sua bellissima canzone, con le lacrime, con il suo viso ossuto e intenso. E lo ha fatto poi chiamando al rispetto. I tre presidenti che ha convocato nella sua orazione, Baldassarre, Ciampi e Berlusconi, sono i tre re magi di una stagione storica che si sta elaborando, e lei sa che è onesto aspettare il tempo della ragione prima di emettere giudizi, cosi' come nel frattempo valgono le regole della satira, dello sberleffo, delle mille riedizioni del giudizio universale, anche se ci è sembrato poco sportivo contrattaccare da un'astronave da venti milioni di spettatori il piccolo vascello di Giuliano Ferrara.
Vorrei solo obiettarle che si, i comici e i satirici pensano talvolta di avere un diritto divino che li pone sopra le regole: è una questione che io vedo arroventarsi fin dai ternpi delle feroci battaglie fra Eugenio Scalfari direttore di Repubblica e Giorgio Forattini, vignettista-fondista di quel giornale che pretendeva di sostenere il proprio pensiero anziché quello del proprio editore. La questione è enorme e io proporrei di ridurla a un solo punto: i comici e i satiri non hanno Iimiti nell'uso della loro «follia» finché non attribuiscono specifici e falsi delitti a coloro che detestano. Se un comico, per far ridere, dice che Benigni è un mascalzone che insidia i bambini, quel comico deve rispondere delle sue azioni. Ma si tratta di dettagli. Quel che importa è che il premio Nobel Benigni (non si preoccupi: glielo attribuisce un apposito comitato) abbia scelto di portare in scena e con tutta la furia della sua arte, l'amore come antidoto all'odio. E che abbia chiesto al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e al presidente della Rai di farei andare a letto sentendoci orgogliosi di essere italiarii, restando l'uomo di sinistra che è.
Avevo preso l'impegno di scrivere, se lo avesse dimostrato, e sono felice di essere qui a pagare il mio debito. Anch'io come milioni di noi di destra e di sinistra, ho pianto con fierezza, con gratitudine e rispetto perché ho sentito il suo rispetto per gli altri, il suo amore per l'amore e il suo odio per l'odio. E questo ci unirà sempre, cosa di cui le sono grato.
da Il Giornale 11 marzo 2002
Lei forse non sa, caro e commovente Benigni, che nelle scuole la gente che osa professare una fede liberale (e sottolineo liberale, non fascista) viene trattata come una sottorazza minore e disprezzabile, dotata anche di caratteristiche fisiche, oltre che morali, disgustose e risibili. La stessa cosa accade nelle redazioni dei giornali, sui posti di lavoro e persino in Parlamento dove la minoranza usa trattare la maggioranza comportandosi come se l'intelligenza, l'onestà, la rettitudine civìle, nonché il senso dell'umorismo, la cultura, la musica, il cinema per non parlare della televisione, appartenessero, e anzi appartengano per un diritto ecclesiastico feudale acquisito alla sinistra e soltanto alla sinistra. Naturalmente, caro Benigni, c'è modo e modo di essere di sinistra. lo e molti come me, essendo prima di tutto dei liberali democratici, desideriamo con passione civile che esista in Italia una sinistra libera e liberale, portatrice di progetti affascinanti e grandiosi, legata ai valori della nostra civiltà occidentale (fra cui il rispetto per le altre civiltà) che proprio lei, Benigni, con travolgente passione mantiene viva con la sua arte.
E qui apro una digressione: io sono di quelli cui il film La vita è bella non è piaciuto. E non mi è piaciuto perché suonava falso alle mie orecchie, come suonava falsa e imbarazzante la striscia Sturrntruppen. Lei ha avuto con quel film un grande successo e me ne compiaccio. Ma la mia ammirazione va piuttosto all'altro Benigni, quello che ride con erotica felicità anche quando canta il Paradiso. Lei ha dedicato a noi italiani sabato sera un discorso alto, con cui solo in parte sono d'accordo, ma che è molto ragionevole. E che merita considerazione proprio perché in queste ore un altro uomo di cinema, Nanni Moretti, sembra impazzito, scatenato sulla devastata politica della sinistra profferendo frasi inconsulte che all'Italia e alla sinistra possono soltanto portare ulteriore degrado, sventura, stupidità e confusione. Inoltre, Benigni, lei ha duramente preso posizione contro l'imbecillismo girotondista ed ha persino osservato che Di Pietro ha scoperto di avere le palle soltanto quando gli ha fatto comodo, emettendo il suo primo «che c'azzecca». Lei non ha niente a che vedere con quella razza dì devastatori anche se molti cattolici l'hanno scambiata per un irriguardoso mangiapreti per aver gridato quel «Wojtylaccio» che aveva le sue radici nei toscanismi, («preparati la bara, Giannettaccio!») e adesso sono disorientati dal suo modo spiazzante di adorare
sia come Maria madre e figlia di suo figlio, sia andando a frugare sotto le vesti delle ragazze che per lei rappresentano l'opera più bella del creato.
E qui torno alla sua orazione di sabato, al suo manifesto artistico e politico. Lei ha detio rispondendomi: no, noi comici non spargiamo odi ma siamo invasati da una forza che non conosce argini e che fa parte di una natura al di fuori e al di là delle leggi e dei regolamenti. Ed è bene che sia cosi, ha detto, perché ciò che i comici portano è il contrario dell'odio, ed è proprio l'amore: i comici sono pazzi come gli innamorati, portatori appunto d'amore. E per dimostrare che quel che pensava era vero, ha tessuto il più straordinario, straziante ed esaltante elogio dell'amore che si sia mai udito in televisione, con le parole, con lamusica, con la sua bellissima canzone, con le lacrime, con il suo viso ossuto e intenso. E lo ha fatto poi chiamando al rispetto. I tre presidenti che ha convocato nella sua orazione, Baldassarre, Ciampi e Berlusconi, sono i tre re magi di una stagione storica che si sta elaborando, e lei sa che è onesto aspettare il tempo della ragione prima di emettere giudizi, cosi' come nel frattempo valgono le regole della satira, dello sberleffo, delle mille riedizioni del giudizio universale, anche se ci è sembrato poco sportivo contrattaccare da un'astronave da venti milioni di spettatori il piccolo vascello di Giuliano Ferrara.
Vorrei solo obiettarle che si, i comici e i satirici pensano talvolta di avere un diritto divino che li pone sopra le regole: è una questione che io vedo arroventarsi fin dai ternpi delle feroci battaglie fra Eugenio Scalfari direttore di Repubblica e Giorgio Forattini, vignettista-fondista di quel giornale che pretendeva di sostenere il proprio pensiero anziché quello del proprio editore. La questione è enorme e io proporrei di ridurla a un solo punto: i comici e i satiri non hanno Iimiti nell'uso della loro «follia» finché non attribuiscono specifici e falsi delitti a coloro che detestano. Se un comico, per far ridere, dice che Benigni è un mascalzone che insidia i bambini, quel comico deve rispondere delle sue azioni. Ma si tratta di dettagli. Quel che importa è che il premio Nobel Benigni (non si preoccupi: glielo attribuisce un apposito comitato) abbia scelto di portare in scena e con tutta la furia della sua arte, l'amore come antidoto all'odio. E che abbia chiesto al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e al presidente della Rai di farei andare a letto sentendoci orgogliosi di essere italiarii, restando l'uomo di sinistra che è.
Avevo preso l'impegno di scrivere, se lo avesse dimostrato, e sono felice di essere qui a pagare il mio debito. Anch'io come milioni di noi di destra e di sinistra, ho pianto con fierezza, con gratitudine e rispetto perché ho sentito il suo rispetto per gli altri, il suo amore per l'amore e il suo odio per l'odio. E questo ci unirà sempre, cosa di cui le sono grato.
da Il Giornale 11 marzo 2002