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Qoelèt
11-03-02, 22:07
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p. Silvano (Livi)
Il mistero dell'icona*





Abbiamo intitolato questo intervento Il mistero dell'icona perché,
normalmente, il pubblico occidentale è abituato a pensare all'icona come a un'opera
d'arte. Se si prende un dizionario, di solito, alla voce "icona" si troverà che è
"l'espressione tipica dell'arte sacra dell'Oriente cristiano". Questa definizione, per quanto
non falsa, è molto parziale ed estremamente limitativa. L'Occidente sta oggi riscoprendo
l'icona come l'approccio ad un tipo di arte che sia veramente sacra, che cioè mantenga il
senso della distanza, il senso della trascendenza, che non sia l'idolo a cui si chiede
perché in ogni caso risponda. Ma anche una tale accezione risulta riduttiva.



1 ) Quando parlo del mistero dell'icona, uso questo termine nel senso in cui la S.
Scrittura e, al suo seguito, la Tradizione della Chiesa lo hanno usato. San Paolo , ad
esempio, usa il termine "mistero" (in greco mystirion, in latino sacramentum) in
riferimento al Matrimonio: "Questo è un grande mistero: lo dico riguardo a Cristo e alla
Chiesa"(Ef.5,32). L'unione terrena di un uomo con la sua sposa è quindi intesa quasi
come un'icona dell'unione celeste, escatologica, mistica del Cristo con la sua Chiesa.
Dunque il termine "mistero" nella sua accezione biblica ( e biblico-patristica, considerato
che i Padri continuarono ad usare questo termine nello stesso senso) prima ancora che
la nozione dell'arcano, del segreto, del non rivelato, sottintende la nozione di
sacramento, di un atto cioè che, pur compiendosi nella dimensione di questo mondo,
riflette una realtà che trascende infinitamente quella di questo mondo, che ha la
capacità, oserei dire l'energia di rendere operante nella realtà di questo mondo la
dimensione trascendente in esso riflessa. E' in questo senso che la Chiesa parla dei
Sacramenti. Nel Battesimo, per esempio, si prende dell'acqua e vi si immerge dentro il
battezzando; eppure questo gesto sensibile compiuto sulla terra opera realmente ciò che
intende simboleggiare a livello della sua operazione liturgica, il fatto cioè che chi è
immerso nell'acqua realmente muore a somiglianza della morte di Cristo e realmente
risorge a somiglianza della Sua risurrezione: "Ignorate voi, che noi tutti che siamo stati
battezzati in Gesù Cristo siamo stati battezzati nella sua morte? Noi dunque siamo stati
sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come Cristo è risuscitato
dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di
vita. Poiché se siamo uniti a Cristo per una morte simile alla sua, saremo anche
partecipi della sua risurrezione..."(Rm.6, 3-5). Allo stesso modo, nell'Eucarestia,
poniamo sulla Sacra Mensa del pane e del vino, mangiamo pane e beviamo vino, ma
l'azione dello Spirito Santo, invocato con l'epiclesi, realizza che chi mangia quel pane e
beve quel vino realmente comunica al corpo e al sangue di Cristo, realmente diviene a
Lui "con-carnale" e "consanguineo". Tutto ciò è valido per ciascuno dei sacramenti.
Quando dunque parlo di "mistero" dell'icona, uso questo termine principalmente in
senso sacramentale. Icona, dunque, come sacramento.

Potremmo però in parte utilizzare il termine "mistero" anche nel senso di
"misterioso" o meglio "misterico"1 , nel senso che i primi cristiani davano soprattutto a
quest'ultimo termine. Al cristiano di oggi, abituato com'è a vedere la religione quasi
come una Religio civilis, a cui ricorrere nelle grandi occasioni e nei momenti salienti
della vita (e della morte), possono suonare strane talune parole del Vangelo. Per
esempio: " Vi dico dunque: non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle
dinanzi ai porci..." (Mt.7, 6). Nella nostra Liturgia, completata la parte "didattica" di
proclamazione e spiegazione delle Scritture, prima che abbia inizio la celebrazione vera
e propria del Mistero Eucaristico, il diacono esclama: "Quanti siete catecumeni, uscite;
voi, catecumeni, uscite. Quanti siete catecumeni, uscite. Nessun catecumeno rimanga.
Quanti siamo fedeli: ancora e ancora in pace preghiamo il Signore". C'è un momento di
frattura: è terminata l'istruzione, quindi chi non è iniziato al Mistero deve uscire, perché
sta scritto: "non date le cose sante ai cani". Nell'antica Liturgia gallicana, la Liturgia in
uso nell'antica Francia, il passo evangelico era addirittura citato espressamente dal
diacono. E' evidente come questo richiamare così fortemente la dimensione misterica
rappresentasse un tentativo di proteggere i misteri della Fede ad una possibile
profanazione da parte di quei tanti che dopo aver posto mano all'aratro, si sarebbero poi
volti indietro (Lc.9, 62). Oggi questa dimensione misterica della fede cristiana, si è quasi
totalmente perduta. Il Cristianesimo è religione universale, aperta a tutti "Andate in tutto
il mondo ed annunziate l'Evangelo ad ogni creatura"(Mr.16, 15); ma se l'annunzio è
rivolto a tutti, di fatto non è per tutti, "poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti"
(Mt.20, 16). Anche in questa accezione, oltre che in quella di sacramento, possiamo
dire che l'icona è un Mistero, poiché essendo sacramento essa deve essere sottratta
dalla possibilità di una profanazione.



2 ) San Giovanni Damasceno rispondeva a chi gli faceva obbiezioni scritturistiche
sulla liceità del culto delle icone, che non siamo più sotto la Legge (ovvero sotto il
Vecchio Testamento), ma sotto la Grazia. La Legge non era che l'ombra della Grazia, e
scrutando le Scritture si sarebbe potuto trovare che le Scritture stesse testimoniano
dell'icona e del suo mistero. Afferma inoltre, citando San Basilio:

Fra i messaggi e le dottrine che sono custoditi dalla Chiesa, alcuni noi li
abbiamo dall'insegnamento scritto, gli altri noi li abbiamo ricevuti
essendoci stati trasmessi nel mistero dalla tradizione degli apostoli, e sia
gli uni che gli altri hanno la medesima importanza per la nostra pietà.
Perciò a questi non si oppone nessuno che abbia esaminato anche per un
poco le leggi della Chiesa: infatti se tentassimo di rifiutare le usanze non
scritte come aventi piccola forza, senza accorgercene noi porteremmo
danno perfino ai punti centrali del Vangelo.2

La Tradizione, dalla quale deriva l'autorità delle stesse Scritture, attesta dunque, "nel
mistero", dell'icona. In un certo senso potremmo anzi dire che l'icona, tramandata nel
mistero, tramanda essa stessa, ed è dunque essa stessa Tradizione, è essa stessa
Rivelazione.

L'icona, come ho già detto, non è un'opera d'arte sacra, o almeno non è
semplicemente questo, ma qualcosa di infinitamente più grande. Basti pensare che la
Chiesa le ha dedicato quasi per intero il settimo Concilio Ecumenico (l'ultimo
riconosciuto come tale sia da Oriente che da Occidente), il secondo Concilio di Nicea,
contenente una definizione dogmatica a proposito del culto delle icone:

E, per riassumere, noi conserviamo integralmente tutte le tradizioni
ecclesiastiche, sia quelle che ci sono state tramandate per iscritto che
quelle tramandateci senza scritto; una di queste è anche la pittura delle
icone, che è in accordo con la predicazione evangelica e giova senz'altro
a confermare che non secondo fantasia ma in realtà il Verbo di Dio ha
assunto la nostra natura umana (...).
...noi definiamo con ogni certezza e diligenza che così come le figura
della preziosa e vivificante croce, così devono essere esposte le
venerande e sante icone, che siano esse fatte con colori o tessere di
mosaico o altro materiale adatto, e debbono essere esposte nelle sante
Chiese di Dio, nei sacri vasi, nelle vesti e sulle tavole, nelle case e nelle
vie, sia che raffigurino il Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o
l'immacolata Sovrana nostra la santa Deipara, gli angeli degni di onore, o
tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più essi vengono contemplati nelle
icone, tanto più coloro che li vedono sono portati al ricordi di coloro che
vi sono raffigurati, e a tributare loro rispetto e venerazione.3

A sanzionare ancora maggiormente questa definizione dogmatica, il Concilio scagliò
anche alcuni anatemi.

Se qualcuno non confessa Cristo Dio nostro come circoscritto secondo
l'umanità, sia anatema.
Se qualcuno non ammette che le storie evangeliche possano essere
espresse attraverso le immagini, sia anatema.
Se qualcuno non le venera, quando siano fatte nel nome del Signore e dei
suoi santi, sia anatema.
Se qualcuno rigetta la tradizione della Chiesa, sia scritta sia non scritta,
sia anatema.4

L'icona è dunque, come ogni atto sacramentale della Chiesa, come il fine stesso
dell'economia salvifica in cui questa dimensione sacramentale della Chiesa si inserisce,
strumento finalizzato alla deificazione dell'uomo per la condiscendenza della
umanizzazione di Dio. L'icona può rappresentare il Dio umanato oppure l'uomo
deificato, il santo. Ecco allora che il problema dell'icona è un problema cristologico, un
problema misterico, un problema soteriologico.



3 ) Concludendo, assistiamo oggi ad una moda dell'icona che dell'icona svilisce
il significato più profondo. L'icona serve infatti a pregare. E' facile, facilissimo anzi,
vedere oggi in commercio delle icone: sono quasi diventate un bene di consumo. Molto
difficile invece è vedere qualche occidentale non ortodosso pregare dinanzi ad un'icona,
baciarla, oppure offrirle lumi o incenso. Ciò significa che, nel dargli in mano un'icona,
non si è rispettato il precetto evangelico di "non dare le cose sante ai cani". E allora chi
in Occidente testimonia la tradizione ortodossa deve sempre chiedersi fino a che punto
questa testimonianza debba essere portata avanti, agendo nella necessità di testimoniare
una Tradizione che per mille anni è stata di tutta la Chiesa a uomini che questa
tradizione hanno perduto. Sarebbe allora utile riflettere maggiormente sulla dimensione
misterica, sacramentale dell'icona, rendersi conto di come non sia possibile (e,
soprattutto, di come non sia giusto) trattarne alla stregua di opere d'arte oppure oggetti
di devozione. L'icona non è infatti nè un'opera d'arte, nè tantomeno un oggetto di
devozione: l'icona è uno strumento di culto, e, come tale andrebbe tutelata da
fraintendimenti riduttivi che non sono, in fondo, se non profanazioni.