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Visualizza Versione Completa : Facciamo un pò di chiarezza sulle stragi dei fratelli ortodossi da partediAntePavelic



Qoelèt
12-03-02, 00:38
Vorrei fare un pò di chiarezza,di stupidaggini ne ho viste fin troppe su questi forum,sulle stragi degli ortodossi serbi da parte di Ante Pavelic.Non esiste maggiore testimonianza del totale amore di Dio
in Cristo per il potere del Santo Spirito, che l'amore puro e
incondizionato che un cristiano ha per il suo prossimo e
per tutta la creazione di Dio. L'amore di Dio attraverso un
fratello si esprime più pienamente nel servizio umile e
sincero agli altri, e specialmente nell'arte di sacrificarsi per
il prossimo. Deporre la propria vita per l'aiuto e la
promozione di un'altra persona è la vetta di ciò che
significa seguire Gesù Cristo, essere un figlio della luce e
un amico degli uomini. La testimonianza cristiana di
deporre la propria vita - martirio, dalla parola greca
"martyria" che letteralmente significa "testimonianza" - è
ciò che il nostro Salvatore ha compiuto per la vita del
mondo (Gv 6, 51), poiché Gesù Cristo non era un mero
mortale, e la sua morte sulla Croce è stata più grande di
qualsiasi altra morte sacrificale nella storia del mondo.
Gesù era il Dio-uomo, veramente Dio in forma umana, e
perciò il suo sacrificio sulla Croce esibì e dimostrò l'amore
sovrabbondante di Dio stesso per la propria creazione. Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia
la vita eterna. (Gv 3, 16) Nello stesso modo, come ogni
cristiano ortodosso crede, sono gli emulatori di questo
sacrificio di Gesù - i gloriosi martiri - che sono stati sempre
considerati i protettori della Fede, poiché in tutti i secoli
hanno custodito la nostra Fede integra e pura da ogni
contaminazione del diavolo. E ogni Chiesa ortodossa locale
che ha nella sua storia resoconti di martirio può
giustamente essere considerata benedetta da Dio e anche
giustificata ai suoi occhi.

Riguardo a questa prova e testimonianza della Fede
sacrificale di Cristo il Signore, la Chiesa Ortodossa Serba
rimane agli occhi del Signore e dell'intero mondo cristiano
la più preziosa e bella! Fin da quando il cristianesimo fu
introdotto nei Balcani tra i serbi, la persecuzione e la
resistenza al potere di Cristo hanno sempre alzato le loro
orride teste. È sufficiente uno sguardo alle vite dei Santi
serbi per rendersene conto. I nemici dei pii ortodossi serbi
li hanno perseguitati senza sosta in tutti i secoli. Hanno
attaccato i loro patriarchi, vescovi, preti, monaci e pii fedeli,
massacrandoli, impiccandoli e impalandoli, e allo stesso
tempo saccheggiando e devastando molte chiese, scuole e
monasteri ortodossi serbi. Alla fine del sedicesimo secolo, i
turchi impiccarono il patriarca dei serbi Jovan (Kantul),
poiché questi sosteneva un movimento di liberazione
nazionale; il Vescovo Teodoro di Vrshac fu scorticato vivo
nel 1595 per la stessa ragione. Durante i giorni oscuri di
Sinan Pasha, i turchi bruciarono le sante reliquie di San
Sava I sulla collina di Vrachar, un orrendo crimine religioso
e politico commesso contro l'intero popolo ortodosso serbo.
Nella seconda metà del diciassettesimo secolo il Patriarca
Gabriele fu strangolato a morte dai turchi per avere
stabilito legami con la Chiesa ortodossa di Russia. All'inizio
del diciottesimo secolo la Chiesa Ortodossa Serba della
Dalmazia, che a quel tempo era sotto il dominio della
Repubblica di Venezia, soffrì amare persecuzioni per la
propria fede ortodossa, che sosteneva il loro desiderio di
diritti nazionali. Due figure di spicco - l'Abate Isaia del
monastero di Dragovic e Padre Peter Jagodic-Kuridza del
villaggio di Biovice (Dalmazia) - furono imprigionati e
torturati per oltre quarant'anni. Nessuno dei due, tuttavia,
volle abbandonare la Fede ortodossa né la fedeltà nazionale
al Regno ortodosso di Serbia.

Tribolazioni simili ebbero luogo durante l'eroico sforzo di
liberazione nazionale dei serbi all'inizio del diciannovesimo
secolo. Centinaia di nobili membri del clero ortodosso
furono impalati nei campi di Kalemegdan a Belgrado, o
furono uccisi direttamente nei campi di prigionia.
Attraverso tutte queste prove il costante grido che univa e
confortava i serbi era il grido di raccolta del Kosovo, "Per la
Croce preziosa e la libertà dorata," un richiamo cristiano
basato sulla lotta trionfante di Gesù Cristo sulla Croce. Per
i serbi, in questo periodo, morire per Cristo e per la Fede
ortodossa era un onore, un santo privilegio che ai loro
occhi sarebbe stato ricompensato con la vita eterna e
beata. Come credono tutti i pii cristiani ortodossi, infatti, la
Croce fu il primo passo della vittoria finale del Signore sul
diavolo e sul suo potere; e la Risurrezione del Signore, il
culmine della sua vittoria, concede la vera libertà a tutti
quanti perseverano. Per questo i cristiani serbi furono felici
di "deporre le proprie vite" per Cristo a favore delle proprie
famiglie, degli amici e della nazione.

Durante il primo quarto del ventesimo secolo, soprattutto
durante gli anni 1913, 1914 e 1915, ripresero i terribili
assalti del maligno contro la Chiesa serba. Questi anni
sono stati annoverati come i primi anni del martirio della
Chiesa serba nei tempi moderni. Assediata dai tedeschi,
dagli ungheresi, dai bulgari e dagli albanesi, la Chiesa
serba ha sofferto amaramente in questo periodo. Per
esempio, il Metropolita Vincenzo di Skopje (Macedonia) fu
bruciato vivo nella gola di Surdulica assieme a 157 preti
serbi. In seguito, negli anni trenta, i serbi soffrirono
tremendamente sotto l'infame concordato, che cercava di
limitare i loro diritti religiosi e civili. (2)

Ma di tutte le persecuzioni della nazione ortodossa serba,
nessuna fu più straziante e terribile di quelle che
iniziarono nel 1941. I serbi e la Chiesa serba furono forzati
a subire alcune delle peggiori atrocità che il mondo abbia
mai conosciuto. Si è detto che questi cristiani furono
torturati ancor peggio degli ebrei da parte degli egiziani,
come è narrato nel Libro dell'Esodo; peggio delle barbare
annichilazioni dell'antica Cartagine e dello sterminio dei
cristiani in Nubia e nel Nord Africa, e anche peggio delle
vittime dell'Olocausto nella Germania nazista durante la
seconda guerra mondiale. In totale, oltre 800.000 serbi
furono macellati e uccisi dal regime di Ante Pavelic nello
"Stato libero di Croazia" nel corso della seconda guerra
mondiale. Inoltre, molte migliaia di serbi furono forzati a
convertirsi al cattolicesimo romano sotto minaccia di morte
(a molti fu semplicemente chiesto di farsi il segno della
Croce, e se lo facevano nel modo ortodosso, da destra a
sinistra, venivano torturati all'istante). Inoltre, vi furono
oltre 300.000 civili uccisi da tedeschi, bulgari, ungheresi e
albanesi: molti di loro furono mandati in campi di
concentramento a morire di fame. Alla fine, il bilancio dei
martiri serbi fu di oltre un milione e mezzo, o più di un
terzo dell'intero popolo serbo, nell'arco di trent'anni
(1914-1944, dalla prima alla seconda guerra mondiale).

Dobbiamo fornire gli orribili dettagli di queste atrocità? I
ventri di donne gravide furono squarciati; furono arrostiti
uomini su graticole da animali (vi furono casi in cui alcuni
furono forzati a mangiare le membra arrostite dei propri
familiari). Furono compiuti maligni esperimenti medici. Vi
furono persone impalate, segate in due, occhi cavati dalle
orbite. I cuori di vittime innocenti furono strappati e
mangiati dai loro avversari. Morti lente e agonizzanti
potevano durare per settimane intere. Ogni tipo di tortura
che il diavolo poteva instillare nei confronti di altri esseri
umani si manifestò in pieno in quegli anni di tribolazione.

Durante queste persecuzioni i capi della Chiesa Ortodossa
Serba furono i primi a soffrire e a offrire la vira per il loro
popolo. Il Vescovo Platone di Banja Luka (Bosnia) fu ucciso
in un modo incredibilmente bestiale: fu portato dagli
Ustascia (3) assieme a un prete arrestato in precedenza,
Padre Dusan Jovanovic, al villaggio di Vrbanja, dove le loro
barbe furono rase con un coltello smussato, i loro occhi
cavati, i loro nasi e orecchie tagliati, e un fuoco fu acceso
sul loro petto. I loro corpi, assieme a quelli di diversi altri
martiri del clero, furono gettati nel fiume Vrbanja.

L'Arcivescovo Pietro (Zimonic) di Sarajevo (Bosnia) fu
avvisato dagli Ustascia del pericolo in cui si trovava, ma
replicò: "Sono il pastore del popolo, ed è mio dovere stare
con la mia gente nella buona e nella cattiva sorte". Fu
arrestato e imprigionato dagli Ustascia il 12 maggio 1941,
ma prima fu in grado di trasmettere un messaggio ai suoi
preti: "Restate nelle vostre parrocchie, e tutto quanto
accade al popolo, sia pure il vostro destino". Fu torturato e
umiliato in ogni modo concepibile, e quindi gettato in un
pozzo a morire assieme a 55 preti ortodossi.

L'Arcivescovo Dositeo di Zagabria (Croazia) fu arrestato il 2
maggio 1941, imprigionato, picchiato e brutalmente
tormentato in una prigione della polizia degli Ustascia, con
religiosi cattolici romani che prendevano parte a tale
oltraggio. Il risultato di queste torture fu visto da Arnold
Robert, il console belga, che disse: "Per Dio, questa gente
ha commesso azioni da selvaggi!" Anche il capo della polizia
degli Ustascia commentò: "Il Metropolita fu torturato così
atrocemente che fu a malapena possibile metterlo sul treno
per Belgrado". Egli morì a Belgrado il 14 gennaio 1945.

Il Vescovo Sava (Trlaic) di Plaski (Lika) fu imprigionato il 13
giugno 1941 e torturato al di là della sopportazione in una
stalla assieme a diversi preti. Durante le sevizie veniva
suonata una registrazione di "Quanti in Cristo siete stati
battezzati, di Cristo vi siete rivestiti". Al vescovo
confessore, con mani e piedi in catene, fu permesso di
prendere congedo dalla madre di 83 anni. Alla metà di
agosto dello stesso anno egli fu condotto al monte Velebit e
gettato in un burrone assieme a numerosi altri serbi.

Anche il Vescovo Irenei di Dalmazia fu imprigionato e in
seguito trasferito in Italia in un campo di concentramento
presso Trieste. San Nicola (Velimirovic) ebbe a soffrire nel
peggior campo di concentramento della Gestapo, Dachau.

Il caso del Patriarca Gabriele (in carica dal 1937 al 1950) va
menzionato. Egli era disprezzato dai nemici della Chiesa
serba non solo per il suo rango di guida, ma per le sue
proteste contro questo trattamento disumano del suo
popolo e gregge. Dopo che Belgrado fu bombardata
nell'aprile 1941, il Patriarca Gabriele fuggì al Monastero di
Ostrog in Montenegro, dove fu raggiunto dal Re Pietro
Karageorgevic di Yugoslavia. Quanto il governo reale decise
di lasciare la Yugoslavia assieme al re, al Patriarca Gabriele
fu chiesto di fuggire, ma egli si rifiutò di andarsene,
preferendo condividere le sofferenze del suo gregge
spirituale. Il 9 maggio 1941 i nazisti arrestarono Gabriele e
i preti assieme a lui a Ostrog, accusando il Patriarca di
furto di proprietà governative appena rivendicate. (Essere
arrestato non era cosa nuova per il pio Gabriele, che era
stato arrestato nel 1915 al Monastero di Pec dagli
austro-ungarici.

Da Ostrog il sessantatreenne patriarca, per decreto dei
nazisti, fu obbligato a viaggiare a piedi fino a Belgrado,
circa a un mese di viaggio da Ostrog. Con orrore di tutti, gli
furono tolti senza rispetto gli abiti monastici, e fu costretto
a fare l'intero viaggio in biancheria intima. Questo piano
umiliante dei nazisti fallì, poiché dovunque passava il
patriarca, i cristiani serbi piangevano e si inginocchiavano
pregando Iddio onnipotente di alleviargli le sofferenze. La
testimonianza di fede cristiana del Patriarca Gabriele fu
un'enorme fonte di forza e di conforto per i pii cristiani
serbi di quel tempo. Come mite agnello di Dio, emulava il
nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che fu deriso e
umiliato, e si avvalse solo di coraggio divino, verità e
mitezza per perseverare e trionfare alla fine. Il Patriarca
Gabriele fu quindi imprigionato nel campo di
concentramento di Dachau in Germania (assieme a San
Nicola), e rientrò poi sul trono patriarcale dopo la guerra.
Fu uno dei più grandi confessori della Fede ortodossa che
il popolo serbo abbia mai avuto.

Molti membri del clero e monaci furono trucidati proprio al
di fuori delle mura delle loro chiese e monasteri, nelle più
grandi città quali Krushevac, Kragujevac, Mostar e Novi
Sad.

Qui non vi sono che pochi tra i ben noti esempi di tormenti
ai quali è stata sottoposta la Serbia:

Glina - Oltre 120.000 persone furono massacrate dagli
Ustascia, in gruppi fino a seicento per ogni sera, uccisi
nelle chiese ortodosse locali. I pochi che sopravvissero
fuggirono nell'area di Petrova Gora.

Vrgin Most - Il 3 agosto 1941 3.000 serbi furono massacrati
per essersi rifiutati di convertirsi al Cattolicesimo romano.

Vojnic - Il 29 luglio 1941 il capo della polizia degli Ustascia
a Zagabria, Bozidar Gervoski, arrivò con un certo numero
di poliziotti. Dopo avere rastrellato circa 3.000 cristiani
serbi da Krjak, Krstinje, Siroka Reka, Slunj, Rakovica e da
altri villaggi, e dopo averli irrisi e torturati, li portarono al
mulino del villaggio di Pavkovic, dove li macellarono come
bestiame.

Kordun, Slunj, Ogulin, Vrbovsko - La lunga lista di sacrifici
cruenti ebbe inizio con il prete martire P. Branko
Dobrosavljevic di Veljun. A Padre Branko fu ordinato di
leggere il canone di preghiera della dipartita dell'anima sul
corpo del figlio, ancora vivo. Il figlio fu quindi ucciso in sua
presenza, ed egli stesso torturato e ucciso. Seguirono per
diverse settimane esecuzioni di massa di serbi innocenti,
inclusi donne e bambini.

Churug, Novi Sad - Alla festa ortodossa della Natività di
Cristo del 1942 circa 1.200 serbi, con i loro parroci, furono
crudelmente assassinati a Churug. Alla fine dello stesso
mese altri 1.300 serbi, clero incluso, subirono la stessa
fine a Novi Sad.

Sadilovac - Il 31 Luglio 1942 la Chiesa della Natività della
Deipara fu bruciata fino alle fondamenta, assieme a 463
persone, di età che andava da bambini appena nati ad
anziani uomini e donne.

Monastero di Zhitomislic - il 26 giugno 1941 gli Ustascia
croati torturarono e assassinarono tutta la fraternità del
monastero, gettando i loro corpi in un pozzo. Un frate
cattolico romano rimosse con un trattore tutti gli oggetti di
valore della chiesa, che fu in seguito demolita, e gli altri
edifici del monastero bruciati.

Jasenovac - Questo fu uno dei più orribili siti di
persecuzione contro i serbi ortodossi. Gli Ustascia, inclusi
quelli croati e i musulmani dall'Erzegovina, vi
assassinavano brutalmente i serbi con fucili, pistole, asce e
martelli. Per risparmiare le munizioni, molti serbi venivano
portati alla fabbrica di mattoni a Jasenovac e spinti nelle
fornaci ardenti. Posti in fila, l'ultima persona veniva spinta
con forza sufficiente a gettare nei forni i propri compagni di
martirio. Altri venivano macellati lungo il fiume Sava e
gettati nell'acqua. Il sanguinario capo degli Ustascia Ljubo
Milosh si vantò di avere ucciso oltre tremila serbi, ogni
volta facendo scherzi e gridando: "Quant'è dolce il sangue
serbo!" Un serbo ortodosso, Joca Divjak, fu dato a Milosh
come regalo di Natale. Il cuore del martire Joca fu
strappato dal suo torace mentre agli altri serbi fu imposto
di guardare e ridere. Chiunque distoglieva la testa da
questa scena abominevole veniva ucciso sul colpo. In tutto,
oltre cinquantamila pii cristiani ortodossi furono
martirizzati in questo campo dall'agosto del 1941 al
febbraio del 1942, un periodo di sette mesi.

Ci sono molte altre liste di atti selvaggi che potrebbero
essere raccontati: il resoconto è davvero sconvolgente!
Questi fatti rivelano che la Chiesa Ortodossa Serba è
davvero una Chiesa martire (4). La sua storia recente
dimostra un coraggio e una dedizione alla Croce e alla
Risurrezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo,
che concede alla Chiesa serba un posto retto e onorevole
non solo nella storia cristiana ma, cosa più importante, agli
occhi dello stesso onnipotente Iddio. In così tanti -
letteralmente un milione e mezzo di vittime innocenti -
hanno mantenuto il principio di "deporre le proprie vite"
per la causa di Cristo e della sua Santa Chiesa. Il loro
sacrificio gli uni per gli altri è un'eterna testimonianza e un
ricordo, che dovrebbe e deve ispirare tutti i cristiani
ortodossi fino alla Secondo Avvento del nostro Signore
Gesù Cristo.

Colombo da Priverno
12-03-02, 00:44
Vorrei ricordare che la gerarchia cattolica croata guidata da Stepinac si trovò di fronte ad un grave dilemma: da una parte la legge canonica che prevede il passaggio di un'ortodosso al cattolicesimo solo se compiuto in piena consapevolezza e libertà, dall'altra parte il pericolo di vita per migliaia di serbi, i quali invocavano l'accoglienza nella Chiesa cattolica pur di salvarsi dall'eccidio per mano degli ustascia. Stepinac si rivolse a Roma e fu deciso di accogliere gli ortodossi serbi allo scopo di salvare la loro vita, lasciando però loro la libertà di rientrare nell'ortodossia quando la costrizione fosse cessata. Grazie a questa politica furono salvate migliaia di vite umane.