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Visualizza Versione Completa : Dal Congo: "trattateci almeno come i nostri minerali"!



Attenzioneimbelli
13-03-02, 17:11
"Trattateci almeno come i nostri minerali..."
Sì, è troppo ricca e grande la Repubblica Democratica del Congo per non attirare gli appetiti di mezzo mondo e non rendere tormentata la sua storia.
Il Belgio aveva programmato di arrivare all'indipendenza completa della sua colonia nel 1994... Invece tutto è avvenuto velocemente alla tavola rotonda di Bruxelles il 30 giugno 1960: un cambiamento traumatico perché tutti i quadri dello Stato (allora Congo belga) erano diretti dai bianchi e perché lì, da subito si è giocata la partita est-ovest. Nell'esercito del nuovo Stato indipendente (sul quale la CIA esercita una non troppo sottile supervisione) si afferma il sergente Mobutu Sese Seko, vero camaleonte nel cambiare le alleanze con gli stati e con le persone. Il suo primo atto, su pressione occidentale, è l'eliminazione fisica del primo ministro Lumumba (gennaio '61), un intellettuale preparato, amato dalla gente, ma di indirizzo socialista, di impostazione e formazione marxista (aveva studiato in Unione Sovietica). Lumumba (oggi, dopo quarant'anni, si è fatta luce sulla vicenda) è stato segato a pezzi e poi sciolto nell'acido per togliere ogni reliquia al mito.
Mobutu organizza il suo potere attorno allo Stato-partito (MPR, Movimento Popolare Rivoluzionario), gestendo personalmente l'economia, la giustizia e l'esercito, con un controllo ferreo sull'informazione e con la repressione di tutte le ribellioni indipendentiste o secessioniste (nel '64 secessione Mulelista nel Katanga e ribellione "Kanyarwanda" nel nord del Kivu; nel '67 ribellione dei mercenari del generale Skram; nel '77 e '78 rivolta dei Baluba nello Shaba; nel '93 la guerra provocata contro la popolazione hutu del Masisi nel nord Kivu).
Sul piano internazionale Mobutu flirta a tutto campo con i cinesi, i russi, i cubani, ma mantiene rapporti stabili anche con statunitensi, belgi e dal 1980 con i francesi. In tutte le sue repressioni troverà sempre il sostegno decisivo degli istruttori militari o dei parà di questi paesi. Nel '90, di fronte all'insofferenza della popolazione (rivolta degli studenti universitari a Lubumbashi domata nel sangue con l'aiuto di parà belgi e francesi) e alle pressioni esterne per la democratizzazione, dichiara di voler aprire al pluripartitismo e alle riforme. Nel settembre '92 con l'apertura della Conferenza Nazionale, in cui sono presenti rappresentanti dei vari poteri e della società civile, ha inizio un processo politico caratterizzato dalla volontà popolare di un grande cambiamento. Vengono rimessi in discussione il partito unico, la gestione centralizzata, il controllo del potere da parte di un' oligarchia. La Conferenza Nazionale Sovrana elabora un nuovo progetto di società basato sui valori di democrazia, tolleranza, libertà di espressione, partecipazione alla gestione del potere decentrato, in una più ampia prospettiva federalista.
Ma nel '93 Mobutu reprime nel sangue e blocca la Conferenza; distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica provocando la guerra del Masisi e polverizza i partiti politici comprandoli.
E' in questo contesto che nella parte orientale del Congo, nel Kivu, scenario di quasi tutte le crisi interne dello Zaire (dal 1971 il Congo belga prende questo nome), si abbattono nel '93-'94 le varie ondate di rifugiati, prima dal Burundi (verso la piana di Uvira) e poi dal Rwanda.
In Burundi, dopo l'uccisione di Ndadaye, il presidente appartenente alla maggioranza hutu, eletto con regolari elezioni, si scatena una guerra civile senza precedenti. La stessa cosa avviene in Rwanda a partire dagli anni '90 con la guerriglia condotta dall'FPR (Fronte Popolare Rwandese) costituito dal gruppo armato dei Tutsi in esilio in Uganda, che il 6 aprile 1994 porta all'abbattimento dell'aereo del presidente hutu del Rwanda, Habyarimana. Da quel momento le milizie hutu iniziano la caccia all'uomo nei confronti dei Tutsi e degli stessi Hutu moderati con un grande numero di vittime, quello che anche oggi viene chiamato il genocidio. L'FPR dei Tutsi scende con il suo esercito verso Kigali. Un'avanzata rapida, fino alle porte della capitale. Qui il conflitto diventa aspro. Si combatte per un mese. Poi l'esercito governativo di allora, le FAR (Forze Armate Rwandesi), cede improvvisamente. E' la disfatta, con una ritirata rovinosa, nella quale i soldati e i miliziani Hutu si trascinano dietro oltre un milione e mezzo di persone che si riversano oltre la frontiera, in Zaire, nelle zone di Goma e Bukavu. I campi profughi di Mugunga, di Kibumba, Katale, sono tristemente noti. Altri profughi hutu si riversano ai confini della Tanzania.
Mescolati alla massa dei profughi, ex militari e miliziani hutu rwandesi hanno il tempo di riorganizzare l'opposizione al nuovo regime tutsi di Kigali. La povera gente diventa ancora una volta massa di manovra fra i gruppi estremisti opposti.
E' in questo quadro complesso e fosco che hanno inizio prima scontri isolati, poi episodi di guerriglia e l'occupazione dei territori del sud e nord Kivu, da parte dei cosiddetti ribelli Tutsi Banyamulenge insieme a Laurent Kabila, ribelle di professione dai tempi di Lumumba. Nel 1973 i Banyarwanda dell'altopiano di Uvira avevano cambiato il nome in Banyamulenge per togliere ai capi delle altre etnie il motivo di considerarli stranieri. L'espressione significa "Quelli di Mulenge", località dell'altopiano. Resta un gruppo minoritario nel sud Kivu, rispetto ai Bashi e ai Warega. Il torto grave del regime di Mobutu è quello di avere tolto (1981) il diritto di cittadinanza alla popolazione Banyamulenge, come ai Banyarwanda del nord Kivu, aprendo la porta a soprusi e tensioni, creando il grave problema di cittadini senza patria.
E' opportuno ricordare i gruppi etnici e le tribù che abitano nel nord e sud Kivu, senza contare i rifugiati del '94. La regione del nord Kivu conta più di tre milioni di abitanti così ripartiti: 42% Nande, 42% Hutu, 5% Tutsi, 4% Nyianga, 3% Hunde, 2% Tembo, 2% altre tribù. La regione del sud Kivu conta tre milioni di abitanti: i Bashi, il gruppo più numeroso, i Warega (presenti anche nel Maniema) ed i gruppi minoritari dei Bafulero, Bavira, Wabembe, Tembo e dei Banyamulenge in maggioranza mandriani degli altopiani a nord di Uvira.
In questo quadro, iniziano le due guerre del '96 e del '98 con un numero impressionante di morti (più di 2,500.000 secondo il più recente studio indipendente) e un numero ancor più alto di sfollati. Partendo dal sud Kivu, Kabila avanza velocemente con i Banyamulenge, anche perché può disporre di alta tecnologia per le comunicazioni messa a disposizione dagli USA. I soldati di Mobutu, mal pagati da sempre, non oppongono praticamente nessuna resistenza; e, lungi dal difendere la popolazione, sono soltanto i predatori del momento. Questo non spiega la loro fuga, come resta oscuro il motivo del non intervento da parte della DSP, la divisione speciale della guardia presidenziale, ben pagata e armata.
La popolazione subisce tre saccheggi: il primo dei profughi hutu in fuga, cacciati nella foresta e lì dimenticati da tutti (si parla di oltre seicentomila scomparsi nel nulla), il secondo dall'esercito congolese in ritirata, il terzo dall'esercito di Kabila.
La gioia per la liberazione dal regime di Mobutu nel '97 si trasforma velocemente in una grande delusione per tutto il Paese, che da Zaire diventa Repubblica Democratica del Congo. Kabila si autoproclama presidente, instaura un controllo poliziesco, togliendo quelle libertà riguadagnate negli ultimi dieci anni di Mobutu; reintroduce la pena di morte e scontenta tutti sul piano delle alleanze interne e internazionali. Si rivolge a Cuba, Cina e Libia, chiudendo con gli USA e con i rwandesi che lo avevano portato a Kinshasa. Perde così ogni appoggio all'estero e questo pone le premesse per un altro tentativo di invasione militare da parte dell'esercito rwandese, cosa che avviene puntualmente nel '98. Kabila si salva grazie all'aiuto interessato di Angola, Zimbabwe e Namibia e grazie al forte senso di identità nazionale dei congolesi. Ma la Repubblica Democratica del Congo è allo sfascio: lo stato non esiste più, non c'è comunicazione tra una parte e l'altra del Paese; non ci sono materialmente le strade, né le poste, né i telefoni ...
Domenica 2 agosto, con il supporto dell'esercito viene occupata Bukavu e dichiarata la secessione del Kivu. Per governare le amministrazioni locali, si forma il Rassemblement Congolais pour la Démocratie (RCD), una coalizione di congolesi contrari a Kabila e, nei fatti, filorwandesi e filougandesi. Con il sostegno degli alleati stranieri, l'RCD - o, più semplicemente, la Ribellione - occupa tutte le posizioni di governo locale con suoi uomini. Ogni forma di dissenso viene repressa, anche con l'aiuto dei militari, rispettivamente del Rwanda nel centro-sud e dell'Uganda nel nord-della parte orientale del Paese, sebbene questi ultimi sostengano di combattere solo per proteggere la popolazione dalle formazioni di guerriglia dei Mayi Mayi (gruppi di partigiani nazionalisti congolesi) e dalle milizie Hutu responsabili dei massacri in Rwanda nel 1994. La popolazione però vive la situazione come un'occupazione militare, amministrativa ed economica della parte orientale del paese, in particolare delle zone ricche di risorse naturali, in previsione forse di una spartizione del Congo.
Le alleanze internazionali delle varie fazioni che si combattono in Repubblica Democratica del Congo nella guerra che ha inizio il 2 agosto 1998 sono così numerose, complesse (e anche mutevoli), da far dire agli stessi rappresentanti diplomatici che ci troviamo di fronte alla "Prima Guerra Mondiale dell'Africa" (Madeleine Albright).
Nell'estate del '99 si arriva al trattato di Lusaka che prevede il cessate il fuoco, una presenza ONU, il ritiro delle truppe straniere, la libertà di movimento e il Dialogo Intercongolese. Ma rimane lettera morta, non gradito a Kabila e meno ancora al Rwanda e all'Uganda; l'Onu e la Comunità internazionale non vogliono entrare in una realtà così grande e complessa e quindi costosa.
E la guerra intanto continua perché, se verrà a mancare la guerra, nessuno dei contendenti potrà coltivare i propri interessi (e sono enormi) né potrà mantenere il potere. Per questo la situazione continua a peggiorare e diventa sempre più drammatica per la popolazione stretta tra guerra e fame: le prospettive sono così cupe che qualcuno ha anche detto che coloro che stanno peggio non sono i milioni di morti per cause connesse alla guerra, ma i cinquanta milioni di civili abbandonati da tutti. (P. Ballero, ambasciatore italiano a Kinshasa, 2000). Nonostante questo, è veramente straordinario lo sforzo della società civile organizzata per far fronte alle necessità della popolazione, in sostituzione dello stato assente, e per resistere con la nonviolenza alla guerra.
Nei mesi dopo la firma dell'accordo di Lusaka, con il paese effettivamente diviso in due tra la parte sotto controllo del governo di Kinshasa e dei suoi alleati internazionali a ovest, e la parte orientale sotto controllo della Ribellione, si consumano nuove rotture e si formano nuove alleanze. La Ribellione si divide fra filorwandesi e filougandesi con combattimenti a Kisangani che coinvolgono la popolazione civile: cittadini vittime di una guerra combattuta su territorio congolese da militari di eserciti stranieri. Dopo la terza guerra (la guerra detta dei sei giorni, 5-10 giugno 2000) in cui cadono più di 6600 bombe e obici sulla città, le forze ugandesi non si trovano più a Kisangani e la città martire diventa il simbolo delle sofferenze causate dalla guerra in Congo. Infatti, sul suo territorio a partire dal 1996, si sono combattuti prima Kabila insieme ai rwandesi alleati contro l'esercito di Mobutu in ritirata; poi, filorwandesi e filougandesi alleati che hanno sconfitto le truppe governative di Kabila; e infine rwandesi contro ugandesi, con la sconfitta di questi ultimi.
A Laurent Desireé Kabila, assassinato nel gennaio 2001, succede il figlio Joseph, che riapre la strada al Dialogo Intercongolese e quindi all'applicazione dell'Accordo di Lusaka. Intanto, l'ONU ha nominato una commissione di esperti per far luce sullo sfruttamento illegale delle risorse naturali del paese: i primi due rapporti di questa commissione sottolineano il collegamento tra lo sfruttamento delle risorse e la continuazione della guerra. E cominciano ad arrivare i primi osservatori della MONUC (Missione ONU in Congo) e i militari che li accompagnano.
La storia continua. Le alleanze si rinnovano e il cessate il fuoco sancito a Lusaka viene costantemente infranto. La popolazione è vittima dei combattimenti tra le varie fazioni armate, ma ancora di più delle ruberie, dei saccheggi, degli omicidi compiuti da chiunque sia in possesso di un'arma in una realtà dove non esistono più né leggi né diritti. Di fatto il Congo, dopo l'assassinio di Lumumba, non ha mai goduto di uno Stato di diritto. E questo anche per le responsabilità dei paesi occidentali "interessati". I vari signori della guerra continuano a contendersi i territori per lo sfruttamento delle risorse in un gioco di alleanze mutevoli per rimanere a galla politicamente e rimanere attori sulla scienza internazionale. La popolazione subisce la disgregazione causata da questa situazione di guerra endemica e continua a invocare la pace attraverso la realizzazione concreta del dialogo intercongolese che, ha già visto nell'agosto 2001 un momento di partenza, ma che poi è stato interrotto ad Addis Abeba per la mancanza di rappresentatività e per la mancanza di mezzi. Dovrebbe ripartire a fine febbraio 2002 a Sun City (Sud Africa) e per questo c'è bisogno di uno sforzo congiunto di società civile e della Comunità internazionale.



Qualche mese fa ci è giunta una lucidissima analisi con previsioni da chi vive quotidianamente dentro alle condizioni della situazione, a fianco della popolazione:

"La nostra è la voce di circa duecentomila persone che non sanno più come sopravvivere in questa terra del Nord Kivu. Duecentomila vite ugualmente importanti come quella di "Un bianco" che viene ucciso in Zimbabwe.
Sulle nostre terre oggi noi vediamo:
- migliaia di rwandesi, militari e milizie, che hanno abbandonato il Rwanda da sei anni, i cosiddetti "interahamwe" senza terra, ignorati, stranamente ben armati;
- migliaia di persone, di origine rwandese, ma da molto tempo residenti in Congo, oggi confusi con gli interahamwe e perseguitati dall'esercito Tutsi, anche se non hanno avuto alcun legame con il genocidio del Rwanda;
- centinaia (o migliaia?) di Mayi Mayi e altri gruppi simili, oggi con lo scopo, vago, di scacciare gli Ugandesi e i Tutsi "invasori";
- innumerevoli bande di ladri e banditi... nati in questo caos...
Una cosa li accomuna tutti: ruberie, angherie, uccisioni, distruzioni sulla popolazione!
Quasi ogni giorno o notte, attaccano i villaggi: non sappiamo più di chi si tratti.
La nostra gente non può più coltivare, e sovente deve dormire (?) sotto gli alberi.
Esercito - ugandese e congolese - che è presente in alcuni centri lungo la grande strada Butembo-Kanyabayonga sembra assistere passivamente a questo sfacelo.
COSA STA ACCADENDO?
Noi constatiamo: la paura aumenta ogni giorno, e con la paura aumentano il sospetto, il rifiuto, l'odio per l'altro. L'altro che è: il rwandese, l'ugandese, colui che non è della mia etnia, colui che non è del mio villaggio. Questo sospetto, questo "rifiuto dell'altro", in alcuni casi arriva anche sulla bocca della gente di chiesa. E nella nostra regione, giustamente considerata molto accogliente, è entrato lo spirito tribale. E' una tragedia!
Noi crediamo che tutto ciò non sia affatto frutto del caso o di cattiva sorte...
Noi sappiamo che è "pensato-voluto-pianificato" poiché l'abbiamo già visto in Sudan e a Timor Est, in Rwanda e in Burundi, in Jugoslavia... Kosovo, a Kinshasa e a Bunia.
Anche qui da noi, tra qualche mese sarà sufficiente che si metta tra LE MANI DELLA GENTE SEMPLICE del villaggio un fucile o un machete, perché "si difenda"... e il gioco sarà fatto!
Alle radio parleranno di "conflitti tribali" africani.
Anche noi lo vediamo questo piano:
- oggi, il sospetto, il rifiuto dell'altro...provocato,
- tra qualche mese un "regalo" di armi affinché possiamo difenderci
- anche noi faremo il nostro piccolo genocidio
- la grande stampa internazionale
- gli interventi umanitari
- passeranno due anni e poi si prenderà coscienza degli errori commessi
- finalmente... la richiesta di perdono.
Noi non vogliamo fucili per difenderci, noi non vogliamo che nessun fratello -nessuno!- sia privato di un pezzo di terra, di una casa per vivere, in nome di un nazionalismo creato dagli altri sulla carta.
Noi non vogliamo neppure delle collette internazionali quando il disastro sarà già fatto.
Noi vogliamo che la gente di buona volontà, le piccole e le grandi comunità cristiane che si trovano ovunque nel mondo, GRIDINO INSIEME A NOI, mentre c'è ancora tempo, contro questi silenzi e non-interventi che generano i genocidi. Contro queste manipolazioni sulla gente innocente, contro questi piani diabolici.

Non riportiamo i nomi dei firmatari per evidenti motivi...