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Visualizza Versione Completa : Il Salotto dello zio Cirno.



Cirno
13-03-02, 17:34
E come non ricordare le mitiche lettere, le confessioni, gli sfoghi, le confidenze che resero celebre il Salotto dello Zio?
Molti nobili forumisti si sono denudati, hanno rivelato il loro id profondo, temendo e nello stesso tempo bramando di essere sputtanati. Cosa che puntualmente è avvenuta, perché lo zio Cirno tutto è e sarà fuorché discreto ed affidabile.
Eccovi allora la raccolta delle lettere.
Magari ne arriverannoaltre...non si sa mai.
Sen. Cirno

LA STORIA DEI FORUM - Il salotto dello zio Cirno

PREMESSA
di Cirno di Polipao

Mi devo essere fatto una certa fama. Di vecchio, di saggio, di "zio" ricco di esperienza e di vissuto? Fatto sta che ho cominciato a ricevere posta privata da parte di forumisti in crisi di identità o preda di angoscianti complessi.
Naturalmente, burlone e compagnaccio qual sono, ho pubblicato le prime due più significative, compiacendo in fondo ad un inconscio ed inespresso desiderio degli stessi mittenti.
Perché mai si sarebbero rivolti proprio a me, persona inaffidabile tra tutte, se non per veder divulgate le loro intime confidenze ?
Ecco allora che ho postato nel Forum del Fondoscala due lettere, una ricevuta da Goyassel La Zucca, gemente per vegetali uccisioni, l'altra da Vercingetorige, dolente per amori infelici.
Altre lettere sto ricevendo in una sorta di reazione a catena, di talché sono giunto alla determinazione di creare un "salotto" in un Forum più acconcio, ove pubblicare ed affidare al giudizio dei bravi Postatori quelle più significative ed esilaranti.
Scrivetemi e sarete mesi alla gogna, come esige il vostro profondo complesso sadomaso.
E quale Forum più beffardo, più scanzonato, più intelligente, più imprevedibile, più futile, più profondo, più frequentato di quello dei Senescenti?
In attesa di pubblicare le prossime lettere, incollo di seguito, per completezza della raccolta, le prime due che ho ricevute.
Chi volesse leggere la relativa corrispondenza, potrà farlo sul Forum del Fondoscala.
Avanti dunque col salotto dello zio Cirno! denudate le vostre anime, scoprite le vostre più inconfessabili debolezze, confidate i vostri più segreti pensieri, certi che nessun riserbo vi sarà garantito e che sarete esposti alla generale derisione.
Ovviamente solo io, e gli interessati, sapremo se le lettere sono apocrife o autentiche....ma ciò ha poca importanza, in questo mondo meravigliosamente virtuale ed effimero.
A presto.
Sen. Cirno

(Forum dei senescenti, 12.3.2001

Goyassel La Zucca e la morte della cucurbita moscata

L'Avvocato Goyassel La Zucca mi ha inviato uno straziante messaggio privato, che non posso fare a meno di divulgare.
Spero che non me ne vorrà.

Caro Cirno Polipaide,
Soffro di sofferenza tale da non sofferire di non parteciparla a un sodale, cosicché soffrendo, per simpatia intendo, condivida, alleviandola, la mia sofferta pena.
Il punto è che mi è morta una amatissima Cucurbita Moscata, Simbolo e Cimiero del mio Casato, che io amorosamente coltivavo nel letamaio che sta accanto all'orticello, superstite pertinenza della mia ormai cadente magione.
Era bella la pianta, e prometteva fiori e frutti copiosi, a maggior onore del Casato dei La Zucca. Accanto, già spuntavano piantine di Cucurbita Maxima e Cucurbita Pepo: esse, al contrario della Moscata, non erano soccombute.
Eppure non mancava il nutrimento. Pensate che la mia fantesca a ore (non posso permettermene una fissa e così devo tollerare questa, che viene quando vuole ed è orribile, aspra e guercia) quasi ogni mattina svuota nel già grasso letamaio il bugliolo, reso necessario dal fatto che da tre mesi la latrina domestica è inutilizzabile per avaria. E voi sapete quanto le zucche amino i nutrimenti naturali...
Mi sono chiesto il perché di questa disgrazia così ...selettiva. Non è infatti pensabile che una piantina muoia e le altre, contigue e simili, godano di ottima salute.
Qui gatta ci cova, mi sono detto.
Ho allora ripiantato nel letamaio, esattamente allo stesso posto, un'altra pianticella di Cucurbita Moscata, che avevo fatta germogliare in un vaso collocato vicino alla stufetta a legna che riscalda il mio spartano giaciglio.
Sull'imbrunire, mascheratomi da spaventapasseri (cappello a pandizucchero, vecchia giacca rattoppata e copiosa paglia legata a coprirmi volto ed estremità) mi sono collocato nell'orto in posizione acconcia.
L'attesa è stata lunga, e l'umidità della notte è penetrata nelle mie vecchie e scricchiolanti ossa (soffro da allora di una fastidiosa sciatica). Ma ne è valsa la pena.
Verso le ore tre un'ombra furtiva è scivolata nell'orto, è penetrata nel letamaio (sacrando perché aveva pestato una odorosa sostanza fecale) e si è avvicinata alle pianticine. Accesa una torcia elettrica, ha individuato la Cucurbita Moscata e, ferocemente, sadicamente, l'ha irrorata con il contenuto di una fiaschetta.
"Altolà, Accorruomo" ho gridato attraverso la maschera di paglia, tentando di afferrarlo per un braccio. L'effetto è stato sorprendente. L'ombra, terrorizzata, ha tentato di fuggire ma dopo pochi passi ha calcato il rastrello che avevo abbandonato per terra, azzeccandosi in grifo l'inevitabile bastonata.
Mi sono avvicinato, quasi anchilosato, al sicario gemente e, al lume della sua torcia elettrica, mi sono avveduto trattarsi di L. B., Segretario della Locale Sezione DS.
Non mi dilungo. Lo sciagurato ha confessato di aver compiuto il misfatto in odio alle mie "velleità nobiliari", così le ha chiamate, che egli riteneva indegne della mia conclamata militanza ulivista e dannose alla causa proletaria.
L'ho lasciato andare (che altro dovevo fare, peraltro si era rotto il naso e due denti) e mi sono ricoverato nella mia stanza fredda e buia, preda di una duplice crisi: personale e politica.
Che devo fare? sostituire la piantina con un'altra? perseverare nella mia militanza, tradendo a questo punto il retaggio dei miei Maggiori?
Aiuto Cirno, sto perdendo la mia identità, sono disperato."

Anch'io, amici miei Postatori, sono imbarazzato. Che fare? Cosa consigliare al povero Goyassel?
Ho pensato che potrebbe essere il momento buono per convincerlo a cambiare militanza, aderendo alla CDL. Mi sembrerebbe però poco cavalleresco l'approfittare della sua presente debolezza.
Ecco perché ho deciso di pubblicare la missiva. Goyassel, prossimo Senatore, non può essere lasciato solo. Confortiamolo, consigliamolo tutti assieme. Potrà così, lenito il dolore, scegliere la sua nuova via.

Porgo nel contempo al caro, infelice Goyassel le mie più sentite condoglianze.

Sen. Cirno, figlio di Polipao patrizio di Megara.

(9.3.2001)

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31-07-2001 16:57


Seconda lettera

Vercingetorige malato d'amore

Cari amici Postatori, sembra quasi che io stia divenendo il confidente di molti personaggi virtuali che scorrono i Forum, lasciando in questo mondo che non c'è, ove la fantasia si confonde nella realtà, tracce effimere, ma non per questo meno profonde, dei loro sogni, furori, dolori e...amori.
Sarà perché sono e mi sono detto anziano e perché vengo gratificato della fama di saggio, ad onta della mia evidente follia.
Così, dopo il messaggio privato del simpaticissimo ed ineffabile Goyassel ne ho ricevuto un altro -c'è da non credere- da parte di Vercingetorige, il mio avversario di sempre.
Mi affretto a trascriverlo, commettendo con gioia un'imperdonabile indelicatezza. Ma tant'è, ho i miei difetti e poi sono certo che questo era lo scopo vero di Vercy: rendere noto a tutti, per mano altrui, il suo inverosimile dramma interiore.

Caro Cirno,
questo mio messaggio ti sorprenderà, ma sento che solo da te potrò forse avere aiuto o almeno conforto.
Poi sei veronese, e a Verona abita, o ha abitato, la causa delle mie sofferenze. Forse potrai saperne di più, ti sarà facile rintracciare la persona che è inconfondibile e abita, a quanto mi ha confidato, nel quartiere "Villaggio Dall'Oca Bianca".
Vengo al dunque, perdona la mia concitazione, tutto ciò mi riesce molto difficile.
Ti ricorderai certo di Camay, la compagna arrabbiata che per qualche tempo ha frequentato il mio Forum. Il suo estremismo, il suo scrivere icastico e colorito, la sua disinibizione sessuale mi hanno prima incuriosito, poi affascinato. Sarà perché ho sempre sofferto di qualche inibizione in quel campo, sarà perché mi attizzava quel vantarsi gloriosamente dei suoi orgasmi, per me è divenuta nel tempo una vera ossessione.
Sentivo che dovevo vederla, conoscerla.
Ho cominciato a bombardarla di messaggi privati, implorando un incontro, anche breve e fugace.
Ero fiducioso, perché l'arte statistica (nella quale sono peritissimo) mi insegnava che nel 70% dei casi chi insiste ad oltranza ottiene.
Bussate e vi sarà aperto!
All'inizio mi ha risposto in modo quasi villano, usando colorite espressioni veronesi quali "Ci elo lu, stronso" e "la vaca che t'ha stracagà", poi mi ha chiesto di descrivermi.
Ho capito che mi si offriva una possibilità.
Mentendo, le ho affermato di essere alto ed atletico, palestrato, con folti capelli rossi e sorriso da "California Dream" (in realtà sono piccoletto, un po' calvo e ho denti bruttini).
Le ho detto, e questo era vero, che ero pazzo di lei e che desideravo solo vederla, trascorrere qualche ora assieme, parlare di politica e di società multietnica.
Alla fine mi ha concesso un appuntamento. Alla stazione di Verona, davanti alla biglietteria, alle ore 11 di uno sciagurato lunedì.
Per farsi riconoscere ( mi disse tuttavia che la sua fisicità non avrebbe lasciato dubbi) avrebbe tenuto aperto un ombrello giallo, di quelli dell'Agip, anche se non avesse piovuto.
Il viaggio in treno da Vicenza a Verona (poco più di mezzora) mi parve eterno. Ero eccitato, terrorizzato: in una parola sconvolto.
La vidi subito, la riconobbi subito.
Straordinaria, per molti versi.
Altissima ed atletica, non per palestra ma per natura, il viso scuro, un po' butterato dall'acne ma dai lineamenti pronunciati e provocanti. Corpo da grande...cortigiana. Anche alte, rotonde, ventre appena prominente, gambe forti e lunghissime, seni e natiche prepotenti.
Camminava nervosamente avanti e indietro, e quel suo camminare era la cosa più impressionante. Elastico, aggressivo, animalesco. Tutti la guardavano, e gli sguardi non erano innocenti.
Mi sentii svuotato. Ma che ci stavo a fare, ma cosa mi attendevo da una donna del genere. Mi avrebbe deriso, mi avrebbe umiliato.
Tutta la mia determinazione scomparve, sentii solo l'impulso di fuggire. Senza una parola, senza un cenno tornai indietro e presi il primo treno per Vicenza.
Cirno, non ho più potuto dimenticarla. Sento che ho bisogno di un'altra possibilità. Mi puoi aiutare? Puoi rintracciarla, conoscerla? Mi ha detto di chiamarsi Luana. Non dovrebbe esserti difficile, una così è inconfondibile. Dovrebbe essere ormai tornata dall'Africa, dove ha detto si sarebbe recata per conoscere la famiglia del suo uomo.
Per me è divenuta un'ossessione, capiscimi, perdonami e, se puoi, aiutami.
Tuo Vercingetorige

Ecco, amici miei, il delitto è consumato. Vercy, non volermene. La verità è che non so cosa consigliarti, se non di lasciar perdere.
Forse la bella (secondo i gusti) Luana/Camay non è pane per i tuoi denti malandati.
Che ne dite, bravi Postatori?
Sen. Cirno

(9.3.2001)

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31-07-2001 16:57


Terza lettera

Lo Scettico: dalla Slovinzia a Ficuzza

Ebbene si, zio Cirno, ti scrivo e nemmeno so il perché. Mi sono avveduto che mi sei ostile, anche se poco hai risposto alle mie sortite nel Forum dell'Immigrazione. Eppure erano argomentazioni sofferte, visionarie ma illuminate. Ecco, illuminate: perché io mi posso vantare di essere stato illuminato dalla Grande Luce.
Sento il bisogno di raccontarti la mia storia e di esternarti le mie intuizioni, basate su un sapere mai scritto.
Nato a Roma da famiglia cosidetta "italiana", allevato e formato con uno spirito di onesta sinistra, anche se mai militante, mi sono trasferito a Trst (Trieste) dove in atto vivo amo e lavoro.
E' stato un appuntamento con il destino, non con la storia: io infatti sono assolutamente scettico (donde il mio nick) circa la "storia" ufficiale, adulterata, travisata quando non inventata di sana pianta da chi ne aveva interesse.
Siamo immersi in un mare di menzogna! questo ho capito, con felice intuizione e per vibrazione d'animo,quando mi sono ambientato a Trst.
Coi fratelli Slavi ho avvertito immediatamente una profonda, ancestrale comunanza di origine e sentimenti. Merito anche di una giovane donna, Jovanka, originaria di Kobarid (Caporetto) che era venuta a lavorare a Trst quale governante e collaboratrice domestica tuttofare.
Quando venne a lavorare da me era preceduta da una malevola fama: la chiamavano "la rotta di Caporetto" attribuendole facilità di costumi.
Non mi interessò il suo passato: la amai ed essa mi aprì gli occhi ed il cuore, mi iniziò alle tradizioni ed ai gusti del suo Paese che poi ho compreso essere il nostro Paese.
Ricordo che mi cucinava i "cevapcici", salsicciotti a base di maiale fortemente agliati, deliziosi. Vanno arrostiti o serviti lessi con i crauti. In tale ultima versione si trovano, in Slovenia, anche in scatola: ricordo che Jovanka me ne portò alcune. Le scritte sulle scatolette erano bilingui, Sloveno e un dialetto italico, che poi intuii essre l'antico Padano, di cui essi sono tuttora gelosi ed unici custodi. Diceva la scritta: "salsizi de cragno con capuzzi garbi".
Fu una rivelazione.
Partendo dal presupposto incontrovertibile che i toponimi in "isco", "isca", "icco", "acco", "ucco",
"izza" "uzza" e "azzo" sono di origine slava e rivelano l'antichissima origine slava degli stanziamenti umani ivi allocati (infatti tali toponimi sono frequentissimi in Friuli e Venezia Giulia le cui etnie sono di origine prevalentemente slava) ho dato un'occhiata all'atlante.
Mirabile iniziativa! ebbi il riscontro oggettivo e storico della mia intuizione.
Isola Rizza e Vangadizza nel veronese, Predazzo nel trentino, Comacchio nel Ferrarese, Lunghezza nel laziale, Melicucco nel calabrese, Ficuzza nel palermitano ...sono solo alcuni degli innumerevoli toponimi slavi da me rilevati.
A macchie di leopardo, in tutta Italia.
Allora capii. Sulle antiche popolazioni slave autoctone, che abitavano tutta la penisola italica (il suo probabile toponimo antecedente era "Talienska") si sovrapposero con la violenza le immigrazioni greche e romano-etrusche..
Costoro riscrissero subdolamente la storia, possedendo l'arte della scrittura su supporti durevoli. Cosicché si posero essi stessi quali autoctoni, mutando la denominazione delle precedenti popolazioni slave e slovene, snaturandole e costringendole a perdere identità e cultura. Tutte le poche documentazioni vennero distrutte e sostituite: solo alcuni toponimi, rivelatori du una verità violata ma non spenta, rimasero. Ed ora parlano, anzi urlano eloquenti !
La tradizione slava, rimase vitale solo in Illiria e nella Venezia Giulia, ove era maggiormente consistente e poteva godere del supporto delle vicine popolazioni sorelle (in particolare Casciubici e Slovinzi).
Eppure gli etrusco-romani grecizzati, intendo dire i veneziani, tentarono di distruggere la loro cultura e la loro etnia, occupando la parte più importante della costa adriatica orientale.
L'ungaro Ladislao di Napoli, nel 1409, vendette ai veneziani per la somma di 100.000 ducati i diritti sulla Dalmazia. La dominazione veneziana sarebbe durata ben quattro secoli!!!
Quattro secoli di sfruttamento, quattro lunghi secoli di schiavizzazione dei giovani slavi, dannati al remo nelle galee.
Ma nonostante l'invasione veneziana, la gran parte della popolazione rimase slava. Venezia dovette fare i conti con gli "Uscocchi", marinai e patrioti croati audaci oltre la pazzia, incuranti del pericolo e della morte. La loro astuzia di guerrieri e corsari fece di loro i veri grandi Signori dell'Adriatico per ben 80 anni, fino a quando il tradimento non li costrinse all'esilio (1617). Con i loro piccoli ma agili barchini, armati solo di sciabole, mazze, forche e falci, attaccavano gli incrociatori e le corazzate della possente marina veneziana, riportando sovente luminose vittorie.
La storia recente non è da meno. Gli avvenimenti dell'ultima guerra mondiale sono stati riscritti da storici mendaci. L'eroica lotta partigiana implicò l'eliminazione di traditori e di potenziali tali, le foibe furono, reciprocamente, luogo di esecuzione e martirio. Il legittimo desiderio di estendere i confini della compianta Jugoslavia (repubblica FEDERALE) sino al Tagliamanto non fu recepito nella sua nobile essenza. Si trattava, in fondo, di restituire alla "Slavità" ciò che Slavo era stato ed era, intimamente, ancora.
Tutta l'Italia, in prospettiva, avrebbe potuto ricongiungersi alla Patria Slava con evidente vantaggio per tutti i popoli e le etnie, vibranti all'unisono per una comune origine.

Questa però è storia non scritta. Purtroppo.
Mi sento comunque un "Fratello Slavo" e spero che l'evoluzione della integrazione europea, rispettosa delle etnie e del "comune sentire" permetta un giorno anche l'integrazione che è scritta nel nostro DNA.
Scopriamo dunque lo Slavo che è in noi!
Lo scopra anche lei, zio Cirno, oggi così arcigno e sprezzante, domani chissà...
e dimentichiamo le foibe. Rispettiamo i morti, lavoriamo per i vivi.
Suo Lo Scettico.

Ecco, cari amici. Questa è la lettera che ho ricevuto da parte di un postatore atipico, che da poco tempo si è registrato ed agisce, con impeto ed improntitudine, nel Forum dell'Immigrazione.
Mi affretto a divulgarla, certo che susciterà reazioni varie, dal pianto al riso.
Dice di essre "illuminato"...chissà che bolletta!
E voi, che ne pensate?
Cordiali saluti a tutti.
Zio Cirno.

(15.3.2001)

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31-07-2001 16:57



Quarta lettera

Next One e la rivoluzione... alla livornese

Ricevo e pubblico:

L’aria secca e fine di Livorno entra dalla finestra spalancata. Respiro di mare, odore di porto e di sale. Mi guardo allo specchio, dubbioso. La chioma rasta sembra un po’ in disordine. Comincio a raccoglierla a tamburo sulla testa, con una cascatella laterale, a pendaglio. Ho deciso di adottare tale acconciatura dopo aver viso il film “Uovo Sodo”, affresco intrigante di un signorino figlio di padroni ma con l’uzzolo di apparire proletario, e di un proletario vero ma con velleità di accoppiarsi a padroni.
Mi sono identificato in entrambi. L’acconciatura rasta è forse il mio modo di apparire quello che non sono, quello che non posso e forse non voglio essere.
Non so perché ti dico queste cose zio Cirno, e non so perché mai ho repentinamente deciso di scriverti. Scrivere a te, che suppongo fascista! Fascista non rozzo e perciò pericoloso. Fascista schernitore, e perciò scomodo.
Tant’è. Ho deciso e basta. Devo dirti chi sono e devo rivelarlo a me stesso, devo condividere con qualcuno l’illuminazione che ho avuto e che mi possiede. La divulgherai? Temo e desidero ciò allo stesso tempo. Sono l’Ossimoro, sono l’antitesi di me stesso.
Tu sai che sono di sinistra. Un vetero-comunista prestato all’Ulivo che non condivide Bertinotti per le sue scelte tattiche, ma che ne condivide nel profondo le istanze strategiche. Sono un leninista che detesta il burocrate Stalin e che ama l’idealista Trotsky: il vate della rivoluzione permanente, senza frontiere, salvifica e vivificante.
Andiamo piano. Non voglio anticipare con le parole i fatti. Il fatto anzi l’Illuminazione. Le nuove frontiere della dialettica storica che IO ho intuito.
Leggevo uno dei miei testi preferiti: la Critica dei programmi di Gotha e di Erfurt di Carlo Marx. L’occhio mi cadde sulla frase seguente: ...quando tutte le sorgenti della ricchezza collettiva sgorgheranno in abbondanza, soltanto allora lo stretto orizzonte del diritto borghese potrà essere completamente superato e la società potrà scrivere sulle sue bandiere:”DA OGNUNO SECONDO LE SUE CAPACITA’, AD OGNUNO SECONDO I SUOI BISOGNI”.
Commentava Lenin nel suo Stato e Rivoluzione: ...verrà un momento in cui gli uomini si saranno tanto abituati ad osservare le regole...in cui il loro lavoro sarà divenuto tanto produttivo che da sé, e VOLONTARIAMENTE, essi lavoreranno secondo le loro capacità. Essi non si preoccuperanno più di lavorare o di non lavorare mezz’ora più di un altro, perché ognuno di essi attingerà liberamente alla massa dei prodotti.
E allora lo Stato, OGNI STATO, divenuto inutile, SPARIRÀ !
Utopia? No, tradimento. Il tradimento della deformazione burocratica dello Stato, favorita dal burocrate Stalin.
Nel 1936, nel suo libro “La Rivoluzione Tradita”, Trotsky si scagliava contro...il moralismo politico del Partito...l’impunità burocratica...il funzionario che finirà per divorare lo Stato Operaio...
Burocrazia organizzata ed armata contro le Masse disarmate.
Gli costò la vita.
Ed ecco la mia intuizione, ecco la scintilla.
La formula era fallita perché dialetticamente imperfetta, storicamente inadeguata. Doveva essere letta come segue: Da ciascuno secondo la sua volontà, a ciascuno secondo i suoi desideri.
Tale formula avrebbe potuto assicurare il trionfo della rivoluzione, l’affermazione dell’antitesi proletaria, la fine dello Stato, di qualunque Stato. Una rivoluzione che finalmente avrebbe spezzato la macchina dello Stato, invece di perfezionarla. Mirabile arbitrio del Proletario che può finalmente avere tutto senza nulla essere costretto a dare!
L’intuizione presuppone l’azione.
E allora mi chiedo: come sarebbe possibile applicare la mia formula rivoluzionaria nel nostro Paese e, in prospettiva Trotskista, in Europa?
Lenin aveva previsto la corruzione del proletariato, l’opportunismo dei...lavoratori ben retribuiti che si distaccano dalla Massa, si ricavano un posto conveniente nel regime capitalistico e vendono per un piatto di lenticchie il loro diritto di primogenitura, cioè rinunciano al loro ruolo di popolo in lotta.
E ciò è avvenuto in Italia.
Nel nostro Paese, purtroppo, non esiste più un vero proletariato che possa impadronirsi della macchina dello Stato e trasformarsi in classe dominante, imponendo la formula, per una società nuova divenuta “associazione”, in cui il libero sviluppo di ognuno sia la condizione del libero arbitrio di tutti.
Ed ecco la mia seconda intuizione: occorre formare un nuovo proletariato, povero, sfruttato e furibondo.
Come? Una prima via, nella quale poco credo non per la sua efficacia ma per la sua lentezza, è quella imboccata con lungimiranza da quell’ottimo Compagno che è il Ministro Visco: impoverire progressivamente i lavoratori/borghesi con il peso soverchiante e progressivamente aumentato di imposte e balzelli, oggetto essi stessi di successive imposizioni multiple.
Geniale ma storicamente lento: occorrerebbe un ricambio generazionale per far dimenticare le mollezze dei tempi trascorsi, inevitabilmente oggetto di rimpianto.
Una seconda via, anch’essa timidamente in atto, è l’introduzione massiva di immigrati, disperati, senza stato giuridico e senza lavoro.
Quando in numero sufficiente, basterebbe spiegare loro ciò che devono fare in un prossimo avvenire per liberarsi dal giogo del capitalismo nazionale.
Sarebbe però stato necessario aprire repentinamente e completamente le frontiere per una accoglienza generosamente illimitata: l’Ulivo non ha osato e la Jervolino, che aveva capito, è caduta.
Mancata la sorpresa, mancherà il successo.
Le mie intuizioni necessitano di idee e contributi attuativi. Chi vuole aiutarmi? Mi aiuteresti, Cirno?”
Tuo Next One.

No, non posso aiutarti, caro Next One, sognatore utopista e stravagante.
Posso però divulgare la tua (apocrifa?) lettera, certo che diverrà oggetto di dileggio, ma anche di plauso. Tutto dipende, come dice la canzone. E tutto resterà come prima.
Fino alle prossime elezioni politiche, speriamo.
Con stima.
Zio Cirno.

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31-07-2001 16:58



Quinta lettera

Nanths si fa druido

Ricevo e pubblico una singolare lettera ricevuta da Nanths.

Caro zio Cirno,
Ti scrivo perché so che sei stato Leghista, e siccome Leghisti si nasce, non si diventa, nel tuo essere profondo –che assumo Celta- Leghista sei ancora e quindi mi potrai capire.
Mi sento Celta, Cirno. Vivo in una plaga incantata, ove lavoro ed abbondanza sono sempre stati in felice connubio. Habiate detta la Grassa, Abbiategrasso dunque, Bià in Abbiatese.
Vicus Celtico, piacevole residenza di Duchi, eredità d’Ariberto d’Intimiano, Vescovo e Principe.
Siamo gente dura, noi, abituata a parlare poco e lavorare molto. Come il nostro Ticino, che scorre placido, frusciando, ma che ha sempre mosso mulini e gualchiere innumerevoli.
Quando si arrabbia però....
Sono tacitiano quando penso, quando scrivo. Mi piacciono le sentenze lapidarie: il parlare prolisso è terrone, e s’accompagna al lavorare poco.
Così ho interloquito sulla fuga (spero simulata) di Pupetta: “Dimissioni respinte”. E’ tutto.
Così ho osato definire Teognide “leguleio ammuffito”. E’ tutto.
Dalla mia finestra s’intravede ciò che rimane della rocca di Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti. Se chiudo gli occhi, mi pare di vedere i cortei sontuosi, il bucintoro che solca il naviglio grande, mi par di sentire l’abbaiare dei veltri mordaci ed il galoppo dei destrieri per quelle cacce memorabili.
Apro gli occhi e sento tutt’altro, vedo tutt’altro, stiamo diventando ricettacolo di mendicanti, prostitute, faccendieri e politicanti. La Lega è il nostro baluardo, il nostro presidio contro la marea eterogenea che ci minaccia.
Mi sento Celta, ho detto. E da Celta cerco di ben moderare il mio Forum Padano, e da Celta combatto a viso aperto contro chi si nasconde sotto infiniti pseudonimi per colpire da sicario, alle spalle.
Odio Matteoli1. Ma non è questo il punto.
Come saprai (e se non lo sai t’informo ora) correrò per le prossime elezioni politiche, in un collegio blindato. La Lega ha chiamato, io rispondo.
Sarò dunque deputato a Roma, tradizionale nemica dei Celti, che un tempo osarono sconfiggerla.
Ed ora pervengo al motivo di questa lettera, vecchio e saggio Cirno.
Voglio andare a Roma quale Brenno, non quale Vercingetorige. Mi sto preparando. Come gli antichi Druidi, precederò gli eroi in battaglia.
Al di la delle metafore, sento che sto diventando Druido. L’antica religione dei Celti deificava la natura, i fiumi, gli alberi. La potenza di questa tradizione obliata mi è esplosa dentro, mi travolge. Sono eccitato e spaventato al tempo stesso.
A casa dicono che mi sto comportando in modo strano.
Coronato di agrifoglio e di vischio, mi sono invero recato a mezzanotte, con la luna piena, alle rive del Dio Ticino, ed ho raccolto le Sue preziose acque in un’ampolla che conservo accanto al capezzale e sorseggio quando mi sento infelice.
Novello Bardo, ho iniziato a studiare il Gaelico. Mi sono provveduto copia dei poemi Cimrici del Bardo Dafidd ab Gwilym e sull’imbrunire li declamo, sul terrazzino di casa (purtroppo non possediamo giardino), drappeggiato di bianco lenzuolo ed accompagnandomi col tamburo celtico.
Non trovo strano tutto ciò, anzi mi riempie di gioia ed emozione. Sento che DEVO farlo e mi propongo, quando sarò in Parlamento, di farmi promotore di iniziative legislative a favore del rinascere della religione druidica e dello studio del gaelico.
Dimmi tu, Cirno, vecchio e saggio Leghista, pensi che io stia diventando pazzo, come insinuano taluni malevolenti anche tra le mura di casa mia?
Di più: ho intenzione di chiedere udienza al grande Bossi e all’onorevole Maroni, per spiegare loro questa mia meravigliosa palingenesi, questa cosa immensa che mi sta accadendo.
Mi capiranno? Sono certo di si. E allora proporrò che la Lega adotti ufficialmente la Religione Druidica ed istituisca, in via Bellerio, una “Scuola Quadri” per Vati e Bardi.
Sono emozionato. Sono felice. Seguimi, Cirno!!!
Tuo aff.mo Nanths.

Che posso aggiungere quale commento, cari amici?
La lettera del Druido Nanths è per molti versi singolare. Stiamo per assistere al sorgere (o al risorgere) di una nuova religione. Molti hanno provato nell’ultimo secolo, alcuni con gran successo. Altre religioni stanno probabilmente per irrompere dall’Africa e dall’Oriente. Pensate all’Animismo.
In fondo, è meglio Testimone di Geova o è meglio Druido?
Fate voi...
Certo che vedere Bossi, Maroni e Boso danzare al chiaro di luna, abbigliati da fantasmi e coronati di vischio, al suono del tamburello e cantare con voce avvinazzata (i Bardi erano grandi bevitori...) filastrocche in gaelico, sarebbe uno sballo!
In ogni modo sempre meglio che vedere Rutelli che fa il clericale per tirare su un po’ di voti
Datti da fare Nanths, ne vale la pena.
Saludi a tucc!
Cirno.

(3.4.2001)

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31-07-2001 16:58




Sesta lettera

Claudio Bresson posseduto da Odino

Tra le molte lettere che ricevo, cari amici, la seguente mi ha profondamente colpito. Claudio Bresson, spirito inquieto, è in crisi mistico-religiosa. Ho notato qualche simiglianza con il caso di Nanths, anche se la loro posizione politica ed intellettuale sembra completamente diversa. Un voto alla Lega, tuttavia, li accomuna.
Mi chiede aiuto. Ed io chiedo aiuto a voi, cari amici postatori, perché non so, francamente, come aiutarlo.

Caro zio Cirno.
Ebbene si, mi sento pagano, sono pagano. Non del paganesimo estetizzante e pragmatico dei greco-romani ma di quello oscuro, profondo, magico degli antichi Germani.
Come influisce l’ambiente sull’uomo! L’essere nato e l’abitare a Giaveno mi ha profondamente condizionato, ha plasmato il mio profondo. Tra questa terra antica ed il mio animo si è instaurato un legame onirico ed esoterico, sciamanico e arimannico al tempo stesso.
Mi spiego. A Giaveno, nel 773, ebbe luogo una decisiva battaglia tra i Franchi invasori, chiamati dal Papa romano e i Longobardi, che difendevano disperatamente le Chiuse di Susa.
I Longobardi, ariani per imposizione, cattolici per convenienza ma sempre profondamente e intimamente pagani, furono sconfitti e la sconfitta segnò l’inizio della loro fine etnica, politica e religiosa.
Mi aggiravo un giorno non lontano nei dintorni di Giaveno, la dove la tradizione popolare indica il luogo dello scontro. Cercavo un segno, un presagio? Chissà.
Come sai sono scrittore, autore d’opere incompiute e mai pubblicate, e in ogni scrittore si cela un Vate.
Sono anche fotografo, e come tale amo ritrarre cose e sensazioni.
Stanco, mi appoggiai, seduto, al tronco di un frassino secolare e fui colto dal torpore. Capii più tardi che non era sonno, era incantamento.
Sognai. Comparve avanti a me un Vecchio, maestoso, dalla barba bianca e fluente. Si presentò come Odino, re di Walhall, Signore dei Morti. Mi rivelò che il frassino al quale mi appoggiavo era Yggdrasill, il sostegno del mondo. Mi disse ancora che dovevo uccidere Nidhhogg, il serpente che ne insidia le radici protese nelle tre direzioni cosmiche: verso la sede degli uomini, verso quella dei giganti e verso Hel, sede dei Morti.
Prima di svanire, mi rivelò che solo la Madre Terra poteva darmi la forza e la conoscenza necessarie per sconfiggere Nidhhogg, attraverso un amplesso praticato sul campo, in primavera.
Svanì, e con lui il sonno.
Forse ero intimamente preparato a credere, forse la mia formazione di Educatore Territoriale (spero di sostenere la tesi entro l’estate, i miei genitori sono incazzatissimi perché dicono che ho ormai 35 anni e ancora non ho concluso gli studi!) mi rende particolarmente aperto nei confronti del culto della natura e della magia, fatto sta che la fede in Odino esplose in me travolgente.
Era quasi primavera, e convinsi la mia compagna (meglio “costrinsi” perché il tempo era umido e piovoso, e tirava un venticello maligno) a preparare un pic-nic all’aperto.
La pilotai nel noto luogo, vicino al frassino maestoso. Il cibo non era gran ché e si raffreddava in fretta. Ma che importava! Vivo era il fuoco che ardeva in me.
Consumati panini e frittata, manifestai l’esigenza di avere un amplesso sulla nuda terra.
Dovetti quasi forzare la mia compagna, che si rifiutava e mi accusava di essere un maniaco cretino.
A quel punto ebbi anche difficoltà di erezione, penso perché la terra era umida e faceva piuttosto freddo. Mentre armeggiavo maldestramente, sentii vociare: un contadino incazzatissimo, brandendo una forca, correva in nostra direzione sbraitando cose che sarebbe disdicevole ripetere ma che posso...svolgarizzare definendole quali turpi stigmatizzazioni di un comportamento (il nostro) che egli addebitava a bassezza d’animo e corruzione di costumi, sul suo podere nel quale, a suo dire, potevano transitare bambini.
Non restò che darci alla fuga.
Da quel momento non ho più pace, perché l’amplesso non è stato interamente consumato ed io non ho avuto dalla Madre Terra alcun potere speciale, né tantomeno notizie del fottutissimo serpente Nidhhogg.
Anche il dio Odino non mi si è più manifestato, né in sogno né in altra circostanza.
Che fare? Dormo più spesso e più a lungo che posso, e così non riesco più a studiare per la tesi e tantomeno a completare il romanzo al quale devo il mio pseudonimo. Ma Odino, niente. Che sia sdegnato? Forse mi ritiene un infiltrato del Sacro Romano Impero?
Intanto i miei rapporti con i genitori e la compagna non sono dei migliori.
Inoltre, sono costretto a dedicare buona parte del poco tempo che mi rimane a POL.
POL è un mistero per me. Ho tentato più volte di staccarmene e non ci sono mai riuscito. Sono dovuto tornare a postare. E allora mi sorge un altro dubbio: che POL sia una manifestazione di Odino o del malvagio serpente Nidhhogg? Certo, di serpenti ce ne sono, nelle sue spire. Oppure POL è la versione virtuale del Regno dei Morti?
Sono pieno di confusione, zio Cirno. Non sono nemmeno sicuro che nelle mie vene scorra sangue longobardo. E allora, perché proprio a me? Perché Odino mi ha prescelto? Che sia stato perché mi sono tirato qualche canna di troppo?
Aiutami, vecchio e saggio zio. Sono stato nominato di fresco Senatore dei Senescenti, e non vorrei che l’Alta Carica, che così a fatica ho conquistato, fosse compromessa.
Ti saluto in Odino.
Tuo Claudio Bresson.

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31-07-2001 16:58


Settima lettera

Medusina... lacrime e cipolle

Non ho finora accettato (o scritto, fate voi) lettere provenienti da postatori giovani ed inesperti, che non abbiano cioè acquisito dopo centinaia e centinaia di posts la necessaria esperienza di vita nel mondo di POL.
Sciagurate sono infatti le reazioni dei neofiti, di solito carenti di spirito e di...pelo sullo stomaco.
Faccio eccezione per Medusina, già ed altrove nota come Wonderwoman (leggete il bellissimo ritratto propostoci da Mastro Titta), giovane forumista ingenua (ancora per poco, spero), romanticamente utopista, preda in buona misura del complesso di Paperoga ma con un cuore grosso così.
Un cuore che è facile ferire, e che forse viene ora ferito in modo irreparabile.
Ecco la lettera.

Caro zio Cirno,
Sono molto confusa, al punto di non sapere più chi sono, di non sapere cosa voglio.
Lo specchio era appannato questa mattina, quando sono uscita dalla doccia. Appannato come la visione che ho della vita, della mia vita.
E’ sabato, menomale, non devo andare in ufficio.
L’ufficio! Mi dà di che vivere, questo è vero. Ma nella mia realtà quotidiana è un incubo. Vecchie pratiche polverose (talvolta ho attacchi d’asma), colleghi spenti e gretti, dirigenti arroganti come sanno esserlo i funzionari ministeriali che fingono di dirigere uffici spesso inutili attendendo, di caffè in caffè, il 27 del mese.
Burosauri, dei quali non vorrei far parte.
Mi sono guardata allo specchio.
La fresca giovinezza di un tempo si è un po’ appannata, come lo specchio, ma mi vedo ancora piacente. Piccola ma ben proporzionata, moretta, quel seno sinistro più basso del destro, come da sempre. Qualche smagliatura sull’addome e sulla sommità delle cosce, retaggio di una gravidanza e di un parto difficili.
Ho provato a sorridermi, il sorriso era ancora aperto, vivace come un tempo ma gli occhi no. Non so più sorridere con gli occhi.
La vita è stata dura con me, zio Cirno. Anche per colpa mia, per la mia voglia di migliorare la gente, di migliorare il mondo.
Gli strilli di mio figlio Spartaco, 7 anni, mi richiamano alla realtà.
Non è andato a scuola questa mattina, aveva un po’ di raffreddore e tanta voglia di giocare con la playstation nuova, regalo della nonna.
Sto attendendo la baby sitter, desidero uscire. Inizio a truccarmi, un trucco leggero, come sempre.
I pensieri mi trascinano ancora lontano.
Il mio compagno è disimpegnato, spesso assente, ho imparato a fare da sola. Separati in casa, in un certo senso.
A ventidue anni ero già madre. Ne ho ventinove ora, ma mi sembrano tanti di più.
Quanto entusiasmo c’era in me! Volevo essere buona, e generosa, e tollerante.
Ho fatto del volontariato, ho accompagnato a Lourdes malati e sofferenti. Ho ricevuto in cambio delusioni e irriconoscenza, schiaffi all’anima.
Mi sento un po’ arida ora, e non mi piace.
Giorni fa ho scritto una toccante poesia, prendo il foglietto e la rileggo, attendendo.
Piango perché vorrei
che il niente fosse tutto
e il tutto fosse niente,
perché la vita mi cola intorno,
perché non sento più rumore di fondo
dentro di me.
Le lacrime mi scivolano nel naso
e io le soffio nella pezzuola
con rumore gorgogliante,
salate testimoni della mia inquietudine
che nessuno conosce
ma che io espello dal mio corpo,
per rendere sopportabile il mio esistere.
Piango per tutte le volte
che riesco ad essere me stessa,
per tutte le volte che tendo la mano,
per ogni atto non compiuto
che mi rende imperfetta,
per la mia presunzione
di poter, magari, rimediare.
Piango perché non sono immortale,
perché, forse, mi ammalerò e morirò,
oppure di incidente, chissà
e di me non resterà
che un mucchietto di frattaglie.
Piango perché il mondo
non sarà mai quell’eden
che mi avevano detto da piccola, imbrogliandomi.
Piango e continuo a tagliare cipolle
che mi fanno piangere,
e penso che è meglio aprire la finestra.

Piango, infatti. Mi propongo di compiere una buona azione prima che il sole tramonti. Un’azione generosa e disinteressata, per giustificare la mia vita.
Bussano al campanello: è la babysitter. Posso uscire.
Roma, via Nomentana. Una bolgia a mezzogiorno. Mi avvio verso la salsamenteria e il prestinaio, pochi isolati più in là.
Ed ecco l’occasione tanto attesa.
Una vecchietta semisciancata, con bastone, le scarpe bianche e un buffo cappellino con la veletta è ferma al passaggio pedonale, spaurita, impotente. Il traffico è intenso, nessuno sembra accorgersene. O non vuole.
D’impeto la afferro per un braccio, lei farfuglia qualche cosa, forse un ringraziamento. Alzo la mano per fermare i veicoli, quasi la trascino, salva, dall’altra parte.
Mi guarda, la guardo, il mio cuore finalmente canta dentro di me.
A ‘mpunita - mi dice - stavo a aspetta’ mi fijo, e adesso chi me ariporta indietro?
Me ne vado di corsa, piangendo di nuovo.

Ti saluto.
Medusina.

Amici miei, non so e non voglio rispondere a Medusina. Mi sento inadeguato.
Qualche anima buona vuol farlo per me?
Io non sopporto le cipolle.
Vostro zio Cirno, Senatore e Gentiluomo.

(8.4.2001)

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31-07-2001 16:58



Ottava lettera

Fradolcino e la reincarnazione

Caro zio Cirno.
Nessuno potrà mai interamente comprendere il rapporto che corre tra me, giovane (38 anni) artigiano di Varallo, secessionista, autonomista, padanista e chi più ne ha più ne metta e la Val di Sesia, terra di frontiera e di conquista, di ribellioni epiche e d’eccidi ma soprattutto terra di fiera coscienza nazionale ed etnica. La mia terra.
Premetto che studi classici non ne ho fatti (sono Perito Elettronico) e perciò le inevitabili imperfezioni linguistiche mi saranno perdonate.
...Ut Comites de Blanderate non vadant in Vallem Siccidam...
Fin da piccolo avevo sentito parlare dei biechi oppressori Conti di Biandrate, che ancora nel 1200 pretendevano di far valere i loro diritti feudali, incluso l’ignobile ius primae noctis, a danno dei fieri valligiani, e di Fra’ Dolcino, che aveva capeggiato una rivolta senza speranza e senza successo ma che fu capace di suscitare contro di se una vera e propria crociata. Una crociata senza fede e senza onore.
Affabulazioni forse, ma che lasciarono in me una grande sete di conoscenza.
Ancora oggi, quando mi reco a Campertogno a visitare il Museo di Fra’ Dolcino, sento in me una vibrazione profonda, una voce che grida, tra le fiamme del rogo, dal profondo del tempo.

Ma chi era Fra’ Dolcino?
Iniziai molti anni fa le mie ricerche. Dobbiamo partire da Gioacchino da Fiore, monaco, profeta ed esegeta, eremita nella Sila. Egli fu il fondatore dell’Ordine Florense e dell’Eremo di San Giovanni in Fiore.
A costo di essere noioso e pedante devo esporre il suo pensiero. Ad ogni Persona della Trinità corrisponde un’età storica: al Padre l’epoca precedente alla venuta del Cristo; al Figlio l’epoca della Chiesa con Nuovo Testamento; allo Spirito Santo un’epoca futura che, qualificata dalla lotta contro l’Anticristo condurrà, attraverso le persecuzioni, al Giudizio di Dio. Secondo le profezie di Gioacchino, l’anno 1260 doveva corrispondere all’inizio della Terza Epoca, quella della manifestazione finale dello Spirito.
Fra’ Gherardo Segarelli da Parma, francescano seguace di Gioacchino, fondò nel 1260 il movimento (detto ereticale) degli Apostolici, che volevano prepararsi alla Terza Epoca predicando la penitenza. Ebbe largo seguito, ma ciò non impedì che il suo movimento, osteggiato da francescani e domenicani, venisse condannato. Il rogo gli chiuse la bocca e gli suggellò il cuore nel 1300.
La sua eredità fu raccolta da Fra’ Dolcino.
Dal suo unico scritto pervenutoci, sappiamo che egli, divenuto guida degli Apostolici, integrò e corresse la profezia escatologica di Gioacchino aggiungendo una Quarta Età alle tre Gioacchiniane: quella della restaurazione della purezza di vita e dottrina della Chiesa. La sua visione ecclesiologica prevedeva il rifiuto dell’obbedienza, se non condizionale, al Pontefice e la liceità della predicazione ambulante dei laici. Il suo fervente escatologismo considerava una Chiesa scaduta dallo stato di primitiva perfezione e declinante dai tempi di Papa Silvestro: onde l’imminenza del castigo celeste e l’avvento del regno di una nuova Gerusalemme.
Perseguitato dall’Alto Clero e da Francescani e Domenicani egli, sostenitore dell’ascesi e della povertà assolute, organizzò una fiera resistenza in Val di Sesia, finché la crociata bandita contro di lui da Clamente V° lo costrinse a trincerarsi con i suoi fedeli sul Monte Revello. Arresosi per fame, fu arso con la fedele compagna Margherita e alcuni compagni.
La Val di Susa seguì il suo destino.
La dolce e fiera terra che si stende dal Monte Rosa a Romagnano, tra le valli della Dora Baltea e del Ticino, era sempre stata trattata come oggetto di dazione e conquista.
Ottene III° Imperatore già nel 999 ne investiva arbitrariamente il Vescovo di Vercelli: ma nel 1025 Corrado II° ne faceva donazione al Vescovo di Novara.
Nel 1070 divenne possesso dei novaresi Conti di Biandrate, biechi tiranni spossessati da Fra’ Dolcino. Qualche tempo dopo la gloriosa fine del Frate la Valle di Sesia, per...spintanea dedizione, passò in possesso dei Visconti (1365).
Il resto è storia moderna.

Detto questo, devo riferire quale misterioso legame, quale tramite esoterico mi leghi personalmente a Fra’ Dolcino, del quale sono e mi sento in grado di perfezionare il pensiero profetico.
L’idea (o fu ispirazione?) mi venne leggendo il libro “L’Esorcista”, la dove si racconta che la protagonista era stata posseduta da un’entità spiritica (nell’occasione diabolica) mentre praticava un “gioco” molto in voga tra i giovani americani: su un tabellone circolare, con su scritte le lettere dell’alfabeto, i numeri da 0 a 9 e alcune caselle corrispondenti a risposte abbreviate (es. NO – SI – Non posso dirlo, ecc.) si pone capovolto un bicchiere leggero, sul fondo del quale si posano con leggerezza gli indici della mano destra dei partecipanti, che devono essere non meno di 4 e non più di 6.
Si compone in tal modo una catena spiritica. E, se tutto funziona, il bicchiere comincia a roteare e risponde alle domande componendo parole e cifre. Se al bicchiere si lega una matita a punta tenera, si possono anche fare esperimenti di scrittura automatica.
Pensai di collegarmi con Fra’ Dolcino.
Radunati alcuni amici di fede Leghista, ai quali feci giurare il silenzio, iniziammo gli esperimenti in un’antica e semiabbandonata cascina, molto adatta allo scopo.
Dopo alcuni tentativi sfortunati (premevamo troppo sul bicchiere, mancava la necessaria concentrazione o intervenivano spiriti disturbatori) il successo fu completo.
Una notte di temporale, dopo manifestazioni impressionanti (il tavolino sul quale era posato il tabellone oscillò e si sollevò di circa 15 centimetri, mentre si diffondeva nell’ambiente uno sgradevole odore di carne bruciata), Dolcino si degnò di parlarci.
Molte cose segrete egli disse che io non posso ancora rivelare.
Una però mi comandò di esternare e predicare, con speciale riguardo ai Postatori di POL: L’AVVENTO DI UNA QUINTA ETA’ !!
La Quinta Età è quella dell’Avvento della Padania.
Fra’ Dolcino ci ha rivelato che la Padania è la nuova Terra Promessa, il nuovo Eden che sopravvivrà alla generale decadenza di costumi ed ambiente del resto del mondo abitato, la cui fine è ormai prossima.
Nella Padania, e in particolare nella Valle di Sesia, sorgerà la Nuova Gerusalemme, Patria delle 15 Tribù degli Eletti (che nulla hanno a che vedere con le 12 tribù d’Israele).
Di più non posso dire, essendo vincolato al segreto. Pubblicherò l’intera Profezia solo dopo la comparsa dei 3 Segni, anch’essi per ora secretati.
Aggiungo solo, e vi prego di non prendere sottogamba la cosa, che Fra’ Dolcino, durante un esperimento di scrittura con la matita, disegnò in un sol tratto la sua effigie, somigliante stranamente a quella del Senatore Bossi, nel quale potrebbe (non nego e non confermo per i noti vincoli) essersi reincarnato.
Aggiungo ancora che abbiamo parlato con Fra’ Dolcino di alcuni Forumisti, e in particolare di Teognide il quale ha osato asserire che i Dolciniani erano stronzi eretici pauperisti e spoliatori...
Ebbene, tutto si spiega: Dolcino ci ha confidato che il Prof. Teognide, falso maestro presso la Scuola di Pavia, è lontano discendente, anche se collaterale, degli infami Conti di Biandrate.
Tutto si spiega, dunque.

Tutto ciò ti dico e affermo, zio Cirno, perché tu, novello Giovanni Battista, possa anticipare sul Forum la mia predicazione.
Il vero Fra’ Dolcino mi interdice, infatti, di parlare per ora in prima persona di quanto accaduto.

Poenitentiagite.
Fra’ Dolcino Postatore.

Ricevo e pubblico, turbato ed incredulo al tempo stesso.
Non sta a me, tuttavia, giudicare, dato che la lettera è, di fatto, indirizzata a tutti voi.
Farneticazioni o profezia? Non ritengo, in ogni caso, che gli esperimenti spiritistici debbano essere dileggiati. Qualcosa di vero potebbe esserci.
Quanto al reincarnato Bossi, gli auguro di evitare...di quella pira l’orrendo foco. Sarà meglio per lui rimanere alle note di Va pensiero!!

Zio Cirno.

(12.4.2001)

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31-07-2001 16:59




Nona lettera

Cantolibero e la giornata nefasta

Carissimo Zio.
Dovrei essere contento di me, e dovrebbe esserlo Mammà.
A 21 anni appena compiuti, giornalista (cronista sia pure avventizio, ma per un importante quotidiano di Napoli); studente di Giurisprudenza in regola, quasi, con gli esami, anche se con una media bassina (non si può fare tutto e bene); proprietario di una Punto tutta ammaccata; nella manica del Boss, al giornale, per il quale faccio il galoppino elettorale...insomma un guaglione di belle speranze.
Invece no, caro zio.
Ieri ho avuto una jurnata....’e mmerda.
Prima di tutto, l’esame.
Ero in lista per la prima mattinata, esame (non lo denomino esattamente, per motivi di privacy) dell’area del Diritto Amministrativo, piuttosto cazzuto. Preparazione: approssimativa, per eufemismo (c’è la campagna elettorale...)
Tutti sanno che il Profe è un grande stronzo, e che va per simpatie.
Ecco allora il colpo di fortuna: Mammà è molto amica della portinaia, la Sora Rosa (abitiamo in un vecchio ma decoroso palazzone adattato a condominio, nei Quartieri Spagnoli).
Che c’entra la portinaia, direte voi?
C’entra.
La Sora Rosa è parente del genero del Professore (matrimonio riparatore ma con cerimonia all’Hotel Vesuvio e fotografie sulla scogliera di Castel dell’Ovo, nemmeno un mese fa).
Mamma mi ha detto che la Sora Rosa, tramite il genero (Ciro Capuano, mi pare si chiami) aveva interessato il Professore, ottenendo la promessa della sua benevolenza.
Basta che non stai zitto e passi l’esame, mi ha detto. E mamma tua ti fa trovare la minestra maritata, che ti piace tanto.
La strizza l’avevo lo stesso, sapevo di non sapere. Una mazza.
Alle 9, l’appello. Alle 10.20. il mio turno.
Mi siedo.
Il Profe guarda il libretto, evidentemente mi individua, strizza l’occhio destro.
Capisco tutto. Strizzo anch’io l’occhio destro, in segno d’intesa.
Il Profe si alza, poi si siede. Strizza ancora l’occhio, io strizzo di risposta.
Sembra nervoso...evidentemente fa per finta, la sua fama di ammazza-studenti è terribile. Roba alla Teognide, per intenderci.
Mi dica...possono lo Stato o, al limite, un qualsiasi Ente di diritto pubblico assumere la qualità di erede?
Lo guardo, non so che rispondere. Che cazzo di domanda. Strizza l’occhio, io strizzo. Comincia a tamburellare con le dita.
Potrebbe ripetere la domanda....azzardo. Non ho capito...
Strizza l’occhio, io strizzo. Il suo viso comincia ad assumere un colorito violaceo. Forse non starà tanto bene...
Senta giovanotto, mi dice. Cominciamo dai fondamentali. Mi sa almeno dare la definizione di erede, in generale?
Oddio. Mi attacco alle reminiscenze di Diritto Privato. Ho preso 19, l’anno scorso.
Mi pare di ricordare. Sono sicuro, anzi. Trionfante sparo:
l’erede è il figlio del defunto!
Strizzo l’occhio, sorrido.
E’ seguita una scena apocalittica.
Il Profe diviene paonazzo, si alza, crolla sulla poltrona. Gli Assistenti, servili come sempre, lo attorniano. Gli fanno aria. Qualcuno gli passa un bicchiere d’acqua. Si riprende.
Anzi, riprende il libretto e scarabocchia nervosamente qualcosa. Se ne vada, mascalzone!, sbraita. Me ne vado.
Sul libretto c’è scritto 12/30. Mi si avvicina una compagna di corso. Sei matto, mi dice. Perché lo hai preso per il culo strizzandogli l’occhio? Non sai che ha un tic?
Il mondo mi crolla addosso.
Come faccio adesso a dirlo a Mammà, che sono due giorni che lavora alla minestra maritata?
La Punto ha due gomme a terra, tagliate. E’ troppo!
Provo a telefonare all’amico Pupetta (me lo tengo buono, potrei fare con lui il praticantato) ma non lo trovo. Non c’è mai quando serve.
A casa non ci torno.
Me ne vado a mangiare da solo, da Mimì alla Ferrovia....devo riassettarmi le idee.
Il cibo deve essere buono, ma c’è un fumo pazzesco. Una tavolata di rappresentanti di commercio bolognesi, vicino a me, esala nuvole di pipa e sigari.
Ho lo stomaco bloccato, non riesco a trangugiare che pochi bocconi. Bevo, però.
Vado a casa. La camminata è lunga, ma arrivo più fatto di prima.
Suono, mi aprono, entro.
Mamma e Sora Rosa sono in salotto.
Scostumato, che hai fatto! Mi grida Mamma. Hai mancato di rispetto al Signor Professore!
Sora Rosa si torce le mani.
E io che ti avevo preparato la minestra maritata!
Mamma mi si avvicina. Hai anche fumato!! Mi allunga un ceffone, mi manca.
Esco senza dire una parola. Vado al giornale.
Guagliò, mi dice il Boss (che corre in un collegio non del tutto sicuro), c’è un comizio della Mussolini in Piazza Plebiscito. Vai e, mi raccomando, un bel servizio e interviste.
Lo guardo. Strizzo l’occhio destro. Un occhio pieno di lacrime.
Nun me scassate ‘o cazzo, dico.
Me ne vado.
Un collega mi dice che l’Avvocato Pupetta mi ha cercato. Al diavolo anche lui.
Esco e m’incammino. Non so per dove.
Ch’aggia a fa’, zio?
Il tuo disperato nipote,
Cantolibero.

Cari Amici miei.
Sono rimasto molto amareggiato. Anche la mia giornata è divenuta triste e grigia dopo aver letto questa lettera.
E’ difficile essere giovani!
Apprezzo, per un momento, la mia terza età.
Cantolibero, non te la prendere. Tutti hanno momenti negativi, ogni tanto.
Non te la prendere, figlio mio.
Passerà, ‘a nuttata.
Deve passare. Tutto passa, purtroppo...o forse per fortuna?
Vostro affezionato:
Cirno.

(17.4.2001)

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31-07-2001 17:32



Decima lettera

Valentino Pupetta: una vita esagerata

Caro Zio,
Sento di dover mettere un po’ d’ordine nella mia vita.
Di me sai quasi tutto, ne sono certo.
34 anni, avvocato rampante, interesse per tutto quanto è infruttuoso...
Sono della terra d’Abruzzo, retaggio Sannita, fame di successo e di cibo buono ed abbondante. Mangio (troppo), bevo (troppo), leggo (troppo)...
La mia vita si consuma tra Studio, Tribunale, bar e osterie.
A casa, quelle poche volte che ci sono, ascolto musica classica e antica. Dei contemporanei, mi piace Battiato, forse perché è in sintonia con la mia inconfessata depressione.
Poi il PC, POL...riesco ad essere anche uno strenuo postatore, oltre duemila interventi, un record.
E poi la mia compagna, forzatamente trascurata, i miei figli, Valentino detto Pupetta, il più amato, quello che mi ha dato il nick...
Vivo sopra le righe.
La mattina, per svegliarmi, trangugio 10 caffè, talvolta di più. E poi a testa bassa, nel lavoro...
E leggo, leggo, leggo. Di tutto. Cose già lette, anche. Rileggo Dumas, Salgari. Dei contemporanei mi piace Camilleri, forse per quel suo Commissario Montalbano nel quale mi riconosco un poco. Per la sua gola, per la sua frenesia.
Peso 120 chili. Mi pesano. Il mio amico Cantolibero dice che così mi ammazzo. Lui non sa, lui deve ancora vivere.
Perché ti dico tutto questo, zio Cirno?forse perché mi sono scolato mezza bottiglia di bourbon pensando ad oggi? Perché la mia compagna mi parla ormai a monosillabi?
Non mi sento bene. La prostatite cronica, eredità dei miei dissipati diciott’anni, non mi da tregua. Specie quando trasmodo nella crapula. Come questa sera.
Ma che è, il ritratto di un pazzo? No. E’ il ritratto di un giovane avvocato che vuole dalla vita più di quanto essa possa dargli.
Scusami, zio. Ti sto tediando, ma voglio lo stesso raccontarti cosa mi è successo in questa infausta giornata.
Mi sentivo confuso, questa mattina. Ieri sera avevo scritto due recensioni letterarie, scolandomi mezza bottiglia di Old Grand Dad. A letto (dormiamo in camere separate) avevo divorato l’ultimo libro di Camilleri, La scomparsa di Patò....Geniale. Una storia creata con soli rapporti, articoli, lettere, documenti insomma. Pensavo che si potrebbe fare qualcosa di simile con i migliori postati di POL, un libro di grande successo. Avevo poi ricominciato a leggere un romanzetto di Perry Mason...il sonno, simile ad un coma, mi aveva colto dopo le prime righe: Vostro Onore mi oppongo...
Questa mattina, dopo il ventesimo caffè, mi sembrava di essere più lucido, ma le orecchie mi fischiavano, l’equilibrio era precario.
Alle 10 avevo appuntamento con XY, candidato eccellente per la CDL (area CCD-CDU), vecchio democristiano della scuola del mitico Gaspari, con velleità di rientro. Un notabile, un uomo al quale non si può dire di no. Mi ha dato la bozza di un suo volantino, con il suo programma (meglio...promessa) elettorale. Gli ho assicurato che avrei dato un’occhiata, che avrei aggiustato il tutto in salsa moderna.
Alle 11, l’udienza. Un processo strano, una storia strana. Niente patteggiamento, il PM si era opposto. Udienza formale, dunque, arringa che non avevo preparata. Mi toccava improvvisare.
L’imputato, Mahamoud al Moussa, un marocchino, doveva essere un maniaco sessuale. La sua storia era attanagliante. Espulso almeno otto volte, rimpatriato mai, piccoli precedenti per furto, danneggiamento, atti osceni, molestie. Senza fissa dimora. Un normale immigrato clandestino dunque, un “integrato” di quelli che piacciono a Vercingetorige.
Solo che gli era presa una mania strana. Dormiva, ospite non invitato, nei pagliai, nei fienili, dove capitava. La mattina presto, insidiava polli e tacchini, che nelle masserie d’Abruzzo vagano ancora in totale libertà. Li catturava e...li possedeva, si, avete capito bene, li possedeva carnalmente. Se morivano, li appendeva al manubrio della sua vecchia bicicletta, ed andava a venderli nelle masserie più lontane. Piacevano anche le donne grasse e di mezza età, a Mahamoud. Se le massare erano sole, contrattando il pollo le ghermiva di spalle, di sorpresa e le violentava, contro il tavolo o la madia. Poi fuggiva, certo dell’impunità, certo del silenzio delle vittime.
L’ultima volta gli era andata male. Una massaia particolarmente forzuta l’aveva steso, colpendolo con un matterello. Poi, la denuncia, l’arresto, altre avevano parlato.
Era l’udienza conclusiva. La parola alla Difesa! Mi sentivo male. Mi sentivo affondare nell’aria densa. Stordito, assente.
...Vostro Onore...Ma che dice, Avvocato! La voce bisbetica del Magistrato mi riportò per un momento alla realtà.
Non sapevo che dire. Frugai nella borsa, ne trassi automaticamente un foglio. Iniziai a leggere.
...Caro amico, se mi darà fiducia, se mi crederà, ne trarrà grandi benefici...
Sentivo la mia voce parlare, al di fuori del mio controllo. Guardai il Giudice, aveva gli occhi sbarrati.
...Pensi ai suoi figli. Vuole concedere loro delle opportunità? Pensi alla casa. Ha bisogno di un mutuo a tassi agevolati? L’illuminazione stradale nel suo quartiere non funziona? Ritiene di meritare una promozione?
Il Giudice era livido. Percepivo rumoreggiamenti, sghignazzate in aula.
...tutto ciò può essere aggiustato. I suoi diritti potranno coincidere con la realizzazione delle sue legittime aspirazioni, se mi crederà, se avrà piena fiducia in me!
Basta Avvocato!, berciò il Giudice. Se non la smette, passerò gli atti al PM!
Ripresi per un attimo il controllo di me stesso. Guardai il foglietto. Era il volantino elettorale di XY che stavo leggendo!
...Non mi sento bene...farfugliai. Cedo la parola al mio assistente...
Corsi fuori, ai servizi. Mi sentii un po’ meglio, dopo aver vomitato.
Il mio praticante si era frattanto rimesso alla clemenza della Corte. Mahamoud aveva beccato 12 anni, senza benefici...
Mi passò accanto il Giudice, nel corridoio. Avvocato (sogghignava...) se mi avesse fatto quelle offerte in privato...forse avrebbe vinto la causa.
Mahamoud, mentre i Carabinieri lo trascinavano via, mi urlava cose orribili. Quando esco ti faccio il culo, come a un tacchino!
Devo cambiare la mia vita, Zio Cirno. Così non reggo più. Non ce la faccio.
Aiutami.
Tuo Valentino Pupetta.

Ricevo e pubblico, sbalordito.
Questa straordinaria lettera pone l’antico problema delle relazione tra giure e soma, tra foro interno e ...foro esterno. E’ chiaro che il nostro amico Pupetta è più fragile di quanto voglia apparire. Vivere “sopra le righe” costa, anche in termini di salute.
Coraggio, Valentino, siamo tutti con te. Rientra nel pentagramma, pensa alla nuova opera letteraria (posso accennare un titolo: “Io, speriamo che me la pol”).
Tuo zio Cirno.

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31-07-2001 17:33


Undicesima lettera

Seconda lettera di Goyassel: la ferita è ancora aperta

Signor Cirno, scrivo a Lei ma soprattutto ai viandanti dei Forum di POL che frequento (pochi), quelli che mi stimano e mi vogliono bene. Non La annovero tra questi.
L’ignobile lettera apocrifa che Lei ha scorrettamente divulgato mi ferisce ancora. Avevo deciso di abbandonare i Forum, sentendomi divenuto uno squallido zimbello.
Lei mi aveva, infatti, dipinto quale vecchio tardo, miserabile, vegetante in indecorosa miseria tra un letamaio ed un covile privo persino dei più elementari servizi igienici.
La mia governante, signora Viola, era stata da Lei ritratta quale vecchia e feroce megera.
La storia poi, anche se non priva di un certo afflato umoristico, aggiungeva alla pietà il ridicolo.
Si, signor Cirno, Lei ferì in tal modo la legittima suscettibilità e l’onore di un anziano Possidente, di modesta agiatezza ma di vita specchiata, la cui famiglia conobbe, certo, tempi migliori ma il cui presente è decoroso e rispettabile.
Niente letamai, niente covili da pecore, niente alterchi da avvinazzati.
Sono un anziano Professionista che non esercita più ma è stato, Le assicuro, un buon Avvocato, dalle cause non sempre perdute.
La saggezza dell’età ebbe infine il sopravvento sul legittimo sdegno, ed ho ricominciato a frequentare i Forum, anche se non con la precedente assiduità.
Non per questo La considero diversamente da quello che ha dimostrato di essere: un sadico sicario, che sotto l’usbergo dell’umorismo cela la sua vera entità.
Detto questo, e sentendomi più sollevato, renderò giustizia a me stesso, descrivendo quale sono e dove abito. Inoltre, per restituire dignità al mio vulnerato simulacro, racconterò un episodio accadutomi domenica scorsa, ben diverso da quello falsamente descritto da Lei, signor Cirno.
Vivo a Roma e non in campagna, dove peraltro possiedo alcuni terreni, vigne e qualche rustico. Il palazzotto avito è stato da tempo ristrutturato e lottizzato da mio cognato malanima, facendo parte della quota ereditaria di mia sorella Giulia. Un vero delitto.
Le mie proprietà, ora gestite principalmente (sotto la mia supervisione) da mio figlio Alfredo, volenteroso ma non sempre all’altezza con i guai che mi combina, sono sparse in una zona della campagna romana che non indicherò, per motivi di privacy. La principale è denominata “Mastro Eugheneio”, ottima vigna convenientemente attrezzata e irrigata.
Come vede, signor Cirno, non sono povero anche se non pretendo d’essere ricco. Devo, infatti, mantenere anche la famiglia di mio figlio, che mi costa non poco.
Come ho detto, vivo a Roma, in una villetta d’epoca liberty, in un quartiere vecchiotto ma residenziale, molto decoroso. Il blasone zucchesco si trova qui, un po’ eroso dal tempo ma sempre leggibile. Non ho orto, ma un piccolo giardino, ove la signora Viola coltiva anche erbe aromatiche, quali salvia, rosmarino, erba cipollina, basilico, aglio e astragalo. Zucche, niente. Letamai, nessuno.
Ho passione per piante ornamentali e fiori, che coltivo in una piccola serra e nei vani più luminosi della casa.
Possiedo anche due gatti e un canarino.
Sono di media statura, magro, con superstiti capelli bianchi e gli occhi chiari. Poiché claudico leggermente con la gamba destra, eredità di una trascorsa flebite, mi aiuto con un bastone d’ebano con manico d’argento a foggia di civetta, eredità di mio nonno Ezechiele.
Sono anziano, ma non dirò quanto. Non sono sposato. Non esercitando più la professione, vivo della mia rendita (dedotto il mantenimento di Alfredo e famiglia, che non mi costa poco) e di una modesta pensione.
Non ho vizi, avendo da tempo raggiunto la pace dei sensi ed essendo astemio, e i miei unici passatempi sono la televisione, la lettura ed il vecchio PC, residuato dello Studio Legale del quale ero contitolare.
Ho così reso giustizia alla mia figura, che da ora sarà meglio conosciuta da tutti.
Una figura normale, dignitosa, come ve ne sono tante. Ma non ridicola.
L’immagine deve però essere resa viva, vitale.
Non sono un’icona. Racconterò pertanto un episodio che non è tale, diciamo uno spaccato di vita di ogni giorno, la mia mattinata di domenica. Una mattinata come tante, ricca di piccole cose, di incontri consumati dal tempo, di parole ripetute, di avvenimenti minori.
Una mattinata come tante già trascorse, come poche, forse, da trascorrere.

E’ domenica, mi sono alzato verso le 9, ero andato a letto tardi sabato sera, colpa del PC e della televisione. La signora Viola sfaccendava, rumorosamente come sempre, intenta alle pulizie. Viene quattro volte la settimana, gli altri giorni mi arrangio da solo.
Mi sbarbo, faccio un po’ di toletta, mi vesto e scendo per il caffè. E’ una bella giornata romana di prima Primavera, soleggiata e ventosa. Il cielo azzurro è solcato da un volo do corvi.
Il caffè è pronto. Saluto la signora Viola ed esco, per la rituale passeggiata.
Il copione prevede: acquisto dei giornali all’edicola d’angolo, attraversamento della strada (al passaggio pedonale, con qualche cautela), secondo caffè al bar-hostaria, “La Conventicola”, dove sicuramente troverò qualche conoscente, pensionato come me, per la conversazione e il commento delle notizie (da leggersi sui giornali, ovviamente: compro il Tempo e L’Unità. Altri ne troviamo al bar.
Ed ecco la sorpresa. Trovo un vecchio conoscente che non vedevo da molto tempo, un Colonnello dell’Esercito di stanza, se ben ricordo, alla Cecchignola.
Lo saluto, mi riconosce, mi dice di essere in pensione da circa un anno.
Mi chiede come passo le mie giornate, gli chiedo come passa le sue.
In modo simile al tuo, mi dice.
Mi alzo alle 7, sono abituato così. Sai, noi militari...mia moglie, di solito, dorme ancora. Mi sbarbo, mi vesto, esco. Compro i giornali, faccio colazione al bar. Leggo le principali notizie. Proprio come te. Solo che, se è giorno feriale (sabato escluso), verso le 9 prendo il tram e vado a fare un paio di ore di attività sessuale.
Fa una pausa, sorbendo il cappuccino.
Sono sbalordito. Attività sessuale? dico. Complimenti! alla tua età! e... dimmi....dove? con chi?
Ma che hai capito! replica infastidito.
Vado a rompere i coglioni agli ex colleghi che sono ancora in servizio.
Mi alzo, lo saluto, me ne torno a casa.
La giornata non è più bella come prima. Sembra quasi...invecchiata, innanzi tempo.
La signora Viola se ne sta andando, ha finito le sue faccende.
Sor Avvocato, ha telefonato il sor Alfredo, mi dice. Ha detto che è andato al Mastro, e che la gelata dei giorni scorsi ha rovinato tutte le vigne. Ha detto che si è dimenticato di pagare l’assicurazione.
Mi sento improvvisamente molto stanco.
Arrivederla, sora Viola. Ci vediamo martedì.
Mi stendo sul canapé. Apro il giornale. C’è un titolo su sei colonne, caratteri cubitali. RUTELLI DICE: VINCEREMO!
Beato lui, penso. Beate le sue illusioni.
Il telefono suona, non rispondo. Non ne ho voglia.
E’ domenica, è una giornata di prima Primavera.

Suo: Goyassel La Zucca.

Ricevo e pubblico. La lettera di Goyassel La Zucca è molto diversa da quella, apocrifa, che io mi sono permesso di divulgare.
Non l’aveva presa bene.....questa seconda missiva appare certamente autentica. Se poi sia anch’essa apocrifa, non lo so: rimetto il caso al vostro giudizio e, soprattutto, a quello dell’ottimo Goyassel.
Spero che da ora in poi il nostro amico scenda dall’Aventino e torni a postare con l’entusiasmo e l’impeto minimalista di un tempo.
In ogni caso il nostro Salotto si arricchisce di un’altra perla, prova che è stata una buona idea istituirlo.....le lettere pervengono numerose, ma non tutte potranno essere pubblicate. Ad maiora!!!

Saluti a tutti!!

Zio Cirno.

(21.4.2001)

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31-07-2001 17:35






Dodicesima lettera

Lupo Solitario e... la dipartita

Caro Zio,
è morto il Lupo, viva il Lupo.
A parte gli scherzi (non ne sarebbe il caso) sento il dovere di illuminarti, e attraverso te rendere edotti tutti gli amici sulle vere ragioni della mia scomparsa.
Scomparsa, ho detto, e non morte: non ancora, spero. Con me scompare anche Blue Time, il mio nick di battaglia e...Lupo Grigio!
Non voglio affermare che sia un mio doppio anch’esso, ma controllate l’elenco dei registrati e decidete voi. I lupi sono sempre e solo lupi. Come già Licaone, re degli Arcadi e i sacerdoti Hirpi, di stirpe italica. Misteriosi e profondi sono i legami che uniscono entità, mondi ed anime.
Veniamo a me, dunque. Figlio unico, di pessimo carattere, ferrarese trapiantato a Bologna, romantico, intelligentissimo, riluttante ai legami, affettuoso coi miei simili, spietato con le prede...tutto in me presagiva il lupo.
E lupo volli essere. Come disse Oscar Wilde, l’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.
Il fatto che io abbia assunto il nick “Lupo Solitario” è un sintomo, non l’essenza della mia mutazione. Da tempo premonizioni, presagi, sogni, comportamenti coatti mi turbavano profondamente. La mia attitudine ferina ha impressionato, spaventato collaboratori e colleghi. Non era questo il punto. In privato, cedevo ad impulsi inquietanti. La luna piena, innanzitutto. Per me era un incubo, ed insieme un’estasi. Mi piaceva essere inondato dalla luna, immerso nella sua luce bianca ed estenuata. Quante notti di luna piena ho trascorso nudo, steso nel terrazzino di casa! Al culmine del suo viaggio, la luna mi penetrava. Orgasmo, furore, appagamento, felicità anzi...non so. So solo che i miei muscoli divenivano cordosi e scattanti, i miei sensi si accentuavano, i miei occhi, le mie orecchie vedevano ed udivano ciò che non è concesso ad umani. E talvolta scaturiva dalle mie fauci tese e frementi il cachinno cosmico, l’ululato liberatorio. Con spavento e ira dei vicini di casa e, talvolta, intervento di vigili e carabinieri.
Non che durante il resto del mese io fossi...normale. Mi prese un’abitudine strana, un bisogno irrefrenabile. Il bisogno di marcare, di delimitare il “mio” territorio.
Così presi ad urinare in giardino, nel terrazzino, in certi angoli di casa mia, seguendo un disegno preciso, geometrico. Non di urina si trattava, ma di un liquido denso, giallastro e odoroso che scaturiva dal mio pene sempre più nodoso e puntuto, con un ciuffo di setole rossastre che era spuntato sulla sommità del glande.
Non vi dico le proteste dei miei conviventi!!! Per fortuna non sono sposato. Ho avuto, in tempi normali, una vita sessuale intensa, ma non esagerata. Direi...omologata.
Dopo l’inizio della mia...mutazione, le mie abitudini sono cambiate anche in questo settore.
La bellissima Labrador dei miei vicini di casa, di nome Cleonice, sembrava impazzire quando mi avvicinavo a lei. Uggiolava, dimenava coda ed anche, sbavava, leccava avidamente.
Cominciai a provare per lei un’attrazione inconsueta. Chiesi al suo padrone, mio buon conoscente, di poterla portare con me, in un’escursione che avevo progettato per una domenica di autunno, in un bosco dell’Apennino Tosco-Emiliano.
Il bosco. Un ambiente che mi attirava sempre di più, misterioso, ricco di vita nascosta, di entità dissimulate.
Appena scesi dalla macchina e penetrati nel ceduo, ci scagliammo uno nelle zampe dell’altra. Ci amammo, furiosamente, ferinamente, a lungo. Di quei momenti di estasi silvana rammento orgasmi squassanti, appagamenti ferini.
Non potei più negare a me stesso l’incipiente realtà.
Stavo diventando un licantropo, un lupo mannaro.
Il mio desiderio aveva violentato la natura, suscitando malie ancestrali ed antiche. Lupo di fatto, e non più solo di nome.
Timorosi di medici e veterinari, ritenendo inadeguati psicologi e psichiatri, mi rivolsi all’esorcista. Invano. Ricorsi allora alla magia, ad un mago-cartomante.. Mi suggerì di recarmi in Irlanda, nella verde Irlanda, terra magica e antica, dove nelle notti di luna è ancora possibile avvertire la presenza del Cavaliere senza testa, che galoppa tra le croci celtiche, e degli elfi e dei folletti schernitori.
Mi disse che tra le rovine della Abbazia di Cashel avrei trovato verità e salvezza.
Ecco perché mi sono recato in Irlanda.
A Cashel mi soffermai davanti alla pietra massiccia, sormontata dalla Croce, ove san Patrizio, il figlio di un Decurione romano rapito dai pirati celti, aveva battezzato Declano il re di Munster.
Dicono le leggende che il Santo, agitandosi in un rituale che la presenza dei barbari suggeriva immaginifico e “impressive”, abbia involontariamente colpito il piede del re con il suo pastorale ferrato, perforandolo.
Il re, fiero e feroce, rimase impassibile, ritenendo che il vulnere facesse parte del rito iniziatico.
Il suo sangue, zampillando, bagnò la pietra.
Dopo di ciò, Patrizio ritornò in Inghilterra, portando con se tutte le serpi velenose che infestavano l’Irlanda. Da allora, infatti le verde isola non ospita serpi di alcun genere.
Capii che le serpi simboleggiavano gli spiriti maligni. Guardai la pietra, immaginando le macchie di quel sangue antico. Si avvicinava la notte, una limpida notte di luna piena. Una grande pace mi pervase. Ero solo. Mi stesi sulla pietra e venni colto da un torpore profondo.
Con il sonno venne il sogno, con il sogno la visione. Un’ombra alta, maestosa, indistinta nelle forme ma con mitra e pastorale incedeva tra i ruderi imponenti e spettrali. Mi parlò con voce profonda.
Se vuoi esser libero, mi disse, recati ai Cliffs di Moher e gettati nel vuoto, senza paura, in questa stessa notte. L’angelo del Signore ti sorreggerà, e sarai mondato.
Mi svegliai di soprassalto, tremante e madido di freddo sudore. L’ombra era scomparsa, la luna piena, al suo acme, inondava la scena. Tipperary, Limerick, Ennis...percorsi in poco più di un’ora la strada che conduceva ai Cliffs, deserta e illuminata dalla luna. L’alba si intuiva all’orizzonte.
Scesi dalla macchina, attraversai il largo prato disseminato di sterco di vacca. Un upupa innalzava al cielo il suo canto lamentoso. Mi affacciai al dirupo, immenso ed invitante. Le onde dell’Atlantico, sotto di me, brillavano di riflessi argentei. Mi lasciai cadere, con un fremito profondo.
Volteggiai, scivolai per un tempo infinito...tutta la vita scorreva in una frazione di secondo davanti ai miei occhi chiusi.
Poi la pace, una pace lattiginosa, appagante.
Caro Cirno, ho ultimato questa lettera rapidamente, nervosamente, con il lapis su un pezzo di carta quadrettata, prima di giungere ai Cliffs, alla luce della luna, e l’ho imbucata nel vicino post-box. Ho perciò solo immaginato l’epilogo della mia storia, che perciò potrebbe, e potrebbe non, essere avvenuto.
Sono tuttavia determinato ad effettuare il gran salto, che spero salvifico, ma che potrebbe anche risultare mortale.
Una flebile speranza sussiste, perciò, di un mio ritorno.
Un ritorno non più da lupo, ma da uomo.
Almeno spero.
Abbi il mio saluto, caro zio, e ti prego di estenderlo a tutti coloro che mi hanno apprezzato e mi hanno voluto bene.
Addio.
Lupo Solitario.

Ho ricevuto questa lettera via posta, un foglietto spiegazzato e scritto in parte a matita, come fosse stato vergato in tempi diversi.
Temo per la sorte del povero Lupo.
Non posso che pubblicare, attonito, la lettera e sperare, con voi, in un sia pur improbabile ritorno.
So long.
Zio Cirno.

(27.4.2001)

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31-07-2001 17:37



Tredicesima lettera

Hipatia: amor sacro, amor profano

Ricevo da Hipatia questa lettera molto singolare, molto audace. E’ tuttavia vita vissuta ed io la pubblico, su desiderio espresso della mittente. Facciano tesoro di quanto capitato alla simpatica Hipatia altre seguaci di Saffo, se ve ne sono tra le Forumiste, come è possibile.
Non sempre le cose sono come sembrano...specie nel mondo dell’effimero e dell’illusione.
Buona lettura!

Caro zio Cirno.
Essere lesbiche a Falconara. Peggio: essere lesbiche fasciste. E’ stata dura, durissima. I “compagni” mi dicono che se sono omosessuale non posso non essere di sinistra. E così mi accusano, mi dileggiano, affermano che sono una lesbica...omologata. Una diversa uguale, che per farsi sdoganare si prostra al machismo della destra più retriva.
Stronzi. Dire che omo è di sinistra ha la stessa validità politica e morale di affermare che etero è di destra. Il ragionamento è da bar sport: ne consegue che tutti i compagni sono froci.
Io sono fascista (fascista, notate bene, niente a che vedere con alleanza nazionale) anche e soprattutto per non essere, non sentirmi omologata, prigioniera di schemi dialettici. Il Fascio è fiamma, è libertà, è passione. Omo ed Etero possono conviverci, se non si sono appiattiti sulla codificazione di una ritualità che non lascia spazio all’impulso.
Essere lesbica a Falconara, cittadina mezzo monte e mezzo mare, provinciale quanto basta per renderti le cose difficili.
Rammento le mie inquietudini di fanciulla che cominciava a realizzare la sua diversità senza ancora capirla.
Cercavo la solitudine, in bicicletta e poi a piedi raggiungevo i mesti ruderi del castello di Barcaglione. Mi piaceva e mi piace ancora quel posto. Antico, misterioso, solitario. Mi stendevo sull’erba a pensare. Avevo sentito la storia del conte Lucio che, nel 1373, assediava il castello. Ne accettò la resa ma, irrispettoso dei patti, si rese responsabile di uno dei più efferati stupri collettivi...”le persone fonno poste in preda, et le robbe ad saccomanno”, racconta Oddo di Biagio.
Odio lo stupro, odio la violenza in amore. L’amore (si fa per dire) del maschio è violento, anela alla penetrazione, gode della sofferenza. E’ un amore sadico. Non tutte le donne però sono masochiste. La maggior parte non lo è. Le donne vogliono essere amate con i fiori, non con la clava. Il piacere delle donne è poesia, è fremito, è carezza, è gioco. Il sesso della donna è un fiore, quello dell’uomo è randello. I fiori non amano il bastone, preferiscono la rugiada alla tempesta, il tocco leggero alla randellata sudata ed ansimante.
Ho cercato di sublimare, di sviare il mio istinto in tutti i modi. Ho pensato di darmi al volontariato. Mi piaceva l’idea di far parte dell’Associazione “Anita”, quella che a Falconara si dedica alla raccolta e all’assistenza dei cani randagi e abbandonati. Ho provato a fare l’amore con un ragazzo. Ne ho tratto solo disperazione e ribrezzo.
Mi sono accettata, alla fine. Ho trovato un grande amore, una donna sensibile ed esperta, sposa infelice, più anziana di me. Mi ha dato tutto, mi ha insegnato tanto, mi ha fatto provare piaceri tenui ed appaganti. Ci davamo appuntamento al mulino Santinelli, sull’Esino, sotto l’antico porticato cadente. Il luogo, romantico e abbandonato, è bellissimo. Poi, tutto è finito.
Ho imparato da lei l’arte di distinguere le donne, l’abilità di scoprire, di individuare quelle che, consciamente o ancora inconsciamente, sono “diverse”, diverse in senso saffico, con tesori d’amore e poesia da dischiudere. Sono spesso nascoste, sotto il pesante chador della paura e del pregiudizio.
Le donne si distinguono in due grandi categorie: le vaginali e le clitoridee. Le prime sono votate all’etero, sono basicamente masochiste, spesso non sono intellettuali. Desiderano la penetrazione e si sottomettono volentieri ai voleri del dio Priapo, al Totem volgare dell’amore profano.
Solo eccezionalmente una vaginale è disponibile a rapporti lesbici, e in questo caso si tratta sovente di bisessualità.
Le clitoridee no. Sono quelle che il maschio definisce spessi “frigide”. La turpe penetrazione non è per loro. Sono intellettuali, intelligenti, sensibili, amano la poesia, i fiori, i tocchi leggeri. Sanno distinguere tra Eros e Pornos. Preferiscono il primo.
Tra loro si celano i fiori nascosti, le amiche di Saffo.
Quando una donna mi piace, mi attira, cerco sempre con molta diplomazia di capire se è vaginale o clitoridea. Nel secondo caso, lascio che l’amicizia trascenda in complicità, in gioco sottile ed eccitante. Spesso ho successo.
Si tratta però quasi sempre di rapporti fugaci, che durano poco. Le lesbiche inconfessate sono volubili, si pentono, prigioniere del pregiudizio, dei complessi di colpa.
Io cerco il vero amore, la relazione stabile.
Essere lesbiche non ti aiuta sul lavoro. Appena ti individuano, i machi ti boicottano, ti dileggiano, ti fanno la guerra.
A pena di inenarrabili difficoltà, a prezzo di durissimo lavoro, sono riuscita a divenire Area Manager. Non vi dirò un che settore, mi limito a dire, per ovvia riservatezza, che si tratta di un lavoro di produzione.
Come Area Manager ho un ufficio, una segretaria, e rispondo al Capo Settore.
La segretaria. La chiamerò Diana, un nome apocrifo. Di norma evito di instaurare rapporti personali sul lavoro, ma nel suo caso non ho potuto resistere. Una cerbiatta, flessuosa ed affascinante, i lineamenti della madonna del Lippi, gli occhi viola dallo sguardo romantico e innocente, la boccuccia scintillante, i piccoli seni appena evidenti sotto la camicetta leggera.
Fummo subito amiche, mi convinsi presto che era clitoridea. Divenni la sua confidente, si confidava volentieri con me, mi rivelava i suoi turbamenti, le sue incertezze. Aveva un ragazzo, più un’amicizia che un amore, mi disse che non aveva mai avuto rapporti completi, solo qualche bacio, qualche toccamento. Voleva troncare, non sapeva come fare per non ferirlo.
Mi sentivo in completa sintonia con lei eppure esitavo a rivelarmi, per una sorta di inspiegabile timore. Amor sacro, amore inaccessibile.
Il mio Capo Settore, uomo villoso e volgare, l’aveva adocchiata e le rivolgeva complimenti pesanti. Diana arrossiva, io ribollivo.
Sul lavoro era perfetta, cercava di apprendere rapidamente ed in profondità, come volesse impadronirsi di tutta la mia esperienza.
Un giorno mi confidò, piangendo, che il Capo Settore l’aveva molestata, aveva cercato di baciarla. Ci abbracciammo stretto stretto, avvertii il turgore dei suoi capezzoli sotto la camicetta leggera, sentii la vibrazione del suo corpo flessuoso.
Capii che era giunto il momento. Il giorno dopo era sabato, l’ufficio rimaneva chiuso. Le proposi un appuntamento al Mulino Santinelli, sotto i portico antico. Avremmo parlato, avremmo fatto un pic-nic noi sole. Accettò. Il mio cuore scoppiava di gioia.
Il giorno dopo l’attesi a lungo sotto il portico, l’attesi inutilmente.
Disperata, rientrai in città, e non sapendo che fare, andai in ufficio per sbrigare del lavoro arretrato, avevo la chiave.
Mi sedetti alla scrivania, gli occhi chiusi, il cuore in tumulto. Pensavo a ciò che poteva essere successo. Udii dei rumori, un rantolo strozzato provenire dall’ufficio del Capo Settore, dall’altra parte del corridoio.
Allarmata, mi avvicinai, socchiusi la porta. E vidi.
Il Capo Settore era steso sul tappeto, gli occhi stralunati, la camicia sollevata sul petto grasso e villoso, le brache abbassate a coprire le scarpe. E Diana, sopra di lui, lo possedeva selvaggiamente, il bel viso innocente deformato dal rictus della lascivia, la bocca sbavante dalla quale fuoriusciva un ansimare osceno.
D’improvviso capii tutto. Riaccostai con attenzione la porta e me ne andai in silenzio. Mi aveva ingannata, mi aveva sfruttata.
Il successivo lunedì scambiammo solo poche parole, ufficiali. Nessuna spiegazione, né richiesta né offerta, per l’appuntamento mancato.
Dopo pochi giorni ci separammo: era stata nominata Manager per l’Area Ovest. Aveva ottenuto quello che voleva.
Non è facile essere lesbiche a Falconara, caro Zio, non è facile esserlo sul lavoro.
Però mi è servito di lezione. Ora ho una segretaria vaginale, sposata e madre di due figli. Meglio così.
Ho anche una compagna, una donna placida e sensibile, non bella, più anziana di me, che mi fa da amante e da mamma.
Un’insegnante in pensione.
Fascista però lo sono ancora. Lo sarò sempre.

Ti ho fatto queste confidenze anche per liberarmi di quel dolore, di quella umiliazione.
Non è facile la vita per le lesbiche, caro Zio.

Tua Hipatia.

(10.6.2001)

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31-07-2001 17:39



Quattordicesima lettera

Erasmus: un giorno trascorso, un uomo stanco

Le fiammelle delle candele danzavano lievemente alla brezza della sera, e sembravano quasi ritmare il salmodiare sommesso dei fedeli.
Camminavo lentamente anch’io, in silenzio, uno tra tanti lungo il viale alberato che conduce alla villa di Novare, quella che ospitò un giorno lontano gli amori del Pindemonte e della bella contessa Mosconi, nobildonna veneziana di propensioni letterarie e di larghe vedute.
La Via Crucis di Pasqua! Una via crucis di quartiere, quasi per intimi.
Novare, il mio bel quartiere ai piedi delle dolci colline della Valpolicella.
Conoscevo molti dei partecipanti, almeno di vista. Forse tra loro ti celavi anche tu, Cirno, spirito bizzarro ed oscuro.
La mia via crucis.
La brezza si fece dispettosa al diradarsi dei cipressi, vicino al ponticello sul progno ricco un tempo di buone e pure acque, spegnendo molte candele. Rabbrividii senza volere, e mi sentii stanco.
Quinta stazione...non riuscivo a prestare attenzione alla voce del prete. Il mio pensiero vagava lontano, nel passato, nel mio vissuto.
Dicono che quando uno muore rivede tutta la sua vita in pochi istanti, come un film a rovescio.
Era la sera che moriva, erano le fiammelle delle candele che si spegnevano, non la mia vita, anche se ormai in gran parte trascorsa. Una vita che in quel momento mi parve inutile, in un certo senso sprecata.
Perché?
Ecco, troppi perché, troppi miti spesso infranti, troppe contraddizioni hanno scandito i miei passi.
Perché, giovane studente innamorato delle materie classiche mi iscrissi a ingegneria elettronica facendo violenza alle mie inclinazioni?
Perché, conseguita la laurea, cercai lavoro a Milano, abbandonando la mia città, Verona, e la mia gente?
Perché, nonostante il successo professionale, abbandonai tutto riducendomi a insegnar matematiche negli istituti tecnici, pur di tornare?
Perché, ora che sono in pensione, son tornato a far lo studente?
Perché, perché, perché?
Sono ancora alla ricerca di me stesso. Un me stesso che pare sfuggirmi, che forse danza nelle fiammelle leggere, che vola via con la brezza dispettosa, che scorre nell’acqua del ruscello indiscreto.
Ho cercato una bandiera, l’ho trovata nell’Europa, nel progetto nobile e bello di un’Europa federale e finalmente unita.
Per questo mi sono introdotto e impegnato in POL, per discutere, approfondire questo storico progetto, per convincere ed essere convinto.
Macché.
Tutti i miei sforzi si sono rivelati inutili. Di tutti i forumisti, che pure dovrebbero essere animati da interesse nelle cose politiche, ben pochi hanno risposto ai miei contributi, nessuno (o quasi) mi ha arricchito.
Ma quale politica! Anche POL, come quasi tutto in Italia, si è rivelato uno spettacolo di arte varia, nel quale perditempo di ogni risma e fazione si scambiano lazzi, sberleffi e produzioni “letterarie” di goliardica ovvietà.
Il mio Forum sul federalismo è tra i meno frequentati e spesso ho pensato di chiuderlo, quale palestra inutile e deserta.
Per ottenere risposte copiose e benevolenti devo mio malgrado esibirmi al Bar Sport, alias Forum dei Senescenti, e declamare insulse e risibili concioni, al pari degli altri frequentatori. Allora sì che il successo è assicurato!
Se poi scrivo in latino (caro latino, amico della mia giovinezza, perché mai ti ho tradito a favore delle aride matematiche? Perché, invece di letterato, scelsi di divenir meccanico?), il successo è doppio, perché nessuno o quasi lo capisce.
Se almeno l’Europa facesse progressi. Un gigante economico che rimane nano politico, disunione di nazioni aventi tutte, di fatto, un paralizzante diritto di veto, che pensa di surrogare l’unione politica con quella della moneta, di sostituire alla sovranità il borsellino...
In questo deludente contesto ho incrociato te, zio Cirno, perfetto vessillifero (come giustamente ha notato PV) di tutto ciò che mi disgusta e ferisce.
Ti odio, zio Cirno, ti odio (virtualmente s’intende) perché sprechi il tuo indubbio talento contrabbandando l’umorismo per cultura, il lazzo salace per pensiero, la barzelletta per politica, la sghignazzata per riflessione.
Così facendo contribuisci in modo determinante a snaturare i Forum cui partecipi, togliendo loro serietà e nerbo.
Ancor più ti detesto perché, se è vero quel che dici, hai trascorso la tua vita lavorativa in una Organizzazione Internazionale, acquisendo così un prezioso bagaglio di esperienze e nozioni che ora ti rifiuti, di fatto, di condividere e discutere con altri.
Come l’eroe negativo della parabola, hai avuto i talenti e ora li sprechi.
Ti invidio anche, zio Cirno.
Ti invidio per la tua indomabile leggerezza dell’essere, per il tuo successo, per la simpatia che riscuoti, per il fatto che riesci a sorprendere e divertire, anche se, al pari di me, non riesci a convincere. Non riesci a convincere perché, al contrario di me, non vuoi farlo.
So che mi conosci, forse anche di persona, che abiti non lontano, che di me sai molto, ma a me non ti sveli.
Avrei preferito dirti queste cose in faccia ma, riuscendomi ciò impossibile, sto al tuo giuoco, e sfrutto il tuo Salotto quale recapito postale.
Non credo, tuttavia, che pubblicherai questa lettera, lettera amara che, spero, ti arrecherà un po’ di sofferenza e dispetto.
Quanto a me...continuerò a camminare lentamente, lungo il viale alberati che conduce alla villa di Novare, finché la brezza dispettosa non avrà spento, con le altre candele, anche la mia...
Ti saluto, zio Cirno, e ti auguro buon divertimento.
Tuo disaffezionato Erasmus.

E invece ti pubblico, caro Erasmus, con la mia generosità di Principe buffone.
Ti pubblico perché è giusto che tutti i Forumisti sappiano che tra di loro c’è anche chi preferisce al riso il pianto.
Il punto è: cosa è mai la politica? Menzogna o realtà? Capriccio di potenti o passione di sudditi? Ironia del Destino o opera d’umana saggezza?
Io non lo so, Erasmus. E allora lasciami alla mia indomabile e disincantata leggerezza, e al mio segreto.
Zio Cirno, Spirito libero e bizzarro, Senatore Magnanimo e Erto Pilastro.

(29.6.2001)

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31-07-2001 17:41




Quindicesima lettera

Alfo: il fascino del successo

Cari Amici,
finita l’estate, riapre il salotto. Ed ecco una prima lettera, ricevuta da poco. Una lettera particolare, inquietante, nella quale l’eros si sposa al dolore.
Il nostro amico Alfo ha giocato con la vita, ed ora si trova nei guai.
Chiede consiglio, aiuto, ma che dirgli?
Io un suggerimento l’avrei, ma vorrei sentire il vostro parere.
Caro Alfo, non hai via d’uscita.
Riporta i tuoi Lari in Calabria, dove non mancano sdentati, e prendi la tessera di Alleanza Nazionale.
Buona Fortuna!!!
Zio Cirno.

- - - - - - - -

“Caro Zio,
A parole dovrei essere contento di me stesso.
A parole.
Quando, giovane studente calabrese, frequentavo a Siena la facoltà di medicina, le mie prospettive erano diverse.
La laurea, il rientro in Calabria, una vita da medico di base come già mio padre, mio nonno.
La Calabria. Terra bella, nobile e infelice, stesa tra il monte e il mare, avvelenata da un istinto oscuro di autodistruzione, di farsi male. Bella e deturpata.
Che differenza Siena. Molti studenti meridionali vi frequentano la facoltà di medicina: forse per sentirsi meno terroni, in una città piccola, tra gente aperta e ospitale. Tra gente che rifiuta i pregiudizi, a meno che non si tratti di Palio e di Fascismo.
I senesi sono in stragrande maggioranza comunisti, di un comunismo liberale, che alla rigidità ideologica unisce l’attenzione per il borsellino. Il proprio.
A Siena non sono divenuto comunista, ma di sinistra si. Per intenderci, e solo a titolo di un esempio che non calza del tutto, mi riconosco nell’area di Veltroni, il più americano dei diessini.
L’ho fatto per sentirmi un po’ senese? Per integrarmi? Per convinzione acquisita? Per inconfessato rifiuto della mia seconda anima, quella calabra?
Non so, sono abbastanza disincantato per non pormi una simile domanda, abbastanza cinico per non darvi risposta.
Una cosa capii subito, che in Calabria non volevo e non potevo più tornare.
Così, dopo la laurea, respinte tentazioni e pressioni che mi volevano medico senza frontiere, attento come ogni buon senese al mio borsellino, mi feci dentista. Non medico dei poveri dunque, ma medico per i ricchi.
Non condannarmi, caro Zio, non cedere al desiderio un po’ fascista di ferire chi si scopre il fianco. Ho imparato a convivere con il mio complesso di colpa. Ma di sinistra, a dispetto di tutto, sono rimasto.
Ti voglio confessare un altro mio difetto, un’altra mia colpa che viene da lontano, dal mio ego profondo che è rimasto calabrese.
Le donne mi piacciono, o meglio mi piacevano, in modo pazzesco. In effetti sono sempre arrapato, di un arrapamento prima mentale che fisico. Ma questo aspetto mi ha aiutato a vivere bene, e ti dirò come e perché.
Le occasioni ed i casi della vita, incluso un buon matrimonio, mi portarono a Grosseto, prima come associato, poi quale titolare di Studio.
Il mio Studio dentistico ha avuto presto un successo travolgente. Non che io sia un dentista particolarmente bravo. La mia natura calabrese, il mio serpeggiante arrapamento mi spinsero a scegliere assistenti di studio rispondenti a criteri particolari.
Ora ne ho quattro, scaglionate tra i 23 ed i 33 anni, tutte bellissime, di quella bellezza che piace agli uomini, fatta di mosse, ammiccamenti, procacità, emozioni. Bellezza calda, bellezza eccitante, bellezza che promette tutto e, forse, concede di più.
Sin dall’inizio, tra me e le mie assistenti (prima due, poi sono arrivate le altre) si è instaurato un rapporto strano e complice. Non nascondo di essere un bell’uomo. Io piacevo a loro e loro piacevano a me, questo si capisce. I doppi sensi, le battute spinte, qualche toccamento divennero usuali. Scherzo chiama scherzo e così, giorno dopo giorno, le loro gonne si facevano più corte, le scollature più profonde, il trucco, i profumi più provocanti.
Le mie assistenti divennero famose per i camici sexy, che di fatto nulla, o poco, celavano.
Il gioco cominciò a coinvolgere anche la clientela, sempre più numerosa, soprattutto quella maschile.
Il massimo del successo giunse quando quelle sciagurate iniziarono ad usare tacchi altissimi e calze a rete con reggicalze retrò, dimenticando quasi sempre di indossare reggiseni e mutandine. La loro malizia, che avevo contribuito a scatenare, cominciava a spaventarmi.
Tenevo le parcelle altissime, ma di ciò pareva non spaventarsi nessuno. La sala d’aspetto, confortevole e lussuosa, era fornita di frigobar con champagne d’annata e di maxischermo. Speravo, con la proiezione di films sottilmente erotici, di distogliere l’attenzione dei clienti. Gli effetti, invece di elidersi, si sommavano.
Non ci crederete, ma non ho avuto finora mai veri rapporti sessuali con le mie assistenti. Ero sempre più arrapato, questo si, e spesso si vedeva. Ma rapporti mai, almeno con me: non posso escludere che qualche cliente facoltoso abbia ottenuto di più, in privato.
Ho detto finora.
Il guaio è successo prima delle ferie. Dovevamo fare l’inventario di studio, in vista di una annunciata ispezione della Finanza. Ci siamo trovati noi cinque, di mattina presto, noi soli. Si lavorava in silenzio, ma era un silenzio strano, gravido di promesse mai mantenute, come la calma prima di un temporale d’estate.
Verso mezzogiorno il break. Champagne, tartine, poi l’idea, avanzata da Lalla (nome apocrifo, naturalmente) di vedere un nuovo film che le aveva prestato un amico. Non so se le quattro streghe erano d’accordo, qualche risatella, qualche ammiccamento mi suggeriscono ora di si.
Il film era una bomba, di un erotismo esplicito e cerebrale che sconfinava nella pornografia senza involgarirsi. L’atmosfera si fece presto torrida. Sarà stato l’effetto dello champagne, non so. Faceva caldo. Le quattro ragazze si spogliarono, nel senso che prima si sbottonarono, poi si tolsero i camici rimanendo in reggicalze. Ridevano, si toccavano tra loro.
La mia eccitazione divenne incontrollabile.
Preso da un raptus, mi spogliai anch’io, rimanendo in pedalini. Si avvicinarono, mi sfioravano, ma senza toccarmi decisamente. E qui avvenne il guaio.
Un’eiaculazione precoce, enorme, ridicola, e poi più niente.
Niente Zio, nessuna reazione più, solo una sensazione mai provata prima di frustrazione, di sporcizia, di ridicola impotenza, di senso di colpa. Afferrati i miei panni mi ritirai in bagno, per ripulirmi, per rivestirmi, per fuggire.
Quando alla fine uscii, le ragazze s’erano rivestite anch’esse, pronte ad andarsene.
Buon pomeriggio, dottore. Uscirono, fredde, compassate, come nulla fosse successo.
E invece era successo tutto. Qualcosa si era rotto dentro di me. Qualcosa si era rotto nel microcosmo del mio Studio. Sono passate due settimane, e nulla è più come prima. Freddezza, professionalità, questo si, ma camici castigati, zoccoli bassi, biancheria intima castigata. Non si ride più, non si scherza più, si lavora e basta.
I clienti sono immusoniti, parecchi mi hanno già abbandonato. Ho la sensazione che le cose si metteranno piuttosto male. Mia moglie, che non sa, dice che mi è venuto l’esaurimento nervoso, e mi ha inflitto l’umiliazione di suggerirmi il viagra. Forse è vero, certo che la mia virilità di un tempo sembra svanita nel nulla. Mi sento a disagio. Per la prima volta nella mia vita, ho parlato in famiglia di trasferire lo Studio in Calabria, di ricominciare una nuova vita.
Anche le mie certezze politiche vacillano.
Caro Zio, sono disperato. Tu, che per età potresti essermi padre, quel padre che io non ho ascoltato ed ho forse deluso, tu che sei un uomo di mondo, consigliami.
Sento che devo prendere una decisione, fare qualcosa. Altrimenti il mondo, quel mondo che consideravo mio. finirà col cadermi addosso.
Un mondo pesante, un mondo di destra.
Ti ossequio, caro Zio Cirno.
Il tuo infelice Alfo.”


(4.9.2001)

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04-11-2001 17:13




Sedicesima lettera

Cciappas: dalla Carta de Logu alle minchiate

Si, caro Cirno, ti scrivo e non chiedermi perché. Che ti detesto lo sai, per quel tuo essere fascista e non ammetterlo, per l'improntitudine con la quale spari le più grandi minchiate metastoriche fingendo una cultura che non possiedi, per le tue argomentazioni da bar sport, per l'arroganza con la quale ti fregi di titoli ridicoli, tu e qualla congrega di goliardi falliti e teste da portone dei tuoi amici "senatori".
Siete tutti come Bush, che vuole la guerra al "terrorismo" per dimostrare al mondo che è un duro (o che ce l'ha duro, magari è anche impotente): voi vi isolate nel vostro palazzo virtuale per dimostrare che siete nobili, che siete superiori, e invece siete solo escrementi di vacca.
E pensare che io, ironia della sorte, io che mi sento proletario, io che sono un ortodosso di sinistra, io sono nobile perdavvero.
Nelle mie vene scorre, da parte di madre, il nobilissimo ed impetuoso sangue di Eleonora d'Arborea, la Giudicessa che seppe tener testa a Giovanni d'Aragona che le aveva fatto assassinare il fratello e rapire lo sposo, e nonostante ciò, nonostante la strapotenza degli Aragonesi diede alla mia terra, l'adorata Sardegna, dignità di Patria.
Se fosse vissuta in questi tempi l'avrebbero definita una Talebana: io dico che re Giovanni era Bush, il vaccaro texano.
Da giovane mi guardavo allo specchio, e riconoscendo in me i tratti della grande Eleonora mi ripetevo: tu sei nobile, tu sei un nobile. L'idea mi eccitava, ebbi così il mio primo orgasmo.
Non credere, Zione sfigato, che io sia un democratico come intendete voi, alla moda dei padroni che della democrazia fanno strumento di oppressione. Date il voto a un coglione e lui voterà da coglione.
E' per questo che la destra ha vinto in Italia ed è per questo che si è trattato di un voto truffaldino, non valido. Un voto televisivo.
Vedi, caro zio, una persona colta e istruita non può che essere di sinistra. Duro da accettare ma vero. Fino a che il popolo italiano sarà formato da una maggioranza di minchioni teledipendenti, continuerà a votare per il piazzista Berlusconi, per il tamarro Bossi e per il prevosto Buttiglione. Questo dovrebbero capire Fassino e Rutelli, che l'esperienza sublime delle Frattocchie andrebbe rivitalizzata e diffusa, rendendovi possibili stages e masters per i ragazzi più promettenti e destinati ad occupare posizioni chiave nella Pubblica Amministrazione.
Dovrebbero capire che la lezione dei fratelli Talebani andrebbe compresa: è nelle Madrasse che si è forgiata una massa, una classe di consapevoli combattenti per la libertà e l'uguaglianza. Ogni cellula, ogni sezione dei Partiti e Movimenti di Sinistra dovrebbe costituirsi in Madrassa ed acculturare politicamente e filosoficamente elettori e futuri elettori. La frequenza di tali corsi dovrebbe essere resa obbligatoria per fruire del diritto/dovere di voto. Allora si che la destra retriva, sanguinaria e liberticida non vincerebbe più!
Mao, taumaturgo della modernità, questo l'aveva ben capito.
E veniamo alla ignobile aggressione verso il popolo Talebano, i più ricchi del mondo contro i più poveri. Veniamo anche alle cosidette "stragi" di New York e all'antrace.
Premetto una verità assoluta: i veri colpevoli delle stragi sono coloro che stringono i cordoni della borsa, affamando popoli interi che poi riforniscono di armi per sfruttarne la rabbia ed aizzarli contro i loro stessi fratelli, come nella lotta tra cani o galli da combattimento, giusto perché il grasso plutocrate possa divertirsi e magari scommettere, arricchendosi sempre di più.
Le Crociate vengono da lontano. Quando l'Oriente Islamico era un faro di civiltà e di cultura, l'Occidente barbaro e rapace si è opposto, spezzando il nobile progetto dei Califfi Arabi e Ottomani di civilizzare l'Europa imbarbarita dopo la caduta dell'Impero Romano.
Non dimentichiamo che i Califfi Ottomani erano i veri eredi di Giustiniano e di Niceforo Foca e non dimentichiamo che fu Averroé ad accendere la luce sulla barbarie, restituendo Aristotele a chi l'aveva obliato e rinnegato.
Ebbene, prima i rozzi e famelici Crociati invasero la Palestina e devastarono Costantinopoli, poi i "Frati" pirati e schiavisti spezzarono sugli spalti di Forte Sant'Angelo l'impeto dei liberatori islamici.
Mi correggo: non sugli spalti, ma a mezzo dei pozzi e delle sorgenti di Malta inquinati con carogne di maiali ammalati di carbonchio. I guerrieri del Califfo si ammalarono tutti, e la guerra batteriologica fu vinta dai Cavalieri. Verrebbe da dire: chi la fa l'aspetti.....e poi venne Lepanto, il trionfo del Male.
Questa è la storia scomoda ma vera che tu non vuoi sentire, caro Zione, perché preferisci le minchiate preconfezionate servite dalla scuola dei padroni, quella che insegna ad essere servi.
E adesso l'America erede dei Crociati e dei Cavalieri colpisce sé stessa.
Non ci sono prove che Bin Laden, il Braveheart dell'Arabia, abbia organizzato l'attentato delle torri gemelle.
Guardate l'antrace. Tutti sanno (ed ammettono) che è stato prodotto e diffuso da mano americana. E allora l'attentato non potrebbe essere, verosimilmente, la stessa cosa?
E se Bush e la Cia, spalleggiati dalla P2, avessero dato l'ordine di distruggere le torri per dare il via ad una speculazione edilizia, e nello stesso tempo incolpare Bin Laden e farne il pretesto di una guerra che mira al dominio delle aree petrolifere?
Te le propongo, caro Zione, come ipotesi di lavoro, ma quanto verosimili! E allora, perché non approfondire prima di dargli all'untore di turno? Perché non deferire il caso ad un Tribunale Islamico Internazionale, patrocinato dall'ONU?
Bin Laden è un Eroe e un Santo. Poteva vivere da Nababbo, e invece condivide la vita aspra e rude dei Talebani perché ama la libertà, perché vuole ridare dignità ai popoli Islamici, unificandoli in una nuova grande Talebania.
E poi la minchiata delle donne che sarebbero "umiliate" dal Burqa.
Innanzitutto è una loro libera scelta, e poi, ammettete, il Burqa è elegante, igienico e seduttivo. Sotto il Burqa...niente, perché no? E' più sexy il mistero del Burqa o l'esibizione delle pellecchie vizze e sudaticce delle nostre femmine, dei loro ombelichi graveolenti, dei loro culi scosciati?
Vi siete chiesti perché i popoli islamici sono così prolifici? Burqa e Chador fanno bene all'amore!
E infine l'ultima infamia. Ho sentito dire che Bush, su consiglio di Condoleeza, medita di paracadutare in Talebania branchi di maiali addestrati a penetrare in grotte, gallerie e nascondigli, in modo da sfruttare l'avversione che gli Islamici nutrono verso tali immondi animali per stanarli dai loro ripari. Lo stesso Bin Laden, secondo i consigliori di Bush, verrebbe volto in fuga dall'orda suina.
C'è da crederci, il progetto è abbastanza infame.
Infame e folle, tanto da apparire vero.
Ma una cosa dimenticano i tuoi padroni, Zione Cirno, e una cosa dimenticate tu e i tuoi squallidi sodali, dal panzone Pupetta al ridicolo Ulan al minchione Nanths, tanto per ricordarne solo alcuni: che il Comunismo vincerà a dispetto di tutto e che Bin Laden è intimamente Comunista, perché si batte per gli Ultimi, lui che è nobile e ricco.
Tu non sai, Zio, cosa vuol dire avere sangue nobile e amare l'uguaglianza. E' un ossimoro bello ed esaltante. IO SO.
A noi la vittoria, Compagni.
Riappropriamoci della nostra storia, e voi perirete.
Senza stima,
Cciappas.

- - - - - -

Sono senza parole, stordito quasi da tanta veemenza. Credevo che il "Salotto" fosse ormai chiuso e dismesso, ed ecco la "perla" più bella.
Sono stato in dubbio, tuttavia, se pubblicare o no questa lettera, che mi pareva troppo forte e talvolta, perdonami Cciappas, offensiva.
Poi ho ceduto.
Farà bene a tutti vedere l'altra faccia. Di cosa, lo lascio dire a voi, che ne sapete certamente più di me.
Attendo i vostri commenti, che saranno certamente copiosi e interessanti.
A presto, nipoti miei!
Zio Cirno

(2.11.2001)

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04-11-2001 17:17




Diciassettesima lettera.


Il Salotto dello zio Cirno. Lettera di Teognide: Fori Satietas Me Cepit.

Caro Kyrnos, a Lei scrivo, a Lei che mi fu virtualmente Allievo ed Efebo in una vita lontana nei secoli, quando filosofeggiare ed esser sapienti era bello, ove la "sermonis elegantia" era cosa grata e degna di lode.
Oggi, vulgus impudentium et perditorum imperat, l'insulto è divenuto argomento, la derisione dialettica.
Pur sottraendo tempo prezioso alle mie cure accademiche, mi sono dedicato a lungo a questi Fori sotto l'usbergo di un (quasi) anonimato, cercando spazio ed aria generosi e tersi al fine di elargire a coloro che, cupidi sapientiae, navigavano in tale virtuale quanto periglioso mare, il contributo del mio studio diuturno.
Mal me ne incolse.
Il tempo carpito ai miei studi ed alle mie pubblicazioni contribuì a farmi mancare la nomina ad "Associato" e dovetti emigrare in altro Ateneo per ottenere un adeguato incarico. Exulatum ivi!
Avessi almeno tratto dai Forum qualche gratificazione. Pochi degni, Lei incluso, hanno mostrato di apprezzare i miei interventi che, senza peccar di modestia, posso a ragione definire tutti ponderati, dotti et admirabilis pulchritudinis atque honestatis amore perfusi.
I Forum sono stati progressivamente occupati ed invasi da entità sordide e volgari, capaci solo di insultare e dileggiare.
Tempus venit. Forse non sono stato capito? Forse non sono stato capace di farmi capire? Voglio fare un ultimo sforzo per aprire il mio animo. Tuttavia ciò non significa, almeno per ora, un ritorno.
Fondalmentalmente sono un "laudator temporis acti", forsanche perché il passato, filtrato dal tempo, ci tramanda solo il meglio, laddove il peggio degrada e si dissolve in una immemore oscurità.
Un "meglio" deve tuttavia esistere per essere tramandato, ed io fieramente dubito che alcunché di "meglio" sussista ai nostri giorni.
Quando scelsi il mio nick, fui a lungo incerto tra Rutilio Namaziano e Teognide da Megara Iblea.
Amo Rutilio, poeta del Tardo Impero, ma non per questo meno grande. Nel suo poema in distici elegiaci, "De Reditu Suo" (che conosco a memoria) descrive il viaggio dalle foci del Tevere a Luni, e vi è toccante l'affiorare in ogni verso dell'ammirazione e dell'amore per la bellezza e la grandezza di Roma, che egli sente con animo pagano ed avverso al cristianesimo; in una lunga apostrofe a Roma è il verso immortale, che la esalta quale patria di genti di ogni terra: fecisti patriam diversis gentibus unam.
Eppure era l'anno 417 dell'era volgare, e Roma stava per cadere nella più completa rovina. Potenza allegorica e memore del sogno di Namaziano!
I suoi tempi sono purtroppo simili ai nostri.
Anche Teognide fu poeta elegiaco e sdegnoso Oligarca, ed i precetti che rivolse al suo diletto Allievo tendevano ad infondergli l'odio verso la plebe insolente e il culto per le antiche tradizioni.
Come Teognide, sono ostile al regime così detto "democratico", come lui mi abbandono ad una concezione pessimistica, ma pur sempre serena, della vita.
Etica Aristocratica? Ebbene si.
Sono, mi sento aristocratico. Pur non discendendo dai nobili Conti di Biandrate (come Lei aveva ipotizzato, caro Kyrnos), benemeriti per aver contribuito alla rovina del ciompo Dolcino, posso vantare, da parte di Madre, nobilissimi ascendenti, Patrizi di Biella e Novara.
Un mio Ascendente Paterno fu Gasìndio di Rotari, re dei Longobardi. Il titolo di Gasìndio indicava un rapporto col re di particolare fedeltà e soggezione e comportava, badate bene, un altissimo livello di guidrigildo!
In epoca Franca buona parte dei Gasìndi si mutarono in Vassi. Così non fu per i miei ascendenti, che rimasero di pura fede longobarda. Tuttavia, l'antico e desueto titolo nobilitante si riconosce ancor oggi nel patronimico che io porto e che non rivelerò, pur essendo già noto a molti naviganti del Forum.
Sono dunque e mi sento Gasìndio. La "nobilitas" non perisce, la "generosa stirps" non si estingue.
Detto questo, mi corre l'obbligo di chiarire il mio concetto di "aristocrazia": potestas atque opes optimatium.
Gli Aristocratici sono "i migliori". Da che mondo è mondo, a loro si contrappone la plebe, plebs, sentina Rei Publicae.
L'Aristocrazia raggiunge il suo fulcro, la sua perfezione quando in una persona confluiscono (senza modestia, è il mio caso) eccellenza di facoltà spirituali e nobiltà di nascita.
La sua funzione è di costituire una classe di cittadini che, in un ideale ordinamento della società, si ponga quale parte eletta per patrimonio di doti, cui spetta il governo e la direzione sociale.
Grandi (animo atque virtute) pensatori hanno giustificato l'esistenza di tale privilegio aristocratico, nobilmente reagendo a quel volgare e puteolente appiattimento intellettuale che va sotto il nome di equalitarismo democratico. Ne cito alcuni per coloro che conservano il piacere della ricerca ed il gusto delle buone letture: L. Gumplowicz, A. de Gobineau, Th. Carlyle, R.W. Emerson, per non tacere del sommo F. Nietzsche!
Nemo propheta in Patria. Il popolo di POL, fatte alcune poche eccezioni, non mi ha né capito né accettato. Il "grex suillus" non ha saputo comprendere il mio messaggio.
Che fare dunque? Come Lei avrà certo notato, da qualche tempo ho diradato, anzi sospeso i miei interventi. Chiuso in sdegnoso silenzio attendo. Cosa? che mi venga assegnata, per decisione della Redazione su plebiscito spontaneo dei "Frequentatores" la Tutela Morale dei Forum.
Non intendo essere un Supermoderatore: ritengo però che l'istituzione di una "Authoritas" sia indifferibile.
Solo in tal modo i Forum diverranno ciò che già avrebbero dovuto essere: luoghi di promozione, di formazione politica e culturale, di creazione di consapevole consenso. Nunc est in Schola assidendum!
E chi più degno, più idoneo di me? Nessuno. Lo affermo non per presuntuosa superbia, ma per puro spirito di servizio.
Chiamatemi dunque, o datemi definitiva sepoltura.
Si potrà allora ben dire: Teognide fu, sepulturae honore carens.
Suo: Teognide da Megara Iblea, nobilis, generosus, honestus honesteque genitus Senator.
- - - - -
Cari nipoti, alea iacta est, potrei ben dirlo dopo aver letto e pubblicato questa lettera.
Nessuno mai dei Forumisti osò tanto. Ma Teognide non è uomo comune.
Il suo silenzio era assordante ed ora il suo grido sembra muto. Lontano eppure presente, possente ed umile: il grido di un Monarca, di un Unto che sa servire, che vuole servire.
Permetteremo che sprofondi nell'oblio?
Altro non posso, non so aggiungere. La commozione mi spezza voce e penna.
A voi, dunque.
Zio Cirno.






Diciottesima lettera.

Lettera dall’0ltretomba: Goyassel La Zucca si confessa.



Carissimo Zio,

La situazione in cui mi trovo è strana assai. Sono morto, e vi narrerò come, eppure dal limbo nel quale giaccio posso comunicare, posso leggere e scrivere, posso provare passioni umane se pur attutite dal distacco.

So bene che i malevoli insinuano che io sia stato un clone, di più: un personaggio fittizio creato per dar corpo alle frustrazioni ed alle aspirazioni mediatiche del mio presunto ed asserito autore.

Nulla di tutto ciò. Fui generato, non creato, a simiglianza di colui che mi dette i natali ma ora vivo di morte propria e posso provare emozioni mie, avere ricordi, rimpianti e desideri miei.

Ho soprattutto una missione da compiere, ma di ciò parlerò in seguito.

Cirno Polipaide, diletto tra i nemici miei, ti voglio raccontare ora, proprio in questo preciso momento, le ragioni ed il modo della mia dipartita.

Che ero, anzi sono, vecchio lo sai, ed è cosa usuale che i vecchi muoiano.

Tuttavia io avevo ancora fibra robusta ed alquanti anni da campare. Non era il mio momento, insomma.

Tutto avvenne lo scorso autunno, subito dopo la vendemmia. I miei vigneti avevano una volta tanto reso bene, e pagate le spese (inclusi i debiti di quel coglione di mio figlio Alfredo al quale più per rassegnazione che per fiducia ho affidato la conduzione dei miei poderi), mi era restata disponibile una modesta sommetta.

Decisi perciò di festeggiare invitando a cena le poche persone che saltuariamente si interessano di me: mio figlio Alfredo e sua moglie Luana, la mia fedele fantesca a ore Nicolazza (in funzione anche di cuoca), il locale Segretario del DS (col quale avevo fatto la pace dopo l’increscioso incidente della cucurbita e del letamaio), il farmacista dott. Facocero e il Segretario Comunale.

Avevo per l’occasione acceso il fuoco nel vecchio camino situato nel tinello della mia diroccata dimora: il fuoco diffondeva un chiarore soffuso, creando magiche ombre danzanti sulle parete scrostate.

L’illuminazione era romanticamente assicurata da alcune candele steariche (l’ENEL, alla quale avevo pur pagato le bollette arretrate, non aveva ancora riattivato il contatore).

Il menù era semplice e tradizionale. Abbondante vino dal mio feudo diletto, il Mastro Eugheneio, ribollita di pane casereccio (la Nicolazza si era procurata i necessari seccherelli in casa dei contadini ove lavorava come bracciante, sostenendo che le servivano per le galline), coscia di pecora al forno (il pastore sig. Cucuzza mi aveva donato una sua pecora defunta per incidente stradale) e per finire, torta sabbiosa (una specialità della Nicolazza, di ingestione particolarmente disagevole).

Finito che ebbimo di mangiare e prima della rituale partita a mercante in fiera, accesi la televisione alimentata a batteria (unico mio svago moderno assieme al vecchio computer Olivetti) per ascoltare le notizie.

Su Canale 5, c’era la scimmia ammaestrata di Berlusconi, quel tipo ambiguo dell’on. Vito che polemizzava con aria saccente cercando, con scarso successo, di rintuzzare talune giuste critiche avanzate dagli on.lì Rutelli e Violante circa, se ben ricordo, il conflitto di interessi e le 7 bugie elettorali.

Eravamo tutti disgustati, a parte la Nicolazza che come il solito non ne capiva una mazza (per far rima) e mio figlio Alberto, tutto intento ad estrarsi, con le dita, le filacce di carne di pecora che gli erano rimasti incastrate tra i denti guasti.

Rivolto a lui, per distoglierlo da quel disgustoso maneggìo, dissi a gran voce: “Alfredo, basta con Vito, son meglio la Quercia e l’Ulivo”. E spensi la TV.

La cena ebbe conseguenze funeste.

Durante la notte ebbi difficoltà di digestione, la pecora mi tornava su con rigurgiti continui. Dovete sapere, infatti, che soffro, anzi soffrivo, di ernia iatale.

Poi venne la febbre. Dovetti rimanere a letto per circa 20 giorni, con la Nicolazza che veniva ad assistermi quando poteva. Il medico condotto dr. Spirochetta, un fottuto democristiano del CDU, mi ordinò sali inglesi e due enteroclismi al sapone di Marsiglia che si rivelarono, invero, risolutivi.

Non appena mi sentii un po’ meglio, venne a trovarmi Alfredo.

Protestava di essere stato molto occupato e insisteva perché andassi a “vedere la sorpresa” che mi aveva preparata.

Mi schermii, forse presago di una catastrofe, ma alla fine dovetti cedere. Caricatomi sulla vecchia 600 multipla, Alfredo mi condusse al mio adorato podere Mastro Eugheneio.

Orrore. Tutte le buone vigne erano state estirpate, ed al loro posto erano stati piantati ulivi di seconda scelta (in un terreno dove mai l’ulivo aveva dato frutto) e quercioli intisichiti. Inutile dire che l’impianto di irrigazione, per il quale stavo pagando ancora il mutuo, era distrutto.

Sentii la vita sfuggirmi e le gambe piegarsi, mentre lo sciagurato Alfredo diceva tutto trionfante: Papà, ho fatto quello che hai ordinato tu, basta con i viti, molto meglio ulivo e quercia! Sono stato bravo?

Sprofondai in un pozzo senza fine, cadendo senza peso verso una luce fioca all’estremità del tunnel. Poi persi conoscenza.

Quando mi risvegliai, capii che ero morto. O almeno non più vivo: assolto dai bisogni corporali potevo (e posso) aggirarmi senza peso e senza essere scorto nei luoghi ove avevo vissuto. E’ notevole il fatto che posso scrivere, manovrare il PC, telefonare e, ovviamente, parlare ed emettere suoni vari. Di notte sento il bisogno di riposare, e mi rifugio, in soffitta, dentro un vecchio baule appartenuto a mio zio prete, ora felicemente defunto. Ero e sono insomma divenuto una sorta di ectoplasma telecinetico!

Mi sono chiesto il perché di tale situazione crepuscolare a metà tra morte e vita. La risposta mi è ora chiara nella mente, di una chiarezza assoluta e adamantina. Ho una missione da compiere.

Una missione che è insieme politica, etica e sociale. Chi me l’abbia conferita non so, ma è bruciante in me l’urgenza di assolverla.

Tutti i forumisti sanno che fui uomo di sinistra, dispregiatore di tutte le ideologie di destra e di colui che oggi le sostanzia nel nostro infelice Paese, intendo il Cavalier Silvio, proprietario di televisioni, capitali immensi e anime vendute.

Mi chiedevo, in vita, come mai gli italiani, dopo aver assaporato un lustro di buon governo dell’Ulivo, illuminato e capace di traghettarli in Europa, avessero potuto votare un governo di destra, dotandolo di una maggioranza parlamentare tale da poter fare il bello e, soprattutto, il cattivo tempo.

Il perché ora mi è palese, così come il rimedio. La mia missione è il predicarli, il rivelarli a tutti, con l’autorevolezza del soprannaturale.

Il punto di partenza è che un voto legittimo è tale in quanto diretto ad eleggere un governo buono; è illegittimo se inteso a stabilire un governo rio. Il principio fondamentale è che i voti si pesano, non si contano.

Discende da tali assunti, evidentemente dettatimi da un Forum trascendente, che il voto espresso dal corpo elettorale in occasione delle ultime elezioni politiche e regionali è ILLEGITTIMO!

Ne consegue altresì che i voti espressi in favore della coalizione di sinistra, essendo di gran lunga più pesanti di quelli espressi per la destra, anche se meno numerosi, valgono di più, e rappresentano la vera maggioranza.

Che si deve fare quando un governo illegittimo si impossessa del potere?

Abbatterlo, al più presto e con qualunque mezzo. Uomini, anzi Grandi Italiani ispirati e saggi, quali Rutelli, Fassino, Dalema, Castagnetti, Veltroni e tanti altri lo hanno ben compreso, ed hanno iniziato una nobile battaglia, in Parlamento, nelle Piazze, nelle Aule di Giustizia ed in ogni altra sede nazionale e internazionale per attingere tanto luminoso scopo.

Meritano più aiuto e sostegno.

Il tempo stringe. Il governo si trova alle prese con un rebus (per lui) insolubile: se non riforma pensioni e lavoro esce dall’Europa, se li riforma esce dall’Italia, scacciato dai Sindacati. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, Cavalier Silvio!

Solo un legittimo Governo di Sinistra potrà sciogliere l’enigma.

Forza allora, uniamo gli sforzi per affrettare l’inevitabile crisi! La Sinistra deve andare al potere prima della naturale scadenza elettorale per varare una nuova legge specifica, che garantisca la necessaria, futura stabilità: i voti espressi per i partiti della coalizione di sinistra varranno il doppio.

Capito? Semplice e soprannaturale.

Dall’Aldiquà vi scrive il vostro devotissimo; Avv. Goyassel La Zucca.

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Che dirvi, cari amici del Salotto? Una lettera siffatta non mi era ancora capitata. Cose…dell’altro mondo!!!

Un novello Messia virtuale ed ectoplasmico si è rivelato sotto le spoglie del buon Goyassel.

E’ egli veramente morto? Sono confuso, non so darmi una risposta. Tuttavia ciò che predica mi pare abbia già un certo riscontro sulla scena politica. E non solo politica.

I vostri commenti saranno pertanto opportuni e graditi.

Vostro Zio Cirno.