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Visualizza Versione Completa : Intervista a A. de Benoist su "La Padania"



Der Wehrwolf
13-03-02, 20:48
L’INTERVISTA / Parla Alain de Benoist, intellettuale “scomodo”
della Nuova destra francese
La libertà dei popoli è nell’autonomia
La Ue è iper-centralista. Parigi o Roma, oggi si chiamano Bruxelles
di Alessandro Ortenzi

Alain de Benoist, è uno stimato intellettuale transalpino, direttore di numerose pubblicazioni culturali e capofila della cosiddetta “Nuova Destra”, movimento identitario e tradizionalista che, già alla fine degli anni 70, prese le distanze dalla destra nostalgica e reazionaria d’Oltralpe.
Al recente Congresso Federale della Lega Nord i dirigenti del Movimento, e soprattutto il Segretario Federale Bossi, hanno espresso forti critiche al modello europeo che sta prendendo forma. Qual è la sua opinione sullo stato attuale del processo?
«Una concezione europea è assolutamente necessaria, a patto che non sia statalista però. Attualmente l’Europa è prigioniera di una contraddizione: ovunque si proclama di voler superare gli Stati, ma poiché le classi politiche sono ultra-stataliste sia a Bruxelles sia nei singoli Stati, si finisce per privare l’Unione Europea dei mezzi politici necessari a superare gli Stati stessi».
Ma dotando l’Ue di questi mezzi non si rischia di consegnarsi nelle mani di una casta di burocrati nemici della libertà dei singoli popoli e delle identità?
«A questo rischio si può ovviare scegliendo il modello più appropriato. Esso deve essere rigorosamente federalista, e inoltre deve partire dalle autonomie. Attualmente, invece, l’Ue propone soltanto di esportare il giacobinismo su scala europea. Vogliono solo sostituire Bruxelles a Roma e Parigi. Noi non abbiamo nulla da guadagnare nel cambiare dei burocrati giacobini romani o parigini con altri di Bruxelles, o nel trasferirli dalle vecchie capitali a Bruxelles. Attualmente, siamo giunti al paradosso che l’Europa è presente dove dovrebbe essere assente, cioè nella vita dei popoli che hanno bisogno di autonomia, ed è invece assente dove dovrebbe essere presente, cioè sulla scena internazionale come soggetto politico forte e indipendente».
La ricetta giusta potrebbe essere sintetizzata nella formula Europa dei popoli contro Europa delle banche?
«Certamente, ma occorre essere più precisi. Europa dei popoli, cioè Europa della sovranità popolare dal basso, su questo non ho dubbi. Tuttavia, Europa delle banche non significa molto. Le banche sono solo uno strumento. Lo strumento che diventa egemone quando prevalgono la logica del mercato e, ancor più, la logica del mercato finanziario: il peggio è ciò che c’è dietro le banche. Cioè una visione del mondo dove tutto ha un prezzo ma niente ha più valore; una logica che oggi inaridisce ogni ideale e in più dirige quasi ogni movimento sociale».
Bisogna dar forza ai valori creati dai popoli contro quelli dei disanimati mercati finanziari, dunque. Ma come dovrebbero organizzarsi i popoli d’Europa?
«Lo ripeto, l’organizzazione deve partire dalla base e deve essere impostata su 4 pilastri: Identità, Volontarietà, Autonomia e Partecipazione. L’Autorità, infine, deve fluire dalla base verso l’alto. Per difendersi i popoli d’Europa devono proprio ripartire dalla base, dalla democrazia diretta. In fondo, anche gli Stati nazionali sono burocrazie come quella di Bruxelles: per questo nessuno Stato contrasta veramente Bruxelles. È quindi necessario estendere la partecipazione e interessare la gente alla vita politica ovunque sia possibile».
La partecipazione tipica della cultura liberale, quindi?
«No, questa non deve essere la visione liberale: questa prevede infatti solo l’incoraggiamento privato di ognuno, che si interessa così della politica solo a titolo personale. Al contrario, è necessario sviluppare la dimensione pubblica del Sociale. Ma soprattutto lo Stato non deve essere il monopolizzatore della vita sociale. Solo così essa potrà essere davvero autentica, specchio fedele della vita di un popolo, ed efficace strumento di sovranità».
I burocrati di Bruxelles e le forze politiche e culturali che li sostengono amano definire le forze autonomiste, tra le quali la Lega Nord, con termini come “populista“, se non razzista o peggio. Cosa ne pensa?
«I movimenti autonomisti sono un fenomeno complesso e nuovo. Assistiamo a un rinnovamento della vita associativa e questo è un bene. Però il termine populista è semplicistico, e non serve a definire un mondo molto diversificato. Alcuni movimenti “populisti “sono ultra-liberali, altri sono federalisti. Alcuni sono addirittura di stampo giacobino, come quello di Le Pen in Francia, che non è nemmeno autonomista. Populista insomma non vuol dire molto: è un termine che indica uno stile, non una dottrina. Che, inoltre, non è quella indipendentista. Personalmente, sono autonomista e non indipendentista. Specialmente oggi quando nemmeno gli Stati sono più indipendenti. Per questo auspico un modello confederale».
In un momento nel quale l’Occidente si autoproclama in un conflitto di civiltà, con gli Stati Uniti alla testa, si potrebbe pensare di importare quel modello federale in Europa. Qual è la sua opinione?
«Gli Stati Uniti adottarono un modello federale, ma lo hanno tradito. In particolare, lo hanno tradito durante il cosiddetto “New Deal” di Roosevelt, negli anni ’30. Questo fenomeno, tra l’altro, ebbe caratteri di grande similitudine col Fascismo che trionfava in Europa. Inoltre, bisogna tener presente un aspetto biblico e calvinista, tutto sommato inadatto all’Europa. A parte tutto questo, delle vere autonomie ci furono effettivamente, anche se già con la “guerra di secessione” si cominciò a negarle. Personalmente, non credo nell’antiamericanismo maniacale. Penso che vi sia tuttora maggior libertà di espressione in America che in Europa; e quel che resta del sistema federale non è malvagio. Il problema è che gli Stati Uniti sono l’unica potenza esistente e purtroppo hanno unificato il mondo secondo la logica del mercato, cosa che nuoce a tutti. Sono necessarie altre potenze che li contrastino».
Quale modello federale si può allora suggerire?
«Forse, miglior fonte di ispirazione può essere il modello federale tedesco, con i reali poteri assegnati ai diversi Länder, realmente autonomi rispetto al centro. La crisi economica della Germania, i problemi non completamente risolti della riunificazione e i debiti che vengono ancora oggi fatti pagare per la storia recente, non devono far dimenticare che la Germania è la colonna vertebrale dell’Europa; e ai tedeschi spetta il compito di spingere l’Europa all’indipendenza, lungo un asse che per ragioni di semplicità geometrica definirei Parigi- Berlino- Mosca, attorno al quale ruotino le libertà individuali di tutti i popoli europei. Libertà dai giacobini all’interno, e dagli Stati Uniti all’esterno».
Occidente e islam: è veramente uno scontro di civiltà?
«Non credo che sia il modo migliore di porre i termini. Né occidente, né islam sono concetti omogenei, poiché sono attraversati da grandi contraddizioni. Così come Europa e Stati Uniti hanno interessi divergenti e rappresentano modelli diversi, così il miliardo e duecento milioni di mussulmani non sono unitari, non hanno un centro come punto di riferimento, le correnti culturali sono diverse e lo sono anche le interpretazioni del Corano. Anche se bin Laden si auto proclama voce dell’islam, le truppe afghane che lo combattono sono mussulmane. L’Iran sciita è da sempre nemico dei talebani. Chi conferisce a bin Laden un ruolo che non ha, cerca uno scontro che non ci sarebbe. Gli Stati Uniti indicano in bin Laden la voce dell’Islam, i mussulmani no».
Mentre assistiamo ad una massiccia immigrazione islamica in Europa, come ci si può tutelare?
«L’immigrazione è un problema diverso da quello della guerra in corso. L’unico modo praticabile ed efficace per gestirla è una politica di cooperazione con i paesi di origine. Purtroppo l’immigrazione è ineluttabile. Tuttavia è necessario ridimensionarla e restringerla comunque, e questo lo si può fare solo cooperando attivamente con i paesi di origine».
Questo per chi non è ancora venuto, ma con chi è già in Europa quali soluzioni adottare?
«L’unico modo di affrontare l’immigrazione islamica è quello di non praticare alcuna assimilazione. E’ necessario che vivano in comunità loro, omogenee al loro interno. Io penso che non vi sia un pericolo islamico; o meglio che non sia quello principale. L’identità europea è molto più minacciata dalla logica del capitalismo che dall’Islam. Infatti le multinazionali americane controllano le politiche economiche, i paesi islamici no. Io vedo ogni giorno film americani, libri, giornali, musica, vestiti, modi di dire e di pensare. Non vedo nessun film islamico, nessuno stile di vita islamico presente 24 ore al giorno in televisione. L’uno è un pericolo possibile, l’altro è in atto. I mercati finanziari incidono sulla nostra vita ogni giorno di più in tutto il mondo. E non sono islamici».

Mjollnir
14-03-02, 00:46
Grazie lupo !
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