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Visualizza Versione Completa : Art. 18: intervento dell'Istituto di studi comunisti Marx e Engels



PROLET
14-03-02, 01:48
ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI

KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS

istcom@libero.it

http://digilander.iol.it/istcom/istcom




ARTICOLO 18

I vuoti di memoria della Confindustria.

ovvero:

LA CONFINDUSTRIA CI RIPROVA

La tesi della Confindustria, e consequenzialmente dei suoi teorici, è quella che una liberalizzazione della possibilità di licenziamento consente una maggiore occupazione, crea nuove possibilità di occupazione. Esiste, quindi, un rapporto diretto tra licenziamento di una unità ed aumento dell’occupazione.

Sul piano strettamente teorico e scientifico non esiste un tale rapporto: licenziamento ed aumento dell’occupazione rispondono a criteri diversi e sostanzialmente opposti.

L’aumento di occupazione, le nuove possibilità di occupazione sono determinate dalle leggi del mercato, ossia dal ciclo economico, se cioè si è in fase di espansione o in fase recessiva, se cioè quella merce ha un mercato, se esiste una domanda insoddisfatta tale da richiedere un aumento della produzione. L’aumento della produzione non sempre comporta automaticamente un aumento dell’occupazione, entro certi limiti essa può essere soddisfatta aumentando i ritmi di lavoro.

Per esserci aumento di occupazione, per esserci le nuove possibilità di occupazione occorre che tale domanda insoddisfatta sia di una entità tale, e quanto meno di medio-breve periodo, da far divenire conveniente l’aumento di una unità lavorativa. Se è solo un aspetto contingente, in questo caso non conviene aumentare l’occupazione in quella fabbrica. Nelle condizioni date, infine, tale domanda insoddisfatta deve essere di tale entità da superare la massa delle merci invendute nei precedenti cicli produttivi.

Il licenziamento di una singola, o di singole unità lavorative non comporta in nessun caso un aumento dell’occupazione, ma solamente una sostituzione.

Il licenziamento non per chiusura e contrazione della forza lavoro impiegata, il licenziamento di una singola unità risponde invece a criteri e regole dettati dal codice civile, oltreché da quello penale:

scarso rendimento, ecc. Ma questo comporta unicamente ed esclusivamente la sostituzione di quella unità lavorativa con danni nell’immediato all’impresa ed alla produttività, giacché l’unità sostituita deve essere immessa nel ciclo produttivo e di solito occorrono 5-8giornate lavorative prima che la nuova unità impiegata entri a pieno regime.

La Confindustria quindi mente sapendo di mentire.

Gli intellettuali che si fanno paladini di tali teorie mentono sapendo di mentire.

Ma il problema non è quello del mentire ed il sapere di mentire.

La verità è che la Confindustria ci riprova.

La regolamentazione dei licenziamenti individuali, imposta proprio per impedire i licenziamenti individuali e limitare l’arroganza e lo strapotere padronale, imposta sotto il possente movimento di lotta che saliva dalle fabbriche, risale all’accordo del 7. agosto. 1947.

Con tale accordo venivano istituite le Commissioni Interne ed affidata alle Commissioni Interne la complessa materia dei licenziamenti individuali e collettivi.

All’indomani della rottura dell’unità sindacale, 1948, e dentro il più generale attacco al movimento operaio scatenato dalla borghesia, la Confindustria decise di disdettare l’accordo del 7. agosto. 1947. Tale assalto borghese venne preceduto da una massiccia, violenta, prolungata, premeditata, programmata azione di repressione, che combinava tre elementi: la scissione in campo sindacale, la repressione in fabbrica, la repressione statale.

Dal 1948 ai primi mesi del 1950 ci furono

62 operai uccisi, 3.126 operai feriti, di quelli che furono costretti a ricorrete alle cure ospedaliere,

92. 169 arrestati, 19. 306 condannati a 8.441anni di carcere;

licenziati per rappresaglia 674 membri delle Commissioni Interne, 1.128 attivisti della C.G.I.L.

Dopo questo possente ‘ fuoco di sbarramento’ la Confindustria ritenne di essere oramai in grado di procedere alla formalizzazione dei nuovi rapporti di forza, che credeva essere riuscita ad imporre, e quindi procede a disdettare l’accordo del 7. agosto. 1947.

Il motivo che determinò la Confindustria a disdire nel 1950 l’accordo sta nel fatto che in esso erano, appunto, regolamentati i licenziamenti individuali e collettivi.

La Confindustria all’atto della disdetta dichiarò che riteneva ancora applicabile l’accordo Buozzi-Mazzini del 1943, che la lasciavano completamente libera di procedere come meglio le pareva.

Possente ed immediata fu la risposta dell’intera classe operaia, che convinse immediatamente la Confindustria di aver sbagliato calcoli, che le fece toccare con mano come tutto il possente assalto dispiegato non era in realtà servito granché nello spezzare, sfiancare il movimento operaio e sindacale italiano. Dinanzi alla possente controffensiva operaia deve attuare una precipitosa ritirata.

Gli accordi del 18. ottobre e 20. dicembre 1950 stabilivano una nuova e più avanzata disciplina per i licenziamenti individuali e collettivi, affermando nel caso dei licenziamenti individuali il principio della giusta causa.

Da allora l’accordo del dicembre 1950 costituisce una bruciante mortificazione della borghesia italiana, che ritorna ricorrente ad agitarle il sonno e che da oltre cinquant’anni alimenta i suoi più reconditi sogni.

Aveva pensato che la sconfitta elettorale dell’aprile 1948 ed il sostegno attivo dell’imperialismo americano potevano ben costituire base rassicurante per reimporre la sua dittatura in fabbrica e spazzare via la democrazia in fabbrica, perché poi il punto vero di tale attacco era, ed è, esattamente questo: spazzare via la democrazia dalla fabbrica.

La classe operaia e l’intero popolo lavoratore aveva ben assimilato la lezione del fascismo, ossia che se in fabbrica regna la dittatura del padrone, se in fabbrica la democrazia è uccisa, la democrazia non può sopravvivere nel Paese. Essa nasce nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e si alimenta di questa e da questa si propaga a tutta la società civile.

L’aveva ben assimilata e seppe dare la dura, immediata, possente risposta, tale da imporre alla Confindustria una disordinata e confusa ritirata ed una bruciante ed umiliante sconfitta.

La Confindustria questa volta si è sentita ben più sicura del 1950, la vittoria elettorale del centro destra, ha eccitato i suoi sogni, la presenza diretta, fisica di uno dei suoi al governo le ha fatto perdere qualsiasi prudenza e senso della realtà ed ha ritenuto di poter attuare la rivincita.
Attuare la rivincita per imporre in fabbrica la sua dittatura, per spazzare via la democrazia dalla fabbrica, fare piazza pulita con assemblee, incontri ed imporre un capovolgimento radicale delle relazioni industriali. La libertà di licenziamento è la libertà di mettere fuori chiunque non si adatti a tutti i ritmi e carichi di lavoro, a tutta la flessibilità dell’orario di lavoro: straordinario e orario flessibile – ma questo è l’esatto opposto del creare nuove possibilità di occupazione: ma voi provate a dirlo ai dotti e sapienti docenti ed accademici di economia politica!!. Libertà di licenziamento in realtà è la libertà del supersfruttamento, dello sfruttamento bestiale, in grado di sopperire all’assenza di ammodernamento degli impianti e dei processi produttivi: la vecchia storia della borghesia italiana: mentecatta ed accattona, altro che nuove possibilità di occupazione.

Ma la libertà di licenziamento è anche la libertà di licenziare quanti sono attivi sul piano sindacale e politico in fabbrica, quanti non si dimostrano duttili alle esigenze della produzione in sede elettorale La libertà di licenziamento è la libertà di spazzare via dalla fabbrica qualsiasi istanza di democrazia.

LA CONFINDUSTRIA CI RIPROVA INSOMMA!!

lunedì 11 marzo 2002

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