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Der Wehrwolf
17-03-02, 11:11
[Solidarietà, anno VII n. 2, maggio 1999]






Un ricorso ai bombardamenti aerei "significherebbe la violazione del regime delle Nazioni Unite da parte della NATO con tutte le conseguenze che ciò comporta. Stiamo parlando di aggressione, e gli stati che sono aggrediti debbono avere i mezzi per difendersi".

Il ministro degli Esteri Russo Igor Ivanov – 23 marzo



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Ogni iniziativa militare della NATO senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU "non sarà accettato dalla comunità internazionale e violerebbe la Carta dell’ONU".

Qin Huasun, rappresentante cinese
e presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – 23 marzo



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"Ricorrere alla NATO per attaccare una nazione sovrana significa ribaltare l’Alleanza. La NATO non è un’alleanza offensiva ... è stata creata per impedire aggressioni ai danni delle nazioni sovrane d’Europa".

Sen. Robert Smith (repubblicano USA) – 23 marzo



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Queste dichiarazioni sono state rilasciate alla vigilia del lancio dei primi missili cruise su Kosovo, Montenegro e Serbia il 24 marzo, in quella che, secondo il ministro della Difesa russo Igor Sergeyev, si prospetta come "una nuova Vietnam nel centro dell’Europa", e che rischia di trasformarsi in una guerra mondiale, come hanno notato diversi osservatori qualificati.

L’aggressione nei Balcani stabilisce dei precedenti che non sono stati approvati dal voto dei paesi membri dell’Alleanza, e che non sono contemplati negli statuti di fondazione del 4 aprile 1949. Questi precedenti sono:

1. La NATO può intervenire militarmente al di fuori del territorio dei paesi membri, contravvenendo all’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico.

2. Dopo 50 anni la NATO si trasforma da "alleanza difensiva" in "alleanza offensiva".

3. La NATO si arroga il diritto – contro quanto sancito negli statuti di fondazione – di intervenire contro qualsiasi paese sovrano.

4. La NATO si arroga tale diritto senza il mandato (e persino contro il divieto) di istituzioni come l’ONU e l’OCSE, come prescrive esplicitamente il Trattato Nord Atlantico del 1949.

5. La nuova NATO si arroga infine il diritto di fare la guerra senza formale consenso o mandato da parte dei parlamenti dei paesi membri.

Per stabilire questi precedenti è stata trovata (o creata) la scusa migliore: "gli imprescindibili motivi umanitari". A parte il fatto che tragedie altrettanto e forse più gravi si sono consumate altrove nel mondo, di fronte all’impassibilità complice delle stesse forze attualmente impegnate nel Kosovo, ad esempio nei Grandi Laghi in Africa, e a parte il fatto che il dispiegamento militare è stato condotto ben sapendo che avrebbe aggravato lo strazio della popolazione vittimizzata, resta da notare che i "nuovi princìpi" stabiliti con questo precedente non verranno poi accantonati, ma saranno prontamente applicati – bollando uno stato come "delinquente" – laddove la sottomissione lascia a desiderare.

Lo scopo ufficiale della "campagna umanitaria" di Tony Blair e Al Gore è quello di fare del Kosovo un "protettorato della NATO" sotto l’alto ufficiale inglese Sir Michael Jackson, uno dei personaggi maggiormente responsabili della "Domenica di sangue" del 1972 in Irlanda. Quest’ultimo fu uno degli episodi più efferati e più "orchestrati" della travagliata storia irlandese. Del resto, per chiunque abbia seguito da vicino la storia dei Balcani nell’ultimo decennio sarà molto difficile credere che tutto il sostegno che gli alti ufficiali inglesi e francesi in Bosnia hanno dato a Milosevic ed al criminale di guerra Radovan Karadzic sia frutto di "errori umani" e di "mancanze personali".

La nuova NATO

Il passo decisivo per fare della NATO lo strumento di una nuova politica coloniale risale al 13 novembre 1998. Si tratta di una data importante perché una coalizione di forze, negli USA e fuori, quel giorno riscì a bocciare una ripresa dei bombardamenti in Irak. Quello stesso giorno si tenne ad Edimburgo la Sessione Plenaria dell’Assemblea Nord Atlantica, (NAA) l’organizzazione dei parlamentari della NATO, che si concluse con l’approvazione di un rapporto sul Kosovo e della "Raccomandazione politica 278". Nel rapporto, intitolato "Stabilità dell’Europa sud-orientale: una sfida in corso", il general rapporteur Arthur Peacht, francese, asserisce:

"La catastrofe umanitaria che si sta verificando in Kosovo dev’essere evitata a tutti i costi ... Basta dimostrare al sig. Milosevich che la repressione degli albanesi kosovari non sarà tollerata".

Quindi "escludendo una soluzione improvvisa del problema, la comunità internazionale dev’essere pronta all’impiego della forza per imporre un cessate il fuoco; la NATO dev’essere pronta ad agire sotto l’autorità dell’ONU e dell’OCSE, se possibile. Esiste comunque nel diritto internazionale spazio sufficiente perché la NATO agisca senza tale mandato allo scopo di impedire crimini contro l’umanità e mantenere o restaurare la pace e la sicurezza internazionali".

Nella "raccomandazione" approvata, rivolta ai governi, al Segretario Generale ed al Consiglio della NATO si propone:

"i. chiarire che gli Alleati sono pronti al ricorso alla forza e che non esiteranno dal mettere in pratica i loro piani se le misure diplomatiche ed economiche risultassero insufficienti al raggiungimento di un cessate il fuoco;

"j. cercare un mandato internazionale per l’intervento militare, mentre si considera che il ricorso alla forza nell’attuale situazione del Kosovo è già legittimizzata dalle esistenti leggi internazionali..."

Per i russi ed i cinesi si trattava di una conferma formale della linea già stabilita nell’ultima serie di bombardamenti in Irak: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non conta più niente.

Mentre si potrebbe cavillare che la "raccomandazione" non è vincolante, in realtà occorre notare che raccomandazioni del genere sono state molto raramente ignorate e che il NAA nella stessa occasione ha deciso di cambiare nome dopo 40 anni, adesso si chiama "Assemblea parlamentare della NATO".

La NATO e la terapia shock del FMI

A seguito del crollo del Muro di Berlino nel 1989, è caduta anche la ragione di esistere della NATO, dato che il blocco comunista era in frantumi. La contrapposizione tra "i rossi" e "i blu" ha lasciato il posto a un dissidio ben più sostanziale che vedeva da una parte una crescente volontà dell’Europa a industrializzare tutto il blocco eurasiatico, e, contrapposta a questa, la decisione di una precisa élite di potere anglo-americana di sabotare questo sviluppo "naturale" degli eventi, perché avrebbe mandato in fumo un potere economico mondiale egemonico.

Per quello che era stato il blocco comunista si preparava la terapia shock del FMI che in pochi anni ha devastato completamente quelle economie. In tale contesto, le forze egemoni nella NATO, lungi dall’ammettere un superamento dell’alleanza, hanno usato la "mano militare" per imporre la ricetta del FMI.

La nuova NATO e il vecchio imperialismo

L’attuale dibattito sulla "nuova NATO" di fatto iniziò in Inghilterra sin dalla caduta del Muro di Berlino, con le discussioni sulla "nuova politica di sicurezza britannica". In Inghilterra allora si giunse alla Strategic Defense Review, una revisione radicale delle Forze Armate di Sua Maestà impostata sul presupposto di fondo che né il Regno Unito né alcun altro paese della NATO avrebbero subito serie minacce militari. Di conseguenza gli "scenari operativi" non prevedono una guerra vera e propria ma piuttosto "grandi crisi che coinvolgono i nostri interessi nazionali, forse alla periferia della NATO o nel Golfo". Pertanto la macchina militare inglese, da sempre concepita e strutturata per le "spedizioni", tornò ad un esplicito rafforzamento di questa sua vocazione imperiale e coloniale. Fu abbandonata ogni idea di esercito territoriale per sviluppare unità sofisticate ad alta flessibilità e mobilità, capaci di intervenire in ogni angolo del mondo. Che si tratta di una riproposizione in chiave moderna della vecchia politica navale dell’Impero coloniale dovrebbe essere evidente.

Il "nuovo concetto" del 1991

La trasformazione della NATO "vecchia" in quella "nuova" è iniziata al vertice della NATO tenutosi a Roma il 7-8 novembre 1991, in cui fu approvato il "Nuovo concetto strategico dell’alleanza".

In tale occasione è stato fatto poco di più che formalizzare ciò che era già stato messo in moto al vertice della NATO di Londra nel luglio 1990. Tra i due incontri si è verificato un fatto nuovo: la guerra contro l’Irak di Margaret Thatcher e di George Bush. "La Tempesta del deserto" costituì il precedente più provvidenziale (si fa per dire) per dimostrare quanto fosse necessario mantenere attiva la struttura della NATO. Ciò che era ancora teorico a Londra si dimostrò molto concreto a Roma.

Il "nuovo concetto" concordato a Roma presenta, anche se in toni sommessi, quei temi che con il passare degli anni sono diventati il succo del "nuovo modello" della NATO che adesso si occupa di "rivalità etniche", di "amministrazione della crisi", di lotta contro le "armi di distruzione di massa" in mano a forze teoricamente incontrollabili, e dell’indefinibile concetto di difesa della "stabilità globale".

Tutti questi punti non hanno nulla a che vedere con il trattato del 1949.

Nel documento di Roma si legge:

"8. Contrariamente alla minaccia prevalente nel passato, i rischi che ancora si presentano alla sicurezza dell’Alleanza sono di natura sfaccettata e multi-direzionale, che li rendono difficili da prevedere e definire. La NATO dev’essere in grado di rispondere ...

"9. I rischi per la sicurezza dell’Alleanza provengono meno probabilmente da un’aggressione calcolata contro il territorio degli alleati e più verosimilmente da conseguenze avverse di instabilità che possono insorgere da serie difficoltà economiche, sociali e politiche, comprese rivalità etniche e dispute territoriali, che molti paesi si trovano ad affrontare in Europa centro orientale. ... Esse potrebbero condurre a crisi lesive della stabilità europea e persino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o diffondersi nei paesi della NATO".

Allora, nel 1991, nessuno sospettava che cosa sarebbe accaduto nel momento in cui a Milosevic veniva dato il via libera per scatenarsi come un mostro di Frankenstein. Mentre invece adesso dovrebbe essere chiaro che gli estensori del documento presagivano con le loro parole le conseguenze della politica del FMI che veniva allora imposta all’Europa dell’Est.

Da parte dell’élite anglo-americana ci si attendevano sollevamenti di massa e disordini come conseguenza del saccheggio del FMI e proprio per questo veniva approntato lo strumento militare necessario per proseguire sulla stessa strada fino in fondo.

Responsabilità da governo mondiale

L’originale natura difensiva del Trattato viene rimessa in discussione nel documento di Roma:

"12. Ogni attacco armato contro il territorio degli Alleati ... sarebbe coperto dagli Articoli 5 e 6 del Trattato di Washington. Però ... gli interessi della sicurezza dell’Alleanza possono essere minacciati da altri rischi di più ampia natura, compresa la proliferazione di armi di distruzione di massa, interferenze sui flussi delle risorse vitali e azioni di terrorismo e sabotaggio ..."

"13. ... La fine dello scontro Est-Ovest ha decisamente ridotto il rischio di un grande conflitto in Europa ... D’altra parte si presenta un maggiore rischio di crisi diverse ..."

Nel Nuovo Concetto Strategico, il ricorso alla forza militare è solo uno dei compiti della nuova NATO. Questa deve assumersi responsabilità nei campi della diplomazia, della politica e avocare a sé altre funzioni che fanno parte dell’esercizio della sovranità dei singoli stati membri. A proposito dell’amministrazione della crisi e prevenzione dei conflitti nel documento si legge:

"31. Nel nuovo contesto politico e strategico in Europa, il successo della politica dell’Alleanza per preservare la pace e prevenire la guerra dipende, ancor più che nel passato, dall’efficacia della diplomazia preventiva e dalla riuscita amministrazione di crisi che interessano la sicurezza dei suoi membri".

"41. Nella pace, il ruolo delle forze militari dell’Alleanza è di vigilare sulla sicurezza dei membri, contribuire al mantenimento della stabilità e l’equilibrio in Europa. ... Possono contribuire al dialogo ed alla cooperazione in tutta Europa partecipando in attività che rafforzano la fiducia, comprese quelle che migliorano la trasparenza e migliorano le comunicazioni, come pure nella verifica degli accordi sul controllo degli armamenti. Gli alleati potrebbero inoltre essere chiamati a contribuire alla stabilità globale ed alla pace fornendo forze alle missioni delle Nazioni Unite".

52. Per essere in grado di rispondere flessibilmente ad un’ampia gamma di contigenze possibili, gli Alleati interessati dovranno disporre di capaci sistemi di sorveglianza e di informazione, di comando e controllo flessibili, di mobilità all’interno e tra le regioni".

Al sopra menzionato vertice di Edimburgo della NATO, del 13 novembre 1998, il tema del dispiegamento fuori area è stato presentato da Lorenzo Forcieri nel rapporto: "Forze NATO: preparare nuovi ruoli e missioni".

"Sebbene il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza del 1991 sia stato uno dei passi più innovativi" scrive Forcieri "... il crollo dell’Unione Sovietica lo ha reso superato". "Secondo, la guerra del Golfo e le crisi nell’ex Jugoslavia hanno risolto il dibattito sulla possibilità che la NATO intraprenda ‘operazioni fuori area’ e rafforzi la cooperazione con paesi che non appartengono alla NATO. Questi concetti erano solo allo stadio embrionico nel 1991".

Nel rapporto Forcieri sottolinea ripetutamente quanto sia stato propizio lo scoppio della crisi in Jugoslavia: "Occorre riconoscere che una crisi in ogni parte del mondo incide sulla nostra sicurezza nazionale. ... La fine della Guerra Fredda e il comparire di rivalità etniche hanno dato vita ad un nuovo consenso al fatto che situazioni instabili, come l’esperienza dei Balcani, possono costituire una crisi. Questa seconda generazione di "crisis management" richiede arbitraggio e un crescente intervento internazionale..."

Se queste sono le premesse, evidentemente i bombardamenti in Kosovo, Serbia e Montenegro sono le più ovvie conseguenze. Le operazioni nei Balcani vanno viste anche insieme alla strategia della NATO di espansione nell’Europa dell’Est, con la recente cooptazione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. La promessa con cui questi paesi sono stati convinti ad aderire alla NATO, alla vigilia dei bombardamenti, è questa: una vostra adesione vi rende maggiormente credibili agli occhi delle istituzioni come il FMI e ottenete la nostra "protezione". In una regione devastata dalla "terapia d’urto" è difficile respingere una simile proposta, pur essendo illusoria.

Né pace né guerra

Lo stesso documento afferma: "Il concetto di crisi può essere interpretato in diversi modi. In questo rapporto è riferito alla zona tra pace e guerra ... Contrariamente alla netta distinzione tradizionale tra pace e guerra, dalla fine della guerra fredda ci troviamo di fronte ad una situazione che non possiamo considerare né guerra vera e propria né coesistenza pacifica ... rientrano in una ... zona grigia che comprende conflitti etnici, controversie religiose, e rivendicazioni territoriali".

In effetti questo concetto di "né guerra né pace", con il relativo sistema di "crisis management" che una situazione del genere esige, è quello che occupa da anni l’attività degli strateghi della NATO. Ogni importante decisione di natura politica ed economica in una situazione del genere è sempre competenza del "governo militare mondiale".



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[Solidarietà, anno VII n. 2, maggio 1999]





La NATO cambia padrone



La "Nuova Dottrina" inaugurata con i bombardamenti in Jugoslavia sancisce lo sfratto degli stati sovrani e l’ingresso di un’élite oligarchica nella stanza dei bottoni

Nelle settimane che hanno preceduto l’inizio delle incursioni militari in Jugoslavia, da più parti si è parlato di una "nuova dottrina" che dovrebbe rinnovare la NATO, più o meno in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della fondazione a fine aprile. Le proteste nei principali paesi europei sono state chiare ed esplicite:

L’ex alto funzionario del ministero della Difesa tedesco Willy Wimmer della CDU, che attualmente ricopre un incarico in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE). Nel corso di un’intervista andata in onda il 13 marzo alla radio tedesca (Deutschlandfunk), Wimmer ha dichiarato che la nuova dottrina promossa dagli USA e dall’Inghilterra costituisce un "orientamento completamente nuovo" per la NATO in cui "missioni di combattimento in tutto il mondo diventerebbero l’aspetto centrale". La NATO verrebbe trasformata in uno "strumento di potere" da usare nei conflitti armati in tutto il mondo, e questo potrebbe condurre alla "estinzione del mondo". Wimmer ha aggiunto che gli europei non hanno preso parte all’articolazione della nuova dottrina della NATO e la vedono con notevole preoccupazione, così come fanno "i nostri amici in Asia". Wimmer ha sottolineato che fino ad ora la NATO non è stata soltanto una alleanza difensiva, ma, cosa più importante, è stata una comunità di valori, in cui al primo posto erano stati collocati gli scopi di garantire la pace ed i diritti umani. Se invece si permette l’adozione della nuova dottrina, la NATO sarà trasformata in uno "strumento di guerra".
Il sen. Giulio Andreotti ha concesso un’intervista a Il Giornale, di venerdì 23 marzo, in cui concorda completamente con la posizione del Vaticano sul conflitto Serbo. In tale contesto prospetta il "rischio che scoppi la terza guerra mondiale", e denuncia la nuova dottrina della NATO che prevede interventi al di fuori dell’area del patto all’insegna della "globalizzazione": "quando la NATO si è estesa, non sono state cambiate le regole né gli ambiti, ma si è trattato di un semplice allargamento della mutua sicurezza anche ai nuovi Paesi. Ora si parla di ‘nuova strategia’, ma la discussione sarà a fine aprile, ma bisognerà discuterne in Parlamento".
Il quotidiano parigino Le Monde ha pubblicato il 22 febbraio un articolo di prima pagina sulla nuova strategia militare degli Stati Uniti e sulla sua adozione come "nuova dottrina NATO". Jacques Isnard, specialista militare di Le Monde, nota come gli Stati Uniti "hanno dichiarato guerra ai cosiddetti ‘stati delinquenti’ ", gli stati che vengono dipinti come "la principale minaccia del prossimo secolo". Isnard si domanda se gli Stati Uniti "hanno bisogno di crearsi a tutti i costi dei capri espiatori", dopo che "hanno perso il loro nemico della guerra fredda?".
Secondo il direttore della CIA Tenet, spiega Isnard, adesso la proliferazione dei missili e delle armi di distruzione di massa costituisce una minaccia immediata. Nella sua deposizione al Congresso Tenet ha sottolineato soprattutto la "minaccia Nord Coreana", ma ha aggiunto che Russia, Cina, Iran, India e Pakistan "si sono effettivamente liberati di ogni effettivo controllo internazionale".
Secondo Isnard, al vertice di aprile della NATO a Washington: "si ufficializzerà la posizione USA, per cui è compito della NATO impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa e partecipare alla loro eliminazione in tutto il pianeta ... Questa è la nozione della ‘NATO Globale’ che piace tanto al Pentagono".
Un ex ufficiale europeo della NATO ha riferito all’EIR che, oltre al tentativo anglo-americano di "globalizzare" la NATO, si cerca anche di cambiarne la politica nucleare. Gli USA e l’Inghilterra vorrebbero disporre della capacità di contrattacco nucleare per la rappresaglia contro azioni terroristiche effettuate con "armi di distruzione di massa", come le armi chimiche e biologiche.
La linea Shelton

Mentre queste voci europee esprimo la preoccupazione con tanta franchezza, dall’altra parte, le forze ora egemoni nella "nuova NATO" debbono ricorrere a un linguaggio decisamente ambiguo per giustificare una politica come quella seguita in Serbia ai danni della pace in Europa.

Queste forze si sono date convegno l’8 marzo a Londra, in una conferenza sul cinquatenario della NATO presso il Royal United Services Institute. Il discorso principale è stato tenuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa USA gen. Henry H. Shelton, secondo cui la NATO deve "ampliare la propria prospettiva strategica per proteggere tutti i nostri interessi da una miriade di minacce asimmetriche che attraversano la continuità del conflitto" (sic!). La NATO deve "conferire nuova enfasi alla natura imprevedibile e multidirezionale delle minacce come i conflitti regionali, armi di distruzione di massa e terrorismo".

"Mentre l’Alleanza non ha ancora raggiunto il consenso completo su queste iniziative ... spero che un traguardo su queste importanti questioni sia raggiunto entro il prossimo mese".

L’affermazione è importante perché è dal gennaio del 1998 che il "Gruppo di coordinazione politica" della NATO discute il "nuovo concetto strategico", evidentemente suscitando dissensi notevoli tra i paesi membri. La spaccatura è chiara: anglo-americani da una parte e europei dall’altra. Ma bisogna specificare che il gruppo egemone negli USA non corrisponde al Presidente Clinton, ma piuttosto al "Principals Committee", dove la leadership militare è in mano allo stesso Shelton ed al ministro della Difesa William Cohen.

L’aspetto più importante della nuova politica sono i "dispiegamenti fuori area" che prevedono spedizioni militari con una triade composta da forze aeree, forze speciali, e "ciberguerra", o guerra informatica. Inoltre, in circostanze speciali, la nuova dottrina prevede il ricorso alle armi nucleari tattiche.

I delinquenti

L’analista militare di Le Monde indica correttamente il problema, quando spiega che i vertici militari anglo-americani sono rimasti a corto di nemici, per cui ricorrono a espedienti per provocare i paesi, tra quelli più provati dalla gravità della crisi economica mondiale degli ultimi decenni, e li pongono nella situazione in cui debbono "trasgredire" agli ordini del "governo globale" e li relegano quindi nel ghetto degli "stati delinquenti". Fino alla guerra nei Balcani, il primo posto della lista era dell’Irak, sui cui la nuova strategia è stata a lungo collaudata. Seguono quindi la Siria, la Corea del Nord, l’Iran e poi ancora Cina, Pachistan, India. Questi ultimi si sono macchiati della colpa di ricercare una indipendenza nucleare al di fuori del monopolio della NATO. Disponendo di "armi di distruzione di massa", sono automaticamente nella lista dei "delinquenti".

L’Europa e il BAC

A volere questa riforma della NATO è il raggruppamento di potere che comprende l’elite inglese, forze americane (Wall Street e il "governo ombra") e le reti coloniali del Commonwealth nel resto del mondo, contraddistinto dalla sigla BAC (British-American-Commonwealth). Nel suo discorso a Londra, Shelton ha biasimato "le speculazioni di quei cinici secondo cui l’America starebbe cercando di trasformare la NATO conferendogli un qualche ruolo globale". Ma poco dopo ha puntualmente confermato quella che sarebbe una speculazione, quando ha detto che la NATO deve "ridefinire la sua missione ... per riflettere il paesaggio politico in cui è ancorata", questo è composto dalle minacce "amorfe", "asimmetriche" e "complesse" che si collocherebbero "oltre il territorio della NATO", ma "interessano direttamente la sicurezza della NATO". La NATO deve disporre della capacità di "rispondere rapidamente ed efficacemente alle crisi, sia dentro il territorio della NATO che in aree di interesse fondamentali per l’alleanza".

Le tortuosità linguistiche di Shelton riflettono soprattutto un problema dell’elite militare del BAC, che ha bisogno dell’appoggio logistico e militare della NATO in Europa occidentale, perché la crisi economica ha eroso negli Stati Uniti la capacità di sostenere le operazioni militari in profondità.

Un’altro grosso problema è che i partner europei (Inghilterra esclusa) sono restii a sentirsi minacciati dagli "stati delinquenti".

Da parte del BAC si vorrebbe che gli stati europei accettassero e ratificassero la nuova politica nel contesto della "nuova NATO", ma che al contempo rinunciassero alla pretesa di avere voce in capitolo nella definizione delle analisi e degli obiettivi strategici del Trattato. Si prospetta quindi una "divisione dei compiti", che la Rivista Militare Austriaca propone in questi termini: "L’orientamento strategico della NATO si sposta da uno scenario Est-Ovest ad uno Nord-Sud, o Ovest-Sud-Est, finendo così per coprire un’area che si estende dall’India al Marocco". Per questa "area operativa", sarebbe concessa e incoraggiata nell’ambito della NATO una "Identità europea di sicurezza e di difesa".

Come cambia la sostanza

Al centro della vecchia NATO c’è l’assioma dell’Articolo 5. Tutti i membri dell’alleanza si impegnano ad intervenire in armi a difesa di uno qualsiasi dei membri vittima di un’aggressione esterna. All’atto pratico si trattava di fare quadrato di fronte ad una eventuale aggressione del blocco sovietico.

Nel suo discorso di Londra Shelton ha detto al proposito: "Questa visione ristretta della difesa collettiva è comunque insufficiente a contrastare i pericoli più subdoli e sofisticati cui dobbiamo far fronte oggi ... La NATO dev’essere pronta ad affrontare la minaccia che viene posta contro la popolazione, il territorio e le forze militari dalle armi di distruzione di massa (WMD) ed i mezzi con cui vengono impiegate. Possiamo dire che questa sia la minaccia più significativa che secondo l’Articolo 5 ci troviamo ad affrontare, e quella che dobbiamo affrontare più seriamente, insieme e subito. Dobbiamo fare di più del semplice riconoscere la sfida prioritaria costitutita dalle WMD, dobbiamo passare dalle parole ai fatti".

Se Shelton avesse voluto con queste parole far riferimento alla necessità di sviluppare sistemi difensivi antimissilistici con le nuove tecnologie, nel contesto di un accordo tra le principali potenze mondiali, in modo da essere in grado congiuntamente di neutralizzare ogni possibile minaccia incontrollabile, certamente si dovrebbe convenire con lui.

L’atteggiamento invece è l’opposto del sano sviluppo tecnologico di armi difensive, che comporta benefiche ricadute sull’economia civile. È piuttosto un’aggressiva campagna per demonizzare quelle che sono viste come le vittime più congeniali per l’aggressione militare. L’argomento è affrontato da Isnard sull’articolo di Le Monde sopra citato, quando dice che negli Stati Uniti "non si fanno difficoltà nel paragonare le armi degli ‘stati delinquenti’ con l’arsenale dei nazisti della seconda guerra mondiale", questo serve a giustificare il fatto che "la politica americana in quest’area è innanzitutto aggressiva, e solo incidentalmente difensiva". La politica di "controproliferazione" si baserebbe sulla fiducia cieca degli altri stati sulla attendibilità delle "informazioni fornite dagli Stati Uniti soltanto". Così, gli altri stati "dovrebbero essere disposti -- con o senza la NATO -- ad effettuare un pronto bombardamento ovunque si presenti un’indicazione che riguarda le armi di distruzioni di massa. Il recente attacco missilistico ad una compagnia farmaceutica in Sudan e contro il campo terroristico in Afghanistan, debbono essere evidentemente intese come dimostrazioni" di questa strategia.

Un duro messaggio all’Europa

Il 4 marzo si è tenuta a Bonn una conferenza sul tema: "Il futuro delle relazioni euro-atlantiche" organizzata dal Centro studi integrazione europea (ZEI). Il messaggio, proveniente dal BAC, è stato esposto da Robert Blackwill, docente della Harvard University. In passato Blackwill ha diretto la sezione degli Affari Europei del Consiglio per la Sicurezza Nazionale USA, e poi, tra il 1989 ed il 1990, è stato Assistente speciale del Presidente Bush per gli affari europei e sovietici.

Dopo aver elogiato i rapporti tra USA ed Europa, Blackwill ha detto che nel prossimo futuro si prospettano varie operazioni militari nel Medio Oriente e nell’Asia orientale, in particolare nella penisola coreana, nelle quali gli Stati Uniti si impegneranno senza prestare attenzione a come gli europei valutano i problemi in questione. "Ci sono buoni motivi per preoccuparsi della cooperazione tra USA ed Europa al di fuori dell’Europa" ha attaccato. "Le tendenze che si affermano in Medio Oriente sono molto pericolose", ha detto Blackwill, prevedendo un possibile intervento delle truppe di terra americane ed inglesi in Irak. A tale proposito ha detto: "L’Europa, con l’eccezione dell’Inghilterra, è riluttante a sostenerci".

Gli europei, ha continuato, si sono sentiti "enormemente sollevati" dall’iniziativa di pace condotta lo scorso anno da Kofi Annan, sebbene, secondo lui, quello era il momento più propizio per intervenire militarmente in forze contro l’Irak. Riguardo alle questioni mediorientali, ha continuato Blackwill, gli europei "hanno la testa nella sabbia". Ha detto che in dieci anni quei paesi dovrebbero disporre di missili capaci di raggiungere l’Europa, "ma gli Europei credono di avere una bolla papale che li protegge dai missili balistici. Forse la sola cosa che potrebbe svegliare gli europei sarà il primo attacco missilistico sull’Europa dal territorio straniero".

In Asia, gli americani "si trovano da soli ... Mentre ci troviamo di fronte all’insorgere della potenza cinese, questo potrebbe essere molto negativo per la situazione internazionale. Non siate sorpresi dall’unilateralità americana, e nemmeno se agiamo contro gli interessi europei".

Blackwill ha accusato gli Europei di "compiacenza" e ha aggiunto che "il dibattito strategico è così costipato che bisogna portarlo dal medico". Ha chiesto "un cambiamento nella cultura strategica europea" ed ha accusato i francesi di essere "sciocchi" quando criticano "l’egemonismo americano". Alla fine della sua tirata ha cercato di negare un atteggiamento egemonista americano, educatamente criticato anche dai tedeschi, ai quali si è rivolto dicendo: "Queste cose oggi si sentono dire solo a Pechino e a Parigi".