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Visualizza Versione Completa : Vaticano e leggi razziali. Parla lo storico Ruggero Taradel



Roderigo
18-03-02, 16:52
L'antisemitismo ci fu, perché nasconderlo?

Fulvio Fania

Due anni fa, quando pubblicò con Barbara Raggi La segregazione amichevole, Ruggero Taradel ebbe una grande soddisfazione. Nel clima favorevole creato dal mea culpa del Papa, un intellettuale gesuita, padre Giacomo Martina, riconobbe sulla Civiltà cattolica le colpe storiche della rivista. Negli ultimi tempi, mentre la Santa sede tenta di riannodare i fili della commissione cattolico-ebraica sull'operato di Pio XII durante il nazismo, la polemica riscoppia attorno al predecessore Pio XI. Le contestazioni dell'americano David Kerzter nel suo I papi contro gli ebrei non sono piaciute ad un altro gesuita, padre Giovanni Sale. Replicando su Avvenire e sul Corriere della sera, Sale ha negato che si possa parlare di antisemitismo della Chiesa cattolica ammettendo invece un antigiudaismo «dal punto di vista religioso» e, agli inizi del secolo, l'appoggio alla tesi del «complotto giudaico-massonico-bolscevico» contro la cristianità. Ha citato inoltre un documento d'archivio sostenendo che al tempo delle leggi razziali ci sarebbe stata una correzione di rotta. Taradel, memore del proficuo dibattito di due anni fa, torna ora sulla questione non senza un certo stupore.

Padre Sale distingue tra antigiudaismo cattolico e antisemitismo. Condivide tale distinzione?

Il termine antisemitismo fu coniato nel 1879 da Wilhelm Marr come sinonimo di Judenhass, odio contro gli ebrei. Da allora per la comunità scientifica internazionale il termine indica qualunque forma di ostilità o pregiudizio verso gli ebrei in quanto gruppo razziale sociale o religioso. Per distinguere poi tra le varie forme dell'antisemitismo, gli studiosi parlano di antisemitismo religioso, teologico, razziale e così via. Quindi dietro l'uso del termine antigiudaismo mi pare si nasconda un'operazione di carattere ideologico: si cerca di scindere l'antisemitismo cattolico, che era intrecciato a tutti gli antisemitismi moderni, da quello che diventerà l'antisemitismo nazista.


Ma l'antigiudaismo religioso risale ai tempi remoti dell'accusa di deicidio.

Sì, soltanto che, nel corso della storia i partiti, anche cattolici, che svilupparono la propaganda antiebraica si definirono esattamente antisemiti. Allora non dovremmo parlare di antisemitismo neppure per la giudeofobia antica: il problema è il modo in cui il termine viene utilizzato. E' legittimo sottolineare le caratteristiche specifiche, inconfondibili dell'antisemitismo nazista, diverse da aspetti dell'antisemitismo tradizionale cattolico. Se invece il termine antigiudaismo viene usato per scindere assolutamente i due fenomeni negando che vi sia alcun tipo di parentela o connessione causale di sviluppo storico, allora lo reputo inaccettabile.


Anche padre Martina operava tale distinzione?

No. Quando sulla Civiltà cattolica del 6 maggio 2000 parla della politica antiebraica promossa dalla rivista usa esplicitamente i termini di segregazione razziale e di antisemitismo.

Gli articoli di padre Sale in polemica con il libro di Kertzer sono sorprendenti. Al di là dell'uso del termine antigiudaismo, peraltro già abbozzato nel documento vaticano "Noi ricordiamo" sulla Shoah, si spinge a negare l'evidenza: sostiene infatti che la Civiltà cattolica, quale cartina di tornasole della politica della Segreteria di stato, si oppose alle leggi razziali di Mussolini, difese gli ebrei e condannò sempre e comunque l'antisemitismo. Non posso che considerarla un'operazione revisionistica in senso lato. Tra l'altro, le dichiarazioni di padre Sale collidono con l'onestà intellettuale di padre Martina che aveva avuto il coraggio di riconoscere queste responsabilità.


E' vero però che sulla "Civiltà cattolica" l'antiebraismo conobbe vari passaggi di tono.

Il punto che inchioda la rivista alle sue responsabilità storiche non sono tanto gli articoli dell'Ottocento, quanto quelli degli anni 30 e 40 di violentissima denigrazione dell'ebraismo, con la proposta di segregazioni razziali estese, quando erano già state emanate le leggi di Norimberga in Germania. Soprattutto gli articoli che, tra il '38 e il '43, scrissero padre Messineo e padre Barbera avallando la dottrina razziale del regime fascista e trovando una sintesi ideologica specifica con i teorici fascisti della razza Giacomo Acerbo e Nicola Pende. E' vero che il Vaticano reagì negativamente ad alcune parti della legislazione antiebraica (soprattutto sui criteri di identificazione e sui matrimoni misti) ma non si trattava di una opposizione totale. I documenti, anche inediti, citati da padre Sale vanno senza dubbio presi in considerazione ma letti nel quadro delle posizioni assunte nell'intero periodo. Del resto, non si spiegherebbe altrimenti l'approvazione entusiastica sulla Civiltà cattolica del 1938 per la legislazione antriebraica adottata in Ungheria. Tanto meno il fatto che nell'agosto del '43, dopo la caduta di Mussolini, il gesuita Tacchi-Venturi, incaricato dal Vaticano, chiese il mantenimento della legislazione antiebraica. In una lettera al cardinale Maglione parla di «disposizioni meritevoli di conferma» nell'intento di evitare un'abrogazione sic et simpliciter. Padre Sale omette tutto questo.


Lei però non confuta una linea di demarcazione tra antisemitismo cattolico e razzismo nazista.

In ogni falsità c'è un elemento di verità, stavolta nel fatto che l'odio antisemita del nazismo non può spiegarsi come frutto di un'unica causa. Non si può però far leva su questa realtà, assolutamente certa, per sostenere l'estremo opposto, cioè che l'antisemitismo cattolico non abbia avuto alcun ruolo nel plasmare l'immaginario antiebraico cui attinse il nazismo: tant'è che nel Mein Kampf, Hitler stesso ricorda di essere diventato fanaticamente antisemita nella Vienna dei cristiano-sociali leggendo le rivelazioni sull'ebraismo del loro giornale, il Volksplatt. Credo che la verità stia nel mezzo.


Anche il libro di Kertzer sorprende. Finora chi criticava Pio XII per il comportamento verso il nazismo lo accusava di aver imboscato l'ultima enciclica del predecessore dedicata appunto al razzismo hitleriano. Ora Kertzer punta l'indice proprio contro Pio XI. Che cosa diceva questa famosa enciclica mancata?

E' rimasta allo stadio di bozza, non possiamo sapere quale forma avrebbe preso. Ma da quanto possiamo leggere riaffiora un'insopprimibile ambiguità attorno alla persecuzione antiebraica. In questo senso sembra confermarsi la tesi di Kertzer su Pio XI. Da una parte l'enciclica ripete le invettive della "Mit Brenner Sorge" (l'enciclica portata invece a compimento da Pio XI e scritta volutamente in tedesco, ndr) contro il razzismo di carattere biologico, dall'altra però conferma puntigliosamente che gli ebrei costituiscono una minaccia per le società in cui si trovano a vivere e che il loro eccessivo potere o la loro influenza possono essere limitati, in linea generale, da leggi di eccezione.


Ciò riduce le responsabilità che molti storici attribuiscono a Pio XII?

No, si tratta di comprendere un fatto storico secondo me indubitabile: Pio XII ereditò una politica, anche culturale, che si era costituita nell'arco degli anni Trenta. Essa coniugava due aspetti che oggi possono apparire incompatibili: da un lato la condanna esplicita dell'ideologia razziale del nazismo, dall'altro il mantenimento e la ripresa degli stereotipi del più classico antiebraismo cattolico con la ripetuta richiesta, in linea con i pontificati di fine 800, di leggi eccezionali.

Liberazione 17 marzo 2002
http://www.liberazione.it

oleg
21-03-02, 00:12
Articlo molto interessante.
Sarebbe anche interessante parlare dell`odio degli ebrei verso le popolazioni che li ospitano ed il loro continuo rifiuto all`integrazione all`interno di esse.

Come sarebbe interessante parlare dell`odio ebreico per le altre religioni e per il cristianesimo, in particolare quardando a cosa vi e' scritto in capitole nei libri del Talmud. Se uno lo facesse si renderebbe conto con che bestialita' essi parlano dei non ebrei che chiamano GOY, cioe' animale da macello.

Tutto cio e stato cristallizato nello stato di Israele dove solo gli ebrei possono emigrarvi. Ad un ebreo con madre ebrea basta che tocchi il suolo di Israele per ottenere la cittadinanza, ma un Palestinese che vi abitava fino a 30 anni fa la cosa e' impossibile. Come del resto per un Italiano non ebreo.

Lo so per esperienza perche un mio amico ha sposato un`israeliana ma non si sono potuti sposare in Israele perche i matrimoni misti sono vietati.

E poi vengono qui a dire anoi di essere piu' tolleranti.

Ma fatemi il piacere...