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Colombo da Priverno
18-03-02, 17:11
Socialisti sconfitti dopo sei anni di monocolore

Dopo sei anni e mezzo di governo monocolore socialista, il Portogallo svolta a destra. I risultati ufficiali indicano che il «psd» (socialdemocratici, nonostante il nome di centro-destra) di José Manuel Durao Barroso ha vinto nettamente le elezioni politiche anticipate a turno unico tenutesi ieri tra le ore 8 e le 19. I «Soocias-Democratas» si aggiudicano il 40,1 percento dei voti e 101 seggi sui 230 della «Assembleia da República», il parlamento unicamerale di Lisbona. Il ps, i socialisti di Eduardo Ferro Rodrigues, con il 37,9%, registrano una secca sconfitta. Buoni anche i risultati del pp, i popolari di Paulo Portas, che diventa il terzo partito del Paese e formerà il governo con Durao Barroso. I comunisti del cdu arretrano mentre gli estremisti di sinistra del be guadagnano briciole. I risultati, basati su 4250 circoscrizioni elettorali su 4252, sono arrivati alle 23,35, dopo uno spoglio al cardiopalma. I primi exit-poll delle 20 sfornati dalla tv statale «Rtp» e della «Universidade Católica», davano infatti psd e ps quasi alla pari, a un solo punto di distanza. Ma già dalle 22,30, le bandiere arancioni del partito di Durao Barroso sventolavano all'hotel Meridiem di Lisbona, la sede elettorale del psd. La vittoria del centro destra è notevole: guadagna il 7,8% rispetto alle ultime politiche del '99 e 21 deputati al Palazzo di Sao Bento. Ma non ottiene quella maggioranza assoluta che ricercava. L'astensione è stata larga, del 37,2%. I socialisti di Ferro Rodrigues, che giá avevano subito una autentica deb^acle nella amministrative di appena tre mesi fa, perdono il 6,2% e 20 deputati. Il pp (destra), nonostante l'appello al «voto utile» del psd, guadagnano a sorpresa mezzo punto (nel '99 avevano l'8,3%) pur perdendo, per il sistema maggioritario, un seggio e si assestano su 14 deputati. Ma saranno determinanti per formare il governo. I comunisti del cdu, il più ortodosso d'Europa, passano dal 9% delle legislative di tre anni fa al 7%, e si aggiudicano 5 deputati in meno dei 17 che avevano alla «Assembleia». Infine il «Blocco di Sinistra», una specie di «Lotta Continua», passa dal 2,5 al 2,8 e da 2 a 3 deputati. Ferro Rodrigues, 52 anni, ministro uscente del Lavoro, è comparso davanti alle telecamere poco dopo mezzanotte per complimentarsi con Durao Barroso per la sua vittoria. Scuro in volto, non ha fatto autocritica su una delle armi che ha regalato al centro-destra: la sua proposta di formare un governo con i comunisti. Un «fronte popolare» che avrebbe reso impossibile la governabilità del Paese, visto che arrivano per il Portogallo tempi di duri sacrifici. «Le sinistre hanno comunque il 48% dell'elettorato», ha detto con orgoglio Ferro. Ma la delusione era evidente. Durao Barroso, che ha sì vinto, ma non stravinto come voleva, in campagna elettorale ha usato a man bassa la spauracchio del «pericolo comunista» che minacciava il «fronte popolare». Avvocato con master in Economia, 46 anni, ex ministro degli Esteri con l'ultimo governo conservatore di Cavaco Silva dal '93 al '95, ex maoista ai tempi della «Rivoluzione dei garofani» del '74, il leader del centro-destra ha di fronte a sé una strada non facile. Perché il Portogallo che eredita dai socialisti del premier uscente António Guterres (che si era dimesso a sorpresa da candidato dopo la sconfitta nelle amministrative del dicembre scorso, quando il ps aveva perso tutte le principali città del Paese) vive una crisi economica molto grave. «Il Portogallo dovrà prendere decisioni impopolari perché la crisi non ammette più ritardi», ammoniva la settimana scorsa Vitor Constancio, governatore della Banca del Portogallo. Infatti, nonostante la marea di soldi che arrivano da Bruxelles (56 miliardi di euro dall'86), il deficit pubblico viaggia al 2,2%, il pil del 2001 è sceso all'1,7%, l'inflazione cavalca al 4,4% (la più alta della Ue). Ed era stata proprio la crisi economica a cacciare il psd all'opposizione nel '95. Durao Barroso promette di rimettere in sesto i conti pubblici, di tagliare le imposte per rilanciare l'economia, tagli alle pensioni e alle spese sanitarie. Insomma austerità. Misure che hanno trionfato nella Spagna popolare di Aznar, che però ha aumentato i contributi allo Stato sociale. Cosa quest'ultima che Durao Barroso non si potrà permettere.

Gian Antonio Orighi
"La Stampa"