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Visualizza Versione Completa : Il problema "immigrazione"



Ichthys
20-03-02, 01:30
Il problema 'immigrazione' è volutamente travisato da chi ha interesse a confondere le idee al pubblico. Diciamolo subito: ciò che rende l'immigrazione, in Italia e in Europa, un problema e non semplicemente un 'fenomeno', non è il fatto 'immigrazione' in sé e per sé, ma che si tratta spesso e volentieri dell'immigrazione di genti razzialmente allogene.Gli imbonitori di cervelli hanno un bel dirci che le migrazioni umane sono un fenomeno di antichità immemoriale del quale stiamo adesso presenziando soltanto una nuova edizione. È vero che le migrazioni umane ci sono sempre state, ma è anche un fatto storico che, almeno in Europa, i movimenti di popolazioni sono stati fino a recentissimamente movimenti interni al continente. Adesso lo scenario è diverso, quantitativamente e qualitativamente: la tecnologia contemporanea rende possibile lo spostamento di enormi masse di popolazione; le quali sono quasi interamente costituite da elementi di colore, spinti da circostanze storiche perverse a venire a fare da parassiti nel mondo civile. E il mondo civile - almeno quello di razza bianca; in estremo Oriente le cose stanno almeno parzialmente altrimenti - ammette supinamente l'invasione, castrato da complessi di colpa immessi nelle coscienze più deboli dai mass-media e dall'educazione scolastica, tutti in mano di centri di potere che sono succubi della grande finanza e delle multinazionali - su di ciò si riverrà più avanti. Esiste una vera e propria ideologia, che è il cosiddetto 'terzomondismo', la quale celebra adesso i suoi fasti su scala mondiale. Fin dalle scuole elementari al bambino di razza bianca è detto che il Bianco è il responsabile della condizione di povertà del Terzo Mondo perché sono stati i Bianchi a sfruttarlo, a svuotarlo delle sue ricchezze e risorse (il che è né più né meno che falso) e che quindi la ragione della sua arretratezza è stata la colonizzazione europea (invece il contrario è vero: il periodo coloniale sarebbe stata l'opportunità d'oro per quelle popolazioni per mettersi al passo con l'Europa se ne avessero avuta la capacità e la volontà). Viceversa, non c'é Negro, Papuaso, Australoide, Indocinese, che non sia convinto che la sua condizione di povertà non sia dovuta al fatto che per secoli la sua razza è stata 'sfruttata' dal satanico colonialista europeo. Quindi, da parte sua, la convinzione di avere il diritto a farsi risarcire - cioè: a farsi mantenere - lui e i suoi discendenti, per tutti i secoli a venire. Da parte, invece, del Bianco che abbia assorbito il lavaggio cerebrale massmediale, una forma acuta di masochismo, per cui egli risulta convinto di doverlo proprio mantenere; e anche di umiliarsi davanti al razzialmente allogeno. Questo è il clima psicologico che prepara il discioglimento della civiltà europea - la quale, salvo totali o parziali inversioni di rotta, sarà una cosa del passato entro meno di un secolo. (Vale la pena di menzionare qui che molto spesso i fautori di questo tipo di progresso accusano i loro oppositori di essere motivati da paura - paura del loro 'radioso mondo nuovo'. A costoro si potrebbe rispondere che si tratta di un caso analogo a quello di qualcuno che mi invitasse a saltare giù dal decimo piano di un caseggiato; e se io non mi dovessi mostrare interessato mi dicesse che non lo faccio per paura - a quello io direi che la chiami pure paura, se gli va). Un'implosione della civiltà europea risulterebbe forse a tutto vantaggio del Giappone: la scomparsa di ogni contrappeso sul piano culturale darebbe il via all'insorgere di un ipertrofico Impero del Sol Levante che ben presto sarebbe padrone di tutto il pianeta - i Giapponesi, e i Nord-est-asiatici in generale, posseggono ancora una vigile consapevolezza razziale.Ciò premesso, si vuol fare qualche esempio di ciò che significhino immigrazione di elementi di razza bianca e immigrazione di genti di colore. L'esempio-principe che si può addurre è probabilmente quello della Prussia, con ragione definita la Roma della modernità, da Spengler fra altri. Della Prussia poté essere detto che essa fu un paese fatto di minoranze e che fu costruito grazie all'immigrazione. Effettivamente, su di una popolazione originale fatta di Balti e di Slavi occidentali si innestò una classe dirigente tedesca che favorì una massiccia immigrazione germanica, alla quale seguirono Polacchi, Lituani, Russi, Francesi, Scandinavi: tutte etnìe di razza bianca che si fusero senza problemi e che contribuirono tutte a fare la grandezza del paese. - La Francia, prima della guerra, assorbì importanti quantitativi di immigrati fiamminghi, italiani, spagnoli, polacchi, al punto che adesso almeno un Francese su quattro ha almeno un antenato di una di quelle nazionalità: si trattò anche in questo caso di un'immigrazione che non snaturò razzialmente il paese e che non causò problematiche di rigetto o di degradazione sociale. Tutto il contrario successe dopo la guerra, quando la Francia divenne obiettivo di una massiccia immigrazione di colore. - Anche la Repubblica Veneta incamerò senza danno vasti quantitativi di genti balcaniche nella sua popolazione. - Si potrebbe parlare degli Stati Uniti, ma questo interessante argomento ci porterebbe troppo lontano.Dovrebbe essere perciò del tutto chiaro che c'è immigrazione e immigrazione: finché l'immigrato è di razza bianca, di una vera problematica non è il caso di parlare, almeno in termini generali e a lunga scadenza: l'immigrato entrerà, di massima, a far parte della nazione ospite, anch'essa di razza bianca, senza degradarne il livello. L'opposto è vero dell'immigrato di colore. Esso, per ragioni genetiche, è inassimilabile (salvo a cadere in quella forma di 'assimilazione' che è il meticciato generalizzato, su di cui più avanti si diranno due parole). Esso arriva né più né meno che a fare da parassita del tessuto sociale dei paesi civili. La sua presenza causa deperimento delle infrastrutture, diffusione di malattie, criminalità crescente (il 70 - 80% della criminalità nei paesi civili è adesso di importazione), deterioramento della compagine sociale e del tenore di vita dei paesi ospitanti - non a caso tanti industriali vedono di buon occhio l'immigrato di colore perché esso fa da calmiere sul costo della manodopera: la sua presenza mantiene basso il prezzo del lavoro causando nel contempo disoccupazione fra gli operai bianchi meno qualificati, spesso ridotti a essere dei paria nella loro propria terra. In Francia, dove ci sono quasi sette milioni di immigrati di colore ('extracomunitari'), è calcolato che la loro presenza costi, per via indiretta, al contribuente francese, molte migliaia di miliardi di lire annue (cfr. volantino di Forza Nuova, agosto 1998) - ma, sempre in Francia, si è arrivati al punto che tasse addizionali vengono imposte per sussidiare le comunità extracomunitarie, la cui attitudine verso chi le ospita e le mantiene diviene sempre più ostile. Ma il dover contribuire alla manutenzione del parassita di colore, una volta che esso è incistito nel tessuto del paese, è qualcosa a cui non è dato sottrarsi, neppure in via teorica. Anche se si potesse decidere che non una lira di ciò che ci viene tolto sotto forma di tasse venisse dirottata verso il parassita extracomunitario, a nessuno sarebbe dato di sottrarsi al carico di sussidiarlo se non diventando egli stesso un parassita o un criminale. E ciò perché ognuno che rispeti il vivere civile - il cd. 'contratto sociale' - contribuisce volens nolens alla manutenzione di quelle infrastrutture alle quali l'allogeno di colore si attacca a succhiare come da una mammella. Nel contempo, a mano a mano che il suo numero aumenta e che le sue enclâves - veri ascessi dentro al tessuto sano dei popoli civili - acquistano in consistenza, l'allogeno si radicalizza psicologicamente e diviene in modo sempre più aperto un rabbioso nemico di colui che lo mantiene. Già adesso negli Stati Uniti e in Francia i gruppi rap inneggiano alla prossima vendetta dell'extracomunitario contro l'uomo bianco. Questo, non dovrebbe suscitare alcuna sorpresa: l'elemento di colore, convinto di essere stato uno sfruttato per secoli e consapevole - sia pure a livello subconscio - che sua condizione di paria - e quindi di maledetto (tous les malhéreux sont méchants) - è insormontabile - per ragioni genetiche - non può diventare se non un risentito della peggior specie e non desiderare se non la morte più atroce per colui che a lui è irremissibilmente migliore.Non c'é dubbio che il risorgere e il rafforzarsi dell'Islâm, su scala mondiale, rappresenti per l'allogeno di colore di stanza in Europa un appoggio e un punto di riferimento straordinariamente forte. Un meticciato generalizzato porterebbe in ogni modo alla dissoluzione della civiltà europea in brevissima scadenza. Esempi storici del tutto pertinenti e perfettamente documentati che mostrano il processo di disfacimento di grandi civiltà per meticciato ce ne sono diversi. A noi particolarmente vicino è il caso del Nord Africa. Entrare in argomento, in questa sede, sarebbe troppo lungo: si faccia riferimento al libro di Silvio Waldner, La deformazione della natura, pubblicato dalle Edizioni di Ar nel 1997.Se il presnte sistema dovesse rimanere in piedi ancora per 20 - 40 anni, si prospetterebbe l'obliterazione dell'Europa e della razza bianca in generale come conseguenza dell'immissione di masse crescenti di razzialmente allogeni; che per meticciato o magari per eliminazione fisica procederebbero a distruggerci - mentre i Bianchi, in gran parte smidollati da un lavaggio cerebrale in senso 'umanitario' non opporrebbero nella loro maggioranza se non una debole resistenza. A questa situazione avranno portato da una parte le forze della globalizzazione, dall'altra le chiese cd. cristiane. I megaricchi, padroni della finanza internazionale, non avrebbero più niente da temere da una massa amorfa e senza volto - dalla quale i nuovi preti pescherebbero anche le loro future greggi di 'credenti'. Ci si potrebbe prospettare un mondo dove qualche migliaio di Arpagoni deterrebbero ogni esistente ricchezza e vivrebbero in quartieri di stralusso continuamente guardati da eserciti privati, attorniati dalle bidonvilles dove vegeterebbe la subumanità senza volto, sprofondata in una miseria quasi inimmaginabile. Questo tipo di situazione si sta già delineando in vaste zone a popolazione prevalentemente di colore, tipo l'Iberoamerica e l'Asia sud-orientale. È mia opinione che a questo difficilmente si arriverà, perché l'accumularsi di processi catastrofici farà saltare il sistema molto presto. Sarà allora compito dei giovani ridare all'Europa un volto e di farla uscire dall'incubo nel quale si è trascinata negli ultimi decenni. Compito che dovrà essere affrontato presto: ai ferri corti si arriverà probabilmente entro i prossimi 10 - 15 anni (cfr. l'ottima conferenza di Guillaume Faye pubblicata sulla rivista "Orion", agosto e settembre 1998).Noi, che prendiamo atto e siamo consapevoli della problematica razziale, che rifiutiamo il dogma egualitarista e che agiamo e giudichiamo guidati da questa consapevolezza senza fare la politica dello struzzo, siamo spesso e volentieri additati dai reggistrascico del sistema come fautori dell'odio fra gli uomini. Invece, in una conferenza data nel 1990, il prof. Johan Schabort ebbe a dire che non c'è odio più grandi di quello di colui che odia i suoi bambini. E quello è proprio l'odio dei segugi del sistema, i quali, se dovessero potere proseguire fino in fondo con il loro operato, destinerebbero ai loro figli un futuro che chiamare infernale sarebbe un eufemismo.