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Shaytan (POL)
20-03-02, 13:19
«Come pago il mutuo?»
Tra gli operai senza lavoro della Bernabé
IL DRAMMA DEI SENZA LAVORO


TRENTO. Le bandiere rosse della Cgil garriscono al vento. Si fermano un po' tutti a mettere una firma per i lavoratori della Bernabé. Trecento il primo giorno, seicento ieri, al gazebo di piazza Pasi. «Grazie, grazie mille», dicono gli operai ad ogni autografo di solidarietà. La gente dice: «Lo facciamo perché abbiamo gli infissi della Bernabé a casa, la vostra azienda ci è cara». E poi corre oltre.
Michele Pisoni, anni 34, barba incolta, lo sguardo appannato di chi da giorni dorme male, è quel messo peggio. A casa arriva un unico stipendio: il suo. La moglie fa la casalinga, e bada ai due figlioletti di quattro e un anno. E poi c'è il mutuo da pagare, per l'appartamento a Cognola: 850 mila lire al mese. Un operaio alla Bernabé guadagna poco più di mille Euro (due milioni di lire), per quattordici mensilità. Ora si profila un periodo di cassintegrazione, il che vuol dire un sussidio al mese di 700 Euro. «Come lo pago il mutuo?» Lo sconcerto è moltiplicato dall'assoluta imprevedibilità del fallimento dell'azienda: «Non sapevamo nulla della crisi, pensi che la mattina che ci hanno dato la comunicazione io stavo per andare in amministrazione per chiedere i telepass per le trasferte...» racconta Pisoni.

La Bernabé sta a Trento dal 1954. Furono i fratelli Renzo e Fabio Bernabé a fondarla. Venivano da Mala, val dei Mocheni, si diedero subito da fare, la fabbrica fu un esempio di miracolo economico. Fanno serramenti metallici, infissi di porte e finestre. Negli anni d'oro gli operai sono 120. Stare alla Bernabé è come stare in Provincia: un posto sicuro. Ancora nel'94 il fatturato è di 140 miliardi, la maggioranza delle commesse è in Germania. «Esportare all'estero, soprattutto ai tedeschi, è come avere un marchio d'origine controllata» dice oggi l'operaio Huber. Poi, rapidamente, qualcosa s'incrina. Nel'99 scoppia la prima crisi, che porta la Bernabé spa al concordato. Sembra la fine. Invece da Conegliano Veneto arriva Flavio Feletti, che insieme all'impresa Somec di Aldo Sossai rileva la società trasformandola in Bernabé Industries. Enuncia un programma ambizioso, ma intanto gli operai passano da 109 a 65. Molti degli attuali dipendenti vengono riassunti dopo mesi di cassintegrazione, come accade al Pisoni.
Feletti comincia da zero, ma la nave va. O almeno così sembra. Poi i nodi vengono al petto. Il fatto che fa scoppiare la crisi è rappresentato dalla sede di Lamar di Gardolo, che il curatore fallimentare Gianmarco Trentini intende vendere per pagare i creditori della vecchia Bernabé, la spa. E' una struttura di 5 mila metri quadri, che secondo i periti vale 12 miliardi di lire. Un boccone ghiottissimo. Trentini ingiunge Felletti all'abbandono, posto che la Provincia ha già pronta un'altra sede nell'ex Alpe Sis. Solo che Feletti non si muove. Succede che l'Agenzia del lavoro intende vedere i bilanci della società, prima «di concedere l'affitto». Feletti non tira fuori le carte che testimonierebbero la sua solidità finanziaria (il perché lo si scoprirà subito), sicché ad un certo punto Trentini perde la pazienza e impone una penale di 5 mila Euro per ogni giorno trascorso illegittimamente nel capannone di Lamar. Gli operai sono diventati nel frattempo 22.
Feletti la mattina del 27 febbraio convoca gli operai in assemblea, e alle otto del mattino spiega in due minuti due che ha messo in liquidazione la società. Nessuno lo intuiva (ancora a dicembre il sindacato era stata assicurato: "Quest'anno il bilancio sarà in attivo"), ma la società ha 1 milione e mezzo di debiti (3 miliardi di lire). Un oceano accumulato in soli tre anni. (Feletti affitta la società nel maggio del'99, l'acquista il 18 dicembre 2000). Venerdì scorso 15 marzo il tribunale di Trento (presidente Carlo Ancona) fa l'unica cosa da fare di fronte all'insolvibilità: la dichiara fallita. Una sentenza che pesa come un macigno. E da allora nessuno l'ha più visto. Quattro operai hanno continuato a lavorare lo stesso, per concludere un lavoro già avviato. Appalti come le scuole magistrali di Merano o le case Itea di Rovereto sono stati bruscamente interrotti. Si calcola che siano cinque o sei i lavori in corso. «Devono ancora pagarci il rimborso per la trasferta a Shangay, dove abbiamo lavorato in un grattacielo. E aspettiamo anche le tre mensilità mai saldate dalla vecchia Bernabè: tre mensilità sono per noi un sacco di soldi».

L'età media alla Bernabé è over cinquanta. Per loro riconvertirsi sarà più difficile. Come Maurizio Cestari, assunto nel febbraio del 1971. O Sergio Huber, anni 49, da trenta in azienda. Dopo tanti anni il loro stipendio è 2 milioni 200 mila lire al mese. Antonio Berti, 47 anni, delegato Rsu, beve un bianco da un bicchiere di plastica e la butta lì: «Perché la Provincia che regala soldi a destra e a manca non fa un fondo per gli operai disoccupati?». Alessandro Larentis ha 36 anni e le cose le vede con un certo distacco. Lui è giovane, un altro lavoro lo troverà: «Basta darsi una mossa, avere voglia, e qualcosa si trova. Ma ci devono dire cosa siamo: cassintegrati, in mobilità, boh». «Oggi non siamo né carne né pesce» dice il Berti. «Io accetto di tutto, vado a fare il magazziniere se capita, non c'è problema. Peccato, perché il mio lavoro mi piace molto» dice Pisoni. L'operaio qualificato quinto livello Amedeo Andreis sospira: «Non possiamo aspettare troppo. Ho un affitto da pagare. Una figlia da mantenere».
Ieri il curatore fallimentare Segnana ha incontrato Faletti per fare il punto sull'inventario dell'azienda. Margherita Cogo ha interrogato Cristofolini per ricordargli che la Bernabé ha chiuso «senza una motivazione credibile, proprio quando lo stabilimento avrebbe dovuto trasferirsi nei capannoni lasciati liberi dall'Alpe Sis». Per la Cogo «va valutato sino in fondo il ruolo dell'Agenzia per lo sviluppo che sembra aver sottovalutato l'importanza di tale azienda». E ancora: «Si sono poste in essere iniziative concrete e mirate volte ad individuare un imprenditore, credibile ed affidabile, capace di ridare continuità produttiva al marchio Bernabé».
Alla gente che si ferma («firmo perché è la Bernabé!») per sottoscrivere la raccolta di firme gli operai consegnano un volantino: «Noi riteniamo che oggi è possibile dare continuità all'attività produttiva della Bernabé in quanto ci sono mercato, tecnologia e professionalità. Per questo noi intendiamo impegnare la giunta provinciale ad individuare un imprenditore che intenda dare continuità produttiva alla Bernabé. Il lavoro è un diritto, non una concessione». Gli operai si danno il turno. Da mattina a sera sono lì e sabato saranno a Roma per protestare contro l'articolo 18. «Ma ci saremmo andati lo stesso» dicono. Le bandiere rosse garriscono al vento nel pomeriggio di primavera di piazza Pasi. Ma è uno sventolare amaro.

Shaytan (POL)
20-03-02, 13:20
Ieri incontro Feletti-Segnana: i debiti ammontano a tre miliardi

c.ve.

TRENTO. La Provincia offre consistenti agevolazioni per rilevare quel che resta della Bernabé Industries. Ieri l'assessore provinciale all'Industria Marco Benedetti ha contattato tre aziende - una in Trentino, due extraprovinciali - per invogliarle a rilanciare la storica azienda di Lamar di Gardolo, dichiarata fallita dal tribunale venerdì scorso. La Provincia offre come sede l'affitto del capannone dell'Alpe Sis a prezzi stracciati, contributi per l'investimento e fondi per il trasloco. «Le aziende ci hanno ringraziato, ora ci penseranno» ha detto Benedetti. «Feletti? No, non l'ho visto. Si è dileguato».
La situazione è maledettamente seria. Ieri l'ultimo proprietario della Bernabé Industries, l'imprenditore trevigiano Flavio Feletti, ha incontrato il curatore fallimentare nominato dal tribunale, la commercialista Marilena Segnana. La Bernabé è spirata per debiti pari a un milione e mezzo di Euro (tre miliardi di lire). Feletti ha mostrato i beni, ha spiegato com'è organizzata l'azienda, illustrato le ragioni del dissesto. Tra qualche settimana, in tribunale a Trento, ci sarà la riunione durante la quale si procederà all'esame dello stato passivo sulla base delle domande nel frattempo presentate dai creditori. «Mai e poi ci saremmo aspettati di trovarci in questa situazione» ha chiarito Benedetti.
Trovare un'alternativa per gli operai sarà durissima. Ezio Casagranda, il dirigente della Fiom-Cgil, ammette che non si è fatto avanti nessuno. Ieri ha cercato di mettersi in contatto con la dottoressa Segnana, ma l'incontro è stato rimandato ad oggi. «La Bernabé ha ancora un futuro».
Ieri Margherita Cogo (Ds) ha chiesto al presidente Mario Cristofolini perché si è voluto «porre fine ad un'esperienza produttiva che nel 2001 aveva fatturato tre miliardi di lire, che per decenni aveva caratterizzato l'economia trentina anche all'estero, che rappresenta, ancora oggi, un marchio conosciuto e di indubbio valore commerciale sul mercato dei serramenti in Italia e all'estero». L'ex presidente della Regione preme per «un imprenditore credibile ed affidabile, capace di ridare continuità produttiva al marchio Bernabé».
E vuole sapere «se si ritiene che l'Agenzia per lo sviluppo in questa vicenda abbia agito secondo le sue possibilità istituzionali o se si possano riscontrare sottovalutazioni e interventi poco precisi che hanno contribuito al raggiungimento di questa situazione».

Shaytan (POL)
20-03-02, 13:25
TRENTO. La crisi della Bernabé rappresenta un altro campanello d'allarme per l'industria trentina. Anche la Provincia ha le sue responsabilità, accusa la Lega Nord in un'interrogazione presentato al presidente Lorenzo Dellai da Divina, Boso e Bertolini: «La crisi di quest'industria produttrice di serramenti, con partner e clienti di rinomata fama e prestigio, giunge in un momento in cui l'azione della Provincia con il suo braccio operativo industriale e finanziario, l'Agenzia per lo sviluppo, è già messa in discussione da altri casi di difficoltà».
«La situazione di crisi della Bernabé s'inserisce quindi in un momento del settore industriale trentino che vede già alcune situazioni difficili. Questo non vuol dire che nel caso della Bernabé nulla non si poteva fare e che nulla oggi non si può fare. La Bernabé industries rappresenta infatti un polo tecnologico di primaria grandezza nella produzione dei serramenti, sia a livello locale, che nazionale oltreché europeo. La chiusura della Bernabé ha responsabilità politiche precise e ben individuabili nell'atteggiamento tenuto dall'Agenzia per lo Sviluppo e dall'assenza di interventi precisi e puntuali da parte di chi di dovere. Alla scelta di agevolare il trasferimento e lo sviluppo di un'azienda si è preferito tergiversare su questioni burocratiche, dando così una scusante alla proprietà per chiudere la fabbrica. Perché questo è successo durante le lunghe trattative che dovevano portare la nuova sede dello stabilimento dell'industria nel capannone ex Nones».