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Visualizza Versione Completa : Da Palmiro a Pancho. Lezioni per la scuola



Österreicher
20-03-02, 22:57
Mille studenti si riuniscono a Milano per ascoltare Massimo Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti. Il carceriere Che Guevara e i volenterosi carnefici del Pci. Come iniziare a tramandare ai giovani il coraggio di vivere fuori dalla menzogna. Senza complessi, né mitici, né edipici. Con tanti saluti alla rabbia nannimorettiana

di Gianni Mereghetti

«Sono stato prigioniero volontario di un’ideologia e di una cultura». Con queste parole Massimo Caprara ha iniziato a raccontare la sua vicenda umana che prima lo ha portato ad entrare nella nomenklatura comunista e poi, dopo vent’anni, ad uscirne. Lo ha fatto lunedì 18 febbraio davanti a mille studenti delle Scuole Superiori di Milano al teatro Dal Verme di Milano in un incontro dal titolo “Il Novecento e l’ideologia” organizzato dal Centro di aiuto allo studio Portofranco all’interno delle iniziative dal significativo titolo “Vivere le dimensioni del mondo”. L’incontro con Caprara è stato insieme il racconto di un dramma umano ed una lezione di storia; diversamente però da come accade spesso nelle aule scolastiche ha avuto il fascino della testimonianza. Del resto, che cosa è la storia se se ne toglie l’avventura dell’uomo? Caprara ha fatto storia, raccontando di sé, ha spiegato ai ragazzi che cosa significhi ideologia parlando della sua appartenenza al Pci italiano dal 1944 al 1969, ha delineato i tratti del comunismo e della sua nomenklatura attraverso la sua appassionante adesione e il suo drammatico distacco. Caprara ha parlato a lungo del suo rapporto con Togliatti, di cui fu segretario, ha raccontato di Stalin e dei maggiori leader comunisti del Novecento, da lui direttamente conosciuti, ha sfatato il mito di Che Guevara, personaggio da lui definito eroico nella morte, ma identificabile come «il più spietato carceriere dell’America Latina», creatore del terribile sistema carcerario cubano. Un eroe il cui volto campeggia nelle manifestazioni e sulle magliette di molti giovani, ma che, in realtà, fu così spietato da servirsi delle sue conoscenze mediche per rendere più atroci le sofferenze delle vittime del castrismo.

Togliatti, il fascino e la delusione
In questo racconto, ricco di episodi e di aneddoti, Caprara ha voluto spiegare ai giovani perché diventò comunista. Fu un fascino culturale, una passione utopica che lo attrasse. «Il comunismo era un modo di vita, una cultura». Caprara ha raccontato del suo primo incontro con Togliatti, che stava cercando un redattore capo per quella rivista che sarebbe poi stata Rinascita e che rientrava nel suo piano di costruire un partito nuovo, fondato sui giovani della borghesia. In quell’incontro Caprara rimase affascinato dal fare di un leader che per capire il valore del giovane che aveva davanti non gli chiese cosa pensasse del comunismo, ma «che te ne pare di Vittorini?». Da lì, anno 1944, iniziò l’avventura di Caprara nella nomenklatura, da cui uscì nel 1969 dopo l’occupazione di Praga da parte dell’Armata Rossa. Fu una scelta drammatica che Caprara fece perché aveva preso coscienza di quanto il comunismo fosse un “errore fatale”, un tradimento della libertà dell’uomo. Se Togliatti lo aveva affascinato per la sua intelligenza e per la sua cultura, non di meno con il passare degli anni erano venuti alla luce i primi segni della sua doppiezza, quella che permise al leader del comunismo italiano di sopravvivere nella Mosca staliniana e sui quali Caprara aveva cominciato a riflettere. L’episodio più tragico di questa doppiezza fu che Togliatti fosse tra i firmatari della fucilazione dei dirigenti del Partito Comunista Polacco. Quello più drammatico fu la risposta che Togliatti diede a Caprara in merito a che cosa avrebbe fatto Gramsci: Togliatti rispose che ne sarebbe morto! Caprara abbandonò il Pci e ne divenne un critico feroce; l’egualitarismo, il collettivismo, il totalitarismo, la democrazia coatta del partito, ovvero i tratti più significativi dell’ideologia comunista furono da lui ricompresi nella loro vera luce, come l’annullamento dell’uomo, della sua libertà, della sua ricerca della verità. In alcuni momenti altamente drammatici, segnati dal silenzio e dall’attenzione dei giovani, Caprara ha messo in gioco la sua vicenda umana.
«Non sarò mai anticomunista - ha detto - ma sono un uomo che ha visto, che ha imparato e che ha riflettuto. Di questo mio passato, io non mi assolvo, ne vedo le colpe, ne sento le responsabilità. Ma se non mi assolvo, nemmeno mi ritiro dalla battaglia. Io non posso avere il diritto di tacere, ho visto e voglio parlare di quello di cui sono stato testimone. Lo faccio perchè cerco la verità e la voglio cercare insieme a voi».
L’applauso dei giovani studenti ha sottolineato la passione delle parole di Caprara ed ha significato che questa generazione, spesso accusata di essere fuori dalla storia, in realtà è fuori dalla storia di parata, da quella ideologica di matrice veltroniana, non da quella che gli uomini vivono e raccontano attraverso il loro impegno ideale. Massimo Caprara ha concluso lasciando una consegna ai giovani studenti milanesi, di avere il coraggio della verità, di cercarla sempre in ogni situazione. «Il dibattito con se stessi è la fonte di ogni cambiamento» aveva detto ad un certo punto della sua relazione ad indicare come si debba cercare la verità; questo se vale per le vicende storiche, vale certamente e ancor più per la vita.

Non la solita minestra riscaldata
L’incontro con Caprara, essendo stato il racconto di una vicenda umana, è stato così una vera e propria lezione di storia, e in questo modo ha aperto uno squarcio di novità dentro un mondo scolastico in cui spesso la storia, anche là dove si parla di fatti recenti come il ’68 o il Vietnam, è la minestra riscaldata dell’ideologia.
In tale prospettiva l’insegnamento più significativo di Massimo Caprara è stato quello di aver messo in evidenza come l’uomo, ogni uomo, viva in una condizione di vertigine, sempre in bilico tra utopia e ideale, dove per utopia si intende il progetto di un futuro migliore cui si costringe a forza la vita, fin nei suoi affetti più profondi, mentre l’ideale è un’esperienza presente che corrisponde alle esigenze di felicità, giustizia e verità del cuore umano. Massimo Caprara ha dato la sua vita per la realizzazione di un’utopia, ma l’ha data da uomo ed è per questo che ha snidato l’inganno dell’utopia ritrovando quella forza ideale che ha affascinato i mille giovani del Dal Verme, una forza che lo rende oggi testimone di un impegno inesausto per la verità.

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<center>PAULER</center>
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