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Visualizza Versione Completa : Superare Il Capitalismo



Rodolfo (POL)
23-03-02, 06:27
Vi invio un mio articolo:

Dopo il crollo del Muro di Berlino dell’89, in tutto il mondo era nata una speranza ed una certezza di libertà: oramai crollato anche l’ultimo dei totalitarismi ci si prospettava un mondo di libertà e di pace.
Ed invece da quel giorno è nato il più terribile dei totalitarismi: quello del Pensiero Unico capitalista.
Una volta liberato dal suo nemico principale – la Russia comunista – il capitalismo ed il suo referente ideologico – gli Stati uniti – si sono sentiti in diritto di fare del mondo il loro terreno di conquista.
Chiariamoci: gli Usa, dalla loro nascita si sono sempre comportati alla stessa maniera, ma prima avevano un loro contraltare – altrettanto feroce ed imperialista- e quindi la loro arroganza era limitata… oggi nulla contrasta e può contrastare il Mondialismo americano.
Il capitalismo non è – come certa destra e certa sinistra ci propugnano – un blocco monolite sempre uguale a se stesso e senza sviluppo: ma come tutti movimenti economici e storici ha un suo ciclo, una nascita ed un suo sviluppo.
Quindi affermare oggi che il capitalismo è legato alla realtà nazionale non solo è falso ma è anche in mala fede.
Non è compito di questo breve articolo fare una storia del capitalismo, ma possiamo brevemente affermare che esso è strettamente legato alla nascita dell’ideologia liberale – durante la rivoluzione borghese del 1789 – in campo filosofico, dove l’individualismo e l’egoismo viene anteposto all’antica solidarietà comunitaria e di casta; dove il pregiudizio positivistico- scientista con i suoi strumenti ed i suoi metodi d’indagine crede di poter spiegare tutto quello che esiste; dove il pregiudizio materialistico- edonista impone che il benessere dipenda dalle cose e quindi dalla tecnica per inventarle e dal denaro per comprarle; dove il pregiudizio evoluzionistico- progressista pensa che col trascorrere del tempo e della storia la condizione umana sia sempre e fatalmente andata migliorando.
Mentre in campo economico nasce dal mito progressista dell’industrialismo con cui viene abolito ogni concezione economica “corporativa” ed agraria, col successivo spostamento di vasti strati della popolazione dalle campagne alle città, trasformando il contadino in operaio, il popolo in massa.
Da lì la società contadina si trasforma, quindi, in società delle macchine.
Non è un’eresia quindi dire che il marxismo è figlio legittimo del capitalismo, avendo gli stessi valori e gli stessi principi.
<<Da un punto di vista esteriore l’americanismo è esattamente l’opposto del marxismo, ma interiormente questi fenomeni sono strettamente collegati, quasi indissolubili. Sono infatti prodotti delle stesse tendenze della società umana, prodotti della degradazione dello spirito umano, della perdita delle caratteristiche nazionali, di uno stesso atteggiamento rapace nei confronti della natura. Oggi che il marxismo si appresta ad uscire di scena, il suo posto sta per essere preso da un altro prodotto dell’arroganza umana, l’americanismo. E’ difficile dire dove finisca il marxismo ed inizi l’americanismo e quale dei due abbia generato l’altro. Nella sua Bibbia, nel Manifesto del Partito Comunista, il marxismo ha sostanzialmente creato tre slogan: “rubate quel che vi è stato rubato”, “distruggete la vecchia società”, “proletari di tutto il mondo unitevi”.
L’americanismo, se avesse avuto una simile bibbia, avrebbe formulato i suoi tre principi in questo modo: “deruba il debole”, “vendi tutto quel che ti pagano”, “uomini di tutto il mondo unitevi”.
Come si vede queste due tendenze coincidono nella cosa più importante, l’internazionalismo, anche se nel primo caso è visto da un punto di vista classista e nel secondo no>>. (Igor Sanacev - “La Russia che dice No”)
Il capitalismo pur essendo, come abbiamo visto, nella sua essenza profondamente internazionalista, è però passato da una fase nazionale a quella mondialista e globalizzatrice attuale.
Ciò, è naturalmente spiegabile: per contrastare il marxismo internazionalista e per avere il consenso delle masse piccolo-borghesi doveva avere un’esteriorità nazionale.
Questo contrasto “marxisti- capitalisti” va avanti fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale che romperà e sconvolgerà i vecchi schieramenti ottocenteschi.
Più che la divisione tra destra e sinistra, borghesi e marxisti, ci si dividerà tra interventisti e neutralisti. Gli elementi più interessanti dell’interventismo italiano, in particolare socialisti e sindacalisti rivoluzionari, naturalmente, non chiedevano l’intervento per un patriottismo italiota, ma per la necessità rivoluzionaria della guerra.
<<Quando, durante il periodo della neutralità, gridavamo nelle strade e nelle piazze, soli contro tutti, la necessità rivoluzionaria della guerra, avevamo coscienza di continuare, non già d’inaugurare, una tradizione bellissima di lotta e di sacrificio.
La nostra volontà era contro lo spirito dei tempi: ma sentivamo che la ragione della nostra passione era una ragione di razza e di storia che aveva le sue radici nella legge fisica del nostro mondo storico e politico e avrebbe giustificato da sola la grandezza e l'avvenire del nostro popolo. Contrariamente a ciò che si verificava per una grande parte degli italiani, favorevoli ad una partecipazione dell’Italia a una guerra europea soprattutto per ragioni di retorica, noi avevamo in sommo disprezzo i modi retorici.
La nostra legittimità non andava oltre il principio del secolo scorso: non aveva tradizioni antichissime.
Nemici com’eravamo, per istinto, e come siamo tuttora, d’ogni ragione nostalgica, non avevamo necessità di trarre giustificazioni e pretesti dalla Rivoluzione francese.
Ubbidivamo agli istinti nostrani, più che alla ragione delle storie altrui.
La piazza, la folla urlante, la rissa, la ferocia di parte, erano scena e persone del nostro dramma nazionale, antichissimo e nuovo.
L’Austria era per noi un pretesto rivoluzionario: e giustificava soltanto in parte l’odio potentissimo e il nostro generoso amore.
La ragione delle sommosse, dell’ira, delle contese, dei tumulti, che nel periodo della neutralità ci spingeva in piazza contro i sostenitori della pace conservatrice, era una ragione profondamente rivoluzionaria: non si trattava già, per noi, di muovere l’Italia in guerra, ma d’iniziare nelle strade, fra casa e casa, scenario legittimo, quella rivoluzione nazionale che avremmo poi mutato, continuandola, in guerra contro l’Austria.
Nella fazione <<neutralista>> noi non vedevamo soltanto la difesa di una politica di pace democratica, ma la difesa di una mentalità e di un ordine conservatori; e, come sempre, antinazionali>>. (Curzio Malaparte in “Filippo Corridoni: Mito e storia dell’arcangelo sindacalista” (C.Malaparte- A. De Ambris – T. Masotti – V. Rastelli)
Questo fervore di sentimenti rivoluzionari, che avrebbero poi fatto nascere il fascismo, che utilizzavano la guerra per una rivoluzione nazionale, non era un fenomeno tipicamente italiano, ma europeo.
Dalla Germania dove <<il combattente della Grande Guerra, formatosi nelle Sturmtruppen o nell’aviazione, diventato l’uomo coraggioso dei “corpi franchi”, il terrorista- assassino di Rathenau; il boy scout, il wanderwogel, che girava da un ostello della gioventù all’altro fino ai confini dell’Europa, alla ricerca di una salvezza sconosciuta; il comunista risoluto a tutto; il cittadino nevrastenico eccitato dall’esempio dei fascisti italiani e dei gangsters americani, dei mercenari delle guerre cinesi e dei soldati della Legione Straniera.
E’ un tipo d’uomo che rifiuta la cultura, che s’irrigidisce in mezzo alla sua depravazione sessuale ed alcolica sognando di dare al mondo una disciplina fisica dagli effetti radicali.
E’ un uomo che non crede nelle idee e quindi nemmeno nelle dottrine.
E’ un uomo che crede solo nelle azioni e che compie i suoi atti secondo una mitologia molto sommaria.
Quest’uomo somiglia molto stranamente al tipo di guerriero che viene fuori in ogni situazione critica.
Ha qualcosa del crociato, del soldato della guerra dei cento anni, del mercenario delle guerre di religione, del conquistador spagnolo, del pioniere puritano, del volontario giacobino, del veterano napoleonico.
S’identifica con il soldato di Alessandro Magno o di Cesare, che partecipò a una reazione brutale contro il decadentismo raffinato.
Quest’uomo cerca in tutti i modi di sfuggire al soffocamento della città moderna.
Si rifugia nei campi di lavoro o nell’esercito. Ha paura di se stesso. Ma suo figlio non ha più paura di se stesso; nel figlio non c’è più lotta: la rivoluzione è compiuta e fiorisce>> (Drieu La Rochelle – “Appunti per comprendere il secolo”).
Ma anche in quei Paesi che non avevano perso prestigio durante la Guerra vi erano dei fermenti rivoluzionari: dalla Francia dove sorsero movimenti come l’Action Francaise o il Partito populaire Francaise; all’Inghilterra col movimento fascista di Sir Mosley; alla Spagna con la Falange Spagnola di José Antonio Primo de Rivera; al movimento ungarista di Szalasi fino al movimento rumeno della Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu.
Quindi nei giovani europei, in particolare quelli provenienti dalle trincee della Prima guerra mondiale, vi era l’aspirazione ad una Rivoluzione Nazionale che realizzasse una rivoluzione autentica, non marxista e che sconfiggesse il capitalismo e la democrazia borghese.
L’errore fatale, però, di molti movimenti fascisti, in particolare quello italiano e tedesco, fu di avere l’illusione di utilizzare una parte del capitalismo per andare al potere… lo stesso capitalismo che una volta che i movimenti fascisti uscirono dal seminato - la guerra contro le plutocrazie anglo-americane - li avrebbe abbandonati a loro stessi ed eliminati di lì a poco.
Possiamo difatti forse dire che l’autenticità ideologica dei movimenti fascisti fu quella dei “fascismi sconfitti” o “fascismi impossibili”: i fascismi rivoluzionari mai andati al potere (la Guardia di Ferro) oppure quelli che avevano governato per pochissimo tempo(Szalasi), quel fascismo uscito sconfitto durante la guerra(la Rsi) oppure quello sconfitto da un fascismo più pragmatico e politico(la Rivoluzione Conservatrice).
Difatti si possono trovare interessanti scritti durante la fine della guerra di fascisti che hanno oramai capito che i nemici non sono certo i comunisti ma i capitalisti e la destra borghese: tratto da un articolo di Enzo Pezzato apparso il 22 aprile del 1945, nel pieno dell'agonia della RSI, su Repubblica Fascista; scrive Pezzato interpretando il sentire dei giovani repubblichini:
<<Il Duce ha chiamato la Repubblica italiana sociale non per gioco; i nostri programmi sono decisamente rivoluzionari; le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero di 'sinistra'; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta e puntuale dei programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esservi dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta viene da destra>>.
Lo stesso dopoguerra segnò alleanze tattiche – difficili da comprendere oggi dove regna incontrastato il mito dell’antifascismo militante introdotto verso la fine degli anni ’60 dalla DC per il consolidamento del regime democristiano - fino alla rivolta di Valle Giulia.
Episodio emblematico e poco conosciuto dove giovani rivoluzionari lottarono insieme contro il potere baronale: un’alleanza generazionale che soltanto il potere reazionario dei due partiti di riferimento (PCI e MSI) fece saltare e rinascere l’”antifascismo” con il triste corollario degli anni di piombo e gli omicidi politici negli anni ‘70.
Ritornando al presente la situazione è contraddittoria: da un lato vi sarebbero le condizioni e le possibilità di una rivolta contro lo strapotere economico capitalista, viste le precarie condizioni sociali, le privatizzazioni ed i conseguenti licenziamenti di massa, l’omogeneizzazione culturale ed economica che tanti scontenti sta producendo; ma dall’altra regna ancora un’antica, vecchia e reazionaria contrapposizione di destra e sinistra, e gli stessi movimenti che si autodefiniscono antagonisti sono, in realtà, strumentali e funzionali ad una logica del potere neo-liberista(No-Global su tutti).
L’unica soluzione è quindi prendere insegnamenti dai movimenti rivoluzionari dell’ultimo secolo non per farne una loro fotocopia, che il più delle volte è invece una macchietta, ma per superarli e sintetizzarli.
Scendendo nel pratico bisogna quindi cercare di sintetizzare l’elemento nazionale con quello europeo per costruire un’Europa “comunitaria” ed “organica”.
Sul piano politico lo Stato Europeo – nel rispetto delle libertà e delle differenze nazionali - dovrà essere organizzato sul criterio di un Governo Europeo, dotato di funzioni esecutive e legislative che avrà competenze in materia di difesa, di politica estera, di finanze, giustizia e sui grandi settori economici nazionalizzati e socializzati.
Lo Stato europeo sarà organizzato in Regioni e Province dotate di autonomia di gestione la più ampia possibile nel quadro dello Stato Europeo.
Sul piano economico dovrà essere garantita ’indipendenza economica e giustizia sociale ed affermare il primato della politica sull’economia ed in particolare propugnare :

- la Nazionalizzazione delle aziende e dei capitali americani presenti in Europa;

- la Nazionalizzazione dei settori strategici per l’indipendenza europea : energia, difesa, produzioni strategiche e di alta tecnologia, servizi pubblici ,etc;

- la Socializzazione di tutte le imprese private, tranne quelle di piccole dimensioni che possono operare in regime di iniziativa privata;

I settori produttivi saranno, quindi, classificati in tre rami: statali, socializzati e di libera iniziativa guidati dal principio della Socializzazione integrale dell’economia europea.

Bisognerà sostenere tutte le lotte di liberazione degli Stati (Serbia, Russia, Corea del Nord, Cuba, Iraq, Libia, etc.) e dei popoli oppressi dall’egemonia planetaria del capitalismo americano.
La questione immigrazione invece va affrontata in maniera diversa: sicuramente non fare del vecchio e reazionario piccolo nazionalismo e xenofobia ma – da un lato - difendere gli immigrati che lavorano sul suolo europeo, che stanno diventando i nuovi schiavi del neoliberismo internazionale; al tempo stesso, però, riconoscere che le migrazioni forzate sono uno strumento funzionale al Mondialismo capitalista e quindi contrastare ogni omologazione razziale.
Rifiutare e opporsi a tutte le forme di colonizzazione americana dell’Europa sia sul piano pseudo-culturale che su quello politico (il liberalismo) ed economico (il capitalismo), rinvenendo in esse le cause principali del malessere sociale, etico ed economico dell’Europa e l’ostacolo oggettivo alla sua integrazione.
Bisogna rifiutare l’attuale divisione in classi della società capitalista e lottare per un suo superamento dove l’elemento economico non sia più fattore di alienazione e di discriminazione per i lavoratori e di arricchimento e di accumulazione per una ristretta fascia di profittatori capitalisti, ma dove il lavoratore europeo sia padrone del proprio lavoro.
Quindi questo discorso porta ad una conclusione: o gli antagonisti lotteranno per la giustizia sociale, per l’indipendenza politica ed economica del continente, per la supremazia della politica sull’economia oppure faranno il gioco del Mondialismo e della Globalizzazione.
Alternative non ci sono…

Der Kampfer
24-01-07, 19:21
Su!

legio_taurinensis
24-01-07, 19:23
Bello!
Superare il liberal-capitalismo, è oggi un'impresa assai difficile, ma deve essere il primo espediente che ci muove nella direzione di lottare per il futuro.