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nuvolarossa
23-03-02, 11:56
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"Progettare l'educazione ambientale in rete tra scuole e territorio"

Intervento dell'On. Francesco Nucara – Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio

Il concetto di sostenibilità dello sviluppo ha segnato realmente un punto di discontinuità culturale che coinvolge il concetto stesso di educazione ambientale.

Gli obiettivi di sostenibilità spostano l'asse delle politiche per l'ambiente dagli interventi diretti sui fattori naturali all'integrazione degli obiettivi ambientali in tutte le politiche e in tutte le trasformazioni.

Integrazione è la nuova frontiera delle politiche ambientali. Dobbiamo tutti diventare consapevoli soggetti di azioni di politica ambientale e non solo quanti si occupano direttamente di parchi, di acque, di inquinamento e così via.

In modo del tutto simmetrico integrazione è la nuova frontiera delle politiche dell'educazione: integrazione dell'ambiente in tutte le diverse discipline, e anche nel modo di comunicare ed insegnare.

Nell'ambiente tutti sono dentro ed esso appartiene a tutti: fare educazione ambientale vuol dire proporre processi di apprendimento che partano dalle conoscenze e dai bisogni di chi impara, che coinvolgano sul piano cognitivo, ma che coinvolgano anche la capacità di vedere, toccare, odorare e di imparare attraverso esperienze sensoriali, che facciano appello alle motivazioni profonde dell'agire, quelle legate alle emozioni, al senso di responsabilità e agli affetti.

Fare educazione ambientale vuol dire applicare ad esempi concreti e direttamente percepibili le esemplificazioni degli strumenti teorici e concettuali usati dalla scienza contemporanea, dall'economia, alla sociologia, dalla neurobiologia all'ingegneria, per studiare la complessità di sistemi non riconducibili a modelli meccanici, per prevedere l'evoluzione delle situazioni di "non equilibrio" e dei "sistemi non lineari" per studiare individui e fenomeni locali contestualizzandoli e mettendoli in relazione con popolazioni e fenomeni globali e viceversa per capire quale ruolo e quale relazione intercorre fra generale e caso o evento singolo. In questa ottica il rapporto con il territorio diventa un elemento strategico nell'attuazione di programmi ed interventi di educazione ambientale orientati alla responsabilità ambientale.

L'efficacia di politiche promosse nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile deve essere misurata anche con la capacità di promuovere nuove forme di progettualità riferita ai maggiori problemi ambientali, rispetto ai quali non può valere, quale unico modello di intervento, un approccio fondato su divieti, regole e impedimenti. Occorre una rivisitazione degli strumenti della politica ambientale in direzione del miglioramento della legislazione e di protezione ambientale e della sua applicazione, per avviare una strategia più efficace e moderna che promuova atteggiamenti responsabili da parte di tutti i soggetti sociali e portatori di interessi.

I cittadini, gli studenti, gli operatori di settore, i professionisti, le imprese sono destinatari e insieme attori di un processo che non può che costruirsi con il consenso e la condivisione degli obiettivi.

In tale contesto la promozione di una maggiore efficacia dei processi di informazione, di diffusione della conoscenza, risultano un interventi strategici di forte valenza nei quali la scuola non può non giocare un ruolo primario.

I processi educativi propongono conoscenze ed esperienze che coinvolgono la sfera cognitiva, affettiva ed etica delle persone e promuovono una cittadinanza attiva e consapevole capace di assumere responsabilità nei confronti del proprio ambiente con comportamenti adeguati.

Attività del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio nel settore dell'educazione ambientale


Nel corso dell'anno che si è appena concluso il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha impegnato 7.955.039,61 € nel settore dell'Educazione Ambientale, con una crescita esponenziale, rispetto all'anno 2000, del 960%.

Negli ultimi anni tali impegni hanno consentito la realizzazione di 81 Laboratori Territoriali presenti sul territorio, che svolgono la funzione di nodi del Sistema Nazionale di Educazione Ambientale, ai quali vanno aggiunti i Centri di Educazione Ambientale dei vari sistemi regionali, che in Emilia Romagna e nelle Marche hanno raggiunto il ragguardevole numero di una cinquantina, mentre nel Lazio e in Puglia sono ormai circa una quindicina, solo per citare alcuni esempi più eclatanti.

In Calabria il Centro di Educazione e Documentazione Ambientale di Rende (gestito dal Consorzio Crati organismo che riunisce tre Università calabresi e l'università Tor Vergata di Roma) ed il Centro di educazione Ambientale Colle Marcione di Civita rappresentano i nodi di riferimento per l'Educazione Ambientale. Ma negli ultimi anni è cresciuto l'impegno nella nostra Regione e con il Programma Operativo Multiregionale Ambiente (POMA) sono stati finanziati progetti che hanno visto il potenziamento dei laboratori già esistenti e la creazione di altri Centri di Educazione Ambientale a Villa S. Giovanni e Vibo Valentia.

L'impegno a rafforzare la rete dei laboratori territoriali da parte del Ministero dell'Ambiente rappresenta un ampliamento della strategia di intervento delineata negli ultimi anni. In questo ambito anche il rafforzamento della presenza di centri e laboratori nella nostra Regione deve diventare impegno primario ed oggetto di concertazione.

Il Ministero ha ritenuto che fare educazione ambientale sul territorio non significhi sostituirsi alle istituzioni appositamente preposte alla formazione scolastica, ma offrire loro, attraverso la diffusione di strutture sul territorio, il necessario supporto per rafforzare l'azione formativa attraverso la diffusione di strutture sul territorio.

Il rafforzamento dei centri di educazione ambientale e delle reti regionali a cui questi fanno riferimento è stato, infatti, l'oggetto dell'Accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni nel novembre 2000, dal quale è scaturito il Tavolo Tecnico permanente in materia di educazione ambientale.

In particolare sono state indicate priorità tematiche e di strumenti per rafforzare l'azione delle Regioni e dello Stato in questa materia. In tale contesto la Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 17 gennaio scorso ha siglato l'Accordo con il Ministero dell'Ambiente e i Presidenti delle Regioni e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano che mette a disposizione delle Amministrazioni locali fondi per un importo di 10.329.137,98 € (pari a 20 miliardi di Lire) per sostenere la programmazione regionale in questo settore per il biennio 2001-2003. Tali fondi sono destinati all'attuazione di una nuova programmazione concertata in materia di informazione, formazione ed educazione ambientale.

Le predette risorse, tenendo conto della necessità di garantire un'equilibrata distribuzione delle strutture regionali di coordinamento e dei relativi nodi provinciali per l'educazione ambientale, saranno assegnate alle Regioni e alla Provincie autonome di Trento e Bolzano secondo i seguenti criteri di riparto:

Il 40% sarà ripartito in parti uguali tra tutte le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano;

Il 60% sarà ripartito sulla base di specifici criteri presenti nei documenti di programmazione regionale. Criteri atti a verificare:

il livello di coerenza tra i documenti di programmazione regionale con le finalità e gli indirizzi recepiti nell'Accordo Stato Regioni del 23/11/2000;

il livello di integrazione dei sistemi regionali per l'educazione e l'informazione ambientale con le politiche d'intervento regionale nel settore ambientale;

l'entità dei cofinanziamenti indicati dai documenti di programmazione regionale, correlata anche alla eventuale capacità di attivare sinergie di carattere privato;

il livello di utilizzo dei finanziamenti già assegnati dal Ministero dell'ambiente e delle tutela del territorio per questo settore, sulla base di precedenti azioni finanziarie.

I documenti di programmazione regionale per il biennio 2002-2003, che costituiscono la base per l'assegnazione delle risorse, devono essere approvati con delibera della Giunta regionale entro il 30 aprile 2002.

Entro il 30 giugno 2002, sulla base dei documenti di programmazione regionale, dovranno essere stipulati gli accordi di programma tra il Ministero dell'Ambiente e le singole Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano.

E' previsto infine un meccanismo per la ridistribuzione di eventuali fondi residui che sarà definito entro e non oltre il 30 settembre 2002.

La nostra Regione, che sconta un ritardo nella organizzazione e nel potenziamento delle strutture territoriali per l'educazione ambientale, deve saper cogliere l'occasione di questa nuova stagione di programmazione concertata tra lo Stato e le Regioni per valorizzare tutte quelle competenze, quelle risorse e ricchezze offerte dal nostro territorio.

Tutti gli sforzi del Governo, coerentemente all'impegno di contenere le disomogeneità e di garantire l'equilibrio sul territorio nazionale, sono altrettante proposte per sollecitare nuovi modelli di sviluppo, utilizzando strumenti e risorse in armonia con la valorizzazione e la tutela del patrimonio ambientale e per richiamare le idee che ciascuno può mettere in campo. Occorre l'impegno e il coinvolgimento di tutti gli attori sociali, dal mondo della scuola e della ricerca a quello della formazione per concretizzare e realizzare questo ambizioso programma che vede nell'integrazione, nel lavoro in rete e nella valorizzazione del territorio i punti qualificanti di un impegno ambientale orientato allo sviluppo sostenibile.

Reggio Calabria
21 marzo 2002
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tratto dal sito web
http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
25-04-02, 01:22
Convegno "Riqualificazione urbana e progetti metro…politani"

Comune di Bologna, 19 aprile 2002/Palazzo D'Accursio-Sala del Consiglio Comunale

Intervento del Sottosegretario di Stato all'Ambiente On. Francesco Nucara

"La città è la più grande invenzione dell'uomo: un centro di forze intellettuali, un magazzino di cultura e delle più diverse energie.

Città e civiltà sono sinonimi. Niente può sostituire la funzione civilizzante dei contatti individuali e di gruppo, gli incontri faccia a faccia, l'intrecciarsi di gruppi, le società e le associazioni che costituiscono la parte più nobile della vita di ogni individuo. Solamente la Città (in quanto fornisce ad ognuno una vasta panoramica di società) può offrire ad ognuno la possibilità di trovare un amico.

In breve mentre in un villaggio o in un sobborgo conosciamo tutti, le persone che "vorremmo" conoscere le troviamo solo in città. La città è il grande palcoscenico, i cittadini sono gli attori: ognuno ha un ruolo da interpretare nel dramma della vita quotidiana". (Theo Crosby)

Naturalmente la città è anche indice di relazione tra pubblico e privato. E' difficile rimanere anonimi. Tuttavia nel reticolo di interscambi con le aziende commerciali, gli enti pubblici, le visite museali ecc. è possibile conservare la propria privacy.

Le città, come gli individui, hanno un carattere particolare, degli elementi particolari caratteristici e identificabili frutto di stratificazioni a volte secolari o frutto di modernità come le new towns.

Essere città non significa quindi essere un grande agglomerato urbano, ma significa avere una propria strutturazione, significa avere delle funzioni che integrandosi tra di loro formano la struttura della città stessa e non si tratta quindi di una sommatoria di funzioni studiate a tavolino ma di tutte quelle correlazioni che in un gioco di equilibrio dinamico si intersecano tra di loro tanto da divenire inseparabili.

L'architetto o il tecnico in genere non crea la situazione ma cerca di creare qualcosa di pregevole e interessante all'interno di una situazione preesistente.

Di questo si è parlato oggi.

C'è un solo modo per creare una città visivamente ed economicamente dinamica; bisogna preordinare un gruppo appropriato di forze costruttive attraverso una gerarchia di valori che va dai pianificatori agli architetti ai costruttori e infine, ma in primis per importanza, alle indicazioni politiche che rappresentano l'anello di congiunzione con la società che governano.

Il pericolo cui si potrebbe andare incontro è rappresentato dalla relazione di tutti questi valori e dalla loro interpretazione.

I pianificatori per esempio spesso sono lontani dalla realtà edificatoria ed è un vero miracolo quando una parte del piano viene realmente attuata; e altrettanto spesso tutto ciò può avvenire per quanto concerne le indicazioni politiche.

Bisogna peraltro rendersi conto che le teorie sull'architettura e sulla pianificazione cozzano spesso con i valori preesistenti dai quali non si può prescindere.

Come in un orologio ogni parte della forma urbana è concatenata e svolge una propria funzione.

Destinazioni, attività e armonie formali hanno un ritorno di movimento univoco verso l'obiettivo pur con diverse velocità.

Si deve proporre un esperimento straordinario: la rivisitazione della vita cittadina, la sopravvivenza dell'uomo sociale.

Dobbiamo prendere coscienza, e a Bologna mi pare che questa coscienza sia patrimonio acquisito, che le città non possono continuare ad espandersi.

Dobbiamo creare nuove infrastrutture per alimentare e sostenere le città.

Le "nuove" città, devono crescere come nei secoli passati, sulla base di scambi e interazioni sociali. Una città è per definizione, un modello specifico di associazione, un modello unico per ogni popolazione in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo.

Per raggiungere questo scopo la città si deve sviluppare da principi che diano consistenza e unità all'organismo.

Si può definire il piano della città come il metodo di applicazione di questi principi.

E tutto questo acquista oggi una grande urgenza come diceva Patrick Geddes "Il mondo sta ora rapidamente entrando in un nuovo periodo di sviluppo civico, in cui il "progresso" non è più definibile in termini quantitativi di ricchezza o di popolazione, ma piuttosto in rapporto a caratteri qualitativi. L'ultima generazione ha dovuto impegnarsi in lavori di prima necessità, per i rifornimenti idrici, per l'igiene, ecc.; anche l'educazione elementare è stata introdotta e diffusa per cui alcuni, anche se sono stati pionieri a loro tempo, non possono fare a meno di considerare riuscito lo sviluppo delle nostre città. Invece è ormai sempre più urgente una nuova fase di sviluppo che assicuri condizioni migliori, più felici e nobili".
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tratto dal sito web
http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
10-05-02, 14:11
Protocollo di intesa sulla certificazione ambientale

Introduzione
Hans Peter KLEEFUSS
Presidente Commissione Sviluppo Sostenibile di Confindustria

Tavola rotonda
Il ruolo della certificazione ambientale nella politica di sviluppo sostenibile

Francesco NUCARA
Sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio

Nicola TOGNANA
Vice Presidente Confindustria

Corrado PASSERA
IntesaBci

Giuseppe BIANCHI
Presidente Comitato EMAS Italia

Ermete REALACCI
Presidente Legambiente

Modera
Paolo GRALDI
Direttore "Il Messaggero"

La notizia sulle agenzie


Ambiente: Confindustria-Ministero, 25 MLN Euro per ecoimprese

Siglato protocollo per promuovere certificazione ambientale

Le imprese italiane si convertono al ''verde'' ed il ministero dell'Ambiente le aiutera' stanziando un contributo di 25 milioni di euro per il biennio 2002-2003. Lo prevede il protocollo d'intesa siglato oggi tra ministero e Confindustria per promuovere la certificazione ambientale. L'obiettivo, ha detto il vicepresidente di Confindustria, Nicola Tognana, e' arrivare al 2004 con almeno 2-3.000 imprese eco-certificate. I sistemi di certificazione ambientale (Iso 14001 ed Emas) rappresentano un efficace strumento per facilitare il controllo degli aspetti ambientali del processo produttivo: lo scopo e' coniugare le esigenze di sviluppo con un maggiore livello di sensibilita' sociale verso il territorio. Con l' accordo, le imprese si impegnano ad adottare l'eco-certificazione, mentre il ministero dell'Ambiente mettera' in campo risorse finanziarie per aiutarle ad affrontare i costi della certificazione. Il ministero studiera' inoltre agevolazioni amministrative e burocratiche per le eco-imprese. Alla sigla del protocollo erano presenti anche il sottosegretario all'Ambiente, Francesco Nucara e l' amministratore delegato di IntesaBci, Corrado Passera, che sosterra' l'accordo con un pacchetto di servizi e prodotti per le imprese.

Roma, 9 maggio 2002 (ANSA)

nuvolarossa
09-06-02, 23:55
UNA LETTERA DI NUCARA AGLI ALUNNI

I ragazzi della media di Bianco hanno ripulito uno spiazzo vicino alla scuola
Esempio di volontariato ecologico

Venuto a conoscenza, attraverso la prof.ssa Angela Colosi, della fervida attività ambientale svolta dagli alunni della media statale di Bianco, il sottosegretario all'Ambiente, Francesco Nucara, ha voluto esprimere ai «carissimi alunni» della scuola del centro ionico il suo personale apprezzamento con una lettera dai toni estremamente affettuosi. «Cogliendo l'invito di Legambiente e dimostrandovi sensibili agli insegnamenti ricevuti – scrive Nucara –, armati di vanghe, rastrelli, guanti da giardinaggio e tanto amore per la natura, avete riportato a nuova vita spazi che, a quanto mi si dice e come posso dedurre dalle foto che ritraggono sacchi e sacchi di erbacce, sembravano degni della più incolta “terra di nessuna”. E cosa può dire, vedendo ciò, un sottosegretario all'Ambiente che ben conosce la caparbietà nel superare gli ostacoli, la voglia di fare e, se necessario, lottare per ciò che si ritiene giusto, la gioia che si prova alla fine di una grande fatica, emozioni comuni a tanti uomini ma, forse, ancora più forte e violenta per noi, cittadini di Calabria? Grazie. Grazie di cuore – continua la lettera del sottosegretario – a voi e a coloro che vi hanno inculcato valori così importanti per una corretta formazione, e idealmente estendo tale tale riconoscenza a tutti gli studenti che in tante parti della nostra Regione, anzi d'Italia, attraverso forme di “volontariato ecologico”, dimostrano sensibilità e attenzione verso quelli che sono, e forse ancor più lo saranno per voi, future generazioni, snodi centrali di una politica che per troppo tempo ha sottodimensionato i problemi dell'ambiente. Ciò che voi, con il vostro entusiasmo, avete fatto – conclude la missiva – è ciò che tutti, uomini pubblici e privati cittadini, dobbiamo avere tra gli obiettivi primari della nostra esistenza: pregio naturale che la vostra bella scuola, davanti all'altrettanto dignitoso edificio che la ospita, sembra voler simbolicamente dimostrare ancora possibile».

nuvolarossa
13-06-02, 17:18
Assemblea Annuale di Assocarta

Intervento del sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara

Signor Presidente,
Signori partecipanti,


questo appuntamento dell'Assocarta rappresenta una importante occasione di dibattito sulle prospettive dell'industria della carta.

La Relazione del Presidente è apprezzabile soprattutto per i risultati economici del comparto che non sembrano completamente negativi se paragonati ad altri comparti produttivi sui quali si è abbattuta la grave congiuntura economica dovuta alla crisi dell'11 settembre.

E dalla stessa Relazione si percepisce che segnali di ripresa già si intravedono, ripresa che sarà sicuramente consolidata nel secondo semestre di quest'anno.

Il settore si presenta quindi estremamente vivace e competitivo nel mercato europeo.

L'industria della carta è caratterizzata da una forte utilizzazione di risorse energetiche ed in questi ultimi anni ha fatto molti investimenti nello sviluppo di produzione di energia ad elevata efficienza i cui costi rappresentano una parte importante dei costi di produzione.

E' noto che la produzione della carta comporta una sequenza di operazioni di processo che si sono evolute ed affinate tecnologicamente nel tempo.

Ad ogni processo produttivo è, peraltro, associato un impatto sull'ambiente. Ne consegue che una corretta interazione fra gli operatori economici e la Pubblica Amministrazione deve essere mirata a definire e perfezionare la normativa ambientale, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile che assicuri, da un lato, un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente e, dall'altro, il mantenimento dell'eccellenza e della competitività delle imprese italiane operanti nel settore cartario.

Le industrie del settore che basano la propria produzione sull'impiego di risorse rinnovabili, hanno una tradizionale e radicata propensione al riciclo delle fibre secondarie, utilizzano in maniera sempre più efficiente l'energia nei propri processi, e sono particolarmente impegnate per ridurre il consumo di acqua che è un elemento caratteristico e imprescindibile del processo produttivo della carta.

A tale proposito non posso esimermi da un particolare apprezzamento per i risultati significativi ottenuti nell'ottimizzazione dell'uso delle risorse idriche, problema questo che è alla vigile attenzione del Ministero dell'Ambiente. E' appunto di questi giorni un dibattito parlamentare che ha visto l'unanime consenso della maggioranza e dell'opposizione sugli strumenti più idonei a far fronte alla carenza di questo bene primario.

Signor Presidente,

il Rapporto ambientale di Assocarta che viene presentato in questa sede rappresenta un'importante iniziativa che ha raccolto l'adesione di molte imprese del settore e che si inserisce in quel progetto di notevole successo definito Ecogestione, lanciato dalla vostra Associazione nel 1998, e diretto a stimolare e favorire l'adozione di sistemi di gestione ambientale.

Il Rapporto si presenta come uno strumento efficace di stimolo verso la politica ed offre ad essa un grande contributo per definire e perfezionare le normative ambientali riguardanti il settore.

Esso, si inserisce, infatti, nell'ambito degli sforzi che il Ministero dell'Ambiente sta facendo per cercare di metter su un apposito Programma in materia, che potrà vedere il coinvolgimento anche delle associazioni di categoria e che sarà varato dopo l'approvazione del c.d. "Collegato Ambientale".

Anche il disegno di legge delega per il riordino della legislazione in materia ambientale attualmente all'esame del Parlamento rappresenta lo strumento più idoneo scelto dal Governo per affrontare in modo più incisivo e con adeguati strumenti finanziari i problemi degli incentivi al riutilizzo, al recupero ed al riciclo dei rifiuti, nonché le opportune forme di autosmaltimento. Quest'ultima, particolare, forma di smaltimento appare in linea con gli obiettivi di garantire una elevata tutela dell'ambiente e della salute, in quanto consente la minimizzazione delle operazioni di movimentazione dei rifiuti e, quindi, riduce l'impatto complessivo dell'attività sull'ambiente.

Tutto ciò in accordo agli indirizzi ed alle strategie comunitarie.

Un ulteriore sforzo ritengo debba essere compiuto per incrementare l'adesione ai sistemi di certificazione di prodotto.

La certificazione di prodotto, infatti, non riveste ancora, per la produzione cartaria, un'importanza paragonabile a quella dei sistemi di gestione ambientale. Se è pur vero che l'industria della carta è essenzialmente un'industria di processo, non va peraltro trascurata l'importanza attribuibile, anche in prospettiva di una crescente concorrenzialità dei mercati emergenti, alla adozione delle etichette ecologiche, che hanno lo scopo di certificare il ridotto impatto ambientale dei prodotti, secondo criteri definiti.

Da questo punto di vista, prendo atto dell'impegno profuso da Assocarta per la partecipazione delle aziende aderenti al sistema della norma ISO 14.000 per auspicare che allo stesso modo si possa registrare un significativo impegno delle aziende, anche promosso da Assocarta, per una adesione ai sistemi di certificazione Emas per la quale come ha ricordato il Presidente, tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e la Confindustria, è stato sottoscritto un protocollo di intesa, mirato ad incentivare la diffusione dei sistemi di gestione ambientale da parte delle imprese e a rafforzare la competitività del sistema Paese.

Io stesso, in rappresentanza del Ministero dell'Ambiente, ho illustrato il 9 maggio u.s., presso la sede di Confindustria tale accordo.

Con esso, Confindustria, ha assunto l'impegno di coinvolgere nei prossimi tre anni il maggior numero di imprese delle Associazioni confederate nell'adozione dei sistemi di gestione ambientale e nella loro certificazione secondo i modelli ISO 14.000 / EMAS

Mentre il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha stabilito in 25 milioni di euro le risorse necessarie per agevolare i costi sostenuti dalle imprese per il conseguimento della certificazione ambientale EMAS. Le risorse disponibili per le Piccole e Medie Imprese potranno esser utilizzate dalle piccole cartiere, che costituiscono ancora una buona fetta dell'industria nazionale, a differenza di quanto avviene negli altri Paesi UE, in cui mediamente gli impianti sono più grandi.

Anche in questo caso lo strumento legislativo più idoneo appare il disegno di legge delega al Governo.

Vi ringrazio per l'attenzione e termino con l'auspicio di una maggiore e più proficua collaborazione per:

la promozione della ricerca e la diffusione del patrimonio conoscitivo in campo ambientale;

la partecipazione attiva alle fasi di sviluppo di leggi e regolamenti ambientali compatibili sotto il profilo tecnico ed economico;

la promozione di accordi volontari e di iniziative fortemente caratterizzate dal punto di vista ambientale;

l' informazione, la sensibilizzazione, la formazione, in una parola la responsabilizzazione delle aziende in materia ambientale.

Roma 12 giugno 2002
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tratto dal sito web
http://www.pri.it

nuvolarossa
13-06-02, 21:11
Auto/Nucara (Ambiente): allo studio incentivi per metano

Possibile accelerazione per crisi Fiat

Il ministero dell'Ambiente sta studiando incentivi per le auto ecologiche. E' quanto ha detto il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara a margine dell'assemblea di Assocarta. In particolare ''sono allo studio incentivi per le automobili che utilizzano il metano''. Non esclusa per il futuro - ha detto Nucara - la chiusura dei centri storici alle auto che non sono a metano. ''Il provvedimento - ha detto il sottosegretario - e' stato pensato prima della crisi Fiat ma credo che potrà assumere un'accelerazione per determinare la ripresa dell'industria automobilistica italiana''.

Roma, 12 giugno 2002 (ANSA)

lucifero
13-06-02, 22:40
Nucara alla riscossa per riconquistare i favori di romagnoli e marchigiani (il metano è diffuso significativamente solo in Romagna e Marche)! ;)

P.S.
Che c'entra la FIAT? :confused: Sì, mi risulta che faccia una versione della Multipla a metano, che viene usata soprattutto dai tassisti e che ha avuto molti problemi, tanto da essere oggetto di una puntata di Mi manda Rai3. Ma è una nicchia di un segmento marginale...

nuvolarossa
11-07-02, 18:28
Protezione civile/Sottosegretario Nucara: è da abolire

Va bene per competenze tecniche, non come struttura permanente

"In un paese civile non deve essere il Dipartimento della Protezione civile, istituito per fatti emergenziali, ad intervenire sui problemi strutturali del paese. Nulla da dire sulle competenze tecniche, ma la Protezione civile come struttura permanente andrebbe abolita". A sostenerlo è il Sottosegretario all'Ambiente, con delega per la difesa del suolo, Francesco Nucara.

Intervenendo alle giornate di studio organizzate a Valmontone dal Centro di Eccellenza dell'Università "La Sapienza" di Roma su "Il rischio idrogeologico in Italia", Nucara ha inoltre sottolineato come sia importante che le "autorità di bacino, che svolgono un ruolo di pianificazione sovraordinato rispetto agli Enti Locali, debbano partecipare alla Conferenza unificata presso il Ministero degli Affari Regionali". Nucara si è impegnato a una migliore e più equa distribuzione delle risorse finanziarie nella prossima Finanziaria.

Roma, 10 luglio 2002 (DIRE)
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tratto dal sito web:
http://www.pri.it

nuvolarossa
12-07-02, 19:41
Il rischio idrogeologico in Italia - I piani di Assetto idrogeologico a quattro anni dal DL 180/1998

"Le norme di attuazione e le misure di salvaguardia del PAI quale strumento di territorio e di sviluppo sociale"

1) Il territorio italiano e il rischio idrogeologico

L'Italia è un Paese dove l'esposizione al rischio di frane ed alluvioni è particolarmente elevata e costituisce, pertanto, un problema di grande rilevanza sociale, sia per il numero di vittime che per i danni prodotti alle abitazioni, alle industrie ed alle infrastrutture.

Per avere un'idea dei costi economici e sociali connessi con il verificarsi di frane ed alluvioni, basti ricordare il numero di vittime dei disastri di Sarno e Soverato (176), o considerare che nel periodo tra il 1980 ed il 2000 le alluvioni e le frane hanno coinvolto, in modo a volte drammatico, oltre 70.000 persone, senza comprendere quelle coinvolte nell'alluvione dell'ottobre-novembre 2000 del Po (più di 30.000 persone evacuate).

Dal punto di vista economico i soli danni strutturali dovuti alla stessa alluvione del Bacino del Po sono stati stimati in oltre 11.000 miliardi di lire (pari a 5.680 milioni di Euro), mentre le risorse stanziate per gli interventi in soli 13 Comuni colpiti dalla tragedia di Sarno, ammontano a 1.069 miliardi di Lire (550 milioni di Euro).

2) La crescita urbana e l'uso del territorio

Il frequente e diffuso manifestarsi dei dissesti può essere imputato, per una buona parte, alla natura del nostro territorio ed a cause "naturali".

Vanno però assumendo un peso sempre più rilevante le cause di origine antropica legate, da un lato, ai cambiamenti climatici e dall'altro ad un uso del territorio non attento alle caratteristiche ed ai delicati equilibri idrogeologici dei suoli italiani.

Il territorio, infatti, da sempre è soggetto ad un insieme di eventi naturali e di azioni dell'uomo che lo modificano più o meno profondamente sino a metterne a repentaglio l'integrità fisica, riducendone a volte le possibilità d'uso da parte di altri soggetti o dell'intera collettività.

In Italia, una gran parte dell'espansione urbana e periurbana e della realizzazione delle infrastrutture urbane e territoriali, soprattutto nella seconda metà del XX Secolo, è stata attuata senza porre la necessaria attenzione ai caratteri del territorio e dell'ambiente nella loro complessità e nella loro specificità.

In particolare, non sono pochi gli interventi (infrastrutture, espansioni urbane, attività produttive), realizzati in aree soggette a rischio idrogeologico anche elevato.

Spesso le espansioni sono avvenute con una programmazione insufficiente, a volte addirittura assente. Anche le infrastrutture di base finalizzate ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica del territorio (reti fognarie, sistemi di regimazione delle acque meteoriche, di approvvigionamento idrico, di viabilità, di smaltimento e trattamento dei rifiuti, di organizzazione delle aree verdi) risultano, il più delle volte, insufficienti sia quantitativamente che qualitativamente.

Questa impostazione se da un lato, in passato, ha occultato i reali costi di produzione dei beni, evitando di far emergere gli oneri indiretti, determina oggi elevatissime spese che tendono a ricadere sulla collettività e che si manifestano in distruzioni e devastazioni di territori e manufatti, nel degrado diffuso della qualità ambientale di vaste aree del Paese e dei tessuti urbani, senza considerare le conseguenze in termini di vite umane.

Se è soprattutto nell'ultimo cinquantennio che si profila una situazione in generale grave, come esito della fase di veloce inurbamento, di crescita degli abitati e delle periferie metropolitane, i fattori di crisi si sono ulteriormente accentuati nella più recente fase di espansione della città contemporanea, caratterizzata dalla frammentazione e dalla diffusione sul territorio di infrastrutture e residenze, spesso senza una politica di programmazione coordinata e a volte in assenza di legalità.

Si è così giunti a urbanizzare ed edificare intensamente aree di naturale pertinenza fluviale o comunque facilmente inondabili, a cancellare in molti casi il reticolo idrografico minore, a ridurre in maniera sistematica le sezioni idrauliche dei corsi d'acqua con tombature ed attraversamenti, ad interrompere la continuità delle reti idrauliche.

Molte infrastrutture sono state realizzate in aree interessate da fenomeni di instabilità dei versanti, anche storicamente conosciuti, così come le espansioni edilizie sono avvenute in aree soggette a rischi elevatissimi.

A tali, purtroppo, diffusi fenomeni si aggiungono gli effetti che derivano dall'abbandono di vaste aree dove non è presente alcuna attività primaria che ha comportato, come naturale conseguenza, la diminuzione della manutenzione delle opere destinate alla conservazione del suolo e quindi l'aumento della possibilità di innesco di gravi fenomeni di alterazione.

E' in questo senso necessaria una rapida inversione di tendenza che vincoli la pianificazione comunale al rispetto di limitazioni derivanti dalle caratteristiche geomorfologiche, di pericolosità idraulica e di salvaguardia degli acquiferi superficiali e profondi che solo una pianificazione di livello adeguato può cogliere nella sua completezza e negli effetti di sistema.

3) l'Intesa Operativa con l'Unione delle Province d'Italia e la ricognizione sulla pianificazione territoriale di area vasta

Per sviluppare efficaci ed efficienti politiche di tutela del territorio è necessario che si costruisca un circuito virtuoso che permetta di utilizzare il territorio nel rispetto delle sue reali possibilità di utilizzazione.

In tale prospettiva è necessario che le politiche di programmazione e di gestione del territorio, attuate dai differenti livelli di governo del territorio (Stato-Regioni-Enti locali) attraverso i propri strumenti di programmazione e pianificazione, siano tra loro integrate e sussidiarie.

Pertanto, ogni politica urbanistica che riguardi sia il miglioramento, il recupero e la trasformazione delle aree già edificate che la realizzazione delle espansioni edilizie o infrastrutturali necessarie, deve essere condizionata alla precisa individuazione delle aree che presentino il maggior grado di sicurezza sulla base di una esatta determinazione del grado di vulnerabilità e di pericolosità, con la finalità, in primo luogo, di evitare un incremento delle situazioni di rischio.

Anche con questo obiettivo, nel giugno 1999 il Ministero dell'Ambiente ha siglato una Intesa Operativa con l'Unione delle Province d'Italia che ha consentito di effettuare una ricognizione sulla pianificazione territoriale di area vasta e a livello provinciale su tutto il territorio nazionale, ponendo particolare attenzione alla pianificazione del settore idrogeologico.

Le analisi ed i dati raccolti, aggiornati con la diretta collaborazione dell'UPI, delle Province e delle Autorità di bacino, hanno consentito l'elaborazione di un primo Rapporto, presentato nel corso del convegno "Pianificazione territoriale di area vasta e difesa del suolo" svoltosi a Roma il 16 gennaio scorso, che ha visto la partecipazione del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, On. Altero Matteoli.

Con il Rapporto, consultabile e scaricabile dal sito web del Ministero all'indirizzo www.minambiente.it/pubblicazioni/documenti , sono messi a disposizione, in particolare, i primi dati quantitativi sullo stato di attuazione della pianificazione territoriale da parte delle Autorità di bacino e delle Province e viene presentato anche lo stato di attuazione di altri strumenti di pianificazione di area vasta che, seppure indirettamente, costituiscono tasselli importantissimi per le finalità della difesa del suolo: i piani paesaggistici regionali e i piani dei parchi.

Attualmente si sta proseguendo nella attuazione dell'Intesa Operativa.

Insieme con l'Unione delle Province d'Italia, sono stati avviati l'aggiornamento dei dati raccolti nel periodo settembre-dicembre 2001 e l'approfondimento dei contenuti dei Piani territoriali di coordinamento sia sul tema della difesa del suolo che della manutenzione del territorio e, in generale, della tutela dell'ambiente.

4) Lo stato di attuazione della pianificazione di bacino (rischio idrogeologico)

Nel Rapporto presentato il 16 gennaio 2002, per quanto riguarda la pianificazione di bacino, oltre ai dati complessivi relativi alla attività di pianificazione fino ad ora elaborata dalle Autorità di bacino, viene riportato il quadro sullo stato di attuazione della specifica pianificazione destinata alla difesa dal rischio idrogeologico, alla cui attuazione è stato dato un notevole impulso con i DD.LL. 180/1998 convertito nella legge 267/1998 e 279/2000 convertito nella legge 365/2000, il primo emanato a seguito dei tragici eventi di Sarno, il secondo in conseguenza della tragedia di Soverato.

Il quadro mostra che le Autorità di bacino, a tutti i livelli, hanno risposto positivamente alle disposizione del D.L. 180/1998 per quanto riguarda l'elaborazione dei Piani straordinari per le aree a rischio idrogeologico molto elevato.

Attraverso questi strumenti, che risultano ad oggi tutti approvati, sono state individuate e perimetrate aree a rischio idrogeologico per l'incolumità delle persone e dei beni sulle quali sono state apposte opportune misure di salvaguardia e sono stati definiti programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico.

Le Autorità di bacino, inoltre, hanno quasi ultimato la redazione dei Piani per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.), che individuano le aree a rischio - molto elevato, elevato, moderato e basso - e ne regolamentano l'uso del suolo.

Questo strumento di pianificazione amplia, di fatto anche in termini territoriali, il raggio di azione e di interesse del piano straordinario, poiché ha come oggetto l'individuazione sul territorio delle aree ai vari livelli di rischio e la definizione della relativa normativa di attuazione, configurandosi come riferimento sovraordinato per la pianificazione urbanistica ordinaria e generale.

A livello nazionale, delle 37 Autorità di bacino:

29 hanno approvato, adottato o predisposto i P.A.I.,

6 hanno quasi concluso la fase di elaborazione

2 non ne hanno ancora avviato l'elaborazione.

A questi si aggiungono i piani in fase di elaborazione delle Province Autonome di Bolzano e Trento che ai sensi del D.Lgvo 463/1999 elaborano i propri P.A.I. nell'ambito del Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche.

5) La pianificazione di bacino e il rischio idrogeologico

L'intenso sviluppo sociale ed economico italiano degli ultimi cinquanta anni ha certamente determinato un super-sfruttamento di aree con equilibri idrogeologici molto precari, senza peraltro che all'espansione urbana corrispondesse una adeguata risistemazione del territorio in generale e del reticolo fluviale in particolare.

A seguito degli eventi di Sarno e Soverato, che hanno messo in risalto la precarietà di alcune aree del Paese rispetto al rischio idrogeologico, è stata avviata dalle Regioni e dalle Autorità di bacino una intensa attività volta a delineare un quadro conoscitivo dettagliato delle situazioni a maggior rischio, con la contemporanea individuazione degli interventi necessari alla rimozione od attenuazione del rischio.

La situazione di rischio a livello nazionale che risulta dall'analisi degli strumenti di pianificazione al momento predisposti dalle Autorità di bacino risulta particolarmente preoccupante.

Nel Territorio Nazionale sono state individuate e perimetrate, attraverso i Piani Straordinari elaborati dalle Autorità di bacino, ben 9172 aree a rischio idrogeologico molto elevato che interessano, complessivamente, i territori di 2220 comuni, localizzati in tutte le regioni e nella quasi totalità delle province.

Tale problematica assume ancora più rilievo se si considera che dai dati provvisori, rilevati anche considerando i P.A.I. attualmente elaborati, il numero delle aree individuate come aree a rischio idrogeologico molto elevato è arrivato a 11.468 e il numero dei comuni interessati da tali aree è arrivato a 2.875.

Per 4349 di tali aree sono stati già definiti gli interventi necessari per l'eliminazione del rischio, la cui realizzazione comporta un fabbisogno di oltre 9.700 milioni di Euro, pari a poco meno di 19.000 miliardi di lire.

E' doveroso comunque precisare che i dati quantitativi relativi alle aree a rischio molto elevato, sebbene già rappresentativi della gravità del problema, non forniscono una esaustiva immagine del reale stato di rischio idrogeologico dei bacini idrografici. Molti PAI, infatti, individuano oltre alle aree a rischio anche quelle in dissesto, caratterizzate da diversi livelli di pericolosità ovvero di rischio potenziale. (nel caso del bacino del Po, ad esempio, il numero delle aree individuate a rischio molto elevato - circa 300 - non è significativo rispetto alle dimensioni territoriali del dissesto idrogeologico individuato nel PAI - circa 4000 Kmq di frane, 300 Kmq di conoidi, 8000 Kmq di aree esondabili ).

6) I Programmi di interventi urgenti ex DL 180/1998

La presenza delle aree a rischio idrogeologico costituisce un pericolo per la sicurezza delle persone e dei beni e, di fatto, costituisce anche un limite alle potenzialità di utilizzazione del territorio e del suo sviluppo.

E' così necessaria, a breve periodo, una decisa azione volta a ridurre il rischio (soprattutto nelle aree dove sono presenti insediamenti abitativi e/o produttivi), nonché a realizzare quegli interventi organici di protezione e riassetto del territorio senza i quali sarebbero fortemente limitate le possibilità di sviluppo economico e sociale del territorio oggi ad alto rischio.

Con l'attuazione del D.L. 180/1998, nel triennio 1998 – 2000, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha trasferito alle Regioni fondi per la realizzazione di programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico di importo totale pari a circa 475 milioni di Euro (920 miliardi di lire).

Sono stati approvati 735 interventi per la riduzione del rischio idrogeologico più elevato, ai sensi dell'art. 1, comma 2 del D.L. 180/98, per un importo di circa 475 milioni di Euro (920 miliardi di lire).

A questi si aggiungono altri 3 interventi (Corniglio, Chiusi della Verna e Rio Marina) finanziati anche con fondi 180, per un totale di oltre 7 milioni di Euro.

Ed inoltre, nell'ambito della Legge Finanziaria 2001 (L. 388 del 23.12.2000) sono stati stanziati per le medesime finalità 189,5 miliardi di lire (pari a circa 98 milioni di Euro), già impegnati dalla Direzione per la Difesa del Territorio e ripartiti per regione in base gli attuali criteri di riparto fondi in materia di difesa del suolo.

E nell'ambito della Legge Finanziaria 2002 (L. 448 del 28.12.2001) sono stati stanziati ulteriori fondi per i 2002 e programmati fondi per il 2003 e 2004.

In particolare sono stati stanziati, per il corrente anno circa 155 milioni di Euro e programmati per le annualità 2003-2004 rispettivamente 155 e 206 milioni di Euro.

7) Il monitoraggio degli interventi urgenti

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, con il supporto dell'A.N.P.A., effettua il monitoraggio sullo stato di attuazione degli interventi urgenti.

Al momento, per i 735 interventi finanziati, risultano i seguenti dati:

58 interventi, pari al 7,9%, risultano ultimati;

285 interventi, pari al 38,8%, risultano in corso di esecuzione o in fase di aggiudicazione;

385 interventi, pari al 52,3%, risultano tuttora in fase di progettazione;

7 interventi, pari all'1%, risultano in corso di modifica.

8) Il Programma di interventi urgenti per il ripristino ambientale ed idrogeologico dei versanti percorsi da incendi

L'ordinanza di Protezione Civile n. 3073 del 22 luglio 2000 ha previsto, all'art. 3 comma 2, l'elaborazione, da parte del Ministero dell'Ambiente, del programma di interventi urgenti per il ripristino ambientale ed idrogeologico dei versanti soggetti ad erosione ed instabilità a seguito degli incendi verificatisi in zone collinari e montuose, autorizzando a tal fine la spesa di 15,49 milioni di euro (30 miliardi di lire).

Finalità del suddetto programma è quella di definire, laddove sussistono situazioni di dissesto idrogeologico ed ambientale conseguenza di incendi boschivi, interventi urgenti finalizzati alla mitigazione dello stato di rischio.

In base alle segnalazioni pervenute sono state al momento approvate n° 25 proposte di intervento, di importo pari a 13,30 milioni di euro (25,75 miliardi di lire), ed i relativi fondi sono stati erogati agli enti attuatori.

Sono in corso di definizione le proposte di intervento per il completamento del programma.

9) Le norme di attuazione e le misure di salvaguardia del PAI quale strumento di territorio e di sviluppo sociale

Il Piano di bacino costituisce lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa ed alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio.

Le Autorità di bacino hanno da tempo avviato l'attività di pianificazione prevista dalla legge 183/1989, ma il bilancio, pur rilevando un netto miglioramento nel corso dell'ultimo triennio, non si può dire essere del tutto completo. In effetti nessun piano di bacino "complessivo" risulta approvato, anche se sono in corso numerosi studi e progetti di piano i cui dati costituiscono valido punto di partenza e supporto per successivi ed esaustivi livelli di pianificazione.

Per quanto attiene le problematiche di prevenzione del rischio idrogeologico, con il DL 180/1998 e con il DL 279/2000 è stato dato un notevole impulso alla attività di pianificazione delle Autorità di bacino con l'introduzione e la definizione di termini temporali per l'approvazione di due strumenti di pianificazione specificamente finalizzati a tale scopo: il Piano straordinario per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e il Piano per l'Assetto idrogeologico (PAI).

Le Autorità di bacino, a tutti i livelli, hanno risposto positivamente alle disposizione del D.L. 180/1998 sulla elaborazione dei Piani straordinari per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, che risultano ad oggi tutti approvati.

Giova sottolineare l'importanza di questi strumenti ai quali è affidato il compito di individuare e perimetrare le aree a rischio idrogeologico molto elevato (R4) per l'incolumità di persone e beni, e di evitare, attraverso l'apposizione di opportune misure di salvaguardia rimozione, utilizzazioni che abbiano come conseguenza l'aumento delle situazioni di rischio sino a che queste non siano definitivamente messe in sicurezza.

Le Autorità di bacino, inoltre, stanno completando la redazione dei Piani per l'Assetto Idrogeologico (PAI), che individuano e regolamentano l'uso del suolo delle aree a rischio molto elevato, elevato, moderato e basso.

Questo strumento completa la pianificazione urgente, a carattere emergenziale, del Piano strordinario poiché ha come oggetto l'individuazione sul territorio delle aree ai vari livelli di rischio e la definizione della relativa normativa di attuazione.

Il PAI, estendendo l'indagine anche alle situazioni di pericolosità ovvero di potenziale rischio, si configura quindi come uno strumento di pianificazione specialistica che ha la capacità di incidere profondamente ai fini della tutela del territorio, costituendo un chiaro punto di riferimento anche al fine di indirizzare i soggetti preposti al governo del territorio verso scelte di programmazione coerenti con le reali possibilità di trasformazione del territorio stesso.

L'elaborazione di questi strumenti ha permesso, inoltre, di definire il quadro degli interventi ed il relativo fabbisogno finanziario necessario alla messa in sicurezza complessiva del bacino.

Nel Territorio Nazionale sono state individuate e perimetrate, attraverso i Piani Straordinari elaborati dalle Autorità di bacino, ben 9172 aree a rischio idrogeologico molto elevato che interessano, complessivamente, i territori di 2220 comuni, localizzati in tutte le regioni e nella quasi totalità delle province.

Tale problematica assume ancora più rilievo se si considera che dai dati provvisori, rilevati anche considerando i P.A.I. attualmente elaborati, il numero delle aree individuate come aree a rischio idrogeologico molto elevato è arrivato a 11.468 e il numero dei comuni interessati da tali aree è arrivato a 2.875.

Per 4349 di tali aree sono stati già definiti gli interventi necessari per l'eliminazione del rischio, la cui realizzazione comporta un fabbisogno di oltre 9.700 milioni di Euro, pari a poco meno di 19.000 miliardi di lire

Se da un lato questi dati descrivono in modo puntuale l'esistenza di un rischio reale, non va affatto sottovalutato che nell'ambito degli stessi PAI, vengono individuate e perimetrate oltre alle situazioni di rischio anche le situazioni di rischio potenziale, ossia di pericolosità.

In prima analisi, soprattutto in alcuni bacini idrografici, le situazioni di pericolosità assumono una netta predominanza.

I Piani per l'assetto idrogeologico, individuando sia aree a rischio che aree a pericolosità, consentono sia di intervenire con progetti che sono finalizzati alla messa in sicurezza del territorio sia di indirizzare la pianificazione territoriale urbanistica e la conseguente programmazione verso una utilizzazione del territorio che sia coerente con le sue reali possibilità di trasformazione.

E' quindi evidente come l'integrazione tra questi strumenti e gli strumenti di pianificazione sia fondamentale per un coerente uso del territorio.

Infatti ogni politica urbanistica che riguardi sia il miglioramento, il recupero e la trasformazione delle aree già edificate che la realizzazione delle espansioni edilizie o infrastrutturali necessarie, deve essere condizionata alla precisa individuazione delle aree che presentino il maggior grado di sicurezza sulla base di una esatta determinazione del grado di vulnerabilità e di pericolosità, con la finalità, in primo luogo, di evitare un incremento delle situazioni di rischio.

Accanto quindi ad inevitabili interventi di messa in sicurezza di contesti insediativi ormai consolidati è necessario intervenire parallelamente attraverso efficaci misure non strutturali.

Tra queste, le misure di salvaguardia rappresentano lo strumento chiave di prevenzione sia dove il rischio è accertato, perché consentono di prevenire un ulteriore aggravio delle condizioni, sia laddove il rischio non sia ancora manifesto perché ne impediscono l'insorgere.

In tale accezione le misure di salvaguardia o norme di piano rappresentano un reale strumento per coniugare sviluppo socio-economico e sicurezza della popolazione e dei beni.

L'efficacia del Piano e delle sue disposizioni, quindi, sarà tanto più reale quanto maggiore sarà la condivisione delle scelte effettuate attraverso questo strumento.

La collaborazione tra le Amministrazioni ai vari livelli, attraverso la conoscenza delle caratteristiche del territorio e la condivisione delle informazioni va quindi favorita e rafforzata. Essa, infatti, necessaria già dalla fase di elaborazione del piano, diventa essenziale nella fase della attuazione ai fini della sua effettiva efficacia

10) La manutenzione del territorio

Nell'ambito delle attività di pianificazione di programmazione va rilanciato, anche in termini economici, il ruolo della manutenzione del territorio e delle opere dei bacini idrografici come strumento efficace di prevenzione del rischio, già riconosciuto nell'ambito della legge 183/1989 e ribadito nel D.L. 180/1998.

Basti pensare all'importanza, nella difesa attiva del suolo, dei soprassuoli forestali e delle coperture vegetali, che favorendo l'infiltrazione delle acque nei terreni, esercitano un'azione di regimazione dei deflussi superficiali ed antierosiva.

Altresì, la costante manutenzione degli alvei assicura il regolare deflusso delle acque e rappresenta un'efficace difesa attiva dalle esondazioni, che rappresentano in genere i fenomeni recanti maggiori danni ed oneri per l'intera comunità.

La manutenzione capillare e costante del territorio, condotta integrando le esigenze primarie legate alla sicurezza idraulica con quelle ambientali di conservazione e tutela delle diversità biologiche proprie degli habitat fluviali e ripariali, può rappresentare in molti casi un'efficace e risolutiva alternativa alla difesa passiva (argini), attuata spesso in maniera preponderante, più onerosa ed con un maggiore impatto sull'ambiente.

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha elaborato il documento " Criteri e tecniche per la manutenzione del territorio ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico", attraverso il quale si intende favorire l'approccio alle problematiche della riduzione del rischio idrogeologico tramite interventi di manutenzione estesi a tutto territorio del bacino idrografico e non limitati alle sole opere esistenti, così come richiamato nel DL 180/98 e nel DL 279/2000 ed evidenziato in numerosi documenti delle Autorità di Bacino nazionali,.

("L'attività di manutenzione non deve riguardare solo le opere ed i corsi d'acqua bensì l'intero territorio del bacino, assumendo la priorità della manutenzione dei corsi d'acqua in montagna, collina e pianura, delle loro pertinenze e del reticolo artificiale di pianura" - Comitato di Consultazione dell'Autorità di Bacino Po).

Il documento riporta le definizioni, gli interventi ed i finanziamenti previsti per la manutenzione dalle Autorità di Bacino nazionali .

Nel documento vengono inoltre descritti i criteri per effettuare, nei diversi ambiti del territorio (montano, collinare e di pianura), interventi di manutenzione che siano compatibili con le carattistiche ambientali ed ecosistemiche.

Tali indicazioni vengono fornite anche in relazione alla realizzazione di interventi per la riduzione del rischio nelle aree percorse dagli incendi.

Sempre nell'ottica della prevenzione dal rischio idrogeologico, uno specifico capitolo è dedicato alle tecniche di ingegneria naturalistica da utilizzare per la realizzazione degli interventi di manutenzione. Sono riportati inoltre gli elenchi delle specie arboree ed arbustive comuni della flora italiana di potenziale impiego negli interventi di rinaturazione e di ingegneria naturalistica.

11) La pianificazione territoriale di coordinamento delle province (PTCP)

Al fine di favorire lo sviluppo di efficaci politiche nel settore della difesa del territorio il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ritiene, in generale, estremamente importante l'integrazione della programmazione e della pianificazione sviluppate attraverso i vari strumenti di governo del territorio (piani di bacino, piani dei parchi, piani paesaggistici e piani provinciali).

In particolare, per le finalità specifiche della difesa del suolo e della tutela del territorio, risulta fondamentale l'integrazione tra la pianificazione delle Autorità di bacino e quella delle Province.


La pianificazione territoriale di coordinamento delle Province, infatti, a partire dalla legge 142/1990, ha assunto un ruolo assai importante, oltre che in campo urbanistico, anche per le funzioni di difesa del suolo, di tutela e valorizzazione dell'ambiente e del territorio, di prevenzione delle calamità, di valorizzazione dei beni culturali, di viabilità e di trasporti. Ruolo che è stato ribadito anche nel D.Lgvo 112/1998, in particolare nei contenuti dell'articolo 57.

In particolare, attraverso lo strumento del Piano Territoriale di Coordinamento (PTCP), attualmente ricompreso nel D.Lgvo 267/2000 , "Testo unico in materia di Enti locali", la Provincia (art.20) deve determinare gli indirizzi generali di assetto del territorio, in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, che riguardano direttamente anche la difesa del suolo.

La ricerca condotta dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e dall'Unione delle Province d'Italia, ha permesso di fare il punto anche sullo stato di attuazione della pianificazione provinciale.

I dati raccolti nel periodo settembre - novembre 2001 con il contributo diretto delle province, evidenziano a livello nazionale che per le 103 province:

sono 38 i PTCP elaborati.

Di questi, in particolare, 23 sono approvati e vigenti, 14 sono adottati e 1 è in via di adozione.

sono 53 i PTCP in corso di elaborazione.

In particolare di 24 di questi è in corso l'elaborazione del livello definitivo, degli altri 29 il livello preliminare ;

sono 12 i PTCP dei quali non è avviata l'elaborazione. Va rilevato comunque che 6 Province, pur non avendo in corso l'elaborazione del piano vero e proprio, stanno predisponendo studi propedeutici o hanno redatto programmi preliminari o hanno recentemente affidato l'incarico per l'elaborazione dello strumento.

I dati sullo stato della pianificazione delle province mostrano un sostanziale ritardo nella elaborazione di questi strumenti. Ritardo dovuto sia alla mancata o tardiva emanazione delle specifiche leggi regionali che dovevano consentirne e organizzarne la funzione e la elaborazione sia, in molti casi, a carenza di raccordo tra i vari Enti e a carenza di strumenti, conoscenze e dati certificati sugli aspetti territoriali, utilizzabili anche ai fini della pianificazione territoriale.

12) I Dati ambientali: conoscenza e condivisione

La conoscenza del territorio rappresenta, infatti, la base per la sua corretta gestione.

Ciò richiede che la Pubblica Amministrazione abbia a disposizione strumenti che le permettano di fruire del patrimonio informativo ad oggi disponibile.

L'utilizzo, la diffusione e la gestione degli strumenti informatici, ed in particolare dei Sistemi Informativi Territoriali rappresenta un supporto fondamentale per l'attuazione di coerenti politiche di programmazione e pianificazione da parte di tutti i soggetti preposti al governo del territorio.

Questi strumenti consentono, infatti, di gestire, organizzare in modo sistematico e omogeneo e mettere a disposizione degli Enti e degli operatori, le informazioni sulle caratteristiche reali del territorio, che rappresentano il necessario riferimento per la definizione degli obiettivi generali e dei contenuti dei piani.

Permettono, inoltre, di valutare la reale sostenibilità ambientale e territoriale delle scelte di programmazione, sia nella fase della loro definizione che in quella della loro attuazione.

La situazione nazionale in materia di dati ambientali è quantomai disomogenea e disaggregata. Esistono, infatti, moltitudini di dati prodotti e/o elaborati da diversi soggetti (amministrazioni pubbliche, università, enti ed istituti di ricerca pubblici e privati, ecc.) che difficilmente tuttavia vengono divulgati e messi a disposizione delle comunità interessate.

A tale realtà, che sembra paradossale in tempi di "comunicazione globale" , si unisce il fatto che spesso i dati inerenti medesimi temi risultano disomogenei se trattati da soggetti diversi e quindi difficilmente confrontabili tra loro.

A tale riguardo, a livello centrale il Ministero dell'Ambiente svolge un ruolo fondamentale di indirizzo e coordinamento in materia di dati ambientali e territoriali.

Con il DL 279/2000 -art.6-quater-, convertito in Legge 365/2000, è stato assegnato al Ministero dell'ambiente il compito di acquisire e rendere disponibili a tutte le amministrazioni tutti i dati ambientali e territoriali d'interesse per le politiche e le attività relative all'assetto del territorio ed alla difesa del suolo in possesso di ciascuna pubblica amministrazione, nazionale, regionale e locale.

I dati saranno resi omogenei secondo standard definiti nell'ambito del Sistema Cartografico di Riferimento, realizzato previo apposito accordo con le regioni.

Tale accordo, stilato in sede di Conferenza Stato-Regioni nell'Ottobre 2000, è ormai operativo e prevede il coinvolgimento di altri importanti soggetti territoriali quali le Provincie con le quali è già stata attivata dal 1999 un'intesa operativa sul tema dell'assetto del territorio con particolare riguardo alle politiche di prevenzione e tutela dal rischio idrogeologico.

Lo strumento operativo di base per la rappresentazione del territorio e dei dati ambientali ad esso associati è rappresentato dalle ortoimmagini in scala 1:10.000 prodotte con il sistema cartografico di riferimento WGS84.

In materia di difesa del suolo la Direzione risulta impegnata ad acquisire ed a trasferire sul Sistema Cartografico di Riferimento i dati forniti dalle Autorità di bacino e dalle Regioni in materia di assetto idrogeologico (aree in dissesto, aree a rischio) con l'obiettivo, ormai imminente, di rendere disponibile via internet la mappatura nazionale delle aree interessate da situazioni, reali o potenziali, di rischio idrogeologico più elevato.

Questa operazione, che richiede un notevole impegno anche in termini di risorse da parte della Pubblica Amministrazione, appare di fondamentale importanza per consentire una presa di coscienza da parte delle comunità interessate e quindi sensibilizzare non più solo "gli addetti ai lavori" ma le popolazioni direttamente coinvolte, rispetto alle problematiche connesse al dissesto idrogeologico.

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
12-07-02, 19:43
Il Convegno sui Piani d'Assetto Idrogeologico

Mercoledì 10 luglio, il Sottosegretario On. Francesco Nucara è intervenuto a Valmontone, presso il Centro di Eccellenza per la previsione, prevenzione e controllo dei rischi idrogeologici, ad interessantissimo convegno dal titolo "Il rischio idrogeologico in Italia: i Piani d'Assetto Idrogeologico a quattro anni dal D.L. 180/98".

L'importante appuntamento scientifico, a livello nazionale, si è tenuto nella prestigiosa sede del C.E.R.I. (Centro di Eccellenza sui Rischi Idrogeologici), inaugurata alla presenza dell'On. Nucara lo scorso mese di marzo.

Nel corso dei lavori sono stati presentati i Piani Stralcio delle Autorità di Bacino e lo stato dell'arte delle più importanti realtà idrografiche nazionali: Tevere, Liri-Garigliano-Volturno, Sarno, Reno, Serchio, Arno, Po, bacini della Basilicata, Liguria, Calabria, Marche e Alto Adriatico.

Il dibattito ha avuto come tema portante quello dell'applicazione dei piani stralcio e degli effetti sulla pianificazione urbana. Ad esso hanno partecipato i presidenti dei Consigli Nazionali degli Ordini Tecnici, i segretari delle Autorità di Bacino, gli esperti dei Servizi Tecnici Nazionali, ed è stato concluso dall'intervento dell'On. Francesco Nucara, Sottosegretario Ministero Ambiente, con delega alla difesa del suolo che ha dichiarato: "In una nazione civile non deve essere il Dipartimento della Protezione Civile, istituito per fatti emergenziali, ad intervenire su problemi strutturali del Paese. Nulla da dire sulle competenze tecniche, ma la protezione civile come struttura permanente andrebbe abolita". L'On. Nucara ha inoltre sottolineato come sia importante che le autorità di Bacino, che svolgono un ruolo di pianificazione sovraordinato rispetto agli Enti Locali, debbano partecipare alla Conferenza Unificata presso il Ministero degli Affari Regionali. Si è impegnato pertanto per una migliore e più equa distribuzione delle risorse finanziarie legate alle problematiche inerenti il dissesto idrogeologico nella prossima Legge Finanziaria che sarà allo studio del Governo.

Il Prof. Alberto Prestininzi, Direttore del Centro di Eccellenza di Valmontone e il Prof. Aurelio Misiti, Presidente del Consiglio Superiore Lavori Pubblici hanno espresso apprezzamento per l'intervento del Sottosegretario Nucara. Entrambi hanno concordato sulla necessità di operare in fase preventiva attraverso gli strumenti della pianificazione senza dover ricorrere all'ultimo momento alle ordinanze d'emergenza e, inoltre, programmare sempre con oculatezza la fase progettuale affidando gli incarichi esclusivamente a professionisti e tecnici aventi indiscussa competenza nel settore.

Francesco Leone

Roma, 10 Luglio 2002

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
04-10-02, 16:36
Venerdì 4 ottobre h. 10.30
Napoli, Mostra d'Oltremare

Convegno "Ciclo integrato delle acque e dissesto idrogeologico"

Presiede:

On. Francesco Nucara
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente

Partecipano:

Prof. Vincenzo Francani
Ing. Gino Villani
Guglielmo Cristao
Ing. Nicola Giovanni Grillo
Avv. Francesco Grassia
Prof. Dino Musmarra
Dott. Lorenzo Lotola

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tratto dal sito web del
Partito Repubblicano Italiano (http://www.pri.it)

nuvolarossa
09-10-02, 23:08
Torino
11 ottobre
Centro Congressi Lingotto

"Seconda Conferenza nazionale delle Aree naturali protette"

Sezione delle h. 16.30

Conclude i lavori
Francesco Nucara
Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente
e della Tutela del Territorio

strabone
10-10-02, 12:09
Nell'allegato alla finanziaria che prevede il riordino della materia ambientale il governo si è attribuito la delega con piene facoltà per decidere su ambiente e territorio evitando persino il dibattito.

Si rimanda tutto a fantomatiche decisioni e a altrettanto fantomatiche agenzie di futura prossima costituzione.
Da un lato si taglia agli enti per buona parte monopolizzati da uomini di sinistra per crearne di nuovi ad-hoc per i propri uomini di area.
Tra i provvedimenti urgenti inseriti nel collegato persino un bypass "per motivi urgenti" di tutte le verifiche necessarie alla compatibilità ambientale per le grandi opere. E' stata "superata" persino la verifica di compatibilità ambientale per le aree petrolifere della Basilicata (per non parlare del pontone sullo stretto verificato d'ufficio direttamente dal ministero).
Non c'è riferimento a questo da nessuna parte, eppure mi sembra che il nostro segretario abbia un incarico importante. O non è stato neppure interessato dell'argomento? Oppure sta in un posto che non è il suo? Oppure non conoscendo per nulla l'ambiente se non come materia economica, non crede apportuno pronunciarsi in merito?
Il buon senso dovrebbe far riflettere, al di là delle proprie capacità tecniche.
Bella vetrina per i repubblicani e per il PRI.
Abbiamo due incarichi governativi che ci danno lustro e visibilità positivi.

echiesa
10-10-02, 16:05
A questo proposito mi piacerebbe sentire l'austera voce del nostro partito o del nostro segretario sul decreto fatto passare in pieno agosto sull'installazione di impianti per telefonia cellulare e per elettrodotti.
Detto in quattro parole i comuni non potranno più intervenire per decidere se un sito va bene o meno: le ditte installatrici potranno andare in deroga ad ogni regolamento comunale ed ad ogni destinazione d'uso del terreno, basta che dimostrino che non superino una certa quantità di emissioni.Non esisteranno più le cosidette zone sensibili , cioè zone che presentano certe caratteristiche abitative e dove la potenza di trasmissione non poteva superare certe soglie.Il comune non potrà più dire in pratica nulla.Visto che siamo in Italia però l'unico che potrà dire qualcosa saranno le sovraintendenze alle belle arti, che spero proibiscano l'installazione sopra il Duomo od il Colosseo, ma anche qui bisognerà sperare poi nella decisone del consiglio dei ministri.
Quindi, quando domani ci troveremo l'antenna davanti casa ce la terremo e tanti saluti.Non è che facciano male, per l'amor di Dio, è tutto da dimostrare, ma che si possano piazzare a piacimento la cosa non è che mi vada troppo a genio
Gradirei tanto sapere se ci siamo stati attenti.
saluti
echiesa:fru

strabone
10-10-02, 18:23
E che dire delle centrali.
I Comuni relegati al mero compito di esecutori passivi di ordini ministeriali che annullano la volontà popolare e danno una grossa mano al federalismo.
" Il Comune come perno dello Stato" recita la formula ad effetto.
Ma evidentemente le urgenze e la crisi da risolvere possono anche giustificare le prevaricazioni accentratrici del governo di CD.
Decentrare con l'ordigno DEVOLUTION; tutto si risolve in deleghe al governo che mi sembra siano proprio il contrario.
E noi come la pensiamo?
Bella domanda da porre al congresso.

echiesa
10-10-02, 19:19
Si, anche questa è carina, è vero, ma mi pare ad onor del vero che sia frutto del csn, salvo errori.
Si, ed a Carrara fra un pò ne vedremo delle belle, anche contro il parere contrario dei omuni di Massa e di Carrara.
saluti
echiesa:fru

nuvolarossa
11-10-02, 19:49
Convegno "Pianificazione del territorio e rischio tecnologico: ad un anno dal decreto sul controllo dell'urbanizzazione"

Intervento di Francesco Nucara Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio

Questa occasione mi è particolarmente gradita per poter parlare di programmazione e di assetti territoriali.

E' noto a tutti che negli ultimi 50 anni il nostro Paese è stato attraversato da un caos programmatorio e legislativo le cui risultanze sono sotto gli occhi di tutti.

Questa iniziativa legislativa ha inteso condurre ad unitarietà la gestione del territorio.

Tuttavia non sempre le iniziative legislative conducono a concretizzare quanto il legislatore ha pensato e tradotto in articolati.

Questo accade perché troppo spesso le leggi sono state il frutto di accordi consociativi tra maggioranza ed opposizione che hanno portato a compromessi legislativi rendendo anche di difficile lettura i provvedimenti del Parlamento Italiano.

D'altra parte come mi piace ricordare, la Legge Fondamentale dei Lavori Pubblici ha retto brillantemente dal 1895 al 1994 e dal 1994 che abbiamo avuto 7-8 edizioni della nuova legge sui Lavori Pubblici.

La pianificazione del territorio se ben congegnata porterà ad una efficace interrelazione tra il Ministro dell'Ambiente e il Ministro delle Infrastrutture.

Il risultato sarà tanto più efficace quanto più ci sarà collaborazione tra i due dicasteri.

Su questo mi sembra che non ci siano problemi e per quanto mi concerne l'ho già dimostrato. La pianificazione in un mondo sempre più interrelato non può e non deve essere più il piano urbanistico comunale.

Viceversa quest'ultimo sarà il risultato finale di un adeguamento al Piano Territoriale di coordinamento regionale, ai Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale, ai Piani degli Enti Parco e delle Aree naturali protette, ai Piani di Bacino, ai Piani straordinari per le aree a rischio idrogeologico e più semplicemente alla pianificazione di aree vaste.

Se sapremo trovare sinergie ed armonia tra queste varie realtà pianificatorie, avremo anche assolto al nostro compito politico.

Non nascondendo però che le varie Amministrazioni per varie ragioni potrebbero entrare in conflitto tra di loro e rallentare i ritmi della pianificazione che deve essere propedeutica alla realizzazione di opere.

Ed a proposito di opere, mi rivolgo a Lei Signor Ministro per sottolineare la scadente progettualità che pervade ormai il nostro Paese.

Non mi riferisco tanto alle grandi opere ma a quella miriade di opere pubbliche i cui progetti sono troppo spesso fuori controllo.

Tanti piccoli progetti redatti non in regola con la normativa ingegneristica portano poi a quei disastri che inducono il Governo a dichiarare emergenze.

E' forse sarebbe il caso di porre fine ad emergenze che durano da un decennio e quindi emergenze non erano: esse erano e sono problematiche strutturali.

E' compito anche del Suo dicastero porre fine a quest'impatto dannoso e dispersivo di risorse per il nostro Paese.

L'intenso sviluppo sociale ed economico italiano degli ultimi cinquanta anni ha certamente determinato un forte sfruttamento di aree con equilibri molto precari, senza peraltro che all'espansione urbana corrispondesse una adeguata risistemazione del territorio.

La conseguenza di tale caotico sviluppo ha così determinato un sensibile incremento delle situazioni ad elevato rischio che richiede, in primo luogo, una decisa azione volta a ridurre il rischio (soprattutto nelle aree dove sono presenti insediamenti abitativi e/o produttivi), nonché a realizzare quegli interventi organici di protezione e riassetto del territorio senza i quali sarebbero fortemente limitate le possibilità di sviluppo economico e sociale del territorio oggi ad alto rischio. E' utile, per capire il livello patologico raggiunto, ricordare che il costo da congestione nelle grandi aree urbane ha superato nel 2001 i 6,5 miliardi di euro.

E' necessario, infatti, per un equilibrato sviluppo, coniugare le necessità socio-economiche con le esigenze di tutela del territorio e delle sue peculiarità naturali e storiche, aspetto questo che fa parte anche delle strategie a livello europeo riportate nei Principi Guida per lo sviluppo territoriale sostenibile.

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio sta seguendo il processo di pianificazione in atto in tutto il Paese. I dati finora disponibili indicano che sono stati predisposti ed approvati tutti i Piani straordinari per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, richiesti dal D.L. 180/98 e sono in via di ultimazione i Piani per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.) richiesti dal D.L. 279/2000.

Il quadro dello stato di attuazione della pianificazione provinciale, rilevato nello studio congiunto Ministero – Unione delle Province, evidenzia, purtroppo, un ritardo nella elaborazione e approvazione dei Piani territoriali di coordinamento provinciale. Ritardo che sembra in via di recupero, ma che ha limitato la necessaria integrazione tra la pianificazione di area vasta e le politiche settoriali per la difesa del suolo, fondamentale per consentire di raggiungere gli obiettivi di tutela e salvaguardia del territorio nell'ambito di uno sviluppo sostenibile. Ciò soprattutto in considerazione dell'accelerazione impressa alla Pianificazione di bacino a seguito degli eventi di Sarno e Soverato.

Prima di avviarmi alla conclusione, voglio qui ribadire che il rischio d'impatto idrogeologico o industriale deve essere considerato tra i problemi centrali del Paese in quanto ad esso è connessa la "sicurezza" sia di vite umane che di beni pubblici e privati.

Le risorse umane e finanziarie investite in tale compito hanno pertanto un ritorno "economico" fondamentale in quanto destinate ad assicurare un corretto governo dell'uso del territorio e a limitare frequenza ed effetti degli eventi catastrofici.

In tale ottica si prospettano una serie di azioni a livello centrale, che appare necessario seguire con il massimo impegno:

incentivare il processo teso a definire il quadro conoscitivo, previsto peraltro dall'art. 2 della Legge 183/89;

assicurare il coordinamento delle funzioni di pianificazione e gestione condotte dalle diverse amministrazioni (Stato, Regioni, Autorità di bacino, province, Comuni, etc.). In particolare occorrerà assicurare che siano programmate ed eseguite tutte le operazioni di manutenzione, sia delle opere, sia del territorio in generale;

assicurare, di concerto con le Regioni, che tutti i dati connessi al dissesto idrogeologico vengano correttamente condivisi e gestiti nell'ambito del Sistema Cartografico di Riferimento, così come previsto dal D.L. 279/00. In tal senso andrà potenziato il sistema che dovrà, pertanto, garantire la raccolta e l'accesso dei dati da tutto il Paese, anche da parte di professionisti e privati cittadini, oltre che da soggetti pubblici;

incentivare ulteriormente le tecniche GIS (Geographic Information System), con le sue innumerevoli applicazioni nel campo della gestione, dell'analisi, e del monitoraggio del territorio;

incentivare la ricerca nel campo della previsione, prevenzione e controllo dei rischi.

Quest'ultimo punto appare sempre più fondamentale in quanto l'innovazione e la ricerca assieme, costituiscono il motore per il miglioramento dei modelli di analisi e di previsione del rischio, dando un forte impulso nel riuscire a "seguire" le dinamiche naturali ed antropiche del territorio.

Roma, 10 ottobre 2002
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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
14-10-02, 18:58
Reggio Calabria
Facoltà di Architettura

XXIII Conferenza Nazionale
"Città e Territori fra Identità e Globalità"

Interviene Francesco Nucara Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio
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tratto dal sito web
http://www.pri.it

strabone
14-10-02, 19:23
Nucara si da un gran da fare.
Presenzia ad ogni incontro pubblico o meno.
O meglio sul sito del PRI si da risalto anche alle partecipazioni allo scopone scientifico di Rocca Cannuccia.
Dice almeno qualcosa di interessante o vaneggia in termini ambientali come fa il suo diretto superiore il Ministro?
Assiste inerte? (e qui mi rifaccio al sondaggio di echiesa)
Oppure è una presenza attiva la sua e quindi la nostra.
A parole non lo/ci batte nessuno.

nuvolarossa
16-10-02, 18:55
Venezia: braccio di ferro Ambiente-Infrastrutture sul Mose

Sottosegretario Nucara non andrà a Camera per "marcare la differenza"

Braccio di ferro Ambiente-Infrastrutture sul Mose, la maxi-diga contro l'acqua alta a Venezia. Oggetto del contendere, la Valutazione di Impatto Ambientale sulle opere accessorie al sistema di sbarramento della Laguna che deve difendere la citta' dalle alte maree. Si tratta delle cosiddette 'conche di navigazione' per permettere alle navi di accedere alla Laguna anche quando il Mose e' in funzione. Per il dicastero dell'Ambiente, queste opere devono essere sottoposte a una procedura nazionale, in quanto ''interventi accessori rispetto all'intervento principale di costruzione delle paratie''. La legge -spiegano al ministero, dove la vicenda e' seguita dal sottosegretario Francesco Nucara- ''stabilisce che le opere accessorie devono avere lo stesso trattamento dell'opera principale di riferimento''. Diversa l'opinione del ministero delle Infrastrutture che chiede una valutazione a livello regionale, per accelerare i tempi. La polemica si e' aperta nei giorni scorsi e oggi, il sottosegretario Nucara non andra' alla Camera a rappresentare la posizione del Governo sulla vicenda, per ''marcare la differenza'' fra le due diverse posizioni.

nuvolarossa
16-10-02, 23:35
Il sottosegretario all'Ambiente trasforma l'idea in progetto, che potrebbe valorizzare le risorse del territorio

Nucara rilancia la Film Commission

"L'Aspromonte è un teatro di posa all'aperto. Attenti agli scherzi della Regione"

"La provincia di Reggio Calabria è un teatro di posa all'aperto ed è un vero peccato non sfruttare questa grande occasione". L'on. Francesco Nucara, sottosegretario di Stato all'Ambiente, rilancia la sua grande idea annunciata il sette settembre a Gambarie durante un convegno sulla "Festa della Montagna": la Film Commission in Aspromonte. "E bisogna fare presto – aggiunge – perché ho capito, ho fiutato che ci sono politici nella Regione che, magari in silenzio, stanno lavorando per realizzare la Film Commission in Sila, che è diventato Parco solo dal luglio scorso anche con il mio contributo. A mio giudizio però il Parco dell'Aspromonte, nato molto prima, ha caratteristiche migliori per questa iniziativa che si pone due precisi obiettivi: valorizzare il territorio e creare posti di lavoro. I vantaggi per la nostra provincia sarebbero enormi. Faccio appello alle istituzioni: al sindaco Giuseppe Scopelliti, al presidente della Provincia Pietro Fuda, alle stesse organizzazioni sindacali, all'Ente Parco affinché si creino le condizioni per realizzare la Film Commission in Aspromonte. Una grossa mano ci può venire dal presidente del Consiglio regionale Luigi Fedele, uno che crede nella valorizzazione dell'Aspromonte e dallo stesso direttore generale della Rai, Agostino Saccà". L'appello del sottosegretario Nucara non è casuale: la legge finanziaria regionale prevede in bilancio i fondi per la realizzazione della Film Commission in Calabria. Ma su questo argomento non è stata data la necessaria visibilità, per cui Nucara sospetta qualcosa. Sentiamolo:"Con mia grande sorpresa nell'incontro di Gambarie, dopo che è stata lanciata l'idea, non c'è stata reazione da parte del presidente Chiaravalloti presente. Ho appreso successivamente che già il 29 luglio è stato approvato un regolamento che fa riferimento alla legge finanziaria regionale e che prevede la realizzazione della Film Commission. Quindi se nessuno ha parlato in quell'occasione, debbo dedurre che ci sono idee diverse dalla mia. Detto chiaramente: la scelta dell'Aspromonte non piace al presidente Chiaravalloti. Lungi da me di fare vittimismo, una cultura che non mi appartiene, la cultura politica che invece mi appartiene è quella che mi consente di dire ciò che penso e sento. Per adesso solo il presidente dell'Amministrazione provinciale Fuda è d'accordo con me". La Calabria è l'unica regione in Italia a non avere ancora la Film Commission. Ma che cos'è? Spiega Nucara, che ha già un suo progetto ben definito: "La Film Commission è un organismo pubblico-privato, è un'organizzazione che ha come compito primario quello di offrire servizi, assistenza logistica e tecnica alle produzioni cinematografiche e televisive, ed in genere a tutto il mercato della produzione audiovisiva".

Ma cosa significa la Film Commission in termini più concreti?

"La presenza di una Film Commission, oltre a mettere in moto attività audiovisive locali, nazionali ed estere, ha sempre avuto un notevole effetto-indotto anche su altri settori che non le sono direttamente contigui: la cultura, la promozione e la valorizzazione del territorio, il commercio locale, la ricezione alberghiera, soprattutto il turismo. Faccio un esempio: il Piemonte si è dotato da tempo della Film Commission. Di recente ha presentato il progetto multimediale "Eagle files over Piemonte" promosso dalla Eagle Pictures in collaborazione con la Regione, l'Enoteca Piemonte e la Film Commission, per una produzione di quattro film che dovranno valorizzare le risorse storiche, ambientali ed enogastronomiche piemontesi. Il cinema è un eccezionale veicolo promozionale del territorio. Oggi il Piemonte è un laboratorio, un domani la provincia di Reggio potrà sfruttare questa idea: il progetto delle Eagle intende creare legami sempre più forti tra l'audiovisivo italiano e il cosiddetto "made in Italy", a partire dal vino e dalla gastronomia, fino alla cultura e alla moda".

E la provincia di Reggio avrebbe davvero tanti prodotti da promuovere.

"Certamente. Dal bergamotto all'olio, dal Museo con i Bronzi di Riace agli scavi della Magna Grecia, dal Lungomare alle bellezze dell'Aspromonte, un Parco da valorizzare anche a livello di immagine".

Quali sono le principali funzioni della Film Commission?

"Svolgere i ruoli di agenzia di primo contatto per gli operatori dell'audiovisivo; fornire i servizi richiesti dalle produzioni; facilitare il rilascio dei permessi amministrativi; individuare le location per le riprese; favorire i rapporti con istituzioni e privati; visite guidate ai luoghi, accesso ad archivi, immagini e informazioni culturali locali; ricerca delle soluzioni logistiche (alberghi, ristoranti, catering); ricerca delle soluzioni tecniche (macchinari, automezzi, strutture tecniche)". L'on. Nucara spiega: "La provincia di Reggio può essere considerata una sorta di studio cinematografico all'aperto: enormi potenzialità mai sfruttate a pieno mentre la produzione cinematografica e televisiva preferisce rivolgersi all'estero per le riprese: soprattutto nei paesi dell'Europa centro orientale, dove la manodopera e l'affitto della location sono a buon mercato; oppure, a parte gli studi di Roma ove si produce a costi elevati, nel Mezzogiorno quasi sempre in Puglia e in Sicilia. La presenza di una Film Commission avrebbe pertanto l'effetto di promuovere e valorizzare vaste aree del territorio, creando condizioni adeguate ad attirare produzioni cinematografiche e televisive italiane ed estere, non solo creando nuove opportunità di lavoro per giovani disoccupati, ma anche a tutti gli effetti indotti in favore dell'economia locale".

Perché il Parco Aspromonte?

"Perché l'Aspromonte, dal punto di vista ambientale, è certamente una delle zone più interessanti di tutta la provincia di Reggio. Si pone infatti al centro di tutto il patrimonio naturale paesaggistico e rappresenta un forte punto d'attrazione della regione, in condizioni di attivare innovativi interessi culturali e operativi legati al settore audiovisivo: un'occasione per promuovere una zona suggestiva ancora relativamente sconosciuta (o conosciuta superficialmente per altre vicende) in grado di dare grande immagine a tutta la Regione". Il sottosegretario all'Ambiente ha già un progetto che pubblichiamo a parte, ma lui insiste sul significato politico e promozionale dell'iniziativa: "Il connubio tra Ambiente e Audiovisivo nel Parco Nazionale dell'Aspromonte avrebbe un duplice effetto: da una parte di far conoscere il notevole patrimonio ambientale della provincia; dall'altra la possibilità che si dia inizio alla più auspicabile equazione della concezione cosiddetta proattiva dello sviluppo sostenibile: conoscenza uguale tutela ambientale uguale occupazione".

nuvolarossa
30-10-02, 20:26
http://www.frangipane.it/febbraio2001/20010212.gif

tratto da
http://www.frangipane.it/archiviox.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

nuvolarossa
29-11-02, 23:24
Lettera al Presidente dell'Associazione Piccole e Medie Imprese dott. Paolo Mascagni

Egregio Presidente,

nel ringraziarLa per l'invito a partecipare al Vostro importante convegno, pur avendo programmato da molto tempo di partecipare, sono purtroppo rammaricato di dover rinunciare alla mia presenza su un tema attualissimo all'attenzione dell'opinione pubblica, degli accademici e delle forze politiche.

Impegni istituzionali (CIPE) sopraggiunti ed inderogabili mi trattengono altrove, ma non posso esimermi dal trasmettere a questo onorevole consesso una bozza del mio intervento con l'auspicio che venga letto ai partecipanti.

Cordiali saluti

Francesco Nucara
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Testo dell'intervento del Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio on. Francesco Nucara

Convegno: "Un confronto in ambito europeo sul governo territoriale delle città medie: il Metrò"
Sala Congressi, Azienda Trasporti Consortili Bologna
Venerdì 29 novembre 2002

Egregio Presidente,
Signori partecipanti,

sono lieto di portare il saluto ad un importante dibattito che rappresenta una occasione particolarmente significativa per il tema che si sta dibattendo.

La dimensione sovranazionale, assunta dagli scambi economici, definita globalizzazione ha fatto perdere di significato alle frontiere geografiche, sia quelle nazionali che regionali. Le comunicazioni sia quelle materiali che immateriali si basano su sistemi di reti (network), i cui nodi sono costituiti dalle città ed i vettori dalle diverse infrastrutture.

Tra queste le capitali nazionali stanno potenziando il tradizionale ruolo di "gate", letteralmente cancello, dal quale entrano flussi di informazioni di alto livello che per veicolare hanno bisogno di una massa critica che solo le capitali nazionali sono in grado di mettere in gioco.

Sino ad ora alle altre città, sia medie che piccole era consentito l'accesso a questi flussi solo attraverso il filtro delle città capitali ( central places) in un sistema fortemente gerarchizzato e identificabile con un organigramma aziendale.

Con l'avvento della globalizzazione si sono creati reti sovrapposte e come si dice con un termine attuale, equimportanti, non solo negli scambi economici ma di conseguenza nelle organizzazioni territoriali, per cui alcune città che hanno una sufficiente strutturazione metropolitana e sono dotate o si stanno dotando di servizi specialistici (interporti, aeroporti, fiere, stazioni con il passaggio dell'Alta Velocità), entrano a far parte di reti autonome o parzialmente intrecciate di città.

Queste città hanno la caratteristica di essere fulcro di un interland di centri di minore importanza a loro volta recapito di altri territori, tale organizzazione urbana viene definita "net city" che è una contrazione del termine network city" che significa rete di città.

L'avvento dell'Alta Velocità e delle tecnologie della comunicazione non materiale e la necessita di governare le trasformazioni urbane conseguenti alla globalizzazione, rende necessario riflettere quale sia il modello o le linee di programmazione territoriale per queste città.

Per nuove città, con nuove esigenze, occorrono nuovi strumenti urbanistici, che coniughino il recupero delle identità e della memorie storiche dei territori, con la messa a punto di nuovi strumenti adatti a nuove esigenze. La dispersione insediativa, lo squallore delle periferie e il degrado dei centri storici sono gli effetti più macroscopici della inattualità dei vecchi Piani Regolatori a governare le nuove trasformazioni.

Il confronto di oggi, svolto in una dimensione europea, su una scelta infrastrutturale che pone a confronto città medie che sono riferimenti di regioni sia economiche che geografiche è certamente positivo. E' positivo soprattutto perché mi sembra che negli organizzatori traspaia la consapevolezza che il governo dei problemi di accessibilità alle città è oggi sempre più complesso. Non c'è una infrastruttura od una misura di razionalizzazione del traffico che possa essere risolutiva presa isolatamente.

Quante risorse sono andate sprecate da quelle amministrazioni che sposavano una soluzione ritenuta la panacea per tutti i problemi di congestione delle città. Quanti slogan abbiamo sentito ripetere: "la città senz'auto", "la pedonalizzazione tout court dei Centri Storici", "il biglietto gratis per tutti sui mezzi pubblici", "corsie preferenziali per i mezzi pubblici dappertutto".

L'unica via percorribile è l'integrazione tra più misure di razionalizzazione, razionalizzazione e non semplicemente restrizione alla circolazione privata, e integrazione tra più infrastrutture (piste pedonali, ciclabili, autobus, tramway, metrò e diversi livelli di reti ferroviarie).

Si dice ragionare per sistemi che sono flessibili ed adattabili alle esigenze di governo di una società complessa e non per modelli, che invecchiano rapidamente.

Il tutto nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile che vorremmo per le nostre città e quindi per il nostro paese. A questo proposito vi assicuro che il governo che rappresento non prende lezioni da nessuno, certamente non da un certo ambientalismo casalingo seguendo il quale ci troveremmo in una economia da sud america e non in una democrazia industriale avanzata.

Intendo dire che ci sono due strade per qualificare la sostenibilità dello sviluppo:

una prima strada la più banale e foriera di depressione economica è quella di guardare al passato, di frenare ed interrompere i tassi di sviluppo. La filosofia è meno si fa meno si impatta sull'ambiente. E' una dichiarazione di sfiducia nell'uomo, nelle sue capacità, nella sua presenza sulla terra;

una seconda strada, apparentemente più difficile ma che salvaguardando gli attuali livello di sviluppo industriale, consente di attuare anche politiche di redistribuzione delle risorse (anche perché non si può redistribuire quello che non c'è, che non si ha avuto la capacità e l'umiltà di produrre). Sto dicendo che di fronte alle sfide che la congestione delle città e quindi l'inquinamento e quindi la messa in discussione dell'equilibrio ambientale del nostro pianeta ci pone, non dobbiamo indietreggiare, cedere le armi, abbassare i nostri livelli di sviluppo , limitare la capacità del nostro sistema produttivo. Dobbiamo utilizzare la tecnologia, la conoscenza per contrastare, ridurre l'inquinamento e ciò senza abbassare gli attuali livelli di sviluppo, questa è la grande sfida. E' la differenza che c'è tra guardare avanti e volgersi indietro, che c'è tra chi considera l'uomo un animale nocivo per questo pianeta e chi invece lo considera la creatura più complessa ma con la grande dote della conoscenza e della capacità di fare, di costruire, di lavorare insieme in quella che è ancora oggi la forma migliore di convivenza tra gli uomini che è la città.

Certo c'è oggi un diffuso senso di incertezza, gli eventi che si sono succeduti come quello dell'11 Settembre possono provocare la reazione peraltro comprensibile di chiusura in se stessi. C'è una diffusa domanda di "futuro". A questa domanda voi imprenditori rispondete tutti i giorni. Non so se anche la classe politica, complessivamente intesa lo faccia, sono però certo che è un obiettivo chiaro e prioritario di questo governo.

In conclusione del mio intervento, vorrei ringraziarvi per l'attenzione ed approfittare di questa occasione ricca di stimoli per auspicare che da questo convegno si delinei un quadro coerente di crescita e di sviluppo territoriale delle grandi aree metropolitane.

Dall'impegno che ognuno di noi saprà e vorrà dedicare a questo tema, dipende il futuro della qualità della vita delle nostre città ed il futuro dei nostri figli.

Buon lavoro.
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tratto dal sito web del
http://www.prilombardia.it/imgs/pri.gif (http://www.pri.it)

nuvolarossa
13-12-02, 02:31
"Gli strumenti per la Tutela idrica: Tecnici, Legislativi e Finanziari

di Giovanni Pizzo

La risorsa idrica , come la gran parte delle risorse ambientali - è stata da sempre considerata una risorsa libera, disponibile in quantità illimitate e per questo, pur essendo fondamentale per la determinazione del benessere, non era mai entrata nella sfera dell'economia in quanto non oggetto di scambio all'interno del mercato.

Il nostro modello economico (economia di mercato basata sulla proprietà privata dei fattori di produzione) affida il conseguimento dell'uso ottimo delle risorse economiche ai meccanismi del mercato; se una risorsa economica rimane fuori da questi meccanismi difficilmente se ne realizza un uso razionale; come accade a tutti i beni economici ai quali non viene attribuito un valore di scambio nel mercato, l'acqua non è stata gestita in modo razionale.

In mancanza della "mano invisibile" del mercato che conduce alla razionalità del sistema, l'alternativa che resta per conseguire un assetto razionale dell'uso di queste risorse è quella della "Pianificazione".

La pianificazione quindi, costituisce lo strumento alternativo al sistema dei prezzi e del mercato - che regolano l'uso ottimo dei beni economici oggetto di scambio - per conseguire l'uso razionale dei beni che non sono inseriti nel meccanismo di mercato.

La Pianificazione può dare (e ha dato) buoni risultati a condizione di operare in un contesto istituzionale coerente (potere decisionale accentrato) e in sistemi relativamente "semplici"; lo stesso modello sovietico nei primi anni della rigida pianificazione davanti alla desolata condizione di partenza, riuscì ad imprimere tassi di sviluppo prodigiosi all'economia pianificata.

Più complicato è il discorso quando – attraverso lo strumento della pianificazione - si cerca di ottimizzare l'uso di risorse all'interno di sistemi "complessi"; in tal caso possono sfuggire al Pianificatore le infinite implicazioni di effetti e cause che regolano i sistemi su cui si agisce e i Soggetti coinvolti dalle scelte di pianificazione sono molteplici e dotati di strumenti informativi e amministrativi evoluti.

Il decentramento amministrativo sul quale si fonda la nostra Costituzione (concetto rafforzato dalla definizione "capovolta" di Stato assunta con la modifica del titolo V della Costituzione) rende ulteriormente difficile il compito del Pianificatore soprattutto quando non è collocato al livello massimo di decentramento.

La nostra legislazione in materia ambientale, e quella in materia di risorse idriche in particolare, è tutta strutturata sulla Pianificazione: dal Piano Regolatore generale degli acquedotti (1963) al piano di risanamento delle acque (legge 319/76) per arrivare al Piano di Bacino (legge 183/89), ai Piani di tutela dei corpi idrici (D.lgs 152/99).

Ma il progressivo aumento delle complessità dei sistemi socio – economico – territoriali rende sempre più difficile concludere l'iter di approvazione dei vari piani richiesti. Ne sanno qualcosa i Responsabili delle Autorità di Bacino, nonostante si sia cercato di abbassare il livello di complessità attraverso la disarticolazione in "Piani stralcio" essendo stato di fatto impossibile arrivare alla approvazione completa prevista dalla legge.

Alla luce degli attuali scenari politici ed economici, lo sviluppo di un settore del lavoro o infrastrutturale può provocare contemporaneamente l'aumento della ricchezza per alcune comunità locali ed il declino di altre, l'aumento del benessere per alcune figure sociali e la marginalizzazione per altre, la crescita occupazionale in un comparto produttivo e la parallela riduzione di posti di lavoro in altri, così come una organizzazione territoriale più efficiente ai fini produttivi potrebbe determinare un abbassamento della qualità ambientale.

Ignorando come le componenti del sistema socio – economico – territoriale interagiscono, le scelte di politiche di sviluppo fondate unicamente o prevalentemente su azioni settoriali pianificate dall'esterno pervengono a risultati complessivi sempre più esigui e marginali, a volte anche sbagliati e dannosi.

Nel caso delle risorse idriche le scelte pianificatorie finiscono con l'uscire dall'ottica, oggi riduttiva, delle mere decisioni sulle modalità d'uso dell'acqua e diventano occasione per la verifica della compatibilità della coerenza delle ipotesi di sviluppo nella loro triplice accezione sociale, economica ed ambientale.

Prendiamo ad esempio una grande regione come la Sardegna (dovrebbe essere presente il Presidente Pili): oggi si trova a dovere pianificare un riassetto degli schemi idrici per gli usi multidisciplinari per fronteggiare una gravissima emergenza idrica e forse una strutturale modifica dei regimi idrologici e si deve chiedere se il modello di sviluppo economico che ha impostato sia ancora sostenibile di fronte a questi scenari, se la domanda idrica in agricoltura (settore portante ed insostituibile dell'economia dell'Isola) - derivante da scelte degli imprenditori agricoli basate su un costo del fattore di produzione "acqua" tenuto artificialmente più basso rispetto al costo della produzione (costi operativi di prelievo e adduzione, ammortamento impianti fissi, costi ambientali) - debba essere ulteriormente inseguita nella sua dinamica di crescita "drogata" dal basso prezzo dell'acqua o se, invece, bisognerà rivedere queste forme improprie di sostegno al settore agricolo che portano a distorsioni se inserite in un contesto che si muove con le logiche di mercato. Come si vede il discorso sugli schemi idrici diventa un problema di modello di sviluppo generale e settoriale e diventa sempre più pericoloso muoversi all'interno della pianificazione settoriale.

Questa considerazione ci porta ad una riflessione più generale sui futuri rapporti fra politica economica e politica ambientale; man mano che le condizioni di scarsità delle risorse ambientali le faranno entrare di forza nella sfera dell'economia, politica economica e politica ambientale finiranno con il fondersi in un'unica nuova politica economica tou court.

L'acqua, fra le varie risorse ambientali, ha le caratteristiche più marcate di fattore di produzione ed è per questo che è la prima per la quale si sente oggi la necessità di un approccio economico.

Oggi non è più possibile ingessare un sistema socio – economico – territoriale dentro un rigido piano per le risorse idriche, qualunque esso sia. La Pianificazione non basta più, bisogna chiedere aiuto ai meccanismi più duttili e flessibili di mercato per trovare la via dell'utilizzo ottimo della risorsa nel contesto di riferimento.

Bisogna fare entrare l'acqua nel sistema economico, ma per fare questo non sono utili le rozze scorciatoie delle liberalizzazioni di principio: la sfida più difficile, ma ineludibile che interessa coloro che hanno responsabilità di Governo, è quella di "guidare, accompagnare, gestire" nel modo più indolore possibile questo percorso di ingresso, creando quel complesso di regole e strumenti atti allo scopo.

Lo strumento fondamentale che abbiamo per realizzare questo percorso esiste già: si tratta della direttiva 2000/60/CE del 23.10.2000 che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

La Direttiva conferma l'impianto organizzativo per distretti idrografici che l'Italia aveva già adottato con la legge n. 183/89, ma introduce alcuni nuovi e fondamentali elementi che, a nostro avviso, costituiscono il presupposto per realizzare il processo di "internalizzazione" della risorsa idrica nei sistemi economici:

l'analisi economica dell'utilizzo idrico (art. 5);

il recupero dei costi relativi ai servizi idrici, compresi i costi ambientali, secondo il principio "chi inquina paga" a carico dei settori di impiego: industria, famiglie, agricoltura (art. 9);

la "gestione" che sostituisce la "pianificazione" (art. 13 – piani di gestione dei bacini idrografici);

Bisogna guardare alla adozione di questa Direttiva per intraprendere l'attuazione del corpo di regole necessarie a gestire la fase di ingresso dell'acqua nella sfera dell'economia e la creazione degli strumenti più opportuni per gestire gli inevitabili impatti.

Il passaggio dalla Pianificazione al "governo" comporterà una profonda modifica delle modalità di approccio e della strumentazione tecnica ed amministrativa.

La fase della conoscenza non potrà essere più quella della "fotografia" bensì quella del "monitoraggio" continuo; le scelte dovranno essere effettuate mediante confronto continuo con i Soggetti portatori di specifici interessi sulla base di principi generali che devono essere fissati dal livello superiore.

Le strutture tecniche dovranno essere di alto livello tecnico e morale, devono avere potere decisionale ed essere diffuse sul territorio per "avvicinarsi" in modo adeguato alle problematiche; devono essere coordinate da strutture centrali (livello regionale) deputate a gestire l'informazione e a dare supporti scientifici finanziari e specialistici, secondo uno schema a rete tipo ANPA – ARPA.
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tratto dal sito web del
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nuvolarossa
05-01-03, 00:28
FILM COMMISSION

Il prof. Manganaro sostiene la proposta dell'on. Nucara
Comunichiamo il cambiamento

Nel dibattito sulla realizzazione della Film Commission registriamo l'intervento del prof. Sandro Manganaro, direttore dell'Accademia di Belle Arti: «La proposta di realizzare la Film Commission in Aspromonte, formulata dall'on. Francesco Nucara, sottosegretario di Stato all'Ambiente, e accolta con entusiasmo in sede politica, merita apprezzamento e sostegno tanto per le motivazioni che la originano quanto per le intenzioni che la animano e gli obiettivi che vuole conseguire. A nessuno, infatti, sfugge l'importanza di un progetto che, oltre ad avere una validità intrinseca, si rivela utile e opportuno perché, soprattutto, di straordinaria attualità. Il momento storico, infatti, che l'Aspromonte sta vivendo è senz'altro «strategico». Tanti miti e pregiudizi, per lo più alimentati artatamente, sono stati oramai infranti e sfatati. L'Aspromonte non è più una montagna «senza passato e senza futuro», non è più la «croce» della gente di Calabria, così come alcuni per decenni hanno preteso che fosse. In questi ultimi anni si è verificata una reale inversione di tendenza che ha reso l'Aspromonte «a misura d'uomo». Si sono moltiplicati gli splendidi itinerari con le relative peculiarità paesaggistiche e naturalistiche, sono aumentate le vie d'accesso e interne, capillare è diventata la diffusione dei mezzi di trasporto; tanti piccoli comuni, fino a ieri caratterizzati dall'anonimato, hanno oggi una identità attraverso la «riscoperta» della loro storia, delle tradizioni, del ricco patrimonio artistico-culturale e la «ricostruzione» di luoghi per troppo tempo colpevolmente cancellati o semplicemente trascurati. Si respira, insomma, una nuova atmosfera, improntata a un sano e autentico ottimismo, inteso non come pura speranza emozionale ma come profonda e forte consapevolezza che lo sviluppo della Calabria non può dipendere dalle «ricette» importate o da modelli imposti dall'esterno dai soliti personaggi vestiti con la sahariana. Del nostro domani dobbiamo essere noi i protagonisti: di ciò si sono resi interpreti tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, presenti sul territorio che, singolarmente e/o sinergicamente hanno evidenziato una ferma e strutturata determinazione per attuare un più elevato livello di «qualità» della vita. Si è compreso, in altri termini, che l'Aspromonte è da configurarsi, unitariamente, sia come «valore», nel senso che ogni iniziativa deve piegarsi al fine della sua tutela e conservazione, che come «risorsa», nel senso che occorre promuovere ogni attività volta alla sua valorizzazione e fruizione, favorendo lo sviluppo economico, l'occupazione e il turismo. Non è sufficiente, però, che ci sia il «nuovo», occorre anche pubblicizzarlo fuori dai propri confini geografici. La Film Commission, allora, ben si presta quale «passaporto» d'eccellenza per comunicare, attraverso l'efficacia e l'immediatezza dei messaggi visivi e audiovisivi, questa inedita «immagine» dell'Aspromonte, la sua volontà di riscatto e di rilancio, così come recentemente sostenuto dal presidente del Consiglio regionale, on. Luigi Fedele. L'Accademia di belle arti, in forza delle sue finalità istituzionali e sulla scorta delle varie e significative esperienze maturate grazie alle competenze professionali e ai moderni laboratori di produzione audiovisiva di cui dispone, si candida ad aderire alla costituzione della Film Commission, veicolo privilegiato per illustrare ed esportare le fresche ed esaltanti pagine di un cambiamento che, auguriamo, sia irreversibile».

nuvolarossa
07-02-03, 22:37
Francesco Nucara a Reggio Calabria
Convegno sui "Sistemi di gestione ambientale-Sviluppi e opportunità"

Intervento conclusivo dell'On. Francesco Nucara, Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio

Illustre Presidente,

Signori e Signore,

a conclusione dei lavori di questo convegno sento di potermi dichiarare particolarmente soddisfatto dell'andamento dei lavori e ringrazio l'Associazione degli Industriali di Reggio Calabria per avermi dato la possibilità di parlare di un tema a me particolarmente caro, soprattutto perché come membro del Governo ho seguito alcune fasi essenziali che sono sfociate a maggio dell'anno scorso nella sottoscrizione di un Protocollo di intesa sulla certificazione ambientale, stipulato tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e la Confindustria, mirato ad incentivare la diffusione dei sistemi di gestione ambientale da parte delle imprese e a rafforzare la competitività del sistema Paese.

La necessità di tale intesa era dovuta dagli obiettivi di sviluppo sostenibile contenute nelle politiche ambientali dei Paesi industrializzati ed in particolare dalle iniziative legislative del Governo italiano e dall'azione della Confindustria mirate a rafforzare le garanzie per la tutela del patrimonio ambientale.

Questi obiettivi hanno portato ad affiancare alla logica prescrittiva e di controllo strumenti tesi alla responsabilizzazione diretta dei soggetti che possono incidere positivamente sul miglioramento delle condizioni ambientali e alla costruzione del dialogo tra tutti i soggetti interessati: Pubblica Amministrazione, mondo imprenditoriale, privati cittadini, ecc…

Nel campo degli accordi volontari promossi dall'U.E., il Regolamento EMAS costituisce senza dubbio l'esempio più rappresentativo degli schemi di certificazione ambientale, quello che dà maggiori garanzie di credibilità, trasparenza, dialogo

Tutto ciò, benché sia di grande interesse, anche dal punto di vista strategico del miglioramento continuo della qualità ambientale del territorio a livello locale, e sebbene costituisca il giusto epilogo di politiche ambientali basate su principi quali: sviluppo sostenibile, patti territoriali, Agende 21 locali, ecc.., rischia di far perdere di vista l'importanza dell'applicazione di EMAS al mondo imprenditoriale, che resta pur sempre un elemento di forte impatto ambientale sul territorio.

Il mondo imprenditoriale sta crescendo (a velocità maggiore della PP.AA.) sul fronte della consapevolezza dell'importanza di affrontare le tematiche ambientali in modo adeguato, anche per vedere riconosciuti i propri sforzi a favore dell'ambiente.

Per quanto riguarda lo stato di attuazione di EMAS in Italia, il dato più interessante va ricercato nel tasso di crescita della domanda di registrazione, che è tra i più alti dell'U.E.; in particolare la progressione è data da 1 sito nel '97, 12 siti nel '98, 25 siti (di cui uno sperimentale – il Comune di Varese Lig.) nel '99, 42 siti nel 2000, 83 siti nel 2001, 123 nel 2002, di cui uno soltanto in Calabria (la Bic).

Possiamo quindi affermare che in questi primi cinque anni di applicazione di EMAS in Italia si è assistito ad un crescendo: nel 1997 eravamo agli ultimi posti rispetto alla media degli altri Paesi europei (con un solo sito registrato), oggi siamo al sesto posto in Europa, con 123 organizzazioni registrate e siamo preceduti solo da Germania (2533), Austria (369), Spagna (225), Svezia (212) e Danimarca (152).

In Germania EMAS ha visto una diffusione così ampia perché i tedeschi hanno creduto fin dall'inizio ai sistemi volontari e lo Stato ha promosso l'adesione ad essi da parte delle aziende in modo concreto, avviando una serie di azioni di cooperazione tra pubblico e privato a livello locale, basti citare in questo ambito i patti territoriali della Baviera.

Questo dimostra ancora una volta come la cooperazione tra PP.AA. e imprese, sia a livello nazionale che a scala locale, si configuri come l'elemento vincente per una efficace applicazione delle politiche ambientali.

Va altresì detto che in Italia abbiamo oltre 1500 aziende certificate ISO 14001 e solo 123 registrate EMAS, sebbene ISO 14001 sia stata emanata nel 1996 ed EMAS nel 1993, ossia tre anni prima.

Questa tendenza deve indurre una riflessione, che risulta quanto mai opportuna, proprio nel momento in cui si parla di ampliamento di EMAS ai settori non industriali, ed in particolare alla PP.AA.

Uno dei problemi è che troppo spesso si è parla delle differenze e delle analogie tra ISO 14001 ed EMAS, ponendoli a confronto come se fossero due sistemi alternativi, due "concorrenti" e ponendo le aziende di fronte al quesito: "Scelgo l'uno o scelgo l'altro ?".

Questo è un approccio errato al problema, e lo è tanto più a seguito dell'entrata in vigore del regolamento 761/01 (EMAS II) il quale stabilisce che il sistema di gestione ambientale previsto da EMAS debba essere conforme alla norma ISO 14001.

In altre parole possiamo dire che ISO 14001 "è contenuto in EMAS".

La certificazione ISO 14001 può dunque essere vista come un passo propedeutico alla registrazione EMAS e non come una alternativa. Va precisato che si tratta di un passo importante, imprescindibile per l'adesione ad EMAS, e che consente di ottenere, comunque, un riconoscimento in termini di certificazione di conformità ad una norma internazionale.

In questa ottica EMAS può essere visto come un traguardo successivo alla norma ISO 14001.

È indubbio che EMAS porta con sé un valore aggiunto.

Infatti EMAS prevede la predisposizione di una dichiarazione ambientale che deve essere convalidata da un verificatore ambientale accreditato e che si configura come uno strumento di grande efficacia dal punto di vista della comunicazione e della corretta e credibile informazione alle parti interessate.

In ogni caso, il problema per le aziende è, e rimane, quello di trovare adeguate motivazioni per aderire volontariamente a sistemi di certificazione ambientale.

Per comprendere meglio il problema, bisogna forse partire dal concetto che l'Italia non è il Paese delle grandi multinazionali, ma quello delle PMI che costituiscono il cuore del tessuto economico del nostro Paese, è l'Italia che lavora, che produce sviluppo economico, che ha reso il made in Italy famoso nel mondo e che da anni è alla ricerca di un interlocutore istituzionale con il quale dialogare in modo proficuo e costruttivo per vedere valorizzati, tra le altre cose, anche gli sforzi profusi a favore della tutela ambientale.

Ogni impresa potrebbe avere vantaggi diversi nell'aderire ai sistemi volontari di certificazione ambientale, in particolare ad EMAS, e potrebbe essere spinta da motivazioni di vario genere.

I principali vantaggi possono essere la riduzione dei costi, una migliore presentazione dell'impresa sul mercato, la soddisfazione di richieste da parte di clienti importanti, la prevenzione della violazione della legge, la prevenzione dei danni ambientali e la minimizzazione del rischio, la diminuzione dei costi assicurativi e del costo del denaro, la valorizzazione del sito, il miglioramento dei rapporti col pubblico e con le autorità, il miglioramento della produttività individuale.

E' allora nostro compito precipuo, da un lato promuovere e diffondere la cultura della certificazione ambientale sul territorio, e dall'altro adoperarci affinché EMAS diventi "appetibile" per le aziende.

Questo approccio è, inoltre, perfettamente in linea con il nuovo ed innovativo approccio con cui la PP.AA. è chiamata a guardare alle aziende che hanno intrapreso con successo percorsi di certificazione ambientale.

Un particolare accenno bisogna fare alla volontà del Governo di muoversi verso la concessione di agevolazioni per le aziende che possono certificare il loro comportamento corretto nei confronti dell'ambiente e l'impegno al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali ha ormai superato il punto di non ritorno, e questo anche grazie alla correttezza e alla credibilità dei sistemi di certificazione ambientale.

Nel prossimo futuro, quindi, è ragionevole attendersi una revisione della legislazione ambientale secondo criteri prestazionali e non più meramente prescrittivi.

L'altro segnale chiaro è l'intento del Legislatore di consentire alle Autorità Competenti in materia di controlli ambientali di meglio organizzare le proprie attività, indirizzando le risorse prioritariamente verso quei Soggetti che sembrano meno sensibili alla tematica ambientale e che, quindi, si configurano come un potenziale elemento di criticità ambientale.

In conclusione possiamo dire che EMAS, per affermarsi, ha bisogno di essere "sponsorizzato" con convinzione e determinazione da parte di tutti i soggetti coinvolti che dovrebbero attuare una strategia di cooperazione e partecipazione sia sul fronte della diffusione sia su quello della condivisione delle scelte, delle modalità applicative e della credibilità dei processi di attuazione dello schema.

E' importante anche sottolineare che siamo tutti "soggetti coinvolti".

Infatti, ciascuno di noi dovrebbe operare, per quanto di competenza, per garantire il diritto delle generazioni presenti e future a fruire di un patrimonio ambientale integro.

Dovrebbe farlo la pubblica amministrazione ponendo in essere gli strumenti più adeguati per premiare quella parte dell'imprenditoria che da anni ha profuso un grande impegno a favore della tutela ambientale, dovrebbero farlo le imprese, stando molto attente a perseguire obiettivi di efficacia gestionale e a trasformare le risorse impiegate a favore dell'ambiente in investimenti, con un ritorno anche in termini di immagine e di competitività; dovrebbe infine farlo il pubblico mettendosi in grado di svolgere il ruolo di selezione sul mercato (clienti, fornitori, concorrenti) privilegiando aziende che garantiscono un corretto comportamento nei confronti dell'ambiente, promuovendo, in tal modo, il diffondersi non solo di uno sviluppo, ma anche di un mercato sostenibile.

Reggio Calabria, 6 febbraio 2003
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l'intervento di
Francesco Nucara
e' stato tratto dal sito
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nuvolarossa
12-02-03, 20:13
Università degli Studi di Reggio Calabria/Presentazione Corsi di Alta Formazione

Progettazione del Paesaggio Costiero in ambiente mediterraneo

Intervento dell'on. Francesco Nucara, Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio

Illustre Signor Rettore,

Signori e Signore,

Da qualche tempo ormai, qualsiasi cosa si muova nell'ambito ambientale si lega al concetto di sostenibilità la cui idea è fermamente ancorata alla necessità di perseguire importanti obiettivi di tutela ambientale.

Per il nostro Paese questi obiettivi rivestono una particolare importanza soprattutto per la sua caratteristica morfologica e per il fatto che il 75% della popolazione vive praticamente negli 8.000 km di variegata costa nazionale.

Il territorio marino e costiero costituisce infatti una realtà estremamente viva, dinamica e importante, sia per lo splendido ambiente naturale che esso contiene sia per la sua capacità di attrattiva di attività economiche qualificate e di flussi turistici importanti e di qualità.

Il mare, è da sempre, oggetto di violazioni da parte dell'uomo: dagli inquinamenti marini all'erosione costiera, dal depauperamento delle risorse ittiche all'abbandono di rifiuti che compromettono la qualità degli ecosistemi marini e costieri.

A tutto ciò si aggiunge una carente valorizzazione e promozione del mare che viene fruito solo in periodi estivi quando invece la risorsa mare costituisce un approccio conoscitivo.

La fascia costiera, quale maggiore polo di impatto antropico ed industriale, richiede una maggiore strategia d'insieme che cerchi di stimolare azioni di restauro ambientale di tratti costieri e marini, oggetto nel tempo di un irrazionale sfruttamento da parte dell'uomo.

Interventi di diversa matrice hanno contribuito ad alterare e a deturpare l'equilibrio di ecosistemi marini e costieri (si pensi all'erosione costiera, all'abusivismo edilizio, agli scarichi di varia fonte, alla soppressione di paesaggi dunali, ecc.).

Come adoperarsi per cambiare il volto della fascia costiera?

Nella politica ambientale portata avanti dal Governo una linea di azione significativa è stata quella di proteggere il patrimonio rappresentato dalle nostre coste attraverso la promozione di speciali misure di tutela, di gestione e di sviluppo per quelle aree marine e costiere che sono particolarmente rappresentative della qualità dell'ambiente marino e della storia, cultura e attività dell'uomo.

Si è provveduto, insieme alle Regioni costiere, soggetti istituzionali maggiormente coinvolti negli usi antropici ed economici della fascia costiera, a realizzare una rete di sorveglianza della qualità dell'ambiente marino secondo le previsioni del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha organizzato una rete di osservatori sulla qualità dell'ambiente marino costiero, effettuando periodici controlli con rilevamento di dati oceanografici, chimici, biologici e microbiologici al fine di tenere sotto controllo lo stato di qualità delle acque marine costiere.

Tale rete di osservazione costituisce un presupposto irrinunciabile per consentire la tutela, anche dal punto di vista ecologico, delle risorse marine, nonché uno strumento indispensabile per pianificare ed attuare una corretta politica di gestione integrata della fascia costiera.

La pianificazione e la progettazione, quindi, come occasioni per valorizzare le peculiarità endogene ai fini di uno sviluppo e di un turismo in chiave eco-sostenibile.

Creare nuove opportunità di vivere in modo sostenibile la costa esaltando le sue diverse vocazioni. Ad esempio l'istituzione di aree protette marine risponde all'esigenza di dare spazio ad un nuovo modo di intendere la protezione.

Una protezione che mette in moto diverse opportunità occupazionali in termini di gestione e fruizione.

L'ambiente per essere valorizzato e sfruttato in termini sostenibili ha bisogno di qualificate figure professionali sempre più consce del "valore aggiunto" presente in ogni componente ambientale.

Per questo, la formazione in campo ambientale diventa un caposaldo nel preparare percorsi idonei per la definizione di soluzioni progettuali, da applicare a lungo termine, tali da pianificare la fruizione e lo sviluppo sostenibile delle risorse endogene.

Il dinamismo di particolari realtà come gli ambienti sensibili consentono agli specialisti di settore di avvalersi di un notevole "background" conoscitivo di alta valenza sotto il profilo scientifico.

L'Italia, con le sue coste, presenta un variegato ventaglio di ambienti dalle spiccate peculiarità naturalistiche tali da meritare un calibrato regime protezionistico e diventare il luogo ideale per stimolare e favorire una ricerca a tutto campo.

Al fine di coniugare i diversi aspetti legati alla protezione ambientale è necessario, perciò, qualificare la formazione che dovrà privilegiare azioni multidisciplinari ed interdisciplinari per una migliore comprensione interattiva dell'ambiente e per approntare mirati interventi di prevenzione e sostenibile repressione.

E' necessario un grande sforzo di conoscenza e di divulgazione scientifica, con lo scopo di realizzare una cultura del mare intesa come capacità di maturare una visione complessiva degli equilibri tra l'ambiente marino e la società moderna, di assumere, nei riguardi del mare comportamenti coerenti con convincimenti profondi, piuttosto che in conformità di mode culturali.

I corsi che in questa sede oggi vengono presentati hanno l'obiettivo di realizzare una formazione articolata sui temi della programmazione e della pianificazione delle coste, temi che non possono prescindere dalle problematiche dell'analisi storico-territoriale, dai temi della conservazione dei beni culturali e della salvaguardia delle identità locali.

Possono rappresentare lo strumento di base per un' impresa culturale dedicata a quella parte di popolazione mediterranea la cui conoscenza del mare è affidata ad una radice antica e profonda, che non necessariamente affiora nelle coscienze, per recuperare la ragione culturale che è alla base del concetto di "cittadinanza mediterranea", per recuperare altresì la ragione politica che vede, ancora oggi, il Mediterraneo come crocevia della civiltà occidentale.

La zona costiera tirrenica della provincia di Reggio Calabria è di importanza strategica per l'intero territorio regionale. Crocevia storico di scambi commerciali, comprensorio turistico tra i più importanti d'Europa, sede di habitat naturali delicati. Essa evidenzia problemi propri di una zona sensibile, attivamente impegnata nella ricerca di un punto di equilibrio sostenibile con fattori insediativi e produttivi, locali e continentali, marittimi e terrestri, di forte pressione. In primis il sistema dello stretto di Messina punto di passaggio obbligato per il traffico marittimo.

Per questi motivi, sarà necessaria una proposta che produrrà un piano di indirizzi per la gestione integrata delle zone costiere, il cui significato è quello di conferire continuità, organicità e prospettiva all'insieme delle politiche necessarie per governare con un approccio sistemico questi territori.

Le attività di studiò, di ricerca e di monitoraggio attuate dalla Regione hanno in particolare definitivamente evidenziato che è necessario intervenire attraverso un approccio integrato e multisettoriale.

La necessità di prevedere un'azione di tipo sistemico e multidisciplinare rende opportuna l'elaborazione di un Piano specifico per la gestione integrata delle zone costiere, allo scopo di indirizzare in modo armonico lo sviluppo delle attività che insistono sulla costa e di influenzare positivamente l'insieme dei fattori che dall'entroterra e dal mare premono su questa fascia di territorio in delicato equilibrio. La Gestione Integrata della Zona Costiera è un'attività complessa che richiede conoscenze scientifiche, importanti risorse, una comune determinazione.

L'obiettivo è di spostare il baricentro degli interventi su politiche proattive, capaci di prevedere, collegare ed affrontare in modo coordinato fenomeni di qualità ed intensità nuove come l'innalzamento del livello dei mari e la trasformazione geologica e geomorfologica dei territori.

Si dovranno affrontare le numerose problematiche delle aree costiere correlate tra loro, a carattere biologico, ecologico, fisico, economico e sociale. In accordo con alcune recenti raccomandazioni dell'Unione Europea relative alla Gestione Integrata delle Zone Costiere, dovrà essere assicurato un approccio integrato e partecipato per consentire che la gestione delle zone costiere possa avere caratteristiche di sostenibilità economica e ambientale, ma allo stesso tempo caratteristiche di equità e coesione sociale.

Reggio Calabria, 6 febbraio 2003
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nuvolarossa
27-02-03, 23:50
"E' possibile la creazione di un sistema Paese per la nuova economia dell'idrogeno?"

di Giovanni Pizzo *
*Consigliere Nazionale del Partito Repubblicano

I problemi dello sviluppo economico e quelli della conservazione dell'Ambiente confluiranno verso una sola questione centrale: come migliorare la qualità della vita mantenendosi nei limiti della capacità di carico degli ecosistemi interessati; questa questione è destinata a sostituire nei paesi "sviluppati" quella "classica" dello sviluppo economico e dell'aumento del reddito monetario che è stata al centro delle teorie economiche dell'ultimo secolo e che ha orientato le azioni dei Governi.

Ne segue la necessità di elaborare un nuovo modello teorico dello sviluppo orientato verso il conseguimento dello sviluppo "sostenibile". La nostra economia di mercato può essere paragonata ad un Transatlantico che deve navigare alla sua velocità di crociera per garantire il benessere dei passeggeri ma la sua attuale rotta di navigazione è diretta contro il limite della sostenibilità: la missione di coloro che devono governare il sistema nei prossimi decenni è quella di realizzare una manovra per far virare il transatlantico senza farlo rallentare, ponendo la prua in direzione dello sviluppo sostenibile.

Mentre nei paesi più avanzati si sono sviluppati filoni di ricerche economiche e tecnologiche che hanno cominciato a dare importanti risultati nella individuazione di nuovi percorsi dell'economia capitalistica verso la sostenibilità, in Italia ci siamo sfiancati in lotte di principio fra il fondamentalismo ambientalista legato alle ideologie della sinistra anti capitalistica, che si è dimostrato inconcludente e dannoso anche per l'ambiente, e la sottovalutazione del problema da parte delle forze liberali.

Gli effetti di questo ritardo sono sotto i nostri occhi: siamo riusciti ad accumulare contemporaneamente un grave ritardo infrastrutturale, gravissimi problemi di inquinamento e forti ritardi nella ricerca scientifica e tecnologica legata alle nuove prospettive ambientali.

Autorevoli Organismi Internazionali, le risoluzioni votate a Rio nel 1992 e a Jhoannesburg nel 2002 da centinaia di paesi, e i documenti di azione Comunitaria per l'ambiente (quinto programma 1992 – 2002, e sesto programma in corso di adozione) indicano la necessità di affiancare alle strategie di internalizzazione nel mercato dei percorsi verso la sostenibilità del processo di sviluppo.

Noi riteniamo in Italia che sia giunto il momento per le forze politiche di ispirazione liberale di sviluppare un modello di intervento sui temi ambientali coerente con l'accettazione del capitalismo di mercato, nella convinzione che è all'interno del sistema di mercato che si potranno trovare i quei meccanismi correttivi dell'attuale rotta.

Le forze del mercato possono essere stimolate ed orientate nella direzione dello sviluppo sostenibile: lo strumento fondamentale per orientare il processo è quello della programmazione e del coinvolgimento delle forze della società, il mondo delle imprese, i sindacati e i consumatori; si tratta di rilanciare, con la dovuta attualizzazione, la politica di programmazione che noi repubblicani abbiamo sostenuto quando fu necessario governare il tumultuoso processo di sviluppo degli anni cinquanta.

Il transatlantico deve cambiare rotta ma non deve rallentare, anzi, si devono affrontare prioritariamente i temi dove sono già visibili condizioni di potenziale sviluppo con ritorni economici ed occupazionali.

La programmazione deve indicare le linee strategiche e le opportunità sulle quali indirizzare gli sforzi: il nostro è un paese dotato di grandi potenzialità scientifiche, tecnologiche, umane e possiede le risorse per affrontare temi di grande complessità come quelli legati all'ambiente.

Bisogna partire da quei settori per i quali è ormai dimostrato che è errata la convinzione, purtroppo molto diffusa, che l'uso di tecnologie innovative, l'introduzione di stili di vita e consumi coerenti con lo sviluppo sostenibile porterebbero all'impoverimento delle nostre economie: piuttosto, se si fanno bene i conti e si considerano le "esternalità" è vero il contrario: e cioè che comportamenti e modelli di vita e di consumi rispettosi dell'ambiente portano anche sviluppo ed aumento della ricchezza anche in relazione alla leadership che si può costruire nei riguardi dei paesi meno avanzati.

Un esempio che di recente è venuto di attualità è quello legato alle enormi potenzialità legate alla tecnologia di utilizzazione dell'idrogeno.

E' di questi giorni l'annuncio del presidente Bush - accolto con una vera e propria ovazione da parte di tutto il Congresso (maggioranza ed opposizione) - di uno stanziamento di 1,2 miliardi di $ per un maxi programma di investimenti che porterà entro il 2020 alla produzione di serie di automobili alimentate con idrogeno.

Giustamente, il premio Nobel e Commissario Straordinario dell'ENEA, Francesco Rubbia ha immediatamente ricordato i suoi precedenti appelli al mondo politico perché venissero assunte iniziative forti e decise per sostenere programmi di sviluppo applicativo nel settore dell'energia derivata dal sole da immagazzinare ed utilizzare in combinazione con l'idrogeno.

In un momento in cui ciascun paese cerca di rendersi meno dipendente dai combustibili fossili, l'Italia, con la sola energia solare potrebbe colmare tutto il suo fabbisogno energetico. Ma, come dice il prof. Rubbia, "occorre che il solare per l'Italia diventi come il nucleare per la Francia, una politica di stato, con mezzi, uomini, finanziamenti (…) basta un impianto solare, pensatelo come un grande specchio ustorio come quello degli antichi greci, di 50 chilometri per cinquanta, per fornire all'intero paese tutta l'energia che utilizza (…) volete che con tutte le zone abbandonate del centro della Sicilia, della Calabria, della Sardegna non si trovi un'area, una serie di aree, dove impiantare il solare? Non sto dicendo che si deve fare cosi', ma solo che basterebbe questo per risolvere i nostri problemi". (...) "il solare potrebbe dare rilievo e importanza al meridione d'Italia e al sud d'Europa. E inoltre per fare il solare basta la tecnologia di un costruttore di biciclette".

Il CNR, ENEA, Università di Roma "La Sapienza" e ISES Italia, in collaborazione con BMW Group Italia hanno presentato i primi risultati di una ricerca sulle prospettive dell'uso dell'idrogeno: tale ricerca indica la concreta possibilità di costituire in Italia un vero e proprio sistema paese per avere un ruolo da protagonista in Europa, ed evidenzia le enormi potenzialità di nuovi posti di lavoro legate a questa prospettiva.

L'idrogeno è indicato come il combustibile più pulito in relazione alla possibilità di produrlo da fonti rinnovabili; la sua diffusione come combustibile per auto è ormai una realtà imminente ed il programma di Bush ne avvicina sensibilmente i tempi di attuazione. Sono da affrontare e risolvere ancora complessi problemi legati al sistema di produzione ed alle infrastrutture di distribuzione.

L'Italia ha grandi risorse in termini di energie rinnovabili (irraggiamento solare, flusso delle acque, vento, biomasse); il potenziale globale è stimabile in quasi 550.000 GWh/anno di energia elettrica producibile (attualmente il consumo totale italiano di elettricità è complessivamente di 305.400 GWh/anno), con una potenza installabile di poco più di 200.000 MW (attualmente la potenza installata in Italia è inferiore ai 170.000 MW).

Grazie a questo enorme potenziale di fonti rinnovabili è possibile produrre idrogeno in modo totalmente eco-compatibile, passando attraverso la generazione di energia elettrica ed il processo di elettrolisi (scissione dell'acqua in idrogeno e ossigeno grazie all'elettricità), oppure attraverso i processi di termolisi (scissione diretta dell'acqua in idrogeno e ossigeno nelle giuste condizioni di temperatura e pressione) o bio/termochimici per l'estrazione dell'idrogeno dalle biomasse.

Il potenziale di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili in Italia è stimabile in 7.100.000 t/anno: 3.000.000 t/anno da irraggiamento solare; 280.000 t/anno da impianti mini e micro-idraulici a bassissimo impatto ambientale; 460.000 t/anno da energia eolica; 3.360.000 t/anno da biomasse (agricole, forestali, rifiuti).

La ricerca citata ha messo in relazione questo potenziale con il possibile futuro mercato europeo di combustibile-idrogeno nel settore autotrasporti, valutando i seguenti scenari:

Scenario A: 20% dei veicoli europei sostituiti da veicoli a idrogeno;

Scenario B: 50% dei veicoli europei sostituiti da veicoli a idrogeno;

Scenario C: 100% dei veicoli europei sostituiti da veicoli a idrogeno.

Nella scenario A, l'Italia può arrivare a fornire il 93% del mercato europeo con la propria produzione di idrogeno da rinnovabili; nello scenario B, può arrivare a fornire il 40%; nello scenario C, l'Italia può arrivare a fornire il 20% del mercato europeo.

Dalla: questa è l'opportunità offerta dal Il futuro mercato dell'idrogeno, legato a tecnologie ormai "dimostrate", praticamente mature - ma che richiedono un completamento dell'attività di sviluppo e l'avvio della fase di industrializzazione per l'intero sistema - offre anche la possibilità di passare dalla fase di de-industrializzazione alla fase di re-industrializzazione ambientale. La possibilità è quella di creare nuovi posti di lavoro da attività industriale, che pongono le base per solide premesse di sviluppo. Per giunta, si tratta di attività industriale ambientale, perfettamente in linea con la nuova richiesta sociale di Sviluppo Sostenibile.

Le sole attività di ricerca e sviluppo e di produzione dell'idrogeno da fonti rinnovabili (irraggiamento solare, flusso delle acque, vento, biomasse) con le tecnologie immediatamente applicabili possono creare in Italia oltre 70.000 nuovi posti di lavoro così suddivisi: 70% nel Mezzogiorno (isole maggiori comprese), 30% nel nord Italia.

Lo sviluppo delle infrastrutture e dei sistemi di stoccaggio, trasporto e distribuzione può creare ulteriori 30.000 posti di lavoro che allo stato attuale di diffusione delle imprese e delle conoscenze sarebbero così suddivisi: 60% al nord, 40% al sud e isole maggiori.

Le attività legate alla ricerca e sviluppo ed all'avvio della produzione, dello stoccaggio e della distribuzione dell'idrogeno da fonti rinnovabili offrono quindi lo scenario a breve termine (nel periodo di tre anni) di oltre 100.000 nuovi posti di lavoro, con un'interessantissima prevalenza al sud. Il livello di specializzazione richiesto, il contenuto tecnologico e le necessità di formazione continua caratterizzano l'elevata "qualità" di questo potenziale.

In prospettiva, i posti di lavoro - con il potenziale di risorse esistenti - possono arrivare fino a 600.000 - 1.000.000 di unità, in funzione del livello tecnologico e delle attività manifatturiere che si riescono a sviluppare

A queste proiezioni sono da aggiungere i posti di lavoro e la ricchezza economica producibili dalla realizzazione di sistemi di utilizzo dell'idrogeno, quali le pile a combustibile, i motori a combustione interna, i generatori di elettricità per uso stazionario, le automobili. (In un quadro strategico di questo tipo si sarebbe perfino potuto immaginare un intervento diretto dello Stato per sostenere il rilancio della Fiat)

Solo una coerente politica di programmazione è in grado di cogliere tempestivamente queste opportunità indirizzando e coordinando gli sforzi e le risorse del paese verso direzioni strategiche anche attraverso il consenso ed il coinvolgimento delle forze sociali, culturali ed imprenditoriali.

I Repubblicani dovrebbero sollecitare il Governo e la maggioranza affinché pongano all'ordine del giorno la necessità del rilancio della politica di programmazione orientata allo sviluppo sostenibile attraverso la creazione di un momento di sintesi politica che dovrebbe assurgere al livello di "Ministero della programmazione dello sviluppo sostenibile".

di Giovanni Pizzo *
*Consigliere Nazionale del Partito Repubblicano

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
04-03-03, 22:14
Ambiente/Il Comando carabinieri presenta la mappa dell'illegalità al Ministero

Maglia nera a Sicilia e Calabria. Il commento del sottosegretario Nucara

Presentata al Ministero la mappa dell'illegalità ambientale emersa dal rapporto annuale redatto dal Comando carabinieri per la Tutela dell'ambiente. In campo nazionale più di 4 controlli su 10 hanno messo in evidenza situazioni fuori norma (43% del totale), mentre sono in diminuzione i reati nel settore del ciclo dei rifiuti (-4%). Nel 2001 sono stati compiuti 13.663 controlli per 6.610 obiettivi nel cui ambito sono state accertate 5.876 infrazioni alla normativa ambientale, con un livello generale di illegalità pari al 43%. Le cose vanno meglio per il ciclo dei rifiuti: il livello di abusi è sceso dal 39,1% del 2001 al 34,9% del 2002. Tra le regioni che guidano la classifica delle infrazioni c'è la Sicilia con il 54% di situazioni illegali scoperte fra inquinamento acustico, inquinamento atmosferico e inquinamento paesaggistico e abusivismo edilizio. Su 830 controlli effettuati, sono state accertate 448 infrazioni che hanno portato alla denuncia di 376 persone, 85 sequestri per un valore di 9 milioni e 295 mila euro, mentre 57 contravvenzioni hanno portato nelle casse dello Stato 281mila e 503 euro. Guardando i valori provinciali, Siracusa apre la classifica dei capoluoghi della Sicilia orientale con una illegalità pari al 55,3%: su 38 controlli il Noe ha verificato 21 infrazioni; segue Messina con il 50,3%: su 165 controlli effettuati, 83 le infrazioni accertate. Catania è al 45,9%: 39 infrazioni accertate su 85 controlli; chiude Ragusa con il 37%: a fronte di 27 controlli, solo 10 situazioni non erano a norma di legge. Minore l'illegalità diffusa in Calabria, dove la percentuale è ferma al 44,5%. Su 1470 controlli effettuati sono state accertate 654 infrazioni che hanno portato il Noe a fare 523 segnalazioni alle autorità competenti, con 7 persone arrestate; 24 sequestri per un valore complessivo di 31.441.896 euro, mentre le contravvenzioni sono state 72 per un valore di 139 mila euro. Nella nostra regione è la provincia di Crotone a guidare la classifica della illegalità: su 33 controlli effettuati, 32 situazioni sono fuorilegge, e il livello di illegalità è pari al 97%; segue Vibo Valentia dove su 120 controlli sono state accertate 76 infrazioni con un tasso di illegalità pari al 63,3%. Catanzaro è al terzo posto, con un tasso illegale del 54,9% (206 controlli e 113 infrazioni); Cosenza è al 49,1% ( su 647 controlli le illegalità accertate sono state 318). Chiude la classifica, questa volta in positivo, Reggio Calabria con il più basso livello di illegalità riscontrato: 24,8%, che è la risultante di 115 infrazioni accertate nell'ambito di 464 controlli. "Dobbiamo ringraziare i carabinieri per la costante e ferma attività di controllo che, oltre a sanzionare le molteplici infrazioni, sono riusciti, in molti casi, anche a prevenire le illegalità nel settore ambientale": ha commentato così il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara il rapporto divulgato ieri nel parlamentino del suo Ministero, segnalando come "il rafforzamento del Nucleo ecologico dell'Arma dei carabinieri, effettuato con il collegato ambientale alla legge finanziaria dell'anno scorso, sta finalmente producendo i suoi frutti. "La tendenza positiva riscontrata negli ultimi mesi del 2002 - ha proseguito Nucara - ci conforta pienamente. I primi dati elaborati dal Comando dei carabinieri per la Tutela dell'ambiente dimostrano la piena capacità del Noe di ridurre il tasso di illegalità nella gestione dei rifiuti e nella depurazione". Per quanto riguarda la Calabria, la situazione non appare diversa dalle altre regioni. "Il livello di illegalità del 44,5% che non si discosta dalla media nazionale - ha concluso Nucara - non è certo motivo di soddisfazione per me. Anzi, diventa un monito a tutta la classe politica calabrese e agli amministratori locali affinché non si affidino esclusivamente al Noe per impedire reati contro l'ambiente, ma utilizzino tutti gli strumenti a disposizione per combattere un fenomeno che cresce rigoglioso soprattutto attorno alla gestione dei rifiuti".

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
06-03-03, 23:05
Premio "Le Chiavi del Sorriso" promosso dalla Fondazione Cesar/Centro Congresso Frentani "Sala Accademia"

Il saluto del Sottosegretario di Stato Francesco Nucara

Signor Presidente,

Signori invitati,

l'importante iniziativa promossa dalla Fondazione Cesar che ha lo scopo di premiare ogni anno enti e persone che acquistano meriti particolari in vari campi di attività, quest'anno riconosce una particolare importanza al tema della Montagna, in sintonia con la proclamazione da parte dell'ONU dell'Anno Internazionale della Montagna 2002, ripreso anche dal Vertice di Johannesburg nelle cui conclusioni vi è una parte dedicata alla salvaguardia di questo ecosistema.

Ricordo che l'importanza delle aree montane nel nostro Paese era stata già riconosciuta dai padri fondatori della Repubblica che, con l'art. 44 della Costituzione, hanno inteso dare carattere di preminente interesse generale alla salvaguardia e alla valorizzazione di queste zone.

Da Johannesburg sono arrivate alcune indicazioni:

a) Sviluppare e promuovere programmi, politiche e approcci che integrino gli aspetti ambientali, economici e sociali dello sviluppo sostenibile delle montagne;

b) Implementare programmi per affrontare problematiche quali la deforestazione, l'erosione e l'impoverimento del suolo, la perdita della biodiversità, il dissesto del sistema delle acque e il ritiro dei ghiacciai;

c) Implementare programmi per promuovere la diversificazione e le economie tradizionali delle aree montane.

L'impegno del Governo Italiano nella direzione su indicata è stata sinora molto chiaro.

Con la legge 120 del 2002 è stato ratificato il protocollo di Kyoto che promuove " metodi sostenibili di gestione forestale, di imboschimento e di rimboschimento" e con la Delibera sulle emissioni dei gas serra approvata dal Cipe lo scorso 19 dicembre sono previste iniziative per l'aumento e la migliore gestione delle aree forestali e boschive, il recupero di territori abbandonati, la protezione del territorio dai rischi di dissesto e desertificazione mediante afforestazione e riforestazione.

Oggi sono anche in grado di esprimere tutta la mia soddisfazione, e questa sede mi pare la più appropriata, per l'accordo raggiunto la scorsa settimana in Conferenza Stato-Regioni sul Fondo per la Montagna che sembrava dover subire un drastico taglio di 35 milioni di Euro dei fondi a disposizione.

E' stato l'ennesimo atto di attenzione del Governo in favore della montagna il cui fondo rappresenta un punto fondamentale.

Ma c'è ancora molto da fare.

Sarebbe intanto opportuno prevedere che le Regioni facciano riconoscere nei loro statuti la specificità dei territori montani e il ruolo delle Comunità Montane nello sviluppo e tutela della montagna.

Le stesse Regioni potrebbero inoltre istituire una Conferenza permanente per il coordinamento dei programmi di sviluppo, per la prevenzione del dissesto idrogeologico e per la salvaguardia del territorio montano.

La cura della montagna dovrà, però, assumere il carattere di vera priorità strategica nell'approntare piani e programmi che contemplino una più mirata ed integrata gestione del territorio montano, collinare e urbano soggetti ad un degrado ambientale in gran parte di matrice antropica.

La montagna rappresenta, quindi, un'imperdibile occasione di opportunità occupazionali nel recupero gestionale e manutentivo di immensi patrimoni boschivi e nell'eco-fruizione di lussureggianti parchi naturali che devono essere mantenuti tali e non essere oggetto di selvagge speculazioni.

Vorrei sottolineare come la protezione della natura sia diventata un intelligente strumento di rivitalizzazione delle zone di montagna senza dimenticare di tenere in debito conto adeguati comportamenti precauzionali e di rispetto in armonia con le linee di conservazione ambientale.

La montagna nella sua complessità e sensibilità necessita più di ogni altro ambiente di un approccio che tenga conto delle sue specificità nell'inserimento di strutture e servizi che non ne ledano l'integrità, ma al contrario che riescano a coniugare sviluppo e ambiente in modo durevole.

Essa, in quanto custode di una variegata ed impareggiabile bellezza naturalistica e culturale, costituisce un notevole valore aggiunto per le diversificate eco-attività perseguibili. La montagna allora come una grande fucina di progetti da portare avanti per il beneficio intergenerazionale.

Ritornare a vivere la realtà della montagna con i suoi colori, sapori e tradizioni da sempre esclusivi "giacimenti" da rinvigorire per un eco-sviluppo più consapevole delle sue risorse naturali ed umane, in quanto essa è soprattutto un forte polo di attrazione e vitalità produttiva.

A conclusione del mio intervento vorrei sperare che la montagna torni ad avere un posto di centralità nelle politiche settoriali, poiché, solo mantenendo ottimale lo stato di qualità e di vivibilità della montagna, gli altri comparti potranno godere di innumerevoli benefici sotto il profilo ambientale.

Il premio "Le chiavi del Sorriso " di questa edizione sarà assegnato a quanti si sono distinti nella promozione, salvaguardia e manutenzione del patrimonio montano con la messa in opera di attività di diverso ordine volte a perseguire l'obiettivo di maggiore qualificazione del territorio montano.

Spesso il successo risiede nella fiducia su cui i giovani possono contare e dalla quale scaturiscono poi quelle felici imprese, frutto di sacrifici, di tanta voglia di sperimentare nuove iniziative e di credere in qualcosa di utile per se stessi e per gli altri.

Ancora un grazie a quanti sono promotori di iniziative che, come questa, a volte perseguite con carenza di fondi, rendono vivo l'interesse e l'entusiasmo per una montagna fruibile tutto l'anno.

Roma, 4 marzo 2003
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tratto dal sito dell’Edera
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nuvolarossa
21-03-03, 13:15
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La guerra dei trasporti

di Fiorenzo Grollino

Ci è voluta la tragedia sulla A4 con il suo carico di morti e feriti a causa di una gigantesca serie di tamponamenti a catena di giovedì 13 marzo, perché si riparlasse delle disastrose condizioni del trasporto in Italia, a cominciare dal trasporto su gomma. Cosa ha fatto il nostro Paese per migliorare questa modalità di trasporto, che è diventata con gli anni la più pericolosa ed insicura, tanto che un viaggio in autostrada diventa un'avventura, ed i morti sulle strade italiane sembrano un bollettino di guerra? Nulla o quasi nulla, l'Italia è ferma a venti anni addietro.

Vogliamo fare il punto su una situazione divenuta ormai invivibile, per chi usa il sistema stradale italiano sia per brevi che per lunghi spostamenti, per motivi di turismo e di lavoro?

Dei paesi dell'Ue l'Italia è quello più a rischio di un collasso dalle conseguenze irreparabili, atteso il congestionamento della rete stradale e la sua scarsa efficienza, causa prima della poca sicurezza per chi viaggia.

Il nostro sistema di trasporto è ormai fermo a vent'anni addietro, con insufficienti piani di sviluppo che sono sistematicamente inattuati o attuati in modo molto marginali, mentre già dal 1996 per il trasporto del solo comparto merci si prevedeva una crescita entro il 2000 di oltre il 40%, e nella successiva previsione che data 2001 con proiezione fino al 2010 si metteva in conto un aumento potenziale del traffico di mezzi pesanti di almeno il 50%.

Ma cosa si è fatto nel corso di questi anni, pur conoscendo le previsioni di crescita del traffico merci su strada, che puntualmente si sono verificate?

Nulla, anche se è ben noto che questa modalità di trasporto assorbe il 63,91% del traffico merci, rispetto alla modalità via mare che è del 20,61%, e quella su rotaia che non va oltre il 10,92%.

Invero, per dirla tutta, negli anni '90, sotto la spinta del commissario straordinario e successivamente amministratore delegato della F.S. S.p.A., avv. Lorenzo Necci, si pensò di diversificare il trasporto di merci e passeggeri, dotando il nostro Paese di una ferrovia veloce, per cui nacque, tra mille contrasti ed ostacoli, il treno alta velocità, una modalità di trasporto ferroviario cui avevano fatto ricorso con grande successo i francesi, realizzando il Tgv (Train grand vitesse), e gli spagnoli, grazie ai sostanziosi prestiti erogati a piene mani dalla Banca Europea degli Investimenti.

Anche l'Italia, per realizzare il suo Tgv nella versione Tav (treno alta velocità), fece ricorso alla BEI per finanziare la tratta Napoli - Roma ed alla CECA per avere un prestito per l'acquisto dell'acciaio occorrente per le rotaie da Milano a Napoli, ottenendo sia l'uno che l'altro.

Una volta, però, che iniziò la costruzione della prima tratta (Napoli - Roma), tra grandi sospetti e forti polemiche, correva l'anno 1996, è storia recente, il fautore dell'Alta Velocità italiana, Lorenzo Necci, finì in manette.

Si parlò subito di tangentopoli 2, salvo, poi, dopo qualche mese, il tempo occorrente per le solite procedure, una pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, che sgonfiò il caso e portò Necci ad ottenere una serie di assoluzioni per tutti i misfatti che aveva commesso.

Un'altra storia esemplare di questo paese, che rallentò, per non dire che addirittura fece fermare, i lavori per realizzare la tanto avversata alta velocità.

Questo evento servì se non altro a ritardare di alcuni anni i programmi di realizzazione del Treno alta velocità, e la stessa quotazione in borsa della Tav S.p.A., che ancora oggi deve avvenire.

Mentre ciò avveniva per la modalità ferroviaria, quella stradale non aveva fatto passi in avanti, perché ormai tutti erano concentrati sull'alta velocità ferroviaria.

Invero, il Consiglio europeo di Essen nel 1995, semestre di presidenza tedesca, seguendo i suggerimenti del libro bianco dell'allora presidente della Commissione europea, Jacques Delors, approvò un elenco di dodici progetti prioritari per realizzare la rete transeuropea di trasporto. Tra questi dodici progetti, ben due riguardavano l'Italia: la linea veloce Lione - Torino, ed il traforo del Gran S. Bernardo.

Di essi, l'Italia ha preso in considerazione solo il progetto del treno veloce Lione - Torino, essendo l'altro fortemente costoso.

Subito dopo francesi ed italiani realizzarono un GEIE per dar corso agli studi di fattibilità, al progetto ed a quanto altro necessario, perché potessero iniziare i lavori. Pur essendo un progetto di grande interesse, soprattutto per il nostro paese, tanto è vero che all'inizio del 2001 fu firmata un'intesa politica fra i due governi, rappresentati da Jacques Chirac e Giuliano Amato, per anticipare la sua realizzazione dal 2015 al 2012.

L'interesse dell'Italia per questo progetto è di vitale importanza per il suo sistema di trasporto, e ciò sotto un duplice aspetto: le linee di collegamento tra i due paesi ormai sono insufficienti e c'è il rischio concreto che tra qualche anno il traffico si possa bloccare; la linea Lione - Torino è la sola che può collegare l'Italia al V corridoio europeo per incrementare il traffico verso i paesi dell'Est. Infatti, la Lione - Torino deve essere collegata a Milano e Trieste e quindi ai paesi del V corridoio quali Ungheria - Slovacchia - ed altri fino a Kiev. Inoltre, dall'altro estremo della linea, e cioè da Lione si può realizzare il collegamento con la Spagna, fino a Barcellona.

Senonché anche per questa linea sembra siano insorti alcuni problemi con il partner francese, che vorrebbe far slittare la realizzazione del tunnel del Monte Bianco dal 2012 al 2020 per motivi di carattere finanziario, avendo la Francia ridotto il suo intervento da 110 a 27 milioni di euro per il biennio 2002 - 2003.

Di fronte a questa grave situazione piena di incognite e di incertezze sia sul versante interno che su quello internazionale, il governo venerdì 14 marzo, in coincidenza con la tragedia della A4, da una parte ha approvato un disegno di legge che proroga ancora di un anno gli incentivi per il trasporto merci su rotaia, e dall'altra ha siglato con le ferrovie spagnole un accordo per incrementare il trasporto merci, seguendo così il libro bianco Ue, che mira a sviluppare le modalità di trasporto alternative alla strada e decongestionare così il sistema viabilistico in Europa. Così si realizza la joint - venture paritetica italo - spagnola denominata LMC, che diventerà operativa dal mese di giugno prossimo.

Ed ancora una spinta al processo di realizzazione del sistema di trasporto italiano potrebbe arrivare addirittura dal Sud, per un accordo tra il gruppo Contship, che gestisce i grandi porti - hub di container come Gioia Tauro e Taranto, e le Ferrovie tedesche, per realizzare una rete intermodale. In effetti oggi sono proprio le autostrade del mare a dare un forte contributo al decongestionamento del traffico, anche se il governo non ha fatto granché per incentivare l'intermodalità - mare.

L'Unione europea si è resa conto soprattutto in questi ultimi tempi, a causa del deficit dei bilanci nazionali che debbono rispettare i parametri di Maastricht, della necessità di dare un ulteriore contributo per realizzare ogni possibile infrastruttura di trasporto, tanto che in questo momento in seno alla Commissione europea si discute per portare il contributo a fondo perduto, per incrementare gli investimenti in questo settore dall'attuale 10% al 20%. Questa decisione è molto attesa, perché così non solo potrà trovare nuovo slancio economico il progetto Lione - Torino, ma potrà essere incoraggiata e ricevere maggiore sostegno in termini finanziari ogni iniziativa diretta alla realizzazione di interporti e piattaforme logistiche, di cui c'è una grande necessità, perché, inserite nella rete di trasporto transeuropeo, servono alla concentrazione e distribuzione delle merci, mettendo così ordine in questo importante settore, lasciato, se così si può dire, ad una sorta di crescita spontanea, senza precisi e chiari obiettivi.

E così, mentre l'Italia è ferma, l'Unione europea ha lanciato a fine dicembre 2002 una nuova azione per sviluppare la logistica: il programma Marco Polo, che sarà implementato nel 1° semestre 2003 ed avrà la funzione di incentivare gli investimenti nel settore della logistica di nuova generazione.

Tutte queste iniziative e questa varietà di incentivi, non potranno essere utilizzati nel Mezzogiorno d'Italia, e cioè da Napoli in giù, mancando le necessarie infrastrutture per farvi ricorso.

Lungi dal voler imbastire una polemica, non si può sottacere che anche nel settore del trasporto l'Italia è spaccata in due, con ciò volendo dire che l'Europa si ferma per il momento a Napoli, mentre il resto del Paese non ha infrastrutture di trasporto che possano assorbire contributi per il loro sviluppo.

L'unica opera infrastrutturale potrebbe essere l'autostrada del Sole, ma non lo è, perché non ha i requisiti per essere ritenuta autostrada a tutti gli effetti, intendiamo riferirci alla tratta Salerno - Reggio Calabria, che in questo momento è un grande cantiere per i necessari lavori di ristrutturazione tutt'ora in corso.

Né può considerarsi infrastruttura di trasporto su gomma la S.S. 106 jonica, e così la strada ferrata jonica, che collegano Taranto con Reggio Calabria.

In questo autentico deserto di opere infrastrutturali il traffico su rotaia e su gomma dalla Campania alla Calabria segna il passo, salvo i costi che, a causa di queste vetuste quanto inefficienti infrastrutture, sono i più alti d'Europa.

Ciononostante il governo ha puntato tutte le sue carte, se così si può dire, sul ponte sullo stretto di Messina. Un'opera unica nel suo genere, un fatto a sé stante, in quanto non può essere inserito in un inesistente sistema di trasporto, mancando sia in Calabria che in Sicilia un sistema di trasporto rapido ed efficace.

Da qui la necessità, secondo molti benpensanti, di dare la precedenza alla realizzazione di un sistema stradale e ferroviario ed in un momento successivo costruire il ponte.

Non è concepibile, si chiedono i più, che un governo s'impegni a realizzare un'opera che oggi come oggi non serve a nulla se non a produrre altri sprechi e altre illusioni. L'augurio è che qualcuno fermi la costruzione di questa nuova cattedrale nel deserto, ed avvii un discorso costruttivo per realizzare una linea ferroviaria veloce da Napoli a Reggio Calabria. Questo serve, se si vuole fare uscire il nostro Sud dal limbo delle sole buone intenzioni, per farlo decollare verso un futuro di vero sviluppo socio - economico.

Quanto ai progetti governativi di tutte le opere in campo c'è da sbalordire, perché, se tutto è rimasto fermo fino ad oggi, da domani sarà tutto in marcia. Il ministro delle grandi infrastrutture ha stimato che le opere in campo si possono stimare in una cifra pari a 60 miliardi di euro, che è il 48% dell'intero piano della legge Obiettivo. Di esse ben nove sono grandi opere ferroviarie e altre cinque grandi opere stradali.

C'è di che stare tranquilli, almeno sulla carta, anche se non è detto quando queste opere partiranno. Si pensa a breve, crisi economica permettendo.
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tratto dal sito web del
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nuvolarossa
02-04-03, 23:47
La difesa del suolo

di Francesco Nucara
Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente

La forte crescita demografica avvenuta in Italia nel corso degli ultimi decenni e la profonda trasformazione del tessuto economico del Paese, hanno prodotto una forte pressione sul sistema ambiente, impoverendo così le risorse del territorio. La ricerca dissennata di nuovi spazi destinati ad accogliere nuovi agglomerati urbani con annesse infrastrutture hanno, in molti casi, insistito su un contesto territoriale estremamente vulnerabile ai rischi ambientali.

Un'efficace pianificazione implica una profonda e sempre aggiornata conoscenza del territorio. E se è d'obbligo avvalersi delle potenzialità offerte dagli strumenti messi a disposizione dalle attuali tecnologie, altrettanto imperativo è il tenere sempre in debita considerazione la memoria storica dei luoghi, traccia per un calcolo di probabilità che potrebbe servire a scongiurare o quanto meno a mitigare catastrofi già registrate " nell'ambito di una data area ed entro un certo intervallo di tempo".

La quasi totalità del territorio italiano è soggetto all'influenza dei rischi geologici: vaste aree sono caratterizzate da alta sismicità (fascia appenninica, Triveneto, Stretto di Messina, etc.); vulcani attivi (Etna, Stromboli e Vulcano) e quiescenti (Vesuvio); zone soggette a dissesto idrogeologico (regioni alpine e Appennino centro-meridionale), lunghi tratti di rete idrografica esposta a ricorrenti esondazioni; settori costieri sia di falesia che di spiaggia in erosione; importanti città (Bari, Taranto, Foggia, Trieste, etc.) esposte a fenomeni di collasso gravitativo in aree carsiche.

Gli strumenti legislativi nel nostro Paese sono all'avanguardia, ma troppo spesso però i limiti prescritti dalle leggi vengono valicati dall'uomo; l'esempio più eclatante è quello delle aree di massima esondazione fluviale che vengono destinate a zone di espansione urbana sia che si tratti di un torrente alpino, che di una fiumara calabra.

Al giorno d'oggi, la strada più facilmente percorribile, è quella seguita da molte regioni, le quali si stanno dotando di uno strumento indispensabile per il pianificatore ai fini della "lettura" del territorio; si tratta dell'obbligo di produzione, per qualsiasi progettazione di opera, di una cartografia tematica ad hoc con particolare riguardo alla vulnerabilità, pericolosità e rischio presenti in un determinato contesto territoriale.

Ma al di là dei ruoli professionali, quando parlo dell'importanza della memoria storica, mi riferisco a ciò che del passato rimane nei luoghi, raccontato dalla cultura orale che è patrimonio di tutti.

Abbiamo voluto organizzare questo "Speciale" che nelle nostre pagine tratta il tema della difesa del suolo nell'accezione più ampia , per istituire un tavolo ideale di concertazione fra le istituzioni e la gente, per tentare di capire insieme cosa si potrebbe realizzare nell'immediato con la collaborazione di tutti e con i mezzi che abbiamo a disposizione.

Affrontare il problema alla radice non è certamente cosa facile, soprattutto nelle aree ad alta densità abitativa, mi riferisco alle città metropolitane, dove risulta sempre più difficile realizzare cartografie utili per avviare attività di prevenzione delle calamità naturali.Le opere di sistemazione idraulica sono spesso inadeguate o addirittura, in alcuni casi, mal progettate.

Tuttavia la messa in sicurezza da ogni rischio, sia esso idraulico che geologico, e la conoscenza delle regole che governano l'uso del territorio è fondamentale.

Occorre pertanto intervenire con un strategia in grado di colmare le lacune di conoscenza, e in questa direzione serve pianificare e programmare per un profondo rinnovamento degli attuali sistemi di governo e gestione ambientale del territorio.

Servono interventi di difesa attiva laddove necessario. E sulla base di modelli di azione messi a punto nelle migliori esperienze,bisogna puntare al recupero e al miglioramento dei sistemi naturali. Le opere di forestazione prevedono, accanto ad una corretta disciplina dell'uso del suolo, e, soprattutto negli ambiti montani, favoriscono la permanenza delle piccole comunità locali che costituiscono la miglior garanzia per la durata dei processi di manutenzione e di uso equilibrato dei territori.

Il punto di partenza di tutto questo dovrebbe essere quindi una forte attività di monitoraggio ambientale delle aree a più alto rischio.Ma per salvarci dal degrado dobbiamo lavorare insieme, fianco a fianco, specialmente in Calabria dove tragedie come quella di Soverato o l'alluvione di Crotone servono da monito per tutti, ammnistratori e non.

di Francesco Nucara
Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente
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tratto dal sito web del
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nuvolarossa
08-04-03, 23:55
Gazzetta del Sud
Il sottosegretario Nucara lamenta inefficienza nella gestione dei servizi idrici e una diffusa cultura degli sprechi

"Acqua, emergenza planetaria"

I cambiamenti climatici fanno rischiare al Mezzogiorno il fenomeno della desertificazione

La Calabria è una delle regioni italiane che registra il più alto numero di dissesti.
Le cause di questo diffuso stato d'instabilità sono legate essenzialmente a fattori morfologici, climatici, alla frequenza con cui il territorio è colpito da eventi metereologici che innescano fenomeni franosi ed erosivi e causano inondazioni e straripamento dei corsi d'acqua generando frequenti piene irruenti, rotture degli argini, esondazioni e soprattutto allagamenti delle zone pianeggianti in cui il deposito in maniera disordinata dei detriti accumulati concludono l'opera di danneggiamento di queste zone che risultano essere, tra l'altro, le più antropizzate e produttive della regione. La Sicilia non sta meglio, dopo la siccità che messo in seria di difficoltà colture e società civile, da un anno, la gestione delle risorse idriche sono affidate al Presidente della regione Cuffaro.

Ne parliamo con il sottosegretario che ha la delega della difesa del suolo on. Francesco Nucara.

Quale è in sintesi il bilancio idrico nazionale?

"L'Italia è un paese potenzialmente ricco di risorse idriche. La distribuzione delle risorse per compartimenti geografici è molto disomogenea, con un'elevata percentuale di risorse utilizzabili a Nord (65%) rispetto a quelle disponibili (sia di acque superficiali che sotterranee), contro il 15% delle Regioni centrali, il 12% nelle Regioni meridionali ed il 4% ciascuna nelle due isole maggiori. Un'elevata quantità di precipitazioni non è però di per sè sufficiente a garantire un'abbondante disponibilità idrica: in primo luogo perché parte delle precipitazioni evapora o si disperde, in secondo luogo perché la disponibilità "teorica" non coincide con quella effettiva. Per essere utilizzata infatti l'acqua deve essere distribuita al consumatore e, sulla quantità che effettivamente giunge a destinazione, incidono natura dei deflussi e dotazione infrastrutturale (stoccaggio, adduzione e distribuzione). Nel nostro Paese, oltre il 45% delle precipitazioni evapora o percola nel sottosuolo. La percentuale d'acqua "dispersa" risulta particolarmente elevata se confrontata con i valori registrati nei principali Paesi europei caratterizzati da una posizione geografica e da temperature più favorevoli. Nel complesso quindi le risorse totali utilizzabili ammontano a circa 52 kmc annui a fronte di un fabbisogno idrico complessivo di circa 40 kmc. L'incidenza dei prelievi sulle risorse disponibili assume in Italia un valore molto elevato ed è sensibilmente superiore alla media dei Paesi europei. La metà di tali prelievi sono destinati a colmare il fabbisogno dell'agricoltura, il 20% è impiegato nell'industria, un altro 20% soddisfa gli usi civili, mentre il rimanente 10% è utilizzato nelle centrali termoelettriche. I consumi pro-capite di acqua in Italia pongono il nostro Paese fra i maggiori utilizzatori di risorse idriche, con una domanda al di sopra della media OCSE e inferiore solo a quella di Stati Uniti e Canada. Gli elevati prelievi italiani sono imputabili in parte a ragioni climatiche, in parte a ragioni di struttura economica, ma anche a fattori socioculturali nonché infrastrutturali".

Quali misure sono state adottate per le aree a rischio di crisi idrica?

"Premesso che allo stato attuale la crisi idrica ha interessato gran parte del territorio nazionale, la Camera dei deputati ha approvato, il 4 giugno scorso, una risoluzione con la quale il Governo si è impegnato a razionalizzare la gestione delle risorse idriche anche accelerando l'attuazione del servizio idrico integrato e a promuovere il risparmio idrico, la realizzazione e la ristrutturazione di grandi schemi idrici e di infrastrutture di accumulo per usi civili ed irrigui ed il riutilizzo irriguo ed industriale, nonché a realizzare tutti gli interventi atti al superamento dell'emergenza idrica.

A tal fine tra i vari Ministeri competenti e le Regioni si stanno ridefinendo gli obbiettivi da porre al centro degli Accordi di Programma Quadro per la tutela delle acque e per la gestione integrata delle risorse idriche.

"Parallelamente all'intervento legislativo, si stanno sviluppando le misure di emergenza idrica. Già il Governo ha posto in capo ai Presidenti delle Regioni interessate poteri straordinari consentendo loro di attivare, con procedure accelerate, una serie di interventi mobilitando ingenti risorse finanziarie comunitarie e nazionali. Tutto ciò ricorrendo allo strumento della dichiarazione dello stato di emergenza e del potere di ordinanza ai sensi della legge 25 febbraio 1992, n. 225. E' il caso della Sicilia, della Calabria, della Puglia della Campania e dell'Umbria".

Sono allo studio progetti innovativi per la gestione delle risorse idriche?

"Certamente. Il riutilizzo in agricoltura, nell'industria ed anche in alcuni usi civili di acque reflue appositamente depurate e trattate può rappresentare una valida opportunità di risparmio di risorse pregiate trasformando gli scarichi da problema a potenziale risorsa. Ci sono poi tecnologie come quella della filtrazione a membrana che negli impianti depurativi di grandi dimensioni hanno raggiunto un elevatissimo grado di efficienza ed affidabilità mentre per impianti di potenzialità contenuta sono invece ormai una realtà riconosciuta i sistemi a bassa tecnologia come la fitodepurazione che consente buoni standard depurativi con ridotti costi energetici e gestionali.

Non vanno dimenticate le innovazioni tecnologiche che hanno portato all'abbattimento dei notevoli costi di esercizio e gestione degli impianti di dissalazione, impianti insostituibili in alcune peculiari situazioni ambientali".

Quanto peso stanno assumendo le tecnologie per la bonifica ed il recupero dei siti inquinati?

"Nella stragrande maggioranza dei casi di siti inquinati sul territorio italiano la complessa situazione di contaminazione dell'area e la vastità delle aree interessate ha reso necessaria una puntuale indagine sulle tecnologie applicabili per il trattamento dei suoli, sedimenti e falde contaminate. Il percorso logico di indagine è basato sulla selezione di tecnologie di trattamento applicabili definite secondo lo stato di sperimentazione della tecnica (scala pilota o reale), i risultati ottenuti sulla riduzione degli inquinanti e l'applicabilità al caso in relazione alle condizioni geo-morfologiche e alle tipologie di inquinanti rilevati. L'obiettivo ultimo è il raggiungimento di livelli di qualità dei terreni e delle acque tali da permetterne il recupero e il riuso a costi sopportabili. E' il caso del Master Plan per la bonifica del sito da bonificare di interesse nazionale di Venezia - Porto Marghera. Tale strumento pianificatorio ha individuato le tipologie degli interventi di risanamento ritenute tecnicamente ed economicamente praticabili e conseguentemente ha individuato e cadenzato gli interventi nonché le priorità ed i tempi delle iniziative da assumere nel sito. Sono altresì in corso di svolgimento numerose sperimentazioni in campo al fine di promuovere alcune tecnologie dallo stadio pilota a quello reale.

"Un caso operativo di questo approccio è rappresentato dall'intervento Agip a Rho-Pero (MI) per la realizzanda Fiera di Milano dove gli obiettivi di risanamento si stanno raggiungendo tramite la combinazione di un ventaglio di tecnologie di bonifica applicate sia in serie che in parallelo. In definitiva, nel campo delle bonifiche di siti inquinati, l'aspetto tecnologico ha assunto importanza strategica e trainante al fine del raggiungimento degli obiettivi di risanamento a costi economicamente sopportabili".

Come procede l'attività di vigilanza e controllo degli scarichi inquinati?

"Il rinnovato quadro di riferimento normativo prevede che l'Autorità competente effettui il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi e successivi, a tale scopo è autorizzato ad effettuare le ispezioni, i controlli ed i prelievi necessari per l'accertamento del rispetto dei valori limite di emissione.

Nel caso delle regioni per cui è stato dichiarato lo stato di emergenza, i commissari hanno provveduto a sviluppare misure di controllo negli scarichi abusivi. Esistono poi casi particolari come l'Interregg Italia-Austria (tra Friuli e Carinzia) dove è stato messo a punto un sistema di controllo integrato che avvalendosi delle video ispezioni consente di rilevare in tempo reale dispersioni ed inquinanti di origine civile ed industriale e di formare una banca dati in continuo aggiornamento. Questo progetto, già iniziato, vedrà la conclusione della prima fase nella prossima primavera".

nuvolarossa
10-04-03, 22:04
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"La sfida del Porto di Gioia Tauro"

di Fiorenzo Grollino

In questi anni si è verificata un’inversione di tendenza nel settore del traffico merci via mare perché questo tipo di traffico si sta gradualmente spostando dai grandi porti del Nord Europa a quelli del Mediterraneo.

La svolta si è verificata con l’entrata in servizio del porto hub transhipment di Gioia Tauro nel 1995, e da subito si è capito che questo porto sarebbe stato protagonista di una grossa "performance", perchè il trasferimento di merci dall’hub di Gioia Tauro è più rapido e meno costoso.

Il balzo in avanti più significativo è avvenuto subito dopo l’istituzione dell’Autorità portuale di Gioia Tauro con il D.P.R. 31 luglio 1998.

E’ così l’Italia, grazie a Gioia Tauro ed a Genova, è diventata leader del traffico containers, riconquistando la centralità del Mediterraneo sui grandi flussi strategici del traffico merci internazionale, recuperando progressivamente competitività e grandi quote del mercato europeo dei porti del Sud Europa in confronto con quelli del Nord Europa, nonostante un crescente condizionamento negativo derivante dall’inadeguatezza delle infrastrutture terrestri e d’integrazione logistica fra porti ed hinterland, e dal quadro legislativo del settore.

Gioia Tauro, poi, si è sviluppato come una "isola" per transhipment dei containers in tutto il bacino del Mediterraneo, anche se sconta più di altri porti, le inadeguatezze di cui sopra.

D’altra parte, per quanto riguarda questo settore, tutte le analisi fatte hanno posto in evidenza come i piani di sviluppo a medio e lungo termine predisposti dalle Autorità portuali siano orientati a trasformare il porto in un centro logistico dotato di terminali, d’infrastrutture e di sistemi di sbarco/imbarco in grado di attirare il traffico containerizzato che viaggia su navi di oltre 6000 TEU di portata.

Il piano generale dei trasporti e della logistica del gennaio 2001 a cura dei ministeri dei Trasporti e Navigazione, Lavori Pubblici e Ambiente, sottolinea che "i Paesi sedi di grandi porti (Francia, Paesi Bassi e Germania), puntano giustamente su un nuovo vantaggio competitivo, ovvero nell’installazione sul loro territorio di grandi piattaforme logistiche per la distribuzione europea collocate, vicino a porti e aeroporti, a grandi bacini di traffico, a grandi snodi viari e ferroviari". Lo stesso piano, individua nella "combinazione tra porti, aeroporti e piattaforme logistiche la nuova soluzione vincente, alla quale l’Italia deve adeguarsi con estrema rapidità, dotandosi di strumenti specifici di marketing territoriale che consentano di attrarre investimenti in piattaforme logistiche per la distribuzione nell’Europa del Sud, penisola iberica, Balcani e bacino del Mediterraneo, evitando la dispersione delle risorse e la proliferazione delle infrastrutture ".

L’Unione Europea con il "Programma RTE" concede contributi a fondo perduto per la realizzazione di opere di collegamento dei terminali portuali con la rete locale di trasporto su strada e/o ferrovia e per le infrastrutture intermodali e piattaforme di trasbordo merci. A questo fine contributi a fondo perduto possono essere erogati dal recente "Programma Marco Polo" per la logistica, oltre a prestiti a tasso agevolato erogati dalla BEI con la garanzia del FEI.

Diversi progetti sono stati finanziati in alcuni stati membri, ed in essi rientrano i terminal Ro-Ro, gli interporti e le infrastrutture logistiche di interfaccia modale .

Per quanto riguarda il porto di Gioia Tauro, questa problematica è stata affrontata dal Presidente dell’Autorità portuale, arch. Giuseppe Guacci, nel trattare, il 27 marzo scorso, nella sede del Ministero dell’Economia, presente il vice ministro Mario Baldassarre, il presidente della provincia di Reggio Calabria e l’assessore regionale ai LL.PP., il tema "potenziamento allacci plurimodali nel sistema interportuale di Gioia Tauro". Nella stessa sede il Presidente Guacci ha illustrato il progetto di un insediamento privato di rigassificazione ai fini dello sfruttamento del freddo come sottoprodotto. Insediamento che, peraltro, necessita di radicali interventi infrastrutturali che modificano l’efficienza del sistema porto, ampliandolo. L’operazione freddo è molto ambiziosa, perché a valle dell’impianto dovrebbe sorgere una "piastra specializzata", adeguatamente infrastrutturata ed allacciata al territorio per promuovere insediamenti manifatturieri e di logistica legati alla linea del freddo. Il progetto ha riscosso grande successo, e l’interesse sia dei rappresentanti dei ministri dell’economia e delle attività produttive, che di quelli del territorio, che hanno espresso il loro consenso. Con questa iniziativa il porto di Gioia Tauro va oltre il semplice transhipment, collocandosi a livelli sempre più alti.

E così il porto di Gioia Tauro avanza sul piano produttivo a vele spiegate, suscitando molteplici interessi, che lo mettono all’attenzione generale di armatori ed operatori economici, di imprenditori e di quanti sono interessati al grande e ricco indotto portuale, che deve essere ancora realizzato nell’area industriale della stessa Gioia Tauro.

Gioia Tauro oggi è una grande realtà, è il primo porto per il transhipment del Mediterraneo con un’area operativa di 1.200.000 mq, un’area di stoccaggio di 800.000 mq, una capacità massima di 38.000 teus e connessioni frigo dell’ordine di 500.

È l’unica, vera grande industria della Calabria, che è e resta una regione Obiettivo 1 in ritardo di sviluppo; ma questo porto con il suo potenziamento e l’implementazione di altri servizi, quali quelli in itinere, e con un razionale sviluppo del suo indotto, può rappresentare il volano per il decollo economico dell’intera regione, a patto che sappia utilizzare in modo mirato le risorse comunitarie allocate nel proprio programma operativo.

Eppure, il porto di Gioia, prima che fosse classificato porto internazionale per l’alto numero di containers che vi transitavano, era l’ennesima "cattedrale nel deserto", frutto di una politica spartitoria, che, in Calabria, raggiunse il suo momento di maggior splendore nel 1970, in occasione dei moti di Reggio Calabria di quello stesso anno perchè Reggio diventasse capoluogo della Regione, che indussero la classe politica calabrese di primo livello a raggiungere quell’accordo che ripartiva istituzioni pubbliche, potere economico ed università in modo abbastanza equilibrato, assegnando a Gioia Tauro il V centro siderurgico con la realizzazione del porto al servizio della siderurgia.

La sopravvenuta crisi siderurgica a livello europeo e mondiale, portò alla riconversione del porto siderurgico in porto commerciale, i cui traffici esplosero raggiungendo risultati impensabili.

Oggi questo porto, costruito, si fa per dire, per caso o per scommessa, è il più grande d’Italia ed il secondo dell’Unione europea per dimensioni, traffico di containers e potenzialità, e costituisce il momento più alto per il riscatto socio – economico della Calabria, a patto che ci sia anche l’impegno delle autorità regionali, oltre che provinciali e locali, nel concorrere al finanziamento di molte grandi opere e servizi, utilizzando i fondi strutturali allocati nell’asse trasporti del POR, seguendo l’esempio della Regione Puglia, che con i fondi strutturali di Agenda 2000 sta dando soluzione a problemi come le risorse idriche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, turismo e sviluppo del sistema produttivo. Spiace dirlo, la Puglia, a differenza della Calabria, ha già predisposto il Piano Regionale Trasporti e quindi ha potuto operare significativi interventi nel settore trasporti, mentre la Calabria deve ancora definire il proprio Piano. Il porto di Gioia Tauro, oltre ai fondi strutturali della regione, può beneficiare dei contributi a fondo perduto che vengono erogati direttamente dall’Unione europea attraverso la Direzione generale trasporti ed energia della Commissione europea.

Necessitano grandi finanziamenti per operare la trasformazione dell’area industriale di Gioia Tauro in una vera e propria piattaforma logistica delle merci attraverso la manipolazione e ridistribuzione nell’area del Mediterraneo e nelle aree interessate dalle linee commerciali con i paesi del Medio ed Estremo Oriente e di oltreoceano. Il che costituisce la grande occasione perché qualche migliaio di calabresi abbiano finalmente una stabile occupazione.

Un altro asso nella manica del porto di Gioia Tauro è la "zona franca" di prossima istituzione, grazie alla tenacia e lungimiranza del presidente dell’Autorità portuale, Giuseppe Guacci, che è il nume tutelare di questo porto ed il promotore di tutte le iniziative di potenziamento mediante l’acquisizione della tecnologia più innovativa.

Gioia Tauro con la sua Autorità portuale ha lanciato una sfida di carattere mondiale e siamo convinti che non fallirà gli obiettivi che si prefigge.
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nuvolarossa
27-05-03, 18:47
Martedì 27 maggio Sesto s. Giovanni (MI)
Centro Congressi Villa Torretta h. 15.00

Convegno FEDERACCIAI

"La certificazione ambientale nella politica di sviluppo sostenibile"

Partecipano
Giuseppe Pasini Presidente FEDERACCIAI
Prof. Roberto De Santis Pres. Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria
Ing. Vincenzo Portanova Pres. IGQ
On. Francesco Nucara Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente

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nuvolarossa
30-05-03, 21:01
Al via il Progetto Operativo Difesa Suolo

Podis/Nucara: un impegno importante per sostenere le regioni del mezzogiorno

Roma. "Il progetto operativo difesa suolo, Podis del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, è al nastro di partenza". Lo ha detto,con soddisfazione, il sottosegretario all’ambiente, onorevole Francesco Nucara presente alla giornata di presentazione ufficiale che si è svolta nei locali del ministero dell’ambiente di Via Cristoforo Colombo 112.

Erano presenti i 42 giovani risultati idonei alla selezione bandita e finanziata con i fondi del Quadro Comunitario di Sostegno. Gli esami, che hanno riguardato complessivamente 450 giovani laureati, su mille domande presentate, hanno rappresentato un grosso impegno per gli esperti della Direzione Generale della difesa del territorio guidata dal Direttore Generale ing. Bruno Agricola.

" Ringrazio tutti quelli che hanno collaborato al progetto che ha richiesto un notevole impegno anche in termini di risorse – ha continuato il sottosegretario – ed in particolare il Generale Matteo Facciorusso che ha rappresentato il fulcro centrale di tutta l’operazione, mettendo a disposizione tutte le proprie energie per la buona riuscita del progetto che tutte le altre amministrazioni ci invidiano".

Si tratta di personale specializzato in scienze forestali, ingegneria, geologia, agraria, legge, con anni di esperienza professionale e che attraverso severi esami affrontati presso il Podis ha dimostrato di essere pronto ad impegni anche maggiori.

Nucara ritiene che essi siano in grado di offrire le migliori garanzie per svolgere al meglio la funzione che sarà loro richiesta.

Il personale selezionato, altamente qualificato, costituirà le unità di supporto presso le regioni obiettivo 1: - Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna e molti di loro andranno ad operare presso le Autorità di bacino.

Ma sarà importante anche il lavoro di informazione, di raccolta dati, di riproduzione cartografica, sulle condizioni del suolo che la Task force costituita attraverso il Podis saprà mettere a disposizione delle strutture già esistenti sul territorio.

L’intento principale è quello di fare un salto di qualità con l’utilizzo di giovani professionisti che andranno a sviluppare gli strumenti che la Pubblica Amministrazione ha a disposizione a cominciare dai sistemi informativi territoriali per l’attuazione di coerenti politiche di programmazione e pianificazione da parte di tutti i soggetti preposti al governo del territorio.

In questa maniera le regioni del mezzogiorno potranno disporre di un personale altamente qualificato, adatto ad operare negli interventi di protezione del suolo e per la prevenzione delle calamità naturali.

"Siamo andati incontro a due esigenze - ha detto Nucara nel corso dell’incontro con i giovani selezionati - da una parte il governo Italiano si è proposto di svolgere un ruolo attivo per incrementare l’occupazione, dall’altra, il ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio è impegnato direttamente per la salvaguardia del nostro patrimonio ambientale".

Nucara ha concluso il suo intervento al Podis considerando quello compiuto con l’individuazione del personale delle unità che saranno dislocate presso le regioni, " il primo passo di una strategia volta a compiere un profondo rinnovamento degli attuali sistemi di governo e gestione ambientale del territorio".

tratto da --->
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nuvolarossa
11-06-03, 18:13
Perché il Pri vota NO al Referendum per l’abolizione della Servitù Coattiva di Elettrodotto

La Legge sui campi elettromagnetici (L.36/2001) ha posto principi fondamentali in tema di tutela della salute e dell’ambiente in relazione alle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.

Facendo proprio il principio di precauzione sancito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha introdotto, nelle sue disposizioni, oltre al limite di esposizione (limite sanitario) le definizioni di valore di attenzione e obiettivi di qualità con lo scopo di garantire una tutela della salute non solo riferita agli effetti acuti ma anche per le esposizioni di lungo termine.

La stessa legge assegna allo Stato, tra le altre, le funzioni relative alla determinazione dei citati valori e la determinazione dei parametri per la previsione delle fasce di rispetto degli elettrodotti all’interno delle quali non sarà consentita alcuna destinazione di edifici ad uso residenziale, scolastico, sanitario ovvero ad uso che comporti una permanenza non inferiore alle quattro ore.

Recentemente sono stati approvati dal Consiglio dei Ministri i decreti applicativi della Legge 36/2001 (art.4, comma 2, lett.a) relativi agli impianti a bassa frequenza (50Hz elettrodotti) e impianti ad alta frequenza (antenne telefonini, radio-tv, srb). Con tali atti normativi il governo ha individuato limiti di esposizione, valori di attenzione e obiettivi di qualità di molto inferiori a quanto previsto negli ordinamenti giuridici dei paesi europei.

La domanda posta dal referendum chiede se si ritiene debbano essere abrogati o mantenuti in vita gli articoli 119 del Testo Unico sulle acque e sugli impianti elettrici e 1056 del codice Civile che impongono ai proprietari l’obbligo di dare passaggio sui propri terreni alle condutture aeree e sotterrane di energia elettrica.

Lo strumento del referendum è un istituto costituzionale di democrazia rappresentativa straordinariamente importante, espressione concreta di uno stato democratico che attribuisce ai cittadini/corpo elettorale il potere di manifestare direttamente la loro volontà anche in contrasto con le decisioni politiche dei governanti, tuttavia usato, a volte, in modo improprio svilendone i contenuti.

Le disposizione per le quali si chiede l’abrogazione sono norme strumentali alla realizzazione di infrastrutture primarie che sono a beneficio della collettività, al pari delle servitù coattive previste per gli acquedotti e gli scarichi (Art.1033 c.c.) e la somministrazione di acqua (Art.1049 c.c.)

Nel territorio nazionale, peraltro, non esistono "corridoi pubblici".

Il referendum in parola trova le sue ragioni nel timore della popolazione in merito alle emissioni di onde elettromagnetiche.

Timori, tuttavia, ingiustificati a fronte proprio della vigente citata normativa che garantisce la tutela della salute dei cittadini imponendo limiti e valori più restrittivi rispetto a tutta l’Europa e che peraltro prevede nelle disposizioni dei decreti applicativi una apposita norma di verifica e aggiornamento di tali limiti alla luce di eventuali nuove conoscenze scientifiche.

Corre l’obbligo, peraltro, di precisare che l’eventuale vittoria referendaria non offrirebbe nessuna garanzia di tutela maggiore della salute infatti il consenso al passaggio, oggi derivato da un obbligo di legge, sarebbe sostituito da un rapporto contrattuale risultato di valutazioni di mera opportunità economica soddisfatta la quale la servitù potrebbe essere costituita.

Il PRI invita pertanto i propri iscritti e i cittadini a votare NO
tratto dal sito web del
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nuvolarossa
17-06-03, 19:45
Convegno Parco Nazionale del Cilento/ Sala Conferenza della Diga dell’Alento sabato 14 giugno 2003

"Acqua bene comune dell’umanità"

Intervento del Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Ambiente On. Francesco Nucara

L'acqua è un bene comune dell’umanità, insostituibile fonte di vita, bene maltrattato, dilapidato, bene sempre più raro. Non si può non riconoscere la gravità dei problemi. Problemi che non sono soltanto italiani.

Le risorse idriche mondiali sono infatti dappertutto in uno stato disastroso a causa di inquinamento, contaminazioni e sperperi.

Il problema riguarda l’intero pianeta.

In Italia non esiste un problema di carenza di acqua, ma certamente una grave situazione legata ad una cattiva distribuzione, ineguale, inefficace ed irrazionale.

La qualità e la distribuzione della risorsa "acqua" rimane inadeguata ed insufficiente in molte zone del territorio che vivono in condizioni di vero e proprio "stress" idrico.

Forte è il contrasto tra zone dove la carenza di acqua resta un problema di vissuto quotidiano e zone dove gli sperperi, dovuti ad un’agricoltura estensiva, ad attività industriali inquinanti, ad usi domestici-privati irragionevoli, si traducono in una dilapidazione del patrimonio idrico nazionale.

Il nostro Paese presenta, secondo alcuni dati forniti dall’OCSE, le condizioni peggiori nell’ambito dell’Unione Europea: maggior prelievo pro capite di tutta la comunità, maggior prelievo per usi domestici, elevato rapporto tra acqua prelevata e disponibilità della risorsa, consumi d’acqua tra i più alti per ettaro irrigato, tra i peggiori indici di consumo di acqua per unità di prodotto industriale.

Le risorse idriche del Paese versano, dunque, in uno stato di criticità, che riguarda sia gli aspetti qualitativi sia quelli quantitativi.

Le cause dell’insufficiente livello di tutela qualitativo sono collegate al ritardo e all’incompletezza nell’attuazione di "vecchie" direttive comunitarie in materia di tutela della qualità delle acque. Tali inadempienze hanno portato ad una condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea.

Per evitare altre infrazioni, l’Italia deve provvedere al recepimento della Direttiva 2000/60/CE, che amplia i campi di applicazione della protezione delle risorse idriche, nell’ambito degli obiettivi più complessivi della politica ambientale dell’Unione che deve contribuire a perseguire la salvaguardia, la tutela, e il miglioramento della qualità ambientale, nonché l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e che deve essere fondata sui principi di precauzione e dell’azione preventiva.

Entro il 2015 dovremo saper recuperare il tempo perduto e conseguire come chiede l’Unione Europea un buono stato delle acque superficiali e sotterranee.

La criticità riguarda anche lo stato di tutela quantitativo ed è stata determinata dall’incidenza negativa dell’apporto pluviometrico diminuito negli ultimi trenta anni del 30%, dall' inadeguatezza delle strutture e da inefficienze gestionali. Pensiamo ad esempio allo spreco derivante dalle perdite degli acquedotti che sono generalmente dell’ordine del 30%.

Occorre quindi riportare le perdite medie degli acquedotti italiani ai livelli europei. Ciò potrebbe significare un aumento medio della disponibilità di risorsa di circa il 30% sul territorio nazionale.

Per intervenire adeguatamente si deve necessariamente ricorrere allo strumento normativo.

Le questioni da affrontare sono l’adeguamento agli obblighi comunitari delle disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 1999 e l’aggiornamento della legge 36 del 1994 che contiene in sé le principali condizioni per creare un servizio idrico efficiente.

Il Ministero dell’Ambiente e quello delle infrastrutture hanno avviato la definizione di accordi di programma fra alcune regioni per rendere possibile il trasferimento di acqua come previsto dall’art. 17 della legge Galli.

Grande importanza per il sistema idrico italiano riveste poi l’attuazione del complesso programma di interventi e infrastrutture mirati a risolvere la situazione di "emergenza" nel Mezzogiorno per uso potabile, irriguo e industriale, individuato con deliberazione CIPE N. 121 del 21 dicembre 2001, per dare attuazione alla cosiddetta "legge obiettivo".

Si tratta di 62 interventi, 7 dei quali riguardano la Regione Campania ed in particolare:

L’adeguamento della ripartitrice principale dell’acquedotto campano;

Il miglioramento e il completamento del sistema di ripartizione primaria dell’acquedotto campano;

Il completamento dello schema della Campania Occidentale. Alimentazione area Flegrea e Basso Volturno;

Adeguamento direttrice principale dell’acquedotto del Sarno;

Completamento acquedotto salernitano;

Sistema di adduzione principale alla città di Napoli;

Sistema irriguo della Campania occidentale – Piano del Sele.

Anche il Ministero delle Politiche agricole e forestali ha predisposto un programma di interventi che mirano al recupero e all’oculata gestione delle risorse idriche esistenti e all’accrescimento ove possibile delle risorse disponibili, e la cui copertura finanziaria è in parte già garantita.

Il Ministero dell'Ambiente ha, inoltre, avviato la definizione con singole regioni di Accordi di programma quadro, in materia di gestione delle risorse idriche e di tutela delle acque, che consentono di definire le priorità, gli obiettivi, i ruoli, le azioni, le risorse impiegabili.

I fondi destinati all’accordo di Programma con la Regione Campania ammontano complessivamente a 39.177.525 Euro.

La bozza di Accordo predisposta dal Ministero dell'Ambiente evidenzia:

il quadro degli obiettivi e le azioni per la tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei, gli interventi urgenti per la realizzazione di grandi opere di approvvigionamento idrico, gli interventi urgenti per la realizzazione del "programma nazionale dell’approvvigionamento idrico in agricoltura e lo sviluppo dell’irrigazione", gli interventi urgenti di approvvigionamento per la tutela dei corpi idrici sotterranei e superficiali finalizzati al ripristino e alla tutela dei corpi pregiati, per il riutilizzo delle acque reflue depurate per la tutela e gestione delle risorse idriche nelle isole minori per la riduzione degli scarichi di sostanze pericolose ed interventi di monitoraggio e pianificazione.

Le risorse immediatamente disponibili da parte del Ministero dell’Ambiente sulla base della bozza di Accordo di Programma Quadro elaborata dal Servizio per la Tutela delle Acque Interne sono così destinate:

Euro 26.379.009 destinate al monitoraggio e ad interventi nel settore fognario depurativo provenienti dalla legge 426 del 1998 per le annualità dal 2001 al 2004;

Euro 11.930.158 previste dall’art. 144 della legge 388/2000 come impegno quindicennale;

Euro 868.358 provenienti dalla misura 2 del Programma di attività per il fondo Sviluppo Sostenibile di cui all’art. 109 della legge 388/2000 che possono essere destinate alla riduzione degli scarichi di sostanze pericolose o al riutilizzo della acque reflue.

Tuttavia la Regione Campania è tra quelle che non hanno ancora sottoscritto l’Accordo di programma con il Ministero, il quale ne ha più volte sollecitato la definizione.

La Regione, proprio nei giorni scorsi, ha completamente stravolto la bozza predisposta dal Ministero prevedendo interventi per complessivi 257 milioni di euro di cui 20 milioni da prelevare nel fondo previsto dalla legge 426/98 e 174 milioni dalla delibera Cipe 36 del 2002 relativa ai Fondi sulle aree depresse e 63 milioni da Fondi privati.

La nuova proposta della Regione prevede la realizzazione di solo 6 opere finalizzate ad interventi urgenti in materia di fognatura e depurazione, ma che non affrontano strutturalmente il problema della tutela delle acque e della gestione integrata della risorsa idrica.

La Regione con questa sua controproposta sembra non interessarsi proprio al problema dell’approvvigionamento idrico che affligge gran parte del territorio campano e per il quale non è previsto nessun tipo di intervento.

Per trovare una soluzione di compromesso, proprio in questi giorni, è in atto una trattativa tra il Ministero dell’Ambiente e la Regione

Mi auguro che, per il bene delle popolazioni campane, si faccia presto.

E’ passato infatti oltre un anno da quando a maggio dell’anno scorso è stata redatta la prima bozza di Accordo Quadro e molto tempo è passato prima che fossero trasmessi i Programmi stralcio degli Ambiti Territoriali Ottimali Campani consegnati soltanto ad Aprile.

I problemi rimangono tutti nella loro gravità e la pianificazione degli usi delle risorse idriche per i prossimi anni è una necessità inderogabile alla quale il Governo e gli Enti territoriali, Regioni in primo luogo devono porre rimedio.

Per quanto mi riguarda, sono quotidianamente impegnato su questo fronte sia come uomo di governo che come uomo del Mezzogiorno. Il Ministero dell’Ambiente è riferimento utile per la risoluzione di questi gravi problemi. Noi siamo pronti a fare il nostro dovere per lo sviluppo civile, sociale ed economico del nostro Paese e del nostro Mezzogiorno; confidiamo nella collaborazione di tutte le istituzioni interessate.

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nuvolarossa
20-06-03, 20:16
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Rischio desertificazione

di Fiorenzo Grollino

Le temperature da più settimane sono elevatissime; sembra di essere nel mese di agosto degli anni passati, quando si attendeva il "sol leone", come l’evento dell’estate calda, perché le temperature raggiungevano le punte più alte. I tempi sono cambiati ed il "sol leone" è una presenza ormai costante sia in maggio che nel mese di giugno.
La gente per il caldo muore, soffre e si dispera; i turisti si immergono nelle fontane di questa Roma tanto afosa quanto umida; i dietologi consigliano le diete più leggere per sopravvivere al caldo; gli incendi nelle zone boschive non si contano, i vigili del fuoco sono i protagonisti di questi mesi impegnati a spengere incendi ed a soccorrere persone in difficoltà. Il consumo di acqua è eccezionale, perché la sete è tanta, il livello dei bacini imbriferi si abbassa, perché non piove più da mesi, e le risorse idriche sono diminuite.
La situazione incomincia a diventare preoccupante, perché l’ondata di caldo non accenna a diminuire, né ci sono segnali che possa diminuire, e gli italiani rischiano di soffocare in una morsa di caldo e di veleni che le alte temperature producono. Si prevede che dopo questo grande caldo, ci saranno temporali che faranno solo altri danni, dopo quelli della grande siccità.

Come fronteggiano questa situazione "incandescente" organismi come la protezione civile, il Ministero dell’Ambiente e diversi altri che hanno competenze specifiche in questo settore? Ormai siamo entrati nella spirale perversa del fenomeno della desertificazione, che tutti temono, ma non si corre ai ripari. In questo contesto dire che il fenomeno della desertificazione avanza inesorabilmente, anzi si trova in una fase ormai avanzata, non si scopre certamente l’uovo di colombo. Al fenomeno della desertificazione si accompagnano siccità e aridità della terra, aggravando il fenomeno soprattutto nelle regioni meridionali.
Il paese, inteso in termini di governo e di organismi preposti, più che allo studio del fenomeno, al monitoraggio delle zone investite da questo fenomeno, non ha ancora le idee chiare quanto ad interventi diretti, se non a fermare, quanto meno a contenere desertificazione, siccità, aridità, minacciano da vicino regioni come la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Sicilia e la Sardegna.

Allo stato la lotta alla desertificazione è condotta, in modo alquanto approssimativo, dal "Comitato nazionale per la lotta alla desertificazione", che ha predisposto la redazione di carte a scala nazionale delle aree vulnerabili al degrado del territorio e sensibili al fenomeno della desertificazione. In queste carte sono rappresentate: aree soggette a degrado del territorio; aree sensibili al fenomeno della desertificazione; bacini idrogeografici; aree che, in presenza di variazioni climatiche, possono essere soggette alla desertificazione. L’aspetto climatico è stato analizzato costruendo una carta dell’indice di aridità, trattandosi di elemento che, più di altri, incide sul fenomeno della desertificazione. Ormai si conoscono, attraverso l’elaborazione di carte specifiche, le aree sensibili al fenomeno della desertificazione, non solo, ma anche il loro grado di predisposizione alla desertificazione che può essere nullo, medio e alto.
Abbiamo già visto che le regioni meridionali sono quelle maggiormente interessate al fenomeno, ed in particolare i territori delle autorità dei bacini: regionali pugliesi, lucani, interregionale del Bradano, del Sinni, regionali calabri, siciliani e sardi.

Il programma nazionale di lotta alla desertificazione e siccità, ha individuato la Calabria tra le regioni meridionali ad alto rischio. Dai rilievi effettuati la piana di Sibari è risultata la più esposta alla l’insorgenza di fenomeni anche di origine antropica, che convalidano l’ipotesi di area ad alta sensibilità al rischio desertificazione, così come la zona del basso Jonio reggino presenta fenomeni simili a quelli della piana di Sibari.
Quali interventi per fronteggiare questi fenomeni che attentano ad ogni forma di vita del pianeta terra? Alcuni interventi tesi alla protezione del suolo e alla gestione delle risorse idriche sono stati individuati, anche se non sono risolutivi in quanto insufficienti, soprattutto perché il fenomeno della desertificazione in ambiente mediterraneo è solo da pochi anni oggetto di studio e da poco riconosciuto sia come rischio naturale sia come conseguenza dell’attività antropica.

Questo aspetto del degrado ambientale è un processo legato all’uso delle risorse in funzione dei suoli, del clima, del tipo di uso del suolo. L’eccessivo degrado porta diritto alla desertificazione, intesa come consumo di risorse non rinnovabili a breve e medio termine. In effetti il fenomeno riguarda soprattutto i paesi mediterranei dell’Unione europea: Spagna, Portogallo e Grecia, oltre all’Italia. Per le sue conseguenze esso, pur riguardando un numero limitato di paesi, è all'attenzione dell’Unione europea che ha assegnato fondi significativi per lo studio e la lotta del fenomeno attraverso il programma operativo "Interreg II C", anche se ancora non esiste a livello europeo una carta a scala europea.
I principali organismi competenti per la lotta a questo fenomeno, oltre al "Comitato nazionale per la lotta alla desertificazione", sono a livello nazionale il Ministero dell’Ambiente e a livello regionale le Arpa regionali, oltre all’Anpa nazionale.

L’azione di questi organismi non è certamente a pieno regime, i loro interventi sono i soliti interventi a pioggia tanto per accontentare gli amministratori i cui territori presentano qualche problema di desertificazione, senza però affrontare il problema in radice con interventi mirati a lottare un fenomeno che fino a qualche anno addietro non era conosciuto.
Il monitoraggio, lo studio e l’analisi del fenomeno non sono sufficienti, se non sono approfonditi al fine di stabilire quali interventi attivare per impostare una lotta efficace contro questo fenomeno.
Si tratta di un settore in cui lo stato dell’arte deve essere costantemente aggiornato non solo per accertare ulteriori punti di degrado, ma anche per individuare idonei interventi per arrestare possibilmente il progredire del fenomeno.

Prendiamo ad esempio la Calabria, la regione a più alto rischio desertificazione: il primo rapporto sullo stato dell’ambiente risale all’anno 2000. Sono passati tre anni e non si sa quando si avrà il secondo rapporto. Ci vorrà certamente qualche anno, mentre le condizioni di questa regione dovrebbero suggerire un nuovo rapporto per il 2003.
Se si volessero, poi, fare le cose sul serio, si dovrebbe istituire una Conferenza permanente sul fenomeno al fine di impostare un’azione più efficace e penetrante, attirando sul tema una rinnovata attenzione da parte dell’Unione europea.
Si può ancora suggerire, attesa la gravità e l’importanza del fenomeno sul piano del degrado ambientale e del rischio di veder scomparire forme di vita vegetale ed animale, e di far diminuire in modo sensibile risorse idriche indispensabili alla sopravvivenza di tanti paesi, che non sono solo quelli dell’Ue del bacino del Mediterraneo, ma anche, e forse di più quelli dell’altra sponda, che ormai sono legati all’Unione da forme di cooperazione in partnership che dovranno essere attuate entro il 2010, al governo, alla vigilia del semestre di presidenza italiana dell’Ue, di predisporre uno specifico dossier, perché il problema sia trattato in via prioritaria ed assuma, come è giusto, carattere di problema europeo. Va da se che sotto questo profilo il Ministero dell’Ambiente dovrebbe fare la sua parte, che a questo fine è quella più importante. Idee ci sono, e tante, bisogna trovare chi le porta avanti.

nuvolarossa
21-06-03, 18:56
L’aria della piana è la più inquinata della Toscana

L’aria della piana fra PRATO e PISTOIA
è la più inquinata della Toscana, questo lo dice La centralina di rilevamento della qualità dell’aria posta dalla Provincia di Pistoia in via Pacinotti, posta in aperta campagna nel comune di Montale e gestita dall’Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Sono le micidiali polveri PM 10 rilevate dalla centralina di Montale a poche centinaia di metri dal centro abitato di Agliana, a 1500 metri dall'oste di Montemurlo.

La centralina di Montale ha rilevato, nel Gennaio 2003 e precisamente: da lunedì 13 a Giovedì 16, una media giornaliera di 144 µg/m3, con una punta altissima di 182 , nano grammi (µg/m3) di PM 10. Già un’altra volta all'inizio del 2002 e precisamente nel periodo dal 5 al 13 Gennaio 2002 si era raggiunta una media addirittura di 197 nano grammi e una punta massima di ben 233. Per capire la gravità della situazione, basti pensare che nella trafficatissima Firenze il valore medio è stato di 107 microgrammi, a Prato di 117, nello stesso periodo dal 13 al 16 gennaio 2003. (vedi tabelle)

Per ben 131 volte nel corso dei 365 giorni del 2002 a superato il limite di allarme di 50 µg/m3 e per 64 volte il limite di pericolo di 75 µg/m3, valori stabiliti dalla regione Toscana.

Gli effetti sanitari delle PM10 possono essere sia a breve termine che a lungo termine. Le polveri penetrano nelle vie respiratorie giungendo, quando il loro diametro lo permette, direttamente agli alveoli polmonari. Le particelle di dimensioni maggiori provocano effetti di irritazione e infiammazione del tratto superiore delle vie aeree, quelle invece di dimensioni minori (inferiori a 5-6 micron) possono provocare e aggravare malattie respiratorie e indurre formazioni neoplastiche. Anche recenti studi epidemiologici (ad esempio il progetto MISA, una metanalisi degli studi italiani sugli effetti acuti dell'inquinamento atmosferico rilevati in otto città italiane nel periodo 1990-1999, e studi americani sugli effetti a lungo termine) hanno confermato l'esistenza di una correlazione tra presenza di polveri fini e patologie dell'apparato respiratorio e cardiovascolare.

Il materiale particolato, PM 10 presente nell'aria è costituito da una miscela di particelle solide e liquide, che possono rimanere sospese in aria anche per lunghi periodi. Hanno dimensioni comprese tra 0,005 µm e 50-150µm (lo spessore di un capello umano è circa 100 µm), e una composizione costituita da una miscela di elementi quali: carbonio, piombo, nichel, nitrati, solfati, composti organici, frammenti di suolo, ecc. L'insieme delle particelle sospese in atmosfera è definito come PTS (polveri totali sospese) o PM (materiale particolato). Le polveri totali vengono generalmente distinte in due classi dimensionali corrispondenti alla capacità di penetrazione nelle vie respiratorie da cui dipende l'intensità degli effetti nocivi. Le polveri che penetrano nel tratto superiore delle vie aeree o tratto extratoracico (cavità nasali, faringe e laringe), polveri dette inalabili o toraciche, hanno un diametro inferiore a 10µm (PM10). Quelle invece che possono giungere fino alle parti inferiori dell'apparato respiratorio o tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi, bronchioli e alveoli polmonari), le cosiddette polveri respirabili, hanno un diametro inferiore a 2,5µm (PM2,5).

Leggi e decreti di protezione ambientale. Il decreto del Ministero dell'Ambiente n. 60 del 2 aprile 2002 dispone che i 50 µg/m3 non si possono superare più di 35 volte l'anno. Per rispondere a questo la Regione Toscana ha adottato, con Delibera n.1133 del 14 ottobre 2002 un piano di azione contenente misure da attuare nel breve periodo al fine di ridurre il rischio di superamento del valore limite e della soglia di allarme per le polveri con diametro inferiore ai 10µm (PM10).

La delibera regionale individua le soglie di attenzione e di allarme nei seguenti valori medi giornalieri:

Soglia di attenzione 50 g/m3
soglia di allarme 75 µg/m3

Definisce inoltre che lo stato di attenzione o di allarme si verifica dopo cinque giorni consecutivi di superamento della soglia di attenzione o di allarme nelle stazioni (centraline) di misura di ciascuna area.

Quello che preoccupa e molto sono le dichiarazioni rilasciate dal il vicepresidente della Provincia Giovanni Romiti nonché Assessore all'’Ambiente, al giornale "IL TIRRENO”: “….. Perché? Già da qualche mese ormai c’è praticamente la certezza che queste polveri provengono dalla zona industriale di Prato. «La centralina di Stazione di Montale - spiega il vicepresidente della Provincia Giovanni Romiti - è dotata anche di un anemometro che misura la direzione del vento. Dai diagrammi si vede benissimo: quando il vento proviene da quella direzione, si rileva un’alta concentrazione di polveri fini”
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tratto da:
http://www.ifogli.it/

nuvolarossa
29-06-03, 10:21
http://www.corriere.it/images/newlogo.gif
Montalto di Castro, il «mostro» che ha bruciato 25 mila miliardi di lire

ROMA - Quanto sia costata l’avventura di Montalto di Castro, nessuno lo può dire con certezza. Ma per raccontare il più grande fallimento della politica energetica italiana non si può partire che da questo dato, anche se è una stima di massima: 25 mila miliardi di lire. E’ come se ogni persona residente in Italia, neonati e immigrati compresi, avesse speso 438 mila lire, cioè 226 euro. Il tutto per ritrovarsi poi con un gigantesco obbrobrio in riva al Tirreno che produce la metà dell’energia che potrebbe, e più cara del 30% rispetto a quanto dovrebbe.
In questi numeri è naufragato il sogno di Umberto Colombo, l’ex presidente dell’Enea che si battè perché a Montalto sorgesse una delle più grandi centrali nucleari d’Europa. E che quando il referendum del 1987 spazzò via l’energia atomica dall’Italia accusò la classe politica di aver cavalcato la protesta antinucleare non per convinzione o scelta strategica, ma per pura convenienza elettorale: «In Italia per costruire una centrale nucleare ci vogliono nove-dieci anni. Nel frattempo sono passati almeno nove governi. E chi è quel politico che rischia una scelta impopolare per una cosa che ripagherà dopo nove governi?»
I paradossi della vita adesso hanno voluto che Colombo sia in affari, nel gruppo di Franco Bernabé, con Chicco Testa, uno dei promotori di quel referendum al quale sarebbe toccato in seguito il compito di affrontare da presidente dell’Enel le rogne della centrale termoelettrica di Montalto.
Quando Testa e Franco Tatò arrivarono all’Enel erano ormai passati quasi dieci anni dal voto. E il nuovo impianto termoelettrico non era ancora in funzione. Era stato costruito accanto alla centrale nucleare, che nel 1987, anno del referendum, era praticamente finita. Restavano da montare le turbine, inserire le barre d’uranio e girare l’interruttore.
Per realizzare l’impianto c’erano voluti esattamente i nove anni previsti da Colombo. Nonostante il tempo andato perso per le proteste degli ambientalisti e la guerra dichiarata dal sindaco di Montalto Alfredo Pallotti, che era del Partito repubblicano, l’unico apertamente favorevole alla scelta nucleare, e pure bloccò i cantieri.
La centrale era costata circa 10 mila miliardi e dopo il referendum apparve chiaro che raderla al suolo avrebbe comportato una spesa enorme. Tanto più che lo Stato aveva deciso di risarcire l’Enel e i suoi fornitori per il danno causato dall’uscita dal nucleare. Una bolletta astronomica, che ha ormai superato i 9 miliardi di euro e che ancora non abbiamo finito di pagare.
Ma, siccome il Piano energetico nazionale diceva che l’energia prodotta a Montalto era necessaria per il fabbisogno del Paese, bisognava fare un impianto che producesse almeno quanto quello atomico dismesso. Così, a fianco della centrale nucleare se ne costruì un’altra, gigantesca. Con una spesa di altri 10 mila miliardi. Ma non era una centrale a ciclo combinato (turbogas), come sarebbe stato logico. Si costruirono invece quattro gruppi termoelettrici a policombustibile da 600 megawatt l’uno e otto piccoli turbogas da 100 megawatt ciascuno. Totale: 3.200 megawatt.
La differenza non è marginale. Gli impianti a ciclo combinato hanno infatti un rendimento superiore almeno al 50%. Mentre quelli termoelettrici di Montalto arrivano al 37-38%. E non è tutto. Per l’approvvigionamento di olio combustibile si dovette costruire un oleodotto da Civitavecchia. Finché si decise di utilizzare anche il meno costoso gas naturale portato con le metaniere. Che, però, bruciato in una centrale termoelettrica tradizionale dà sempre un rendimento modesto: certamente non competitivo con quello della stessa quantità di metano impiegato in un impianto a ciclo combinato.
Perché furono fatte quelle scelte è difficile dire. Il risultato è che la più grande centrale italiana, che avrebbe dovuto essere concepita come un gigantesco motore diesel, economico e sempre acceso, va in realtà come un diesel, ma consuma come una formula 1 e funziona 3 mila ore l’anno anziché 7 mila. Nell’imbarazzo generale, all’Enel avevano a un certo punto pensato di trasformarla a carbone. Poi però hanno scartato l’idea: la modifica sarebbe costata altri 1.500 miliardi.

Sergio Rizzo

nuvolarossa
09-07-03, 20:05
"Le colpe dell’Enel"

di Fiorenzo Grollino

Con il caldo torrido di giugno è esploso, all’improvviso il grave problema dell’interruzione della corrente elettrica con blackout anche di cinque ore.

L’ENEL ha trovato comodo, anche se molto semplicistico, scaricare sull’ondata di caldo le interruzioni di energia, in quanto i consumatori, a suo dire, avrebbero fatto un uso smodato dei condizionatori di aria fredda, mentre tanti altri erano stati installati dalle famiglie per combattere il caldo.

La giustificazione è ridicola, perché di norma il consumatore stipula un contratto di somministrazione di energia di 3 Kw, e pertanto entro questo limite ha diritto all’erogazione di luce. Certo, se il caldo non ci fosse stato l’assorbimento di energia da parte dei condizionatori non avrebbe messo in crisi l’ENEL e quindi il paese. Ma l’ente erogatore non può e non deve correre l’alea della situazione climatica del paese, in quanto il consumatore, faccia o non faccia caldo, ha diritto alla fornitura di 3 Kw di elettricità.

Invero, quando l’utente tenta di andare oltre questo limite la corrente "salta". Non v’è dubbio che nella situazione climatica in atto, il consumatore ha il diritto di essere risarcito, in quanto la sospensione dell’energia elettrica non trova alcuna causa di giustificazione.

La stessa giurisprudenza di legittimità, che si è formata sul punto nel corso di questi anni, esclude che le giustificazioni addotte dall’ente erogatore siano da ritenersi valide ed efficaci.

Ciò perché l’esonero di responsabilità dell’ente erogatore nei confronti dell’utente somministrato si verifica solo nei casi di forza maggiore, lavori di manutenzione, esigenze di servizio, cause accidentali e scioperi.

Nei blackout che si sono verificati a ripetizione e per lunghi periodi, tali casi non ricorrevano, in quanto le interruzioni erano causate da insufficienza di energia elettrica imputabile all’ente erogatore, il quale non aveva provveduto a predisporre le necessarie scorte.

Quanto è emerso da questa situazione di crisi energetica ha dell’incredibile, se si considera che la capacità energetica installata in Italia è di 77 mila megawatt, ma ne sono disponibili solo 49 mila, in quanto la differenza di 28 mila megawatt è costituita da vecchie centrali in disuso, o in manutenzione o ancora da mettere a norma sotto il profilo ambientale. Questa sorprendente realtà è stata resa nota dal dott. Gerlando Gemeardi, successore di Massimo Panzellini alla vice presidenza per l’Italia della BEI.

Le rivelazioni non finiscono qui, perché l’Italia non dispone in punto di energia elettrica del margine di sicurezza pari a 2 mila megawatt. Non solo, ma la troppa burocrazia frena gli investimenti e la stessa Banca Europea per gli Investimenti prodiga di prestiti verso l’Italia, non riesce a finanziare nuovi progetti, perché non ci sono.

Nonostante ciò il prezzo dell’energia in Italia è gran lunga superiore alla media europea, come rivela il dott. Pippo Ranci nella relazione annuale dell’Autority, che mette a nudo tutte le deficienze del sistema Italia, che è ad alto rischio, anche se le famiglie italiane pagano l’energia più cara d’Europa e l’Italia ha bisogno per la sua sopravvivenza di altri 10.000 megawatt che solo nuove centrali possono assicurare.

Intanto, il costo dell’energia è di 200 euro in più rispetto agli altri paesi dell’U.E.

In questo settore l’Italia è l’ultima della classe perché non conosce il "programma comunitario del risparmio energetico", non riesce ancora a dare l’avvio ad un massiccio programma di produzione di energia alternativa, utilizzando le fonti energetiche che non costano nulla, perché fornite dalla stessa natura, quali il sole, l’acqua, il vento e via dicendo.

Energia eolica, energia solare, fotovoltaica ed altre ancora, sono largamente prodotte nei Paesi U.E. In particolare, l’energia eolica ha affrancato dal petrolio e dal carbone numerose regioni del Nord Europa, ma non dell’Italia, che, pur essendo stata tra i primi paesi a puntare sull’eolico ed il solare, ha abbandonato sia l’uno che l’altro, perchè l’allora monopolista Enel aveva interesse a produrre energia bruciando petrolio e carbone.

Tutto ciò senza tener conto che i prodotti del carbone sono altamente inquinanti, mentre le energie rinnovabili sono pulite e quindi in linea con il Trattato di Kyoto.

Né si capisce che fine abbia fatto il piano energetico nazionale, che, con quelli regionali, avrebbe dovuto costituire l’ossatura di base di una più razionale distribuzione dell’energia, realizzando nel contempo l’obiettivo del risparmio energetico, secondo gli orientamenti dell’Unione europea contenuti nel noto libro verde.

L’Italia, però, non è paese che segue questi orientamenti, che privilegiano l’interesse del cittadino e non la speculazione dei produttori di energia che sanno solo succhiare quattrini allo Stato ed ai cittadini.

Questa purtroppo è l’amara realtà, una realtà che l’attuale governo ha ereditato dalla dissennata politica energetica dell’Ulivo, a cui non è stato estraneo l’attuale presidente della Commissione europea, e presidente del Consiglio dell’epoca Romano Prodi, che oggi è prodigo di consigli e suggerimenti proprio in materia di energia.

E non è tutto, perché adesso verranno i tempi duri, in quanto l’ente erogatore di energia dovrà provvedere al risarcimento, che già si calcola in milioni di euro, di quanti hanno subito danni diretti dai blackout improvvisi e non programmati, quando milioni di quintali di derrate, produzioni sofisticate, generi alimentari altamente deperibili sono andati in avaria, per non parlare dei danni subiti da studi professionali, piccole e medie imprese artigiane e quanti altri sono stati costretti a fermare le loro attività a causa dell’interruzione dell’energia elettrica.

Come si vede il settore energetico non può essere lasciato in balia di produttori improvvisati, figli della speculazione più selvaggia del terzo millennio. A questo punto il governo deve mantenere cospicui poteri di intervento per fronteggiare le situazioni di emergenza e mettere ordine in uno dei settori più vitali per lo sviluppo e la crescita del Paese.

tratto da http://www.pri.it/Luglio%202003/GrollinoEnelOpinione9Luglio.htm

nuvolarossa
14-07-03, 19:08
Caos infrastrutture

Investimenti pubblici: priorità indispensabile nel prossimo Dpef

Le ultime notizie, amplificate dai media, sono - o almeno sembrano - drammatiche. L’Italia rischia, nelle prossime settimane, il black-out energetico e la siccità. Rischia, insomma, di restare con poca luce e con poca acqua. E le alternative sono drammatiche: a chi dare l’acqua residua, agli impianti industriali o all’agricoltura? E a chi l’energia elettrica disponibile: agli ospedali, alla produzione, agli utenti?

Nel sesto paese "avanzato" del mondo, membro autorevole dei G8, si profila il collasso delle infrastrutture di base. Con pesanti contraccolpi per tutte le attività produttive: industria, agricoltura, turismo, servizi.

C’è bisogno, e presto, di rimediare ai guasti che si sono accumulati negli anni. E a questo proposito qualche riflessione si impone, proprio partendo dalle cause dei ritardi infrastrutturali. Per il settore energetico si sono ricordati - giustamente, e noi stessi lo abbiamo fatto su questo giornale - gli ostacoli di ogni genere che hanno rallentato la costruzione di nuove centrali: l’opposizione dei comuni interessati, le lungaggini burocratiche, l’ostilità dei verdi e di altre formazioni politiche. A cui si è aggiunto l’abbandono del nucleare, deciso sotto la spinta emotiva di un referendum tenuto all’indomani del disastro di Chernobyl e proseguito anche quando l’orientamento generale andava cambiando.

Ma c’è una riflessione ulteriore, di fondo, che va fatta e che riguarda non solo il settore energetico ma l’intero sistema delle infrastrutture. A metà degli anni novanta i governi di centrosinistra - e in primo luogo quello presieduto da Romano Prodi - sono stati impegnati in un’opera di risanamento del bilancio pubblico, prima per poter entrare a pieno titolo e fin dall’inizio nell’euro e poi per potervi restare senza incorrere nelle penalità previste dal patto di stabilità. Una scelta giusta e che abbiamo condiviso.

I problemi cominciano però quando si passa dall’opera di risanamento, in sè meritoria, ad una valutazione delle politiche adottate per realizzarla. I governi di centrosinistra avevano di fronte varie alternative: tagliare la spesa corrente, elevare la pressione fiscale, ridurre gli investimenti pubblici.

Un’azione lungimirante avrebbe richiesto che essi incidessero sulle voci di spesa pubblica corrente, a cominciare da quella previdenziale che tutti gli organismi internazionali consideravano e considerano fuori controllo, in modo da risanare le finanze senza sacrificare eccessivamente lo sviluppo. E invece è successo il contrario. Non volendo affrontare uno scontro con il sindacato, e più in generale non volendo adottare politiche impopolari, i governi di centrosinistra hanno preferito aumentare le tasse e tagliare gli investimenti (ricerca compresa).

Lasciando non a caso inalterata la spesa di parte corrente, che anzi in quegli anni è addirittura aumentata in percentuale rispetto al prodotto interno lordo.

Ma prima o poi i nodi vengono al pettine. E il governo Berlusconi si trova oggi ad affrontare - ed è bene che lo faccia già con il prossimo DPEF - i problemi che i governi di centrosinistra gli hanno lasciato in eredità: contenere la spesa corrente e rilanciare quella per investimenti.

Semplificando, per quanto riguarda quest’ultima, procedure e modalità operative, anche alla luce di quanto è emerso dalla relazione annuale del presidente dell’Autorità per i lavori pubblici, e cioè che i tempi per compiere l’iter burocratico sono doppi rispetto a quelli necessari per la realizzazione delle opere.

Queste sono, in sintesi, le considerazioni che il "collasso energetico ed idraulico " di questi giorni ci suggeriscono. Bisogna spostare risorse, e presto, verso gli investimenti pubblici recuperandoli altrove. E ci lasciano perciò a dir poco interdetti quei leaders del centrosinistra - a cominciare da Rutelli - che continuano ad opporsi alla riforma previdenziale e nello stesso tempo denunciano le carenze infrastrutturali del paese (che hanno contribuito in modo sostanzioso a determinare). Che cosa vogliono? Tutto e subito? Ma non era uno slogan desueto, abbandonato perfino dai seguaci di Bertinotti?

Roma, 14 luglio 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
16-07-03, 20:09
Un appello surreale

di Fiorenzo Grollino

Siamo alle solite. L’Italia rischia di restare senza acqua e senza luce, e se ciò avvenisse sarebbe un vero e proprio disastro per l’azienda Italia e quindi per tutti i comparti produttivi: l’industria, l’agricoltura e il turismo.
Citiamo solo quelli più significativi. L’ondata di siccità che colpisce il nostro paese non ha precedenti e potrebbe essere di dimensioni bibliche, una volta trascorso questo mese di luglio, durante il quale si darà fondo ad ogni riserva, non molte in verità.
Il quotidiano La Repubblica del 14 luglio titola in prima pagina: "Appello della protezione civile, la Cordiretti chiede lo stato di calamità. A metà settimana rischi di blackout se non pioverà" e così gli altri giornali. La protezione civile lancia l’appello. A chi? Probabilmente a se stessa, perché fino ad oggi non si sapeva neppure che esistesse ancora, rimasta assente con un Bertolaso sul ponte di comando ad agitarsi più del dovuto, ma senza alcun risultato.
Non abbiamo nulla nei confronti di Bertolaso, ma la protezione civile in questo paese, a confronto di altri paesi dell’Unione, è rimasta ferma al 1992, anno in cui fu varata la prima legge proprio sulla protezione civile. Oggi quella legge e la successiva normativa sono superate, non rispondono più alle esigenze climatiche ed ambientali, che aggrediscono con più durezza e con maggiore repentinità il pianeta terra ed i suoi abitanti. Si attende, come al solito, l’ultimo momento per entrare in azione e portare soccorso, ma non prevenzione attraverso un continuo monitoraggio delle condizioni meteo e di ogni altro elemento, da cui si possono trarre previsioni e, se necessario, approntare strumenti adatti alla bisogna. Quella legge è ormai vetusta, e deve essere al più presto riveduta nei suoi obiettivi, strumenti, modalità di intervento; il sistema della protezione civile deve essere riorganizzato sul piano operativo in termini di efficienza e tempestività.

Siamo ancora al soccorso, e cioè all’intervento dopo il disastro, ma a monte di questo non c’è nulla, quando ogni evento calamitoso va considerato sotto un triplice aspetto: pre-evento; evento; post-evento, e per ognuna di queste fasi debbono essere approntati i relativi mezzi e strumenti. Ancora non si è capito che non basta agire sulla carta, reclutando vigili del fuoco, forze armate ed un milione e trecentomila volontari, senza che costoro abbiano un minimo di formazione in questo settore, anche per evitare che producano altri danni e altri guai, come talvolta è accaduto. Una protezione civile senza centri-studi che si occupano di calamità e disastri naturali; senza un albo in cui iscrivere le imprese specializzate in questa materia, senza una scuola di formazione per quanti, volontari e non, intendono dedicarsi alle azioni di prevenzione e soccorso, senza una concentrazione di competenze in un unico dipartimento, competenze oggi disperse in almeno dieci amministrazioni dello Stato, senza le necessarie risorse finanziarie, facendo affidamento sulla generosità di quanti commossi ed emozionati per quanto accaduto rispondono alle sottoscrizioni aperte da enti ed associazioni, non serve a nulla, perché non ha futuro, non ha gambe per camminare. È da tempo che la vigente normativa in materia di protezione civile doveva essere riveduta nei termini di quanto fin qui detto, ma le due proposte di legge fino ad oggi presentate: quella del sen. Manfredi ed altri nel 2001 al Senato della Repubblica e l’altra dell’on. Migliori e altri del 2002 depositata alla camera dei Deputati, sia pure tardive, giacciono nei cassetti del legislatore, che se le è evidentemente dimenticate. Si tratta di due progetti di legge, che, anche se deficitari ed incompleti, costituiscono un primo tentativo per dare maggiore dignità ad un settore di vitale importanza per la collettività nazionale. A questo punto si avvertono due esigenze: la prima è di proporre una legge di revisione costituzionale perché il diritto alla protezione della vita, così come il diritto all’ambiente, entrino nella carta fondamentale accanto ai diritti politici, economici e sociali. La seconda è che il governo predisponga un disegno di legge per riordinare tutta la materia che attiene alla protezione civile, introducendo quanto è necessario perché si costruisca un vero e proprio sistema munito di sanzioni per chi lo disattende. Questo, perché la vita dell’uomo è un bene prezioso e come tale deve essere tutelato, difeso e protetto.

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
16-07-03, 20:10
Allarme crisi idrica

Occorre una gestione unica dello stato di emergenza

La crisi idrica che interessa gran parte della Pianura Padana ha messo allo scoperto la complessa rete di collegamenti che lega l’uso delle risorse ambientali di un territorio con il suo assetto economico – produttivo. La "coperta" - costituita da quella quota di capitale utilizzato per il processo produttivo prelevata dalle risorse ambientali - diventa sempre più corta perché viene erosa dalle "esternalità" cioè da quella parte dei costi della produzione che il sistema economico di mercato non è in grado di percepire perché riferiti a beni (quelli ambientali) che non vengono scambiati nel sistema e, quindi, non hanno un prezzo. Così è per l’acqua: fattore di produzione vitale per la vita civile, l’agricoltura, l’industria e la produzione energetica che tutti gli operatori utilizzano nei loro processi secondo meccanismi di ottimizzazione del proprio risultato economico basati sul "prezzo" che viene pagato per la sua acquisizione e non sul "valore" derivante dalla reale scarsità. Il risultato è un eccesso di prelievo rispetto alla disponibilità certa e l’esplosione di gravi conflitti d’uso quando la scarsità va ad incidere sulle aspettative degli utilizzatori e sui loro investimenti, generando perdite economiche ingenti. Il fatto che si sia giunti ad un livello di criticità tanto grave senza che siano stati adottati provvedimenti di "gestione" dell’emergenza man mano che la situazione andava evolvendo dimostra che il sistema è fuori controllo.

Come spesso capita in Italia, esistono sulla carta gli strumenti per affrontare questi problemi, che non sono completamente attuati: la legge n.183/89 che istituisce le Autorità di Bacino e i "Piani di bacino" avrebbe dovuto assicurare il governo di questi problemi e l’Autorità di Bacino del Po è quella più avanzata a livello nazionale: evidentemente oggi dobbiamo registrare l’inadeguatezza di questi strumenti davanti alla complessità del problema. Pochi dati essenziali bastano a dare il quadro di questa complessità: nel bacino del Po lavorano circa 3,2 milioni di addetti all’industria e 2,8 milioni di addetti al terziario e sono presenti 4,2 milioni di capi bovini e 5,2 milioni di capi suini (che dal punto di vista del "carico" sulla componente idrica pesano, rispettivamente, quanto 10 e 15 abitanti, per un totale di 120 milioni di abitanti). Nel bacino del Po si forma il 40% del PIL italiano e il consumo di energia rappresenta il 48% di quello nazionale. E’ impensabile che possa essere affidato solo ad uno strumento di pianificazione (debole) la gestione dello sviluppo armonico delle attività economiche compatibile con le risorse disponibili. Necessitano modalità di intervento che utilizzino le stesse forze del mercato per conseguire assetti di utilizzo delle risorse compatibili e sostenibili. La programmazione economica democratica tanto cara a Ugo La Malfa costituisce oggi lo strumento di politica economica a disposizione per "orientare" le forze del mercato verso questi equilibri sostenibili e correggere le distorsioni insite nella imperfezione del sistema.

Con lo stesso modello di approccio della programmazione democratica deve essere affrontata l’emergenza di questi giorni: deve essere posto un freno allo spettacolo offerto da autorevoli rappresentanti delle istituzioni che, ciascuno per la parte che ritiene di rappresentare, pretenderebbero di scaricare sulle altre parti i costi della crisi. Il problema deve essere affrontato in modo razionale in un confronto fra Governo e parti interessate, che individui provvedimenti da adottare tali da produrre il minimo costo per la collettività.

Se avessimo avuto un Dicastero per la Programmazione e lo Sviluppo sostenibile, quella sarebbe la sede nella quale istituire questo tavolo di gestione della crisi. In attesa che maturi anche nel nostro paese l’esigenza di un momento di governo unitario di questi problemi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio – cui fa capo il coordinamento delle Autorità di Bacino – dovrebbe essere espressamente delegato dal Consiglio dei Ministri al coordinamento dei soggetti e delle azioni da attuare immediatamente per superare questo delicato momento.

Roma, 16 luglio 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
27-07-03, 10:03
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI309.jpg

tratto da
http://www.frangipane.it/frangibanner234.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

nuvolarossa
29-07-03, 10:59
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA//PRI310.jpg

tratto da
http://www.frangipane.it/frangibanner234.gif (http://www.frangipane.it/index.html)

nuvolarossa
04-08-03, 10:23
Gioia Tauro - Il sottosegretario Francesco Nucara fa chiarezza su tempi, finanziamenti e procedure
Rigassificatore, ci sono due progetti
Al Cipe per deliberare servono elementi sicuri sull'ubicazione dell'impianto prescelto

Teresa Munari

GIOIA TAURO (Reggio Calabria ) - Sull'area portuale di Gioia Tauro, sul destino di questo porto già doppiato a Cagliari dalla stessa Società che lo ha imposto al sistema mondiale dello shipping, sulle attese del territorio, illuse e disilluse a proposito di zona franca... “sì!”; “no!”; “aperta!”; “chiusa!”; “Non c'è! Si! È un'altra cosa”, serve ragionare, e nell'interesse di tutto il territorio, giova farlo a scudi abbassati. Da qualche giorno poi un altro e più pericoloso nuovo fronte si è aperto a proposito di una delibera del Cipe, «bloccata dalla Regione per fare perdere a quest'area importanti finanziamenti», tesi che è riuscita ad aprire una breccia persino fra i sindacalisti più illuminati. Per fare chiarezza “Gazzetta del Sud” si è rivolta al sottosegretario all'Ambiente, Francesco Nucara che, per il suo ruolo al Governo, è un testimone diretto dell'accaduto, essendo fra coloro che hanno titolo di sedere al tavolo del Comitato, quel Cipe che avrebbe deciso di “penalizzare”, la Calabria.
- Sottosegretario, vogliamo rimettere su giusti binari la questione dell'hub interportuale di Gioia Tauro? «La richiesta di finanziamento, sulla base della Legge obiettivo, riguarda una serie di infrastrutture, riconducibili tutte ad un disegno organico e relativo ad opere che si realizzeranno con finanziamenti privati, con fondi stanziati dal ministero delle Infrastrutture, e con risorse che la Legge obiettivo mette a disposizione degli hub interportuali, fra i quali c'è ovviamente quello di Gioia Tauro».
- A quale di queste tre fonti di finanziamento si riconducono gli ormai famosi 92 milioni di Euro? «Considerato che il piano complessivo della proposta per l'hub (area portuale, ndr) di Gioia riguarda 4 interventi che si articolano in relativi 13 progetti, su un investimento a carico di privati (424.139.092 euro); gli investimenti a carico del ministero delle Infrastrutture (175.500.000 euro); i 92.962 milioni di euro sono i fondi assegnati dalla Legge obiettivo che interviene, sul progetto complessivo, in percentuale per il 13,42%».
- Questo vuol dire che l'impegno di risorse pubbliche è ancorato all'impegno di investimenti privati? «Certamente, e si tratta di un impegno che nasce in relazione al Piano energetico calabrese dove è decisa la realizzazione di un impianto di rigassificazione del Gnl, assegnato nel territorio regionale evidentemente per opportunità logistiche, all'hub interportuale di Gioia Tauro. Attualmente però, sul piano privato, siamo di fronte a due distinte proposte, concretizzate in due diversi piani industriali e che,per la natura propria degli investimenti, sono al vaglio del ministero delle Attività produttive. In questa sede gli organismi decisionali stanno svolgendo le opportune conferenze dei servizi».
- Quindi il Cipe non procede perché il ministero delle Attività produttive non ha ancora fatto una scelta? «Infatti. E dispiace molto che Savino Pezzotta (segretario nazionale della Cisl, ndr) tratti queste procedure alla stregua di “cavilli burocratici”. Stimando molto le sue qualità di persona riflessiva e seria, riteniamo che le sue osservazioni siano riconducibili ad una cattiva informazione, così come male informato sarà stato l'amico Sbarra (segretario regionale della Cisl, ndr). Senza una decisione preventiva sul piano industriale da adottare per l'investimento che realizzerà il rigassificatore, insomma prima di una scelta del Mit su una delle due proposte produttive, non potranno mai esserci scelte successive».
- Cioè? «Il piano infrastrutturale per l'hub è, giustamente, un piano organico. Quindi scegliere l'una o l'altra soluzione per il rigassificatore o addirittura nessuna, potrebbe imporre un cambiamento radicale del piano infrastrutturale. E poi gli amici delle organizzazioni sindacali (non dimentico mai la mia formazione e la mia provenienza professionale) dovrebbero sapere che la valutazione d'impatto ambientale va fatta come prescrive la legge nazionale e comunitaria e che non basta il parere contrario o favorevole del soggetto proponente (in questo caso l'Autorità portuale) per eludere le leggi in vigore».
- Al di là delle conferenze dei servizi sui due investimenti privati, esistono altri impedimenti procedurali? «Alcuni, e vanno chiariti. Quando parliamo di Piani regolatori e di diversi assetti urbanistici e territoriali è bene che le comunità locali sappiano che cosa succede nel loro territorio e quindi decidano con cognizione di causa. Con la modifica del Titolo V della Costituzione, il governo del territorio è di competenza delle Regioni che lo esercitano attraverso tutte le loro articolazioni. Forse il presidente dell'Autorità portuale poteva incontrare prima il presidente della Regione che, tra l'altro, attraverso il Consorzio Asi è titolare della maggior parte delle aree che insistono nella zona industriale e nell'area portuale e per le quali è in atto un forte contenzioso».
- Lei cosa propone? «Invece di giocare al braccio di ferro aggiungendo danno al danno, credo che sarebbe meglio far sedere i soggetti in polemica attorno ad un tavolo per trovare soluzioni adeguate, nell'interesse di tutto il territorio».
- Un ultimo sguardo alle cifre “perse”. Nel rispondere a chi lo accusa di aver bloccato i 92 milioni di euro, il presidente Chiaravalloti replica che, chiedendo tempi utili per una maggiore chiarezza sulla natura degli investimenti privati, non ha bloccato proprio nulla, visto che al momento sono disponibli soltanto 4,57 milioni di euro. «Intanto va detto che i tempi per fare chiarezza servono alla Regione, ma servono soprattutto al Cipe che, per distrazione o altro, sul rigassificatore si è trovato agli atti la notizia di un solo progetto privato e non di due, come è invece emerso in seguito, in corso di istruttoria. Quanto alla distribuzione delle erogazioni pubbliche che faranno decollare, con il rigassificatore, la relativa piastra del freddo e le opere infrastrutturali, un piano industriale del valore complessivo di 692.601 milioni di euro, ha ragione Chiaravalloti: il piano per l'hub calabrese non è fra le opere prioritarie del Dpef e il finaziamento in euro è così articolato: anno 2003, euro 4.570.000,00; anno 2004, euro 7.716.000,00; a valere sui fondi dell'art. 13 della Legge 166/2002 il fabbisogno residuo sarà disponibile nel 2005 con euro 52.094.500,00 e per l'anno 2006, euro 11.881.500,00».
- E allora tutto questo chiasso? «Chissà! Forse lo alimenta chi teme che la chiarezza richiesta, non porti ai risultati magari già venduti come ineludibili».

nuvolarossa
10-08-03, 12:07
L'annuncio, in una intervista, del sottosegretario Nucara che ha già stabilito un'intesa con la Rai e il rettore Bianchi

Una Scuola di disegno unica in Italia

Nel mondo dei cartoon. Il Ponte è europeo. Film commission: una tela di Penelope

Pino Toscano

Vacanze di lavoro per Francesco Nucara, sottosegretario all'Ambiente, che in questi giorni di fuoco continua a fare la spola tra Reggio e Roma cercando però di utilizzare tutti gli spazi possibili per concedersi al mare della sua città. Evidentemente la tattica funziona, perché malgrado questo “saliscendi” appare abbronzato e rilassato. La conversazione si avvia con un argomento che in questi giorni è particolarmente dibattuto, il Ponte sullo Stretto. La posizione di Nucara è netta: «Per noi repubblicani il Ponte è uno degli elementi fondanti della strategia delle reti transeuropee. In questo senso, del resto, si esprime anche il gruppo di lavoro di alto livello presieduto da Van Miert quando sottolinea che l'opera è uno degli snodi fondamentali per collegare le regioni più povere d'Europa con quelle più sviluppate. Atteso, quindi, che il Ponte diventa un problema europeo e non più solo italiano, e meno ancora calabrese e siciliano, si tratta di vedere come le regioni che dovranno sopportare questo impatto articoleranno un programma per infrastrutturare in via permanente e stabile le due sponde. È compito del governo allungare questa strategia a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Il Sud non ha più bisogno di infrastrutture disarticolate tra di loro, quand'anche necessarie, ma di un sistema integrato che coinvolga ferrovie, strade, aeroporti e porti».
– A proposito di porti, quello di Gioia Tauro è sempre in primo piano. «Sono stato chiamato in causa, anche se indirettamente. Intendo precisare che alcune procedure previste dalle normative di legge vanno comunque rispettate. Diversamente si incorrerebbe in reati. Quando si dice che non c'è bisogno della valutazione di impatto ambientale, bisognerebbe conoscere più approfonditamente le leggi nazionali e comunitarie. Tutti sanno delle contestazioni politiche del Pri al presidente Chiaravalloti, però nella mia attività di sottosegretario delegato al Cipe ho inteso difendere le prerogative del presidente della Regione Calabria, che rappresenta una istituzione importante nella mia concezione politica. Nel merito ritengo che Chiaravalloti avesse ragione, e il mio spirito laico mi porta a valutare le cose per come sono, senza pregiudizio alcuno. Vedo che i sindacati stanno giustamente attenuando le loro polemiche. Mi auguro che ci si possa vedere tutti insieme, ognuno per la parte di responsabilità che gli è dovuta, per trovare una soluzione unitaria. La battaglia peraltro va fatta sul recupero dei 93 milioni di euro: che non esistono nella Finanziaria in corso, nè in quella dell'anno successivo, nè nel Dpef del 2003-2006. Allo stato ci sono solo 4,5 milioni di euro, che fanno parte di un progetto complessivo che effettivamente potrebbe cambiare il volto industriale della nostra Calabria. È su questo progetto che bisogna puntare».
– La Calabria è stata divisa in tredici presidi idraulici, più altri tre interregionali con la Basilicata. Qui a Reggio come siamo messi? «Direi molto bene. Il ministero dell'Ambiente, d'intesa con il segretario generale dell'Autorità di bacino della Calabria, architetto Amaro, ha deciso di iniziare i propri interventi in un presidio idraulico pilota individuato nel territorio di Reggio Calabria».
– Come funziona? «In questa prima fase si intende dispiegare un'attività di monitoraggio e di più approfondita conoscenza del territorio. È intenzione del ministero dell'Ambiente attenuare notevolmente la pressione antropica sul bacino che più direttamente interessa la fiumara Sant'Agata e i suoi affluenti. Bisogna ripulire gli alvei dei torrenti onde evitare il malaugurato effetto-diga, portando a discariche controllate tutto il materiale che va dalle carcasse d'auto agli elettrodemestici ai rifiuti solidi urbani in atto insistente su questa fiumara».
– A che punto è la Film commission? «Mi pare la tela di Penelope. Quando siamo arrivati al dunque sembra che gli enti locali abbiano bisogno di più tempo. Di questo sono molto rammaricato, perché a novembre, alla Fiera internazionale di Milano, si svolgerà uno dei più grandi meeting mondiali del settore della produzione cinematografica e televisiva. Sarebbe stato interessante che la Film commission potesse essere presente con proprie proposte. Il tempo ancora c'è, ma la mia fiducia su questa iniziativa vacilla».
– E con l'Ente Parco come va? «C'è bisogno di maggiore chiarezza. Per quanto riguarda la lamentata mancanza di risorse per le campagne antincendio, occorre sottolineare che l'Ente non ha avanzato alcuna istanza per ottenere finanziamenti straordinari ai sensi della legge vigente. È bene ricordare, peraltro, che alla data del 27 giugno 2003, il Parco d'Aspromonte aveva una giacenza di cassa pari a undici milioni di euro e, quindi, avrebbe potuto far fronte temporaneamente all'emergenza sul territorio».
– Lei preferisce annunciare le cose fatte. Per una volta faccia un'eccezione: ci anticipi una novità. «Sto lavorando a un'idea molto interessante, che se va in porto porterà prestigio e lavoro...».
– Di che si tratta? «Di una Scuola di disegno di cartoni animati presso la nostra Facoltà di Architettura. Su questo progetto, che sarà finanziato da Sviluppo Italia quando saranno formate le professionalità, c'è un interesse preciso della Rai, da me accertato durante un colloquio con un alto dirigente. Ne ho parlato col rettore Bianchi e siamo d'accordo. Dalla scuola-fabrica dovrebbero uscire 150-200 giovani pronti ad operare in un settore unico in Italia. Penso anche a un Festival mondiale del cartone animato a Reggio. Ma c'è tempo per parlarne...».
– Cosa le piacerebbe che si dicesse di lei dopo questa esperienza al ministero dell'Ambiente? «Vorrei che la gente mi ricordasse per essere stato il sottosegretario che ha contribuito in maniera determinante a portare l'acqua potabile a Reggio Calabria dopo quindici anni».

nuvolarossa
02-09-03, 23:56
Politica energetica

Rilanciare il nucleare: esigenza economica, opportunità ambientale

Rileggendo i tre quesiti del referendum sull'energia nucleare del 1987 ci accorgiamo che non vi era un'esplicita negazione del nucleare. Infatti i tre quesiti riguardavano:

1. "la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento"; (previste dal 13° comma dell'articolo unico legge 10/1/1983 n.8);

2. "l'erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi"; (previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge);

3. impedire all'ENEL "la realizzazione e l'esercizio di impianti elettronucleari".

Abbiamo voluto ripetere i tre quesiti non tanto per pedanteria ma quanto per ricordare agli italiani che essi non erano esplicitamente contro il sistema nucleare.

L'argomento è diventato acuto in questi giorni e non solo in Italia. Le ipotesi di soluzione sono trasversali al centrodestra e al centrosinistra. Ci sono uomini di governo che si dichiarano contrari ad un ripensamento sul nucleare ma anche membri dell'opposizione disponibili ad un nuovo approccio su tutta la materia.

Di fronte a noi abbiamo due problemi, uno ambientale ed uno economico, ed ambedue si intrecciano fortemente. Sul problema ambientale - fatti salvi ovviamente tutti i sistemi di sicurezza che nuove tecnologie e nuovi sistemi informatici dovrebbero garantire - ci sarebbe tutto da guadagnare: con l'energia nucleare infatti si andrebbe verso l'azzeramento delle emissioni dei cosiddetti gas serra.

Quando il presidente di Lega Ambiente teme che le scorie radioattive sono un problema che potrebbe coinvolgere future generazioni per centinaia di anni, dice il vero; ma dimentica però che le scorie radioattive in Italia sono già tante e provengono per la maggior parte dagli ospedali.

Forse per questo non dovremmo fare più lastre, radioterapie, TAC ecc.? E' evidente che la necessità di tutelare la salute è preminente sui costi che si dovranno sostenere per isolare adeguatamente le scorie radioattive.

Bisogna poi ricordare che a 50 km da Trieste c'è una centrale nucleare e nei pressi di Lione ve n'è un'altra. Le due centrali, e non solo esse, producono energia a bassi costi che viene venduta all'Italia a costi elevati e comunque inferiori ai costi di produzione dell'energia "italiana"; ma in caso di incidente a queste centrali ne dovremmo sopportare tutte le conseguenze, non essendo possibile fermare al confine le eventuali nubi radioattive.

Dal punto di vista economico c'è da considerare che l'industria italiana paga l'energia il 60% in più della media europea. Non è solo quindi il costo del lavoro che incide sulla competitività delle aziende ma sono i costi industriali che mettono i nostri prodotti fuori dal mercato. Riceviamo inviti quotidiani da parte degli ambientalisti per la ricerca e l'utilizzo di fonti alternative: è vero, ci sono e possono essere utilizzate, ma nel bilancio energetico nazionale incidono ben poco. Nell'immediato, a nostro avviso, bisogna rendere operative, accelerando tutte le procedure, le centrali a metano che numerosi imprenditori privati chiedono di realizzare in tutta Italia.

Alcuni – vedi Pecoraro Scanio - ci invitano a non usare i condizionatori o ad alzare la temperatura d'uso da 18° a 24°. Altri palliativi. Probabilmente qualcuno spera che una parte del Paese (il Mezzogiorno) continui ad avere redditi così bassi da non potersi permettere né condizionatori, né lavastoviglie, né lavatrici e forse nemmeno televisori.

Se invece, come noi auspichiamo, il livello del reddito procapite del Sud sarà fra 10 anni pari a quello del Centro-Nord, bisognerebbe cominciare a preoccuparsi.

In seguito all'incidente di Cernobyl, secondo gli ultimi dati, hanno perso la vita 4500 persone. Quest'estate per il gran caldo in tutta Europa i morti sono stati parecchie decine di migliaia.

Se non si costruisce un ecobilancio si va avanti per emozioni e per lettura di dati spesso volutamente falsificati.

Il tempo per costruire una centrale nucleare è di 10 anni. Sarebbe opportuno pensarci immediatamente senza fare fughe in avanti con l'idrogeno, che sarà il benvenuto quando la ricerca sarà produttiva e il suo utilizzo competitivo. Il paradosso è che nel frattempo l'Italia continua a depauperare tutta la propria conoscenza scientifica e tecnologica nel settore in questione.

Va ricordato, tra l'altro, che le nazioni che usano l'energia nucleare ricevono i contributi dell'Euratom, quindi anche dagli italiani che di quell'energia non possono parlare.

La classe politica mette in evidenza che l'opinione pubblica è contraria al nucleare. Potrebbe anche essere vero, ma è chiaro che essa si forma sempre sulla base delle informazioni che vengono trasmesse al cittadino.

Ma una vera classe dirigente è tale solo se compie scelte nell'interesse generale del Paese senza inseguire sondaggi di opinione così come è stato fatto per l'intervento militare in Irak.

Noi ci dichiarammo apertamente per l'energia nucleare, non sottacendo che le risorse attuali, petrolio, metano, carbone non sono rinnovabili e l'approvvigionamento da Stati esteri potrebbe creare una dipendenza economica tale da ridurre di fatto anche la nostra autonomia politica.

Occorrono quindi scelte coraggiose per avviare lo sviluppo futuro dell'Italia.

Roma, 2 settembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
04-09-03, 21:54
http://www.repubblica.it/images/2002/fisse/testata.gif
30° Seminario sulle emergenze planetarie/L'incontro di Erice
Sistema economico e sviluppo sostenibile

di Giovanni Pizzo

L'estate del 2003 dovrebbe essere ricordata a lungo non perché sono stati disintegrati tutti i record di temperature e di siccità, ma, soprattutto, perché ha messo drammaticamente in evidenza i legami fra i temi ambientali e connessi eventi atmosferici e il sistema economico, facendo intravedere la necessità, in un futuro forse non così lontano come avremmo creduto, di dovere affrontare complesse trasformazioni del nostro modello di sviluppo.

Come capita in alcune giornate particolarmente limpide, che ci fanno vedere all'orizzonte terre che normalmente non vediamo, gli eventi di questa torrida estate hanno fatto intravedere la barriera contro cui è diretto il "transatlantico" della nostra economia di mercato: l'insostenibilità ambientale dei prelievi necessari ad alimentare il sistema.

Il cerchio dei limiti ambientali e della competizione globale sta stringendo i sistemi economici più maturi verso l'angolo della recessione, ma di ciò sembra che gli economisti "ortodossi" non si accorgono, impegnati come sono a rincorrere il fantasma della crescita del PIL, indicatore sempre più obsoleto, retaggio di un passato in cui vi erano margini di crescita ormai quasi completamente saturati.

E mentre 130 studiosi provenienti da 30 Paesi in occasione del trentesimo seminario sulle emergenze planetarie tenutosi ad Erice a fine agosto, si trovavano sostanzialmente d'accordo sugli scenari di aumento delle temperature del globo dei prossimi anni (salvo poi a dissentire sulle cause che originano questi fenomeni) a fronte dei quali si intravedono gigantesche riconversioni dei sistemi produttivi ed infrastrutturali e redistribuzioni della ricchezza, sulle stesse pagine dei giornali apparivano le diatribe fra gli economisti "ortodossi" circa i dati di contrazione del PIL di Francia, Italia, Olanda, Germania e della zona euro in generale, con disquisizioni tecniche sulla differenza fra "recessione" e "stagnazione" e venivano riportate le decine di "stime" dei così detti "analisti", sempre più "sorpresi" dai risultati effettivi peggiori delle loro previsioni. Per l'Italia il 2003 viene collocato fra un ottimistico + 0,8% ed un pessimistico +0,4% (sul 2004 - come ormai succede da diversi anni per l'anno "successivo" sono tutti più ottimisti - con un + 1,7 – 1,8%).

Eppure fra le tematiche affrontate ad Erice, la saturazione dei sistemi economici e la questione della crescita del PIL, esiste una stretta correlazione sulla quale sarebbe necessaria una maggiore attenzione da parte di coloro che disegnano gli scenari dello sviluppo futuro.

Un aspetto da valutare attentamente è proprio quello della "saturazione fisica" dei sistemi economici: non crediamo sia solo una coincidenza se le economie che si sono fermate prima sono quelle di Giappone (il Giappone viene da una recessione quasi decennale), Germania, Italia e Olanda, dove il rapporto PIL/superficie territoriale risulta essere elevatissimo.

Si potrebbe ipotizzare che la densità di PIL sulla superficie costituisca un indicatore della insostenibilità degli ulteriori prelievi sull'ambiente e della crescita esponenziale dei costi ad essi connessi tali da costituire un freno alla crescita del PIL. Un esempio facilmente comprensibile è quello dello stock di infrastrutture che – stante l'attuale modello economico – è necessario per supportare la crescita del PIL. E per restare in tema con gli eventi di questa estate, prendiamo in considerazione l'energia: se il tasso di sviluppo economico italiano procedesse al ritmo del 2,5% annuo come desiderato fortemente da tutti, la richiesta di elettricità – stante l'attuale modello di consumo – sarebbe destinata ad aumentare al ritmo del 3% annuo portando i consumi nazionali dagli attuali 320 miliardi di chilowattora annui a oltre 350 nel 2006 per arrivare a 420 miliardi di chilowattora nel 2012; la domanda di picco (quella dei black – out per intendersi) passerebbe dall'attuale valore di 53.105 megawatt (record del 17 luglio 2003) a bel oltre 70.000 megawatt del 2012. Se si vanno a vedere i programmi di costruzione di nuovi impianti di produzione notiamo che a fronte dell'annuncio di nuovi impianti per 60.000 megawatt (che ci farebbe diventare esportatori) si contrappone un dato di 11.800 megawatt autorizzati dal ministero delle Attività produttive fra il 2002 ed il 2003, ed un misero 2.000 megawatt realmente in costruzione; la gran parte delle iniziative sono condizionate da veti e vincoli ambientali rafforzati dalla "saturazione" del territorio. E' evidente, perciò, che, senza drastici interventi sia sul fronte dell'offerta che su quello dei consumi, il sistema elettrico non sarà in grado di sostenere il tasso di sviluppo desiderato del 2,5% annuo.

Analoghe considerazioni valgono per il sistema di mobilità delle merci e dei passeggeri: basta vedere in quale stato di congestione si trovi in questo momento quello del Nord Italia; nonostante il massiccio sforzo programmato con la legge "obbiettivo" non crediamo che – stante l'attuale indice di correlazione fra crescita del PIL e crescita del fabbisogno di infrastrutture di mobilità - si possano realizzare ritmi di crescita del PIL del 2,5% annuo senza determinare il collasso del sistema.

Ma una considerazione ancora più drastica dovrebbe sollecitare le analisi ed i contributi degli economisti: forse bisogna prendere coscienza che è giunto il momento di rinunciare a qualche millesimo di crescita del PIL – una parte del quale è formato paradossalmente dagli interventi destinati a risarcire i costi conseguenti alle emergenze legate agli eccessi di sfruttamento – ed affrontare da subito la riorganizzazione del sistema economico per realizzare la "virata" del transatlantico nella direzione dello sviluppo sostenibile, utilizzando lo strumento della programmazione degli anni sessanta opportunamente rivisitato, come suggerisce Giorgio Ruffolo nell'articolo "Il saccheggio del Pianeta fra sprechi e inquinamento" (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
10-09-03, 23:45
Nucara incontra la Commissione Petizioni del Parlamento europeo

Nell'incontro del 9 settembre scorso con i parlamentari europei della Commissione Petizioni, presieduta dall'on. Vitaliano Gemelli, il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara ha illustrato la politica ambientale dell'Italia anche in relazione a problemi europei e globali. Ha affermato che, se l'ambiente in Italia ha i suoi ben noti problemi, le responsabilità sono diffuse e lontane nel tempo.

Le petizioni al Parlamento europeo, come le attività di sindacato ispettivo, sono frutto di un'accentuata sensibilità ambientale, che è andata crescendo in questi ultimi anni. L'Italia non è la cenerentola d'Europa, ma sta nella media come sensibilità ambientale. Sono altre nazioni, che magari da una lettura superficiale potrebbero sembrare più "ambientaliste", a essere fanalino di coda, "e non ci riferiamo ovviamente alla Finlandia e alla Svezia", ha aggiunto Nucara, sottolineando come sia opportuno "coniugare ambiente e sviluppo, e cogliere la politica ambientale come opportunità allo sviluppo e non come freno allo stesso".

Nucara ha ribadito come spesso il Parlamento italiano, nel recepire le direttive, abbassi i parametri europei, mediante la clausola della cosiddetta "precauzione": ha citato in proposito l'esempio dell'inquinamento elettromagnetico, che le forze ambientaliste avrebbero voluto con una riduzione più drastica, pur essendo il provvedimento del governo basato su valori ridotti rispetto ai più elevati parametri europei.

Argomento siti inquinati: il sottosegretario all'Ambiente ha spiegato ai parlamentari europei come, sulla base della legislazione italiana, passi il principio che chi ha inquinato deve disinquinare con precise procedure previste dalla normativa vigente.

In ultimo Nucara ha affrontato il problema dell'inquinamento delle falde acquifere dovuto alla pressione antropica. "Sarà difficile eliminare la pressione antropica, mentre è possibile mitigarla", ha affermato. Dunque "la via del futuro dovrà essere l'ecobilancio, che consentirà al potere politico di decidere sulla base di opzioni concrete".


tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
16-09-03, 16:03
http://62.110.253.162/images/home_logonew.gif
di LANFRANCO PALAZZOLO

IL SOTTOSEGRETARIO all’Ambiente Francesco Nucara, segretario ...

... del Partito repubblicano italiano, è favorevole al condono edilizio e ricorda che questo riguarderà gli abusi minori e porterà nelle casse dello Stato molti soldi.
Sottosegretario Nucara, come intende orientarsi il Governo sui condono edilizio e come giudica le critiche del centrosinistra?
«Il centrosinistra sta sbagliando sul condono edilizio e sui condoni in genere. I condoni ci sono stati con tutti i governi. Su un giornale nazionale di domenica era scritto che negli ultimi 15 anni erano stati fatti 17 condoni edilizi. In linea di principio i condoni vanno respinti. È orribile pensare che coloro che si sono mantenuti nelle regole devono pagare di più e coloro che abusano possono beneficiare del condono. Ma gli enti locali non riescono a preservare l’ambiente attraverso il controllo degli abusi edilizi. Senza il condono gli abusi non vengono sanati e non vengono abbattute le case costruite abusivamente. Se lo Stato non riesce, attraverso le regioni, le provincie e i comuni, ad incidere sull’abusivismo edilizio deve applicare un condono e far entrare nelle casse dello Stato il ricavato del provvedimento».
Come pensate di regolarvi sui beni di proprietà dello Stato?
«Il riferimento al condono edilizio riguarda anche l’abusivismo edilizio sul demanio. Molte aree demaniali sono occupate abusivamente e ci vuole una sanatoria. Chi ha occupato il territorio demaniale non può considerare il terreno come proprio. Tuttavia, non possiamo pensare di far finta che questo tipo di abuso non esista. È necessario che la concessione venga pagata allo Stato perché questo non è in grado di fare una demolizione. Non è possibile demolire la casa di un emigrante che ha lavorato tanti anni all’estero e che riesce a costruirsi un’abitazione dove non c’è un piano regolatore. La sinistra deve pensare che è necessario non farsi prendere dai nervi».
Pensate ad un provvedimento sugli abusi minori?
«Questa è la posizione del ministro, che io condivido. Pensiamo solo agli abusi minori e non agli abusi di chi ha fatto gli alberghi dove non aveva diritto di costruirli. Questi ultimi vanno demoliti. I meccanismi tecnici e giuridici per evitare gli abusi edilizi sono altri e i comuni devono vigilare e non devono far costruire per poi demolire dopo 10 anni. Non ho mai visto demolire una casa. Nella Valle dei Templi ad Agrigento c’è stata una sceneggiata televisiva con l’allora ministro degli Interni Enzo Bianco sulla demolizione di una casa che non voleva abbattere nessuno. Lì è finita la demolizione delle case abusive. Quindi è meglio sanare che perpetuare l’abusivismo».
La motivazione principale di questa scelta è dettata dall'esigenza di fare cassa. Che calcoli avete fatto?
«Il motivo è questo. I calcoli li fa il ministro dell’Economia Tremonti. L’ultima volta che ho parlato con lui 6 giorni fa, mi ha spiegato che il gettito non sarà irrisorio e in questo momento stiamo facendo i calcoli».
Il sindaco di Roma Veltroni sta mobilitando i comuni sui condoni. Avete avuto colloqui con l’Anci?
«Veltroni sbaglia. Se ci sono degli abusi edilizi, il problema non è dello Stato, ma dei comuni. Sono loro che devono vigilare sugli abusivismi edilizi. L’errore di Veltroni è pensare che la colpa degli abusi edilizi sia dello Stato».
È l’ultimo condono?
«Dopo 40 anni di politica posso dire di aver sentito tante volte "questo è l’ultimo condono". Magari ce ne saranno altri e può darsi che il prossimo sarà con un governo di centrosinistra. Dipenderà dai comuni. Io mi auguro che sia l’ultimo».

martedì 16 settembre 2003
(http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
24-09-03, 20:05
"Ambiente e pensioni l'intreccio del futuro"

di Giovanni Pizzo

I temi dell'Ambiente, del consumo delle risorse, della modifica degli equilibri dei sistemi ecologici, delle relative conseguenze sulla qualità e sulla durata della vita dell'uomo e degli altri esseri viventi, saranno i protagonisti del nuovo millennio e condizioneranno i comportamenti dei Soggetti attori del sistema economico: le imprese che devono utilizzare quelle risorse per garantire la produzione di beni e servizi; le Autorità di governo che devono attuare le politiche di sviluppo; i consumatori destinatari finali dei beni prodotti e, nello stesso tempo, utenti fruitori dell'Ambiente.

I problemi dello sviluppo economico e quelli della conservazione dell'Ambiente tendono ad essere sempre più intrecciati fino a diventare – come accade ai tronchi di certe piante che attorcigliandosi finiscono, nel tempo, col diventare un unico tronco – una sola questione: la qualità della vita attuale e di quella delle future generazioni.

Anche le attuali riflessioni sulla insostenibilità del sistema previdenziale si inseriscono in questo quadro di contrapposizione fra "interessi" attuali ed interessi "futuri" di Soggetti privi di una rappresentanza sociale.

L'azione di Governo dovrà confrontarsi con queste sfide: le politiche mirate a stimolare lo sviluppo economico e l'aumento della ricchezza monetaria si scontrano con i vincoli della saturazione del territorio e del degrado dell'ambiente e, come dimostrano i dati di molte grandi economie "sature", incontrano difficoltà sempre maggiori a far crescere il Pil.

Il Partito repubblicano, sempre attento ai temi dello sviluppo economico e della distribuzione della ricchezza, è in grado, meglio di altri, di cogliere questo mutamento di scenario e può contribuire alla costruzione dei nuovi strumenti di governo, forte della propria tradizione e dell'insegnamento di Ugo La Malfa.

Sul piano politico, esiste un grande spazio che il Partito repubblicano può coprire: infatti l'approccio demagogico, repressivo ed anticapitalistico che la Sinistra ha dato al problema dell'ambiente si è dimostrato fallimentare; dall'altro canto, la destra liberista tende a sopravvalutare le capacità del sistema di mercato di trovare all'interno dei propri meccanismi le correzioni all'attuale processo di degrado prima che si raggiungano situazioni di intollerabile irreversibilità.

La sfida per ritrovare la strada dello sviluppo (sostenibile) potrà essere vinta se, attraverso l'uso delle opportune leve di comando, si riuscirà ad invertire la attuale correlazione fra crescita economica e degrado ambientale. Si dovranno investire ingenti risorse in modo mirato e coordinato, per creare le condizioni affinché le stesse energie del capitalismo di mercato - in un quadro di relazioni di cooperazione fra i Soggetti che vi operano – nel coniugare lo sviluppo dei redditi con i vincoli ambientali diventino il motore per l'innovazione e conducano verso un nuovo modello di sviluppo, capace di creare nuove occasioni di crescita in settori che sarebbero al riparo dalla concorrenza dei Paesi di nuova industrializzazione.

Il "Transatlantico" della nostra economia di mercato, senza fermare la propria corsa - anzi trovando il modo di uscire dall'attuale fase stagnante - causata dalla saturazione dei bisogni, dalla nuova distribuzione mondiale del lavoro e dai vincoli ambientali – dovrà effettuare una virata di 90 gradi ponendo la prua - oggi rivolta contro l'ambiente - verso la sua conservazione per il benessere della popolazione attuale e delle generazioni future.

L'azione di Governo dovrà superare lo steccato fra politiche ambientali e politiche economiche per costruire una nuova politica economica che abbia come obbiettivo centrale non solo lo sviluppo dei redditi, ma anche, e intrinsecamente, il miglioramento della qualità ambientale e la conservazione della stessa per le future generazioni. E sarebbe oggi una politica comprensibile dalla gente; ormai - e non solo per effetto degli eventi di questa estate e delle relative massicce campagne dei media - tutte le indagini sulle aspettative della popolazione nelle società economicamente mature concordano nell'assegnare i primi posti alla richiesta di qualità dell'ambiente, alla paura delle conseguenze dell'inquinamento sulla salute, alla preferenza per un'alimentazione sana, alla qualità di assistenza sanitaria, ecc.: la gente vorrebbe godersi la pensione (se si eviterà il tracollo del sistema) e non fare la fine delle migliaia di anziani dell'estate 2003.


tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
29-09-03, 19:34
La Nota Politica
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Costruire nuove centrali guardando al nucleare e rilanciando la ricerca

Prima o poi doveva accadere. Il black out di sabato ha puntualmente fatto verificare ciò che era nelle cose: ossia, che il sistema elettrico italiano è fra i più vulnerabili in Europa, proprio per l'elevata dipendenza dalle importazioni dall'estero del nostro fabbisogno energetico. Ora la polemica fra centrosinistra e centrodestra sulle responsabilità di questa nostra anomalia, oltre che sterile, rischia di non approdare a nulla, e ossificare il nostro ritardo così come sul vasto capitolo delle riforme, da quelle istituzionali a quelle sul welfare. Il black out dell'altroieri impone più che mai un dialogo costruttivo fra maggioranza e opposizione, rigettando i demoni della discordia, seppellendo una volta per sempre le accuse e le controaccuse su chi ha voluto la nostra dipendenza dall'estero in fatto di energia elettrica.

E' un nonsenso rispolverare oggi la polemica del 1987, quando sulle pulsioni della catastrofe di Chernobyl si consumò quello sciagurato referendum che sancì per l'Italia l'abbandono del nucleare. Per i repubblicani, che allora furono per il mantenimento del nucleare, è forte la tentazione di annullare con un altro plebiscito referendario quel verdetto, ma non lo facciamo soprattutto per i ritardi che comporterebbe tale ricorso. Con il risultato di infliggere al nostro Paese una ulteriore paralisi che non merita. Proprio quella paralisi che verrebbe dai veleni diffusi a piene mani da chi, come il segretario dei Ds Piero Fassino, accusa il governo di non essersi in due anni "mai preoccupato di avanzare una sola proposta in materia di politica energetica"; come se nei sette anni di governo della sinistra si fosse fatto qualcosa in tal senso. Per cui suonano più che opportune le parole pronunciate a Napoli da Carlo Azeglio Ciampi quando ha sottolineato che "non si può ritardare la costruzione di nuove centrali", per cui "tutti hanno il dovere di fare il possibile per assicurare condizioni di sicurezza al Paese (…) indispensabili per il progresso". Progresso che si coniuga appunto anche con l'indipendenza energetica.

Un'indipendenza che per il momento passa soprattutto attraverso il programma che il governo, tramite i ministri delle Infrastrutture e dell'Ambiente, ha messo a punto con il consenso dato alla costruzione di sei centrali elettriche in grado di produrre 16mila megawatt di potenza. L'interesse nazionale vorrebbe che l'opposizione seppellisse l'ascia di guerra consentendo agli enti locali di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la costruzione di quelle altre 11 centrali per le quali al ministero dell'Ambiente si è già conclusa l'istruttoria. Sarebbe il primo passo, significativo, lungo quel processo di disintossicazione cui già guardava oltre due secoli fa Benjamin Constant, quando ammoniva che per uscire dall'inferno del radicalismo giacobino l'opposizione "non è un nemico da schiacciare", ma un avversario da confutare. Forse, per quell'astuzia della storia il black out del 28 settembre sarà servito anche a questo. E in prospettiva, sarà servito per mettere a punto una programmazione energetica che tenga conto di opzioni diversificate, che includano più fonti energetiche: petrolio, gas naturale, carbone, ma soprattutto il sole e il nucleare, che secondo Carlo Rubbia sono le sole forme di energia del futuro. Per fare un esempio, ha detto in un'intervista alla "Stampa" di ieri il premio Nobel per la fisica, che è anche commissario straordinario dell'Enea, "ogni metro quadrato del Sud d'Italia riceve dal Sole l'equivalente di un barile di petrolio, e tuttavia il fotovoltaico odierno ha costi troppo elevati e può funzionare solo per piccole utenze". Certo, con il nucleare attuale, ha spiegato, "ci sono le difficoltà delle scorie e della proliferazione delle armi, e in entrambi i casi, occorrono soluzioni completamente nuove.

Questo significa ricerca, ricerca, ricerca". E significa anche guardare a questi problemi pragmaticamente, senza il velo ideologico che ha caratterizzato negli anni scorsi forze politiche come i Verdi e gran parte della sinistra. Avere demonizzato il nucleare al di là di ogni ragionevolezza, ha condotto al paradosso di un'Italia che si rifornisce di energia prodotta in centrali nucleari localizzate alle nostre frontiere. Un vero capolavoro!

Roma, 29 settembre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
07-10-03, 22:14
http://www.agi.it/img/logo-agi4.gif
Blackout/Nucara: governo in dovere affrontare questione

"Il governo ha il dovere di affrontare la questione energetica in Italia". Lo ha detto il sottosegretario all'ambiente Francesco Nucara intervenendo alla seconda giornata della tavola rotonda con il governo italiano promossa da Business International, giunta alla 14* edizione. Nucara ha detto che "bisogna assolutamente che il Paese si renda indipendente sotto il profilo dell'approvvigionamento energetico. In questo momento pero' non e' possibile garantire molto, perché l'attuale sistema di centrali e' obsoleto, oltreché carente nella produzione di energia e nella distribuzione della stessa". Il sottosegretario all'ambiente ha aggiunto che nel frattempo occorre garantirsi una regolare gestione dell'accordo esistente con i fornitori esteri, in modo tale da disporre del necessario approvvigionamento energetico. Per Nucara alcune cose si possono fare senz'altro sul piano delle fonti rinnovabili ma - ha aggiunto - non sono sicuramente risolutive per quanto riguarda l'energia di cui il paese ha necessità, "perché quello che serve all'impresa è sicuramente una centrale che produca energia. Occorre rendere compatibile l'ambiente con i costi". (http://nuvolarossa.ilcannocchiale.it/)

nuvolarossa
08-10-03, 20:58
Tavola rotonda con il governo italiano organizzata da Business International

"Lineamenti di fondo delle politiche per l'Ambiente"

Intervento del Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente On. Francesco Nucara

Com'è noto, l'attuale Governo ha lanciato in materia ambientale una nuova sfida di carattere politico e culturale.

Per affrontare una situazione ambientale non certo felice, problemi irrisolti che chiamano in causa Governi, Parlamenti, enti locali, si sono prese le distanze dal verbo ambientalista fondamentalista e si è intrapresa una strada che vede come fine ultimo delle preoccupazioni ambientali la conservazione della natura e la qualità della vita umana.

Si è puntato ad attuare modelli di "sviluppo sostenibili", capaci di coniugare sviluppo e ambiente per far fronte ai grandi ritardi infrastrutturali del Paese. Lasciando da parte l'inventiva occasionale che consente di dare risposte ai bisogni e ai problemi immediati, si è preferito lavorare pensando ai bisogni futuri, programmando un modello generale di sviluppo.

Con ciò non si vuole mercificare il valore ambientale o attuare una deregulation in materia ambientale ma puntare a modelli di sviluppo e produzione rispettosi dell'ambiente.

Questa logica è anche alla base del programma ambientale del semestre italiano: l'ambiente non visto come vincolo, obiettivo, ma l'ambiente visto come opportunità.

Il governo attuale ha cercato di dar vita ad un Ministero diverso, non più orientato solo verso i divieti e i controlli ma anche, e soprattutto, verso azioni positive.

E' sotto gli occhi di tutti che i no e i divieti non portano lontano.

Il pedaggio pagato a questo tipo di politica è stato caro, alto il sacrificio dell'interesse collettivo.

Ne è chiara riprova "la madre di tutte le oscurità", il black-out che ha paralizzato qualche giorno fa il nostro Paese.

Un ambientalismo bigotto, qualunquista, antisociale ha impedito di realizzare nuove centrali, all'indomani della scelta poco felice e affrettata di abbandonare il nucleare.

A ragione, oggi si può affermare che negli ultimi vent'anni il problema energetico è stato in primo luogo un problema ideologico.

Vogliamo l'energia, ma i luoghi di produzione vengano collocati il più lontano possibile da noi. Magari sulla luna!

Oggi, in materia energetica la sfida che ci troviamo ad affrontare è quella di far fronte alla crescita di domanda di energia senza aumentare le emissioni di gas serra anzi riducendole nel rispetto dei vincoli imposti dal protocollo di Kyoto, ratificato dall'Italia con la legge 102/2002.

Il Ministero dell'ambiente ha redatto il "Piano Nazionale di riduzione dei gas serra" che permetterà all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas del 6.5% entro il 2008-2012. Gli obiettivi sono ambizioni e prevedono tra l'altro la realizzazione di nuovi impianti a ciclo combinato, nonché, un maggiore uso delle energie rinnovabili. Questi strumenti vengono indicati come vincenti nella lotta ai gas serra anche nel documento finale del vertice di Montecatini fra i Ministri dell'Ambiente e dell'Energia dell'UE.

La strategia "win-win", messa a punto a Montecatini, prevede che le fonti rinnovabili dovranno contribuire entro il 2010 alla produzione del 12% della produzione di elettricità.

In questo settore si sono rafforzati i programmi internazionali di cooperazione scientifica e tecnologica con gli Stati Uniti. L'incontro bilaterale tenuto nei giorni scorsi a Sacramento ha consentito un interscambio di informazioni ed esperienze, in particolare sull'uso delle tecnologie ad idrogeno.

Particolare è anche l'impegno pubblico per lo sviluppo della tecnologia fotovoltaica.

L'impegno riguarda, da un lato, la ricerca e dall'altro, la promozione di quei settori di mercato più vicino alla competitività tecnico-economica.

L'integrazione nelle strutture edilizie di sistemi fotovoltaici viene ritenuta una strada promettente per favorire la riduzione dei costi e mitigare i problemi connessi all'occupazione di territorio causata dalle applicazioni fotovoltaiche tradizionali.

Grande e poi l'attenzione verso una tecnologia tutta italiana: quella dei veicoli a metano. In questa direzione va l'accordo di programma con la Fiat e l'Unione petrolifera.

Secondo l'accordo il Ministero stanzierà 250 milioni di euro cui si aggiungerà uno stanziamento analogo della Fiat per mettere sul mercato 300.000 veicoli a metano. Nelle 21 città interessate dal programma, entro 4 anni, saranno ridotte le polveri del 10% e ci sarà una riduzione considerevole delle emissioni di benzene e CO2.

Questo accordo si inserisce nell'ambito del pacchetto "arie pulite nelle città italiane" per il quale il Ministero ha investito nel biennio 2002-2003 circa 115 milioni di euro.

Le risorse servono a finanziare una serie di interventi strutturali che permettono il miglioramento permanente della qualità dell'aria nei centri urbani. Auto a metano e gpl, car sharing, bus elettrici, tram, sistemi di controllo e informazione sulla mobilità sono alcuni degli interventi su cui il Ministero sta concentrando sforzi e mezzi.

Questo tipo di interventi ci fanno capire come è possibile coniugare le ragioni dell'economia con le ragioni dell'ecologia: sono classici esempio di sviluppo sostenibile. In questa ottica si colloca anche il Protocollo d'intesa, recentemente firmato con Confcommercio, per la diffusione dei sistemi di gestione ambientale con le imprese, il cui obiettivo è quello di coniugare le esigenze di sviluppo delle imprese e la crescita della competitività del sistema-Paese con un maggiore livello di sensibilità ambientale verso il territorio.

Il protocollo prevede uno stanziamento da parte del Ministero finalizzato a sostenere parte dei costi sostenuti dalle piccole e medie imprese per il conseguimento della certificazione ambientale secondo le norme ISO 14001/EMAS.

Sul tema dello sviluppo sostenibile, dopo il vertice mondiale tenuto a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, anche l'Italia si è dotata di una Strategia, che individua per il prossimo decennio i principali obiettivi ed azioni per quattro aree prioritarie:

clima, natura biodiversità, qualità dell'ambiente e della vita negli ambienti urbani; uso sostenibile e gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

La strategia prevede l'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, a partire dalla valutazione ambientale di piani e programmi; l'integrazione del fattore ambientale nei mercati, con la riforma fiscale ecologica nell'ambito della riforma fiscale generale, la considerazione delle esternalità ambientali e la revisione sistematica dei sussidi esistenti, l'integrazione dei meccanismi di contabilità ambientale nella contabilità nazionale; lo sviluppo dei processi di Agenda 21 locale. Ad oggi le amministrazioni italiane interessate dai programmi di Agenda 21 sono oltre 500.

I programmi effettivamente attivati sono 110, cofinanziati dal Ministero, a cui si devono aggiungere quelli attuati da singole realtà locali.

Secondo le indicazioni del Consiglio Europeo del 20 e 21 marzo 2003 la strategia europea per lo sviluppo sostenibile deve, comunque, essere rafforzata attraverso una più decisa e trasversale integrazione della dimensione ambientale nelle politiche di settore. Strumento principale di questa strategia sono gli indicatori di sostenibilità, che devono assumere sia la funzione di criteri di riferimento per la produzione di nuovi modelli produzione e consumo sia quelli di misuratori della crescita economica.

L'estate appena passata sarà ricordata oltre che per i distacchi programmati di energia elettrica, impropriamente definiti black-out energetici, anche per le sconcertanti immagini del Po ed altri fiumi in secca, il conflitto d'uso sulle risorse esigue scaturito fra i vari settori produttivi.

Immagini che ci fanno capire lo stress idrico da cui è afflitto il bel Paese.

La crisi idrica oltre che in fattori di carattere antropico come il mutamento climatico, oltre che nella inadeguatezza degli strumenti esistenti davanti alla complessità del problema, trova una delle sue cause nell'eccessivo prelievo rispetto alla disponibilità di risorse.

In aiuto all'emergenza siccità il Ministero dell'Ambiente ha varato il decreto del 21-08-03, che detta norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue depurate.

Obiettivo del provvedimento è la limitazione del prelievo delle acque superficiali e sotterranee, la riduzione dell'impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori, e il risparmio attraverso l'utilizzo multiplo delle acque reflue.

Tutto ciò per tutelare la qualità e la quantità delle risorse idriche italiane.

Alcune regioni hanno già comunicato al Ministero la loro volontà di riutilizzare le acque reflue depurate.

Accordi di programma sono già stati stipulati con Puglia e Lazio.

Voglio inoltre ricordare che la riorganizzazione del settore idrico ha registrato negli ultimi tempi una forte accelerazione.

Sul futuro del settore per l'affidamento del servizio, pesava come si sa l'incognita della riforma dei servizi pubblici locali. Con lo stralcio della riforma della legge delega ambientale ed il suo successivo reinserimento nel maxi decreto collegato alla finanziaria, il futuro del servizio idrico viene riportato sotto il regime esclusivo della legge Galli, con l'unica variante ormai certa che l'affidamento dovrà avvenire attraverso procedure di evidenza pubblica.

Altra priorità del Governo è il risanamento idrogeologico, un campo in cui il Paese ha accumulato enormi ritardi a causa di politiche territoriali a volte completamente assenti, in cui è vitale uscire dalla logica di emergenza, una logica che porta ad organizzare interventi veramente dispendiosi che non possono mai essere veramente risolutivi.

La logica deve essere quella di evitare e prevenire tali eventi. La stessa logica che guida il programma di interventi e messa in sicurezza del territorio nazionale dal dissesto idrogeologico, per il quale il collegato alla finanziaria prevede la destinazione di una ingente somma.

Il Ministero ha, inoltre, siglato vari accordi di programma per l'eco-risanamento di zone del territorio minacciate dall'erosione e dal degrado.

Da ultimo si segnala l'accordo di programma per l'eco risanamento del litorale di Termini Imerese, accordo con il quale si mira anche a rilanciare le attività economiche e lo sviluppo in campo occupazionale.

In merito alle aree protette, viste oggi come occasione di crescita e di progresso per la popolazione, si sta lavorando per aumentare l'efficacia operativa degli enti che le gestiscono e per aumentare la stessa superficie protetta.

Di recente, si è avviato l'iter per la costituzione del Parco dell'Alta Murgia. Non possiamo che dichiararci soddisfatti per il fatto che le aree protette e naturali siano state escluse e preservate dalla necessità di "fare cassa" con il condono.

Concludendo, voglio ricordare l'importanza che il Parlamento approvi al più presto la legge delega ambientale per poter realizzare la grande scommessa di questo governo, attraverso l'adozione di una serie di testi unici per dare certezza alle situazioni giuridiche, semplificare, chiarire la normativa ambientale, realizzare gli obiettivi stabiliti per avanzare sulla strada dello sviluppo sostenibile.

Roma, 7 ottobre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
08-10-03, 21:05
Fu una sconfitta per il Paese

Il ricordo dell'ex presidente dell'Azienda Energetica milanese Giacomo Properzj

MILANO - Chissà dov'è finita quella ragazzina di circa sedici anni che, in piedi su una sedia, mi gridava: "Assassino, tu vuoi farci morire tutti!" Era la primavera del 1987 e nell'aula magna del liceo Berchet si svolgeva un tumultuoso dibattito in relazione al referendum sull'energia nucleare che di lì a pochi giorni si sarebbe celebrato in tutta Italia.

Io, che ero allora Presidente dell'AEM, sostenevo le tesi dei nuclearisti contro il divampare dell'emotività antinuclearista dovuta all'incidente di Chernobyl. Il referendum, come si ricorderà, fu vinto dagli antinuclearisti con l'80% dei consensi e da allora in Italia non si possono più costruire centrali nucleari e sono state smantellate, con gravi costi, quelle che c'erano. Il referendum era stato promosso da Martelli e Pannella che ora tacciono imbarazzati perché l'Italia è costretta a comperare dalla Francia il 20% dell'energia elettrica (prodotta con sistemi nucleari) e un banale incidente può provocare un blackout a livello nazionale. Nel frattempo, in tutto il mondo, le centrali elettriche nucleari moderne sono diventate più sicure e meno inquinanti delle altre e l'Italia, tra l'altro, era un paese che aveva sviluppato una buona tecnologia nucleare ora, in gran parte, perduta.

Allora, come oggi, "Il Giorno" mi diede spazio per sostenere queste idee che sono rimaste le stesse e, purtroppo, sino ad oggi, minoritarie nel Paese: quella ragazza urlante sarà ormai una signora di circa 32 anni, probabilmente sposata e preoccupata che i suoi figli, crescendo, si vengano a trovare in un Paese tecnologicamente in declino e destinato all'emarginazione.

Chissà se adesso parteciperebbe a un referendum inverso, destinato ad abrogare le leggi che vietano l'utilizzo del nucleare per la produzione elettrica, fermare lo smantellamento delle centrali esistenti e provvedere alla loro ricostruzione? Questa è la strada, insieme a quella di ultimare le centrali in via di edificazione, per riportare il nostro Paese verso una capacità autonoma di produzione di energia elettrica, sufficiente a provvedere alle necessità dei consumi interni.

Altri sistemi di produzione elettrica sono marginali, fatto salvo per le celle combustibili ad idrogeno (fuel cells), già sperimentate, a suo tempo, dall'AEM e sulla cui strada gli attuali, opulenti amministratori dell'azienda farebbero bene a proseguire. Quali saranno, tra le modeste forze politiche della seconda Repubblica, quelle che avranno il coraggio di questa scelta revisionista? Per ora, purtroppo, non si vede che l'agitarsi anodino di personaggi caricaturali alla televisione.

Giacomo Properzj
Segretario cittadino
del Pri di MILANO

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
10-10-03, 02:19
Tavola rotonda con il governo italiano organizzata da Business International

"Lineamenti di fondo delle politiche per l'Ambiente"

Intervento del Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente On. Francesco Nucara

Com'è noto, l'attuale Governo ha lanciato in materia ambientale una nuova sfida di carattere politico e culturale.

Per affrontare una situazione ambientale non certo felice, problemi irrisolti che chiamano in causa Governi, Parlamenti, enti locali, si sono prese le distanze dal verbo ambientalista fondamentalista e si è intrapresa una strada che vede come fine ultimo delle preoccupazioni ambientali la conservazione della natura e la qualità della vita umana.

Si è puntato ad attuare modelli di "sviluppo sostenibili", capaci di coniugare sviluppo e ambiente per far fronte ai grandi ritardi infrastrutturali del Paese. Lasciando da parte l'inventiva occasionale che consente di dare risposte ai bisogni e ai problemi immediati, si è preferito lavorare pensando ai bisogni futuri, programmando un modello generale di sviluppo.

Con ciò non si vuole mercificare il valore ambientale o attuare una deregulation in materia ambientale ma puntare a modelli di sviluppo e produzione rispettosi dell'ambiente.

Questa logica è anche alla base del programma ambientale del semestre italiano: l'ambiente non visto come vincolo, obiettivo, ma l'ambiente visto come opportunità.

Il governo attuale ha cercato di dar vita ad un Ministero diverso, non più orientato solo verso i divieti e i controlli ma anche, e soprattutto, verso azioni positive.

E' sotto gli occhi di tutti che i no e i divieti non portano lontano.

Il pedaggio pagato a questo tipo di politica è stato caro, alto il sacrificio dell'interesse collettivo.

Ne è chiara riprova "la madre di tutte le oscurità", il black-out che ha paralizzato qualche giorno fa il nostro Paese.

Un ambientalismo bigotto, qualunquista, antisociale ha impedito di realizzare nuove centrali, all'indomani della scelta poco felice e affrettata di abbandonare il nucleare.

A ragione, oggi si può affermare che negli ultimi vent'anni il problema energetico è stato in primo luogo un problema ideologico.

Vogliamo l'energia, ma i luoghi di produzione vengano collocati il più lontano possibile da noi. Magari sulla luna!

Oggi, in materia energetica la sfida che ci troviamo ad affrontare è quella di far fronte alla crescita di domanda di energia senza aumentare le emissioni di gas serra anzi riducendole nel rispetto dei vincoli imposti dal protocollo di Kyoto, ratificato dall'Italia con la legge 102/2002.

Il Ministero dell'ambiente ha redatto il "Piano Nazionale di riduzione dei gas serra" che permetterà all'Italia di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas del 6.5% entro il 2008-2012. Gli obiettivi sono ambizioni e prevedono tra l'altro la realizzazione di nuovi impianti a ciclo combinato, nonché, un maggiore uso delle energie rinnovabili. Questi strumenti vengono indicati come vincenti nella lotta ai gas serra anche nel documento finale del vertice di Montecatini fra i Ministri dell'Ambiente e dell'Energia dell'UE.

La strategia "win-win", messa a punto a Montecatini, prevede che le fonti rinnovabili dovranno contribuire entro il 2010 alla produzione del 12% della produzione di elettricità.

In questo settore si sono rafforzati i programmi internazionali di cooperazione scientifica e tecnologica con gli Stati Uniti. L'incontro bilaterale tenuto nei giorni scorsi a Sacramento ha consentito un interscambio di informazioni ed esperienze, in particolare sull'uso delle tecnologie ad idrogeno.

Particolare è anche l'impegno pubblico per lo sviluppo della tecnologia fotovoltaica.

L'impegno riguarda, da un lato, la ricerca e dall'altro, la promozione di quei settori di mercato più vicino alla competitività tecnico-economica.

L'integrazione nelle strutture edilizie di sistemi fotovoltaici viene ritenuta una strada promettente per favorire la riduzione dei costi e mitigare i problemi connessi all'occupazione di territorio causata dalle applicazioni fotovoltaiche tradizionali.

Grande e poi l'attenzione verso una tecnologia tutta italiana: quella dei veicoli a metano. In questa direzione va l'accordo di programma con la Fiat e l'Unione petrolifera.

Secondo l'accordo il Ministero stanzierà 250 milioni di euro cui si aggiungerà uno stanziamento analogo della Fiat per mettere sul mercato 300.000 veicoli a metano. Nelle 21 città interessate dal programma, entro 4 anni, saranno ridotte le polveri del 10% e ci sarà una riduzione considerevole delle emissioni di benzene e CO2.

Questo accordo si inserisce nell'ambito del pacchetto "arie pulite nelle città italiane" per il quale il Ministero ha investito nel biennio 2002-2003 circa 115 milioni di euro.

Le risorse servono a finanziare una serie di interventi strutturali che permettono il miglioramento permanente della qualità dell'aria nei centri urbani. Auto a metano e gpl, car sharing, bus elettrici, tram, sistemi di controllo e informazione sulla mobilità sono alcuni degli interventi su cui il Ministero sta concentrando sforzi e mezzi.

Questo tipo di interventi ci fanno capire come è possibile coniugare le ragioni dell'economia con le ragioni dell'ecologia: sono classici esempio di sviluppo sostenibile. In questa ottica si colloca anche il Protocollo d'intesa, recentemente firmato con Confcommercio, per la diffusione dei sistemi di gestione ambientale con le imprese, il cui obiettivo è quello di coniugare le esigenze di sviluppo delle imprese e la crescita della competitività del sistema-Paese con un maggiore livello di sensibilità ambientale verso il territorio.

Il protocollo prevede uno stanziamento da parte del Ministero finalizzato a sostenere parte dei costi sostenuti dalle piccole e medie imprese per il conseguimento della certificazione ambientale secondo le norme ISO 14001/EMAS.

Sul tema dello sviluppo sostenibile, dopo il vertice mondiale tenuto a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, anche l'Italia si è dotata di una Strategia, che individua per il prossimo decennio i principali obiettivi ed azioni per quattro aree prioritarie:

clima, natura biodiversità, qualità dell'ambiente e della vita negli ambienti urbani; uso sostenibile e gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

La strategia prevede l'integrazione del fattore ambientale in tutte le politiche di settore, a partire dalla valutazione ambientale di piani e programmi; l'integrazione del fattore ambientale nei mercati, con la riforma fiscale ecologica nell'ambito della riforma fiscale generale, la considerazione delle esternalità ambientali e la revisione sistematica dei sussidi esistenti, l'integrazione dei meccanismi di contabilità ambientale nella contabilità nazionale; lo sviluppo dei processi di Agenda 21 locale. Ad oggi le amministrazioni italiane interessate dai programmi di Agenda 21 sono oltre 500.

I programmi effettivamente attivati sono 110, cofinanziati dal Ministero, a cui si devono aggiungere quelli attuati da singole realtà locali.

Secondo le indicazioni del Consiglio Europeo del 20 e 21 marzo 2003 la strategia europea per lo sviluppo sostenibile deve, comunque, essere rafforzata attraverso una più decisa e trasversale integrazione della dimensione ambientale nelle politiche di settore. Strumento principale di questa strategia sono gli indicatori di sostenibilità, che devono assumere sia la funzione di criteri di riferimento per la produzione di nuovi modelli produzione e consumo sia quelli di misuratori della crescita economica.

L'estate appena passata sarà ricordata oltre che per i distacchi programmati di energia elettrica, impropriamente definiti black-out energetici, anche per le sconcertanti immagini del Po ed altri fiumi in secca, il conflitto d'uso sulle risorse esigue scaturito fra i vari settori produttivi.

Immagini che ci fanno capire lo stress idrico da cui è afflitto il bel Paese.

La crisi idrica oltre che in fattori di carattere antropico come il mutamento climatico, oltre che nella inadeguatezza degli strumenti esistenti davanti alla complessità del problema, trova una delle sue cause nell'eccessivo prelievo rispetto alla disponibilità di risorse.

In aiuto all'emergenza siccità il Ministero dell'Ambiente ha varato il decreto del 21-08-03, che detta norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue depurate.

Obiettivo del provvedimento è la limitazione del prelievo delle acque superficiali e sotterranee, la riduzione dell'impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori, e il risparmio attraverso l'utilizzo multiplo delle acque reflue.

Tutto ciò per tutelare la qualità e la quantità delle risorse idriche italiane.

Alcune regioni hanno già comunicato al Ministero la loro volontà di riutilizzare le acque reflue depurate.

Accordi di programma sono già stati stipulati con Puglia e Lazio.

Voglio inoltre ricordare che la riorganizzazione del settore idrico ha registrato negli ultimi tempi una forte accelerazione.

Sul futuro del settore per l'affidamento del servizio, pesava come si sa l'incognita della riforma dei servizi pubblici locali. Con lo stralcio della riforma della legge delega ambientale ed il suo successivo reinserimento nel maxi decreto collegato alla finanziaria, il futuro del servizio idrico viene riportato sotto il regime esclusivo della legge Galli, con l'unica variante ormai certa che l'affidamento dovrà avvenire attraverso procedure di evidenza pubblica.

Altra priorità del Governo è il risanamento idrogeologico, un campo in cui il Paese ha accumulato enormi ritardi a causa di politiche territoriali a volte completamente assenti, in cui è vitale uscire dalla logica di emergenza, una logica che porta ad organizzare interventi veramente dispendiosi che non possono mai essere veramente risolutivi.

La logica deve essere quella di evitare e prevenire tali eventi. La stessa logica che guida il programma di interventi e messa in sicurezza del territorio nazionale dal dissesto idrogeologico, per il quale il collegato alla finanziaria prevede la destinazione di una ingente somma.

Il Ministero ha, inoltre, siglato vari accordi di programma per l'eco-risanamento di zone del territorio minacciate dall'erosione e dal degrado.

Da ultimo si segnala l'accordo di programma per l'eco risanamento del litorale di Termini Imerese, accordo con il quale si mira anche a rilanciare le attività economiche e lo sviluppo in campo occupazionale.

In merito alle aree protette, viste oggi come occasione di crescita e di progresso per la popolazione, si sta lavorando per aumentare l'efficacia operativa degli enti che le gestiscono e per aumentare la stessa superficie protetta.

Di recente, si è avviato l'iter per la costituzione del Parco dell'Alta Murgia. Non possiamo che dichiararci soddisfatti per il fatto che le aree protette e naturali siano state escluse e preservate dalla necessità di "fare cassa" con il condono.

Concludendo, voglio ricordare l'importanza che il Parlamento approvi al più presto la legge delega ambientale per poter realizzare la grande scommessa di questo governo, attraverso l'adozione di una serie di testi unici per dare certezza alle situazioni giuridiche, semplificare, chiarire la normativa ambientale, realizzare gli obiettivi stabiliti per avanzare sulla strada dello sviluppo sostenibile.

Roma, 7 ottobre 2003

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
23-10-03, 22:11
Non possiamo perdere il treno dei biodistretti

L'Italia non può perdere il treno dei biodistretti perché così si rischia di restare indietro nello sviluppo del Paese. Lo spiega alla "Voce repubblicana" il professor Umberto Rosa, presidente e amministratore delegato del gruppo Snia, leader mondiale nelle tecnologie mediche, il quale appoggia la proposta del senatore Del Pennino sui biodistretti tecnologici.

Presidente Rosa, l'industria biotecnologica negli ultimi anni si è sviluppata all'estero e soprattutto negli Usa. Crede che i distretti biotecnologici siano una grossa occasione di sviluppo nel nostro paese?

"L'industria biotecnologica si è andata sviluppando enormemente nel mondo e negli Stati Uniti, in alcuni Paesi europei, e non da noi. L'iniziativa sui biodistretti è una delle condizioni perché il fenomeno possa entrare anche in casa nostra".

Crede che questo gap che si sta creando sia un danno enorme per l'economia italiana?

"Non voglio drammatizzare la situazione, ma il danno c'è. Le biotecnologie sono una classica tecnologia di tipo trasversale che abbraccia principalmente l'industria farmaceutica, ma tocca anche l'area agroalimentare che nel nostro Paese è industrialmente importante, così come riguarda anche l'area delle tecnologie ambientali. Ritengo che perdere questo treno sia un grosso danno per il Paese. Abbiamo una ricerca di base nel settore che è la condizione necessaria per poter attivare l'industria tecnologica, di buon livello".

Come giudica il disegno del senatore Del Pennino sui biodistretti?

"Conosco la proposta perfettamente perché ne ho parlato con il senatore Del Pennino e la trovo completa ed intelligente. La proposta dice di finanziare in cinque Regioni la nascita di altrettanti biodistretti. Per biodistretti si intendono una serie di strutture essenziali affinché dalla ricerca di base possa nascere l'industria biotecnologica".

Pensa che lo Stato debba incentivare la nascita dei biodistretti o crede che le imprese possano fare da sole?

"Il sistema industriale italiano, come tutti sanno, sta soffrendo di carenza di competitività. Nel settore di high technology siamo modesti e fragili. Senza un supporto da parte dello Stato, credo che la nascita delle industrie tecnologiche in Italia non avverrà. Le ricordo che la decisione di voler far nascere un distretto tecnologico in un determinato luogo del Paese dipende anche da una scelta strategica delle forze locali: le Regioni, le Province e i Comuni, le banche e le fondazioni bancarie locali. Ci deve essere un intervento dello Stato centrale ad innescare il processo. Questa è la parte positiva della legge Del Pennino. Ritengo che localmente venga fatta la scelta strategica di puntare sulle biotecnologie. Si chiude un circolo vizioso".

Pensa che nelle Regioni sia presente la capacità di capire questa esigenza di adeguamento dello sviluppo industriale? Conosciamo il Presidente della Regione Formigoni e sappiamo che è molto attento a questo tipo di sforzo, ma ci sono anche realtà come il Piemonte dove certe iniziative sono state bloccate.

"Posso esprimere dei giudizi sulla Lombardia. Vivo qui e confermo quello che diceva su Formigoni. Lo è anche sul problema delle biotecnologie. La Lombardia è la regione che ha più probabilità di farcela rispetto all'obiettivo strategico di sviluppare un'industria biotecnologica. Un ottimo lavoro è in corso in Campania, dove il professor Nicolai sta facendo un grande lavoro. Per quanto riguarda il Piemonte non ho compreso il motivo per il quale il Presidente Ghigo abbia scelto una soluzione perdente bruciando le coltivazioni Ogm. Resta il fatto che la Lombardia è una Regione interessata alle biotecnologie".

Alla base di certe scelte ci sono delle motivazioni di carattere etico. Non sto qui a soffermarmi sull'etica salvifica del dolore e della sofferenza imposta dai cattolici, che ha bloccato la ricerca scientifica, ma crede che certe impostazioni dettate dalla fede di alcuni politici abbiano fermato lo sviluppo dell'industria?

"Questo è il limite. La scelta del Piemonte sugli Ogm è stata dettata considerazioni rispettabili, ma scientificamente insostenibili. Non credo che questo voglia dire che il Presidente della Regione Piemonte sia contro ogni forma di sviluppo industriale e di ricerca. Nel caso specifico è stato fatto un grave errore".

C'è ancora un margine per superare il gap che si sta formando con gli altri Paesi sui biodistretti?

"Secondo me sì. Come le dicevo, abbiamo una struttura di ricerca di livello confrontabile rispetto a quella di Paesi come la Germania o la Francia nel settore che può dare origine all'industria biotecnologica. Se aspettiamo un certo numeri di anni il trend è perduto".

(a cura di l. p.)

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
30-10-03, 20:29
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Bologna lunedì 3 novembre h. 17,00
Cappella Farnese
Piazza Maggiore 6

Tavola rotonda:
"l'Uomo e l'Acqua, dalla sacralità alla mercificazione, (è possibile una via di ritorno?)"

Sarà presente il Sottosegretario all'Ambiente
Francesco Nucara

nuvolarossa
30-10-03, 20:31
Reggio Calabria venerdì 31 ottobre h. 10,30
Aula Magna della Facoltà di Architettura

Cerimonia di presentazione del "Master ambientale con specializzazione in edilizia sostenibile"

Interverrà il Sottosegretario all'Ambiente
Francesco Nucara

nuvolarossa
06-11-03, 23:03
Napoli lunedì 10 novembre h. 17,30
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Palazzo Serra di Cassano
Via Monte di Dio, 14-Napoli

Organizzato dal CE.R.G.E.
Centro per le Ricerche Giuridiche ed Economiche

Convegno:
"Ambiente ed Attività Produttive: una simbiosi possibile"

Saluti
Avv. Prof. Massimo Scalfati Presidente del CE.R.G.E.

Introduzione
Avv. Annibale Bruno Frizzato

Relatori
On. Dott. Italico Santoro Economista
Dott. Pietro Micillo Presidente provinciale Confagricoltura-Napoli
Prof. Avv. Francesco M. Cervelli Docente di Legislazione del turismo-Università Federico II-Napoli

Conclusioni
On. Arch. Francesco Nucara Sottosegretario Ministero dell'Ambiente

nuvolarossa
08-11-03, 12:43
Contributi per le bonifiche e nostalgia del 'nucleare'

RAVENNA - Fra i temi affrontati dal sottosegretario Nucara c'è anche la questione della bonifica ambientali di terreni industriali 'dismessi'; che a Ravenna significa ex Sarom e il comparto petrolchimico. «Il Cipe ha stanziato per interventi in Italia di questo tipo 150 milioni di euro. Dovranno essere i soggetti interessati, ovvero le aziende, a chiedere il contributo dello Stato. Oppure, in loro vece, i Comuni, che dovranno acquisire quelle aree. Però devono attivarsi in prima persona». C'è un altro problema molto sentito nei territori di Ravenna e Forlì: quello dell'impatto ambientale che potrebbe avere la centrale termoelettrica di Durazzanino, alimentata a metano . «Senza entrare nello specifico, deve essere chiaro come il Pri nazionale sia a favore degli impianti per la produzione di energia. Anzi dovremmo riaprire al 'nucleare' per non continuare a essere dipendenti dalla produzione estera. E' indispensabile — aggiunge Francesco Nucara — se si vuole davvero lo sviluppo del paese. Per rendere accessibile la produzione di una centrale nucleare occorrono però dai 10 ai 15 anni e noi abbiamo perso le tecnologie per una scelta politica che ha impedito alle nostre grandi aziende, come l'Ansaldo, di farle anche all'estero».

nuvolarossa
26-11-03, 14:02
Pavia, la proposta presentata in Regione: sono indispensabili ma brutte.
Bisogna migliorare l´aspetto estetico

«Le centrali? Facciamole firmare dai grandi architetti»

PAVIA - «Le centrali elettriche? Sono necessarie, anche se brutte. Per
limitare l´impatto ambientale e visivo potremmo farle progettare da famosi
architetti come Renzo Piano, che ha già recuperato lo spazio del Lingotto di
Torino. La proposta è sul tavolo del presidente della Regione e su quello
della commissione ministeriale per l´Ambiente». Luca Sforzini, consigliere
nazionale del Partito repubblicano, non ha dubbi sul futuro energetico
lombardo e alcuni giorni fa ha studiato, con alcuni esperti del settore, una
proposta che è piaciuta anche ai vertici del Pirellone: centrali «griffate»
che limitino l´impatto ambientale e non rovinino il panorama. Spiega
Sforzini: «L´Occidente industrializzato pone in cima alle proprie
preoccupazioni la sicurezza delle centrali e la riduzione al minimo delle
ricadute ambientali. Fondamentale è stato il contributo degli ecologisti:
sensibilità e, a volte, giuste proteste che sono ormai un dato acquisito.
Ora il nuovo fronte da aprire è quello volto ad armonizzare le centrali con
il paesaggio. Siano elettriche o nucleari, infatti, le centrali sono orrendi
mostri di cemento, acciaio e ciminiere. Un problema d´impatto estetico, più
che ambientale. Ma non possiamo farne a meno: da lombardo, vorrei che la mia
regione avesse un ruolo guida nel far fronte ai bisogni energetici nazionali
e che sfruttasse quest´opportunità per attirare insediamenti produttivi».
Insomma, sì a centrali funzionali e rispettose del panorama. «È innegabile
che non è piacevole trovarsi vicino a casa ciminiere alte come palazzi di
venti piani - prosegue Sforzini -. Non è soltanto un discorso estetico: il
valore degli immobili su cui incombe la costruzione di un polo energetico
può precipitare. Se Renzo Piano ha lavorato alla riconversione del
"Lingotto" e architetti di grande calibro si occupano di progettare la nuova
Fiera di Milano, perché non possiamo cominciare a trattare le centrali come
qualunque altra costruzione? Perché non chiamare grandi architetti a
occuparsi dell´armonizzazione con l´ambiente? Si spenderebbe un po´ di più,
ma la ricaduta positiva per la collettività sarebbe enorme. Si fa spesso
riferimento alle centrali come a "cattedrali" fra i campi. E forse proprio
delle "cattedrali" del terzo millennio stiamo parlando».
La proposta del Pri, però, non trova d´accordo gli ambientalisti che, sulla
costruzione delle tre centrali pavesi, ad esempio, rimarranno contrari anche
nel caso in cui dovessero essere progettate da famosi architetti. «Non è
l´impatto estetico che ci preoccupa - sottolinea Legambiente -, ma quello
ambientale. Costruire tre centrali in un fazzoletto di terra di pochi
chilometri quadrati è una follia a cui ci opporremo con tutte le forze».

Giuseppe Spatola

La scheda

LA PROPOSTA

Il consigliere nazionale del Pri Luca Sforzini ha presentato
alla Regione Lombardia un piano che prevede la costruzione di «centrali
griffate». L´intento è quello di affidare a grandi architetti la
progettazione degli impianti in modo da limitare al massimo l´impatto
ambientale e visivo sul panorama. Questo tipo di intervento manterrebbe
invariato anche il prezzo degli immobili che sorgono a ridosso dei poli
energetici

LE REAZIONI

Legambiente ha risposto in maniera fredda alla proposta del Pri, sostenendo
la linea dura contro ogni nuova centrale elettrica (nel Pavese sono tre gli
impianti in costruzione). Il costo ambientale sarebbe troppo alto e neppure
centrali abbellite da famosi architetti servirebbero a limitare i danni al
territorio

nuvolarossa
01-12-03, 13:32
Il pavese Luca Sforzini spiega la proposta

«Torniamo al nucleare» Un referendum del Pri ?

PAVIA. Nel Pri torna prepotente la voglia di nucleare. E dalle parole si potrebbe passare ai fatti riaccendendo, se già ce ne fosse bisogno dopo la recente bagarre sul caso Scanzano, il dibattito infuocato che negli anni Ottanta sfociò nel referendum stravinto dagli anti nuclearisti. I nuclearisti però tornano a farsi sentire proprio in provincia di Pavia. Solo poche settimane fa, proprio sulla «Provincia pavese», il Segretario nazionale del Pri e Sottosegretario all’ambiente Francesco Nucara aveva decisamente propsto l’opzione nucleare. Anche l’ex presidente dell’Aem Giacomo Properzy, segretario cittadino del Pri milanese, ha rilanciato la questione. A farsene portavoce è ora il pavese Luca Sforzini dirigente regionale del Pri. Con lui un rapido botta e risposta.

Allora Sforzini, il Pri riprende la battaglia sul nucleare. E parlate pure di referendum: non sembra proprio il momento viste le sollevazioni che si accendono al solo pronunciare la parola...

«Proprio in queste ore il ministro Matteoli ammette sottovoce che il problema delle scorie è solo rinviato. Fra 12 mesi ci sarà una nuova rivolta? Serve una analisi serena e coraggiosa. Il referendum sul nucleare del 1987 va superato. Sono maturi i tempi per un nuovo referendum. Non si governa l’Italia cavalcando l’onda emotiva: la demagogia e le strumentalizzazioni ci impoveriscono ed ipotecano il nostro futuro».

Non crede che siano argomenti...impopolari?

«Riportare l’opzione nucleare al centro del dibattito politico, è oggi una scelta di serietà. Anche alla luce delle vicende internazionali, risulta evidente come l’Occidente industrializzato, ed il nostro Paese in particolare, non possa restare in balìa degli umori e degli equilibri politici del Medio Oriente per provvedere al proprio fabbisogno energetico: questa, tra le altre, una delle debolezze delle centrali termoelettriche basate sul petrolio».

Si dice che il nucleare non è affatto il futuro. Lei che dice?

«Il rilancio del nucleare è anche occasione per rilanciare la ricerca nel nostro Paese, troppo spesso mortificata da scelte politiche miopi. L’Italia ha assistito, nel quindicennio passato, alla “fuga all’estero” dei cervelli che ci avevano portato all’avanguardia nelle tecniche di realizzazione. Una sciagura per la nostra competitività internazionale».

Il Pri punta molto su questa sfida?

«E’ una scelta di coerenza per il Partito Repubblicano, che già sedici anni fa, sfidando l’impopolarità, cercò di arginare l’ondata emotiva conseguente all’incidente di Chernobyl. Fu una posizione lungimirante. Oggi, torniamo a lanciare un sasso nello stagno».

nuvolarossa
02-12-03, 13:44
NUCLEARE : SFORZINI ( PRI ), E’ TEMPO DI NUOVO REFERENDUM

( ANSA ) – PAVIA, 29 NOV – Il Partito Repubblicano Italiano è pronto a lanciare un referendum per il ripristino dell’energia nucleare in Italia. Lo ha reso noto Luca Sforzini, pavese, esponente dell’ esecutivo regionale dell’ Edera. <<Il referendum sul nucleare del 1987 va superato : sono maturi i tempi per una nuova consultazione – ha detto Sforzini -. Riportare l’opzione nucleare al centro di dibattito politico è oggi una scelta di serietà. Anche alla luce delle vicende internazionali, risulta evidente come l’occidente industrializzato, ed il nostro Paese in particolare, non possa restare in balia degli umori e degli equilibri politici del medio oriente per provvedere al proprio fabbisogno energetico>>.
<<Il rilancio del nucleare – ha aggiunto Sforzini – è anche un’occasione per rilanciare la ricerca nel nostro paese, troppo spesso mortificata da scelte politiche miopi. L’Italia ha assistito, nel quindicennio passato, alla fuga all’estero dei cervelli che ci avevano portato all’avanguardia nelle tecniche di realizzazione. Il nucleare rappresenta infine una scelta di coerenza per il partito Repubblicano, che già 16 anni fa, sfidando l’impopolarità, cercò di arginare l’ondata emotiva conseguenze all’incidente di Chernobyl. Fu una posizione lungimirante. Oggi torniamo a lanciare un sasso nello stagno>>.

nuvolarossa
04-12-03, 20:02
TRASPORTI : SCIOPERI ; SFORZINI ( PRI ), HA RAGIONE MARONI URGENTE PORRE MANO ALLA LEGISLAZIONE

MILANO, 4 DIC – <<Ha ragione il Ministro Maroni : è urgente porre mano alla legislazione in materia di sciopero. A poco serve, però, minacciare inasprimenti delle sanzioni che quasi mai vengono applicate. Il vero nodo da sciogliere è l’effettiva rappresentatività dei Sindacati>>. E’ quanto afferma Luca Sforzini, dell’esecutivo lombardo del Pri. <<La protesta degli autoferrotranvieri – continua Sforzini in una nota -, paralizzando Milano ci ha lasciato un’unica certezza: i Sindacati vengono ormai scavalcati. Per salvare il diritto allo sciopero, va rivista la titolarità a proclamare agitazioni >>.

<<Minacciare sanzioni più severe – conclude l’esponente del Partito repubblicano - è come sventolare il babau : non ci crede più nessuno. Occorre invece una diversa regolamentazione del diritto di sciopero. Finora, le norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali sono state dettate da una visione consociativa delle relazioni industriali. La paralisi di Milano ci dimostra che quell’impostazione ha fatto il suo tempo >>.

nuvolarossa
16-12-03, 15:47
«Niente scorie, parola del governo»

porto empedocle.
Il sottosegretario all'Ambiente, Nucara, tranquillizza tutti

PRTO EMPEDOCLE - Il sindaco Paolo Ferrara, il senatore Giuseppe Ruvolo e i capigruppo in Consiglio comunale sono andati a Roma a prendere un «tranquillante».
La folta delegazione empedoclina è giunta ieri mattina nella capitale per ricevere rassicurazioni dal sottosegretario al ministero dell'Ambiente, Francesco Nucara, sul paventato stoccaggio di scorie nucleari nell'area industriale ex Montedison, ricadente nel distretto minerario che fa capo a Realmonte.
Una vicenda che nei giorni scorsi ha fatto sollevare un polverone, con diversi rappresentanti del mondo politico e istituzionale attivatisi con prese di posizione più o meno concrete. Col chiaro intento di capire cosa stia accadendo, Ferrara, Ruvolo e i consiglieri comunali hanno avuto un lungo incontro con il viceministro, nel corso del quale hanno messo sul tavolo tutti i loro argomenti.
Dopo un'attesa di alcune ore dietro la porta del sottosegretario, la tavola rotonda è iniziata quasi all'ora di pranzo, con la delegazione empedoclina che ha potuto snocciolare tutto quanto può contribuire a non far piazzare nell'area industriale dismessa le scorie atomiche prodotte nell'Unione europea.
Per mettere subito in chiaro alcuni aspetti della vicenda, Ferrara ha detto a Nucara che «laddove oggi c'è un cimitero industriale sorgeranno alberghi e piscine. Non è possibile considerare Porto Empedocle pattumiera d'Italia, così come Realmonte dove esiste uno dei pochi stabilimenti industriali attivi della nostra provincia».
Detto questo e sottolineato come l'area industriale ex Montedison ricada a 500 metri dal centro abitato, è toccato al sottosegretario Nucara rassicurare la delegazione.
«Ci ha rinnovato - ha detto Ferrara - l'intendimento del Governo che è quello di cercare un sito dove stoccare le scorie. E' ancora in corso la fase dell'organizzazione di una commissione speciale composta da 14 elementi super esperti, i quali gireranno l'Italia per trovare il sito ideale che dovrà essere obbligatoriamente una miniera dismessa. Entro gennaio questa commissione verrà realizzata e comincerà il proprio tour che toccherà anche le nostre zone. Non c'è assolutamente alcun allarme - ha rilanciato il sindaco - ed è stato lo stesso sottosegretario a confermarlo ufficialmente».
E proprio nel giorno in cui il pericoloso fantasma delle scorie nucleari pare si stia allontanando, nel corso dell'incontro romano sono state anche gettate le basi per organizzare un importante convegno sull'ambiente da svolgersi proprio nella città di Porto Empedocle.

Francesco Di Mare

nuvolarossa
30-12-03, 19:39
Reggio Calabria/"Schema Menta" risolutivo per il problema idrico/Le riunioni sono state promosse dal sottosegretario all'Ambiente Nucara

Eliminare gli ostacoli tecnici e finanziari

Su richiesta del Sottosegretario Francesco Nucara si è svolta a Roma presso il Ministero dell'Ambiente una riunione tesa ad affrontare il problema del sistema idrico del Menta.

La riunione cui hanno partecipato il Presidente della Provincia on. Pietro Fuda, il Sindaco di Reggio Calabria on. Giuseppe Scopelliti, il Vice Sindaco Gianni Rizzica, il progettista del "sistema Menta" ing. Antonio Brath e l'ing. Sandro Fabiano commissario per la valutazione di impatto ambientale, era stata preceduta da un incontro, sempre sullo stesso argomento, con l'Assessore regionale ai LL.PP. ing. Giovanni Grimaldi e l'ing. Domenico Barrile.

Nel corso della riunione sono stati affrontati i problemi per singoli progetti inquadrati, peraltro, nel sistema complessivo. Si è esaminata per ogni progetto la parte di finanziamento, ipotizzando anche la possibilità di una rimodulazione dell'accordo di programma quadro tra lo Stato e la Regione per una migliore e più efficace ridistribuzione territoriale delle risorse finanziarie.

L'intesa è stata raggiunta con relativa facilità e di comune accordo si è deciso di riconvocare una nuova riunione con la presenza del Presidente della Giunta regionale on. Chiaravalloti e dell'Assessore Grimaldi.

Nel concludere la riunione Nucara ha ribadito che i problemi non sono legati alle risorse finanziarie che ci sono e altre se ne possono aggiungere ma la carenza è tecnico-organizzativa e in tale senso bisogna rapidamente attrezzarsi fissando obiettivi e tempi di realizzazione.

Nel corso della riunione che è stata riconvocata, e tenuta presso gli uffici di Reggio Calabria del Presidente Chiaravalloti, presenti gli assessori Grimaldi e Zavattieri, si è convenuto di attuare un programma di lavoro che in parallelo porti avanti le opere con un sistema programmatorio tale da consentire l'apertura di più cantieri appena terminate le procedure tecniche ed acquisite le coperture finanziarie.

Per questi due ultimi aspetti i tempi sono strettissimi e in tal senso sono stati sollecitati sia il gruppo dei progettisti che il Ministero dell'Ambiente per il parere sulla valutazione dell'impatto ambientale.

In conclusione si è esaminato lo schema punto per punto facendo una radiografia completa di tutta la problematica afferente.

Quattro sono i punti affrontati :

1) Sbarramento : la diga è stata già ultimata.

2) Galleria : bisogna completarla, anche con l'opera di presa; sono necessari 23 milioni di euro. La perizia di completamento è già approvata in linea tecnica e sono state reperite le risorse finanziarie.

3) Centrale idroelettrica con relativa condotta forzata : dovrà essere pubblicato un bando di gara per l'assegnazione della concessione di sfruttamento dell'energia idroelettrica con oneri e vantaggi per la Regione. Il finanziamento sarà a carico dei privati.

4) Progetto dell'adduttore che dovrà portare l'acqua dalla diga ai serbatoi cittadini : il progetto preliminare è già stato redatto e entro una settimana sarà inviato al Ministero dell'Ambiente per il parere sulla valutazione di impatto ambientale. Il progetto definitivo è in fase di redazione e sarà ultimato entro il mese di febbraio. L'importo dei lavori è di 71,6 milioni di euro.

Al fine del reperimento delle risorse finanziarie presso il CIPE si rende necessaria una accelerazione decisa nella redazione del progetto definitivo.

Il Presidente Chiaravalloti ha dichiarato la sua disponibilità a risolvere l'annoso problema ipotizzando, d'intesa con il Governo, l'uso di strumenti ordinari e straordinari di cui se ne dovesse rilevare la necessità per l'accelerazione di tutte le procedure.

nuvolarossa
08-01-04, 23:49
Ambiente e tutela del territorio/Riflessioni di metà legislatura sul lavoro compiuto

Un Ministero da inserire fra quelli di prima classe

Il seguente articolo è stato pubblicato sullo "Speciale Ambiente ed economia" della Gazzetta del Sud del 24 dicembre 2003.

di Francesco Nucara

A metà legislatura è giunto il momento di riflettere sulle cose che sono state fatte e su quanto rimane ancora da fare. Berlusconi si appresta a fare la verifica politica di tutta l'attività del Governo.

Come sottosegretario al Ministero dell'Ambiente, vorrei mettere in risalto il percorso fin qui tracciato. Sia pure in un contesto economico molto difficile, come Ministero dell'Ambiente ci siamo impegnati per coniugare la tutela dell'ambiente con lo sviluppo economico, orientando tutte le misure necessarie per evitare sprechi di risorse e per creare ricchezza. Ed in questo senso è stato individuato il programma "ambiente" della Presidenza Italiana dell'Unione Europea. Si tratta in pratica di realizzare gli impegni assunti dall'Italia nel Vertice di Johannesburg che ha indicato gli obiettivi e i programmi per l'integrazione della dimensione ambientale nelle strategie di sviluppo.

In tale direzione è stato ribadito l'impegno del Governo italiano durante la recente Conferenza delle Parti in seno alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che si è svolta a Milano nelle scorse settimane.

Le sinergie messe in campo all'interno dell'Unione Europea per raggiungere gli obiettivi stabiliti nel Protocollo di Kyoto cominciano a dare i loro frutti e si spera nella prossima ratifica di Mosca.

Questi risultati sono senz'altro ascrivibili alla strategia del Ministero dell'Ambiente in tema di sviluppo sostenibile iniziata con l'adozione della delibera CIPE del 2 agosto 2002 con la quale è stato approvato il documento "Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002 – 2010" che individua gli strumenti, gli obiettivi, le aree tematiche principali e gli indicatori da monitorare per seguire il percorso di trasformazione del modello di sviluppo verso la sostenibilità ambientale. I punti principali di questo documento prefigurano un vero e proprio programma economico indirizzato verso una nuova economia eco – compatibile.

Positivi sono i risultati degli accordi intervenuti al Vertice di Montecatini del luglio scorso nelle strategie e nelle politiche necessarie per rispondere alla domanda di energia e di sicurezza energetica.

Su questo tema grande è l'impegno profuso dal Ministero dell'Ambiente che, attraverso la Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale, ha autorizzato, la costruzione di 31 centrali termoelettriche, di cui 26 durante il governo Berlusconi.

Devo inoltre esprimere la mia forte soddisfazione per quanto è stato realizzato finora nella programmazione degli interventi per la difesa del territorio italiano e per arginare frane, alluvioni e dissesti.

Il Ministero ha infatti investito ingenti risorse finanziarie. Alle Regioni sono stati trasferiti 388 milioni di Euro. Di questi, circa 280 milioni sono relativi agli interventi previsti dall'art. 16 del collegato ambientale alla finanziaria 2002.

In conclusione, e pensando alle ultime risorse (150 milioni di Euro) che il Cipe ha stanziato per il risanamento di siti da bonificare, il nostro bilancio deve essere considerato positivo. Molto si è fatto, molto ancora c'è da fare.

Il Ministero, che si è dotato di un nuovo regolamento di organizzazione, si appresta a realizzare il programma della seconda parte della legislatura. Per questo obiettivo sarò determinato ad operare sinergicamente con il Ministro Matteoli che, all'interno del Governo, ha assunto ormai un ruolo di protagonista ed inserito il Ministero dell'Ambiente tra quelli cosiddetti di prima classe.

nuvolarossa
16-01-04, 00:40
Legge sulla VIA/Opposizione scatenata in un'azione di propaganda

Anche alle Regioni diritto di parola

La Camera dei Deputati ha approvato, in via definitiva, la legge di conversione del decreto n° 315 riguardante "disposizioni urgenti in tema di composizione delle Commissioni per la Valutazione di Impatto Ambientale e di procedimenti autorizzatori per le infrastrutture di comunicazione elettronica".

La discussione, sia al Senato che alla Camera dei Deputati, si è incentrata per la massima parte sulle Commissioni per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La premessa da cui parte il decreto legge è una sentenza della Corte Costituzionale che obbliga il Governo a integrare la Commissione speciale VIA con i rappresentanti delle regioni su cui insistono opere della legge obiettivo. Prendendo spunto da tale sentenza il Governo ha inteso estendere tale principio anche "alla commissione ordinaria".

L'opposizione parlamentare invece di entrare nel merito del problema si è scatenata in un'azione propagandistica contro questa legge che di fatto rendeva inoperante una recente sentenza del TAR Lazio che obbligava il Ministro dell'Ambiente a reintegrare la vecchia Commissione nominata dall'ex Ministro Bordon.

Nei vari interventi dell'opposizione parlamentare si è parlato di "vendetta politica" di "presunti esperti", "dell'inquietante Capo di Gabinetto", della "perdurante assenza del Ministro dalle aule parlamentari" quando si discute di importanti provvedimenti riguardanti l'Ambiente, e che "la via maestra sarebbe stata quella di lasciare le cose come stavano".

Orbene, procediamo con ordine e cerchiamo di dare risposte puntuali.

Come a tutti noto, il 13 maggio 2001 si sono celebrate le consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento; a tutti noto, meno che all'ex Ministro Bordon. Infatti non aveva ascoltato emittenti radio e televisive nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2001, né letto giornali il 14 e il 15 maggio dello stesso anno. Essendo all'oscuro di tutto, il 15 maggio emanava un decreto di costituzione della Commissione VIA Ordinaria controfirmato dall'ex Presidente del Consiglio Amato. Ambedue avrebbero dovuto presumere che non sarebbero stati più al governo, ma la speranza è stata l'ultima a morire.

Ma c'è di più.

"L'inquietante" Capo di Gabinetto era nominato in quella Commissione molto verosimilmente perché sia Bordon che Amato gli accordavano la massima fiducia. Si evince facilmente che gli esperti sono tali indipendentemente dalla loro collocazione politica e si evince ancora che i due autorevoli componenti di quel governo non avrebbero ascoltato il suggerimento dell'On. Acquarone ("la via maestra sarebbe stata quella di lasciare le cose come stanno").

Anche nella produttività della commissione si sono affermate cose non vere, ma se da qualche parte doveva pendere la bilancia, sarebbe stato a favore della Commissione nominata da Matteoli e sostitutiva della precedente.

Un esponente dei DS ha lanciato il grido di dolore affermando che la "vecchia commissione" aveva espresso, "come si legge nel sito ufficiale del Ministero dell'Ambiente" circa 80 pareri contro i 7 della "nuova commissione".

Non si accorgeva il "poverino" che sul sito ufficiale vengono indicati i decreti; che molto probabilmente ci sono tutti i pareri espressi 15 mesi or sono e non ci possono essere i pareri espressi di recente.

L'unica verità consiste nell'affermare che "la VIA è considerata un pericoloso impedimento".

Orbene, questo è vero ma vale per tutti, governo e opposizione.

Recentemente il Ministero dell'Ambiente, in sede CIPE, si è opposto alla realizzazione di un'importante infrastruttura a Gioia Tauro perché non solo non c'era la VIA ma la relazione di proposta non prevedeva che ci dovesse essere.

Il Segretario Generale della CISL, Savino Pezzotta, forse male indirizzato dalle segreterie calabresi ebbe ad affermare che non si potevano bloccare ingenti investimenti per "cavilli burocratici" (sic!).

La legge è stata approvata, le regioni potranno dire la loro su tutti gli interventi ordinari e speciali, e sicuramente diminuirà il contenzioso con le regioni stesse, e si avrà più speditezza nella realizzazione di opere pubbliche e private che dovessero essere sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale.

nuvolarossa
23-01-04, 20:10
La Commissione di Garanzia sugli scioperi/Un veto finalizzato alle legittime esigenze dei cittadini

Declino dei sindacati confederali

Lunedì 26 gli autobus, le metropolitane e i tram di tutto il Paese si sarebbero dovuti fermare per un grande sciopero nazionale. Ma l’apposita Commissione di Garanzia ha posto il suo veto e i trasporti locali italiani funzioneranno regolarmente almeno fino al giorno 30, data alla quale i COBAS hanno rinviato l’agitazione. Riprendendo quanto giustamente sottolineato da Davide Giacalone nella "Voce" di Mercoledì 21, è utile compiere qualche riflessione ulteriore su ciò che è accaduto.

E’ evidente che una tale situazione dimostra, se ancora ce ne fosse stato bisogno, l’effettiva debolezza dei sindacati confederali.

La deriva estremistica di queste settimane rappresenta infatti un segnale preoccupante, afferma inequivocabilmente che in alcuni settori strategici la normale dialettica contrattuale rischia di sfuggire a qualsiasi controllo.

A questo proposito va esaminata la motivazione con la quale la Commissione di Garanzia ha "bocciato" l’agitazione del 26. I commissari hanno infatti rilevato la mancanza di un tentativo di conciliazione tra dipendenti e datori di lavoro precedente allo sciopero. Ciò significa, in parole povere, che le formazioni sindacali promotrici non hanno nemmeno cercato un accordo ma hanno adottato in maniera pregiudiziale la linea dura andando fin dall’inizio contro la normativa di settore. Il tutto senza curarsi delle ripercussioni negative su coloro che devono usare i mezzi pubblici per recarsi al lavoro o nei luoghi di studio, o ancora del fatto che ormai i cittadini sono comunque portati a usare il mezzo privato per il timore degli scioperi selvaggi (con ovvie conseguenze in termini di traffico e inquinamento).

Questo atteggiamento non deve sorprendere. Già a suo tempo vi fu chi ritenne illogico vincolare ad una legge sugli scioperi l’esercizio di quello che si ritiene uno strumento di lotta al di fuori di qualsiasi regola, proprio come oggi in molti guardano con sufficienza alle devastazioni che hanno accompagnato alcuni cortei di protesta motivandole in nome di un non meglio definito ideale superiore. L’affievolimento generale del rispetto per la legalità è simile al sonno della Ragione che genera i mostri, una prima e profonda crepa nell’edificio sociale di un Paese. Per questo gli ultimi eventi vanno considerati in tutta la loro gravità, in quanto potenzialmente forieri di conseguenze ben più gravi di un caotico ingorgo sulle tangenziali cittadine.

Riccardo Masini

nuvolarossa
31-01-04, 13:07
Il «tour» brindisino del rappresentante del Governo

A contatto con i problemi

Dalla Zona Industriale, al Sisri al rigassificatore

BRINDISI - «Il sottosegretario all'Ambiente, on. Francesco Nucara, in visita ieri a Brindisi per incontrare le autorità locali e per visitare l'area industriale ad alto rischio ambientale, ha assunto precisi impegni per il nostro territorio», così esordisce una nota inviata dall'assessorato provinciale all'Ambiente, dalla quale si apprende che il sottosegretario abbia affermato come Brindisi faccia parte «di quei 5-6 siti su cui indirizzeremo - ha detto - congrui finanziamenti per la totale bonifica dell'area industriale. L'ammontare degli investimenti non sarà elevatissimo, ma sufficiente per garantire in tempi rapidi il totale disinquinamento».
Quindi Nucara, sulla questione del rigassificatore ha confermato il proprio favore «ad uno sviluppo sostenibile del territorio ed in quest'ottica abbiamo lavorato per realizzare quest'impianto che darà occupazione ma solo e soltanto nel pieno rispetto dell'ambiente».
La nota della Provincia riferisce che il sottosegretario «ha poi visitato gli impianti del Petrolchimico e dell'Edipower e si è recato con l'Assessore provinciale all'Ambiente Vincenzo Balestra al Sisri. Balestra ha informato l'on. Nucara sulla questione della rinaturalizzazione di Canale Reale, un possibile corridoio ecologico di importanza internazionale».
Successivamente il sottosegretario, nella sede del Pri ha incontrato gli aderenti al «Forum Ambiente», con i quali si è intrattenuto a parlare sulle questioni del carbone e del rigassificatore. Gli interlocutori su un punto hanno concordato, in attesa di conoscere ulteriori documentazioni: la battaglia per l'ambiente è una battaglia senza bandiere. Trasversale ai partiti, se si vuole usare questo termine.

nuvolarossa
23-02-04, 21:14
Arezzo venerdì 27 febbraio h. 10.00
Convegno organizzato
presso il Castello di Valenzano (AR)

"Servizio idrico integrato"

Concluderà i lavori
Francesco Nucara
Sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio

nuvolarossa
24-02-04, 21:01
Intervento del sottosegretario all'Ambiente e Tutela del territorio nel Terzo Forum dedicato al Sistema energetico del nostro Paese/Approvvigionamento e sviluppo sostenibile, termini di un binomio possibile ma delicato che, nel corso degli ultimi anni, la normativa in materia ha cercato di conciliare

E' essenziale che l'Italia adotti un mix di fonti per ridurre la dipendenza dall'estero

Riproduciamo l'intervento che il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara ha presentato al
"Terzo Forum Sistema Energetico"
che si è svolto a Roma, Grand Hotel Parco dei Principi, il 29 gennaio 2004.

di Francesco Nucara

Desidero anzitutto ringraziare gli organizzatori di questo importante Forum. Ho accettato volentieri la vostra richiesta in considerazione del fatto che l'energia costituisce indubbiamente un tema chiave dello sviluppo sostenibile.

Esigenze energetiche e sviluppo sostenibile costituiscono un binomio possibile ma delicato che, nel corso degli ultimi anni, la normativa ambientale ha cercato di conciliare, semplificando da un lato i procedimenti autorizzativi necessari alla realizzazione degli impianti di produzione dell'energia e dall'altro fornendo elementi e criteri di valutazione coerenti con uno sviluppo sostenibile.

La disciplina comunitaria rappresentata dalla Direttiva 2001/42/CE è di estrema importanza per la realizzazione di una politica di sviluppo ambientalmente sostenibile, avendo come finalità primaria quella di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali nella elaborazione e definizione di piani e programmi.

La nuova generazione di politiche ambientali orientate allo sviluppo sostenibile è basata sui principi di integrazione e corresponsabilizzazione, ovvero cerca di conciliare ed integrare ambiti ed interessi diversi, potenziando e valorizzando il ruolo di tutti gli attori che intervengono nella fase decisionale.

Sebbene in Italia manchi ancora un testo unico delle leggi dell'energia, si è cercato nelle recenti disposizioni normative in materia energetica ed ambientale di favorire lo sviluppo di nuove iniziative compatibili con un uso razionale delle risorse.

La liberalizzazione ha cercato di privilegiare l'impiego da fonti rinnovabili o sistemi di cogenerazione.

Infatti il DL n. 79 del 16/03/1999 prevede alcune facilitazioni per la cessione di energia elettrica prodotta in cogenerazione o tramite fonti rinnovabili e all'art 3 stabilisce che "L'autorità prevede l'obbligo di utilizzazione prioritaria dell'energia elettrica prodotta a mezzo di fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta tramite cogenerazione" e all' art. 11 si legge che "il gestore della rete assicura la precedenza all'energia elettrica prodotta da impianti che utilizzano, nell'ordine, fonti energetiche rinnovabili, sistemi di cogenerazione, sulla base di specifici criteri definiti dall' Autorità per l'energia elettrica ed il gas ...."

Questo ha favorito l'adozione, per la realizzazione degli impianti di produzione, di tecnologie più "pulite", che prevedono l'impiego di metano in centrali termoelettriche a ciclo combinato e con cogenerazione.

Il rendimento termico che si può ottenere negli impianti a ciclo combinato è generalmente superiore al 55% per impianti non cogenerativi (cioè dedicati unicamente alla produzione di energia elettrica), ma può agevolmente superare il 70% in impianti fortemente cogenerativi.

Lo scenario economico e normativo fa sì che attualmente gli impianti a ciclo combinato risultino competitivi rispetto agli impianti alimentati a gasolio, ma non rispetto a quelli alimentati a carbone. E' quindi prevedibile che i nuovi impianti a ciclo combinato rimpiazzino gradualmente almeno una parte dei vecchi impianti alimentati ad olio combustibile, ma non totalmente quelli alimentati a carbone. Non è inoltre da escludere che rimangano in funzione alcuni impianti "di nicchia" o di riserva alimentati a olio combustibile.

Il processo sarà graduale, e vanno comunque considerati due aspetti fondamentali:

il deficit energetico del nostro paese dipende in buona parte dai costi di produzione troppo elevati e quindi conviene importare energia piuttosto che produrla;

la domanda di energia elettrica è in aumento.

Risulta quindi difficile stimare con precisione allo stato attuale se e quanto l'avvio delle nuove centrali consenta effettivamente di ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici.

In ogni caso nell'ulteriore semplificazione legislativa relativamente ai procedimenti di VIA si è cercato di agevolare progetti che prevedessero un minore effetto impattante:

L'art. 3 della Legge n. 83/03 prevede che siano considerati prioritari i "progetti di ambientalizzazione delle centrali esistenti che garantiscono la riduzione delle emissioni inquinanti complessive, nonché i progetti che comportano il riutilizzo di siti già dotati di adeguate infrastrutture di collegamento alla rete elettrica nazionale, ovvero che contribuiscono alla diversificazione verso fonti primarie competitive, ovvero che comportano un miglioramento dell'equilibrio tra domanda ed offerta di energia elettrica, almeno a livello regionale, anche tenendo conto degli sviluppi della rete di trasmissione nazionale e delle nuove centrali già autorizzate".

La crisi energetica del nostro Paese è grave e di natura strutturale, per questo si è reso necessario definire una strategia per la progettazione e l'autorizzazione alla costruzione di nuove centrali elettriche, che attraverso la semplificazione legislativa e l'introduzione di un procedimento di "autorizzazione unica" ha consentito procedure più agili ed efficienti, mantenendo le necessarie tutele ambientali attraverso il procedimento di valutazione di impatto ambientale.

Questo ha reso possibile la valutazione ed autorizzazione di numerosi progetti relativi alla realizzazione di nuove centrali termoelettriche a ciclo combinato e consentirà di attivare centrali (comprese quelle alimentate da fonti rinnovabili) che rafforzino l'autonomia e la fornitura di energia nel nostro paese, riequilibrando il rapporto tra domanda e offerta di energia su base regionale o macroregionale, favorendo l'uso di combustibili a basso impatto ambientale e utilizzando le migliori tecnologie disponibili.

Il problema in prospettiva non sarà dunque nella carenza di produzione, ma nella gestione dell'energia prodotta. Occorrerà occuparsi di risparmio energetico, autoproduzione e diversificazione delle fonti.

Bisogna che il nostro Paese adotti un mix di combustibili tale da diversificare le fonti, per ridurre la nostra dipendenza, sia dalle importazioni, sia dal petrolio e dal gas. Lo sviluppo delle energie alternative (così come è accaduto in altri paesi europei) può favorire lo sviluppo dell'occupazione, di nuove tecnologie, e ottenere una maggiore accettazione sociale sul territorio.

In questo senso e per dare attuazione alla direttiva europea 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili sono stati predisposti due decreti legislativi:

Il rimo stabilisce i criteri generali per la progettazione e l'attuazione di misure e intervento di incremento dell'efficienza energetica degli usi finali di energia già previsti nel decreto del Ministro dell'Industria 24 aprile 2001 che viene quindi abrogato. Il decreto legislativo definisce quindi le tipologie degli interventi di riduzione dei consumi di energia elettrica in linea con gli obiettivi quantitativi nazionali. Tra questi vi sono quelli relativi al rifasamento elettrico, alla riduzione dei consumi di energia elettrica per usi termici, ai dispositivi per la combustione delle fonti energetiche non rinnovabili, alla installazione di impianti di valorizzazione delle fonti rinnovabili presso gli utenti finali, alle iniziative per la diffusione di veicoli stradali a trazione elettrica e a gas naturale.

Il secondo determina, in coerenza con gli impegni previsti dal protocollo di Kyoto, gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione di gas naturale e ne stabilisce i principi di valutazione.

Bisogna soprattutto entrare nell'ottica che i principi dello sviluppo sostenibile devono essere presi in considerazione in modo capillare in tutte le politiche settoriali. A tal fine si tratta di riferire allo sviluppo sostenibile tutte le leggi, i programmi, le concezioni e i progetti per assicurarne il radicamento in tutti i settori.

Nel Piano nazionale per la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra, troviamo alcune politiche già decise nel settore elettrico, che definiscono lo scenario di riferimento e che riguardano:

La creazione di ulteriori impianti di generazione a ciclo combinato;

La realizzazione di nuova capacità di importazione;

Una ulteriore crescita della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Relativamente a quest'ultimo punto occorre valutare alcune soluzioni che riguardano:

La diffusione dell'uso diretto di energia termica che può sicuramente soddisfare un bacino importante della domanda di energia. Vi sono, infatti, diverse opportunità tecnologiche di utilizzo del solare termico che risultano convenienti in assoluto per particolari tipologie di consumo. Esistono esempi di elevata penetrazione del solare termoelettrico in altri paesi europei nel settore domestico, con quote che arrivano addirittura al 70 per cento delle abitazioni in alcune aree del Mediterraneo. Infatti, l'energia solare si presta alla costruzione di impianti di piccola taglia, il che permette una diffusione capillare rispetto ai grandi impianti di difficile gestione. Questo porta un vantaggio sostanziale alla copertura della domanda di energia termica, con risparmi nei consumi di altre forme di energia.

La ricerca e sviluppo nel settore fotovoltaico che però rappresenta attualmente, l'opzione più costosa, avendo il fotovoltaico elevati costi di investimento.

Queste, quindi, in sintesi le iniziative che il Governo italiano ha attivato per soddisfare il continuo rapido incremento della domanda di energia elettrica e nello stesso tempo limitare le emissioni di gas responsabili dell'effetto serra nell'atmosfera ad un costo compatibile con una crescita dei tassi di sviluppo economico.

nuvolarossa
02-03-04, 20:39
Milano 4-5 Marzo
Fiera Milano Congressi Center
Porta Gattamelata, Padiglione 17
milano

"Lavorando per l'acqua"
Meeting Internazionale

Giovedì 4 Marzo
h. 10,45
Francesco Nucara presiederà la sessione "La strategia nazionale per l'acqua nel contesto delle politiche comunitarie: tutela, gestione, prevenzione e mitigazione del rischio"

h. 11,30
Giorgio La Malfa interverrà su "La finanza di progetto"

Venerdì 5 marzo
h. 10,30
Francesco Nucara presiederà la tavola rotonda "Quale futuro per l'acqua tra problematiche locali e politiche globali"

brunik
23-03-04, 10:49
Originally posted by nuvolarossa

di LANFRANCO PALAZZOLO

IL SOTTOSEGRETARIO all’Ambiente Francesco Nucara, segretario ...
... del Partito repubblicano italiano, è favorevole al condono edilizio e ricorda che questo riguarderà gli abusi minori e porterà nelle casse dello Stato molti soldi. martedì 16 settembre 2003
Una domandina: dopo l'ultima svolta "della Bellezza", il Nucara, novello difensore del patrimonio ambientale ed artistico italiano, ripeterebbe queste cose alla presenza di Sgarbi?

IO NON CONDONO!. Con questo slogan, lanciato da Legambiente, avrà luogo venerdì prossimo, 7 novembre, a Piazza Navona un’altra grande manifestazione di protesta contro il condono edilizio che sarà accompagnata da un digiuno. Alla giornata di mobilitazione ha aderito anche il cartello di tutte le associazioni ambientaliste italiane (Acli Anni Verdi, Ambiente e Lavoro, Amici della Terra, Associazione Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, Cts, Fai, Fare Verde, Greenpeace, INU - Istituto Nazionale di Urbanistica, Italia Nostra, Lac, Lav, Lipu, Pronatura, Società Geografica Italiana, Verdi Ambiente e Società e WWF Italia) e il sindaco di Eboli, Gerardo Rosania che saranno presenti a Piazza Navona.

Al digiuno indetto da Legambiente si sono uniti diversi personaggi di diversi schieramenti politici e dello spettacolo: da Dario Fo e Franca Rame a Vittorio Sgarbi, dal sindaco di Roma Walter Veltroni al Gabibbo.

"Sarà una delle ultime occasioni – spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente – per manifestare il nostro dissenso a questo provvedimento che per noi rappresenta un attacco violento al territorio e al paesaggio, contribuendo in termini di sicurezza a quel dissesto idrogeologico alimentato dal costruire dove non si dovrebbe. Queste adesioni così trasversali alle nostre iniziative sono il sintomo del malessere diffuso che questa sanatoria ha generato".

Lo dimostrano anche le numerose adesioni che Legambiente ha ricevuto per la petizione lanciata già da qualche tempo su http://www.legambiente.com: primi cittadini, presidenti di province e regioni, ma anche l’attrice Sabrina Ferilli, il procuratore antimafia Piero Luigi Vigna, Maurizio Costanzo, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti on. Paolo Russo. E ancora Rita Borsellino, l'Assessore ai beni culturali della Regione Sicilia, Fabio Granata e il Presidente del Parco nazionale del Vesuvio, Amilcare Troiano.

"Saremo presenti anche sabato 8 novembre conclude Realacci – al fianco di Rosania nella manifestazione a Eboli e in tutte le regioni d’Italia con mobilitazioni locali. Non abbasseremo la guardia e il nostro lavoro di monitoraggio e denuncia continuerà più scrupoloso che mai".


Adesioni al digiuno: Dario Fo; Franca Rame; Vittorio Sgarbi; Walter Veltroni; Gabibbo; Mario Di Carlo Assessore alla mobilità del comune di Roma; Pier Antonio Rivola Assessore all’edilizia della Regione Emilia Romagna; Segreteria Nazionale Legambiente; Presidenti delle 19 Associazioni ambientaliste che partecipano all’iniziativa; Alessandra Conversi Comitato Scientifico di Legambiente; Stefano Gazziano Enea; Paolo Crosignani Istituto Tumori Torino; Cristiano Gillardi Comitato Scientifico di Legambiente; Franco La Torre D.A. Int. Ecomed; Dario Manuenti Comitato Scientifico di Legambiente; Giovanni Cafiero Comitato Scientifico di Legambiente; Marcello Cini; Paolo Ciucci, biologo.

nuvolarossa
23-03-04, 21:36
Giovedì 25 marzo
presso la Fiera di Rimini

Convegno
"Il settore idrico in Italia. Nuovi modelli di gestione: sfida per le amministrazioni locali"

Interverrà Francesco Nucara Sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio

brunik
23-03-04, 21:50
Ma su sto condono edilizio, allora, uno dei due deve cambiare idea: o Sgarbi che ci fa gli scioperi della fame contro o Nucara per cui il condono è il toccasana per le finanze, tant'è che lo prorogano perchè non ha dato un cacchio alle finanze.


Come puo' una lista che si chiama "Della Bellezza", che si propone di tutelare il patrimonio artistico e paesaggistico italiano, non assumere una presa di posizione chiara e definitiva sull'argomento?

A voi la parola, amici Della Bellezza.



IL SOTTOSEGRETARIO all’Ambiente Francesco Nucara, segretario del Partito repubblicano italiano, è favorevole al condono edilizio e ricorda che questo riguarderà gli abusi minori e porterà nelle casse dello Stato molti soldi. martedì 16 settembre 2003



IO NON CONDONO!. Con questo slogan, lanciato da Legambiente, avrà luogo venerdì prossimo, 7 novembre, a Piazza Navona un’altra grande manifestazione di protesta contro il condono edilizio che sarà accompagnata da un digiuno. Alla giornata di mobilitazione ha aderito anche il cartello di tutte le associazioni ambientaliste italiane (Acli Anni Verdi, Ambiente e Lavoro, Amici della Terra, Associazione Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, Cts, Fai, Fare Verde, Greenpeace, INU - Istituto Nazionale di Urbanistica, Italia Nostra, Lac, Lav, Lipu, Pronatura, Società Geografica Italiana, Verdi Ambiente e Società e WWF Italia) e il sindaco di Eboli, Gerardo Rosania che saranno presenti a Piazza Navona.

Al digiuno indetto da Legambiente si sono uniti diversi personaggi di diversi schieramenti politici e dello spettacolo: da Dario Fo e Franca Rame a Vittorio Sgarbi, dal sindaco di Roma Walter Veltroni al Gabibbo.



Corriere

La scadenza per le domande sarà spostata a fine giugno
Condono edilizio, il governo proroga il termine
La discrepanza tra leggi regionali e statali al vaglio della Consulta, l'11 maggio si affronta la questione di legittimità


ROMA - Alla vigilia dell'esame, da parte della Corte Costituzionale, delle istanze di sospensione della legge sul condono edilizio, il Governo ha fatto sapere ai giudici della Consulta - tramite l'Avvocatura dello Stato - che intende prorogare a giugno il termine del 31 marzo per la presentazione delle domande di sanatoria. La camera di consiglio della Corte Costituzionale, per l'esame delle richieste di sospensiva avanzate da alcune Regioni, è programmata per mercoledì. Occorrerà ora vedere se le ricorrenti ritireranno l'istanza, e comunque che peso i giudici della Consulta daranno alla decisione del Governo.

Da vari giorni, lo scontro tra governo e regioni sul condono edilizio si è infiammato.

Una differenza normativa che dovrà essere risolta dalla Corte Costituzionale che mercoledì dovrà innanzitutto decidere, in camera di consiglio, se sospendere o meno la legge sul condono, per poi esaminare successivamente nel merito la questione di legittimità, l'11 maggio prossimo, quando è stata fissata l'udienza pubblica.
POCHE DOMANDE - L'incertezza giuridica sulla legittimità costituzionale sembra aver frenato le richieste dei cittadini di vedersi condonate le proprie costruzioni abusive. Secondo un'inchiesta dell'Adnkronos, a dieci giorni dalla scadenza dei termini per aderire alla sanatoria, i comuni hanno raccolto pochissime richieste. Unica eccezione è Roma dove si è raggiunta quota 7.000. Sicuramente un dato rilevante rispetto alla media. Ma se confrontato con i numeri del condono targato 1995 si arriva appena al 50%. I dati, lasciano poco spazio alla speranza di incassare 3,3 miliardi di euro, cifra stimata dal ministero dell'Economia. Tanto che il governo pensa a un decreto legge per riaprire i termini, decisione già comunicata ai giudici della Consulta. A Torino sono arrivate solo 200 domande, a Palermo si raddoppia toccando quota 400, mentre a Venezia, da metà febbraio, si è fermi a 450. Per il sindaco di Venezia e vice presidente dell'Anci, (l'Associazione dei comuni italiani) Paolo Costa il provvedimento «è nato male e sta vivendo ancora peggio». La stima fatta dal governo, dice, «è andata male». Sarebbe meglio se l'esecutivo «ammettesse che non funziona e si muovesse su un piano diverso».

nuvolarossa
06-04-04, 23:27
ELEZIONI 2004, L'INTERVENTO DI NUCARA (PRI) A BOLOGNA

(sesto Potere) - Bologna - 6 aperile 2004 - Pubblichiamo l'intervento del segretario nazionale del Pri, questa volta nelle vesti di sottosegretario all'Ambiente, on. Francesco Nucara, al convegno di Bologna su "La legge obiettivo. Le opere pubbliche, gli interventi programmati e finanziati per Bologna".
"La Legge Obiettivo - ha detto Nucara, nella foto -, una delle leggi più lungimiranti di questi ultimi anni che molti paesi europei stanno prendendo ad esempio, aveva due scopi, il primo innescare un meccanismo virtuoso per l'economia nazionale, l'altro consentire a questo paese di dotarsi di quelle infrastrutture che lo proiettino al centro dell'Europa piuttosto che relegarlo al Sud America, come diceva Ugo la Malfa, e consentirgli di perseguire politiche di sviluppo sostenibile. Occorre anche ispirarsi ad una idea di ambiente come motore di sviluppo e non vincolo, un ambiente inteso come una delle qualità indispensabili ad uno sviluppo sostenibile che si deve basare non sulle visioni retrospettive di un passato da rimpiangere ma che deve utilizzare il progresso tecnico al servizio di uno sviluppo sostenibile".

"Lo sviluppo territoriale e l'integrazione di città e regioni dell'Unione per una maggiore competitività territoriale - aggiunge Nucara - può essere favorito da uno sviluppo policentrico del territorio europeo, lo stesso modello che mostra questa regione ove assieme a Bologna, vera metropoli regionale di equilibrio, è presente una trama urbana basata su città medie dotate di una autonomia funzionale conferita anche dalla sua struttura produttiva basata sulle piccole e medie industrie. In quest'ottica la competitività globale presuppone la competitività regionale e locale dei sistemi territoriali. Le componenti del valore aggiunto territoriale di un opera pubblica sono di due tipi:
le cosiddette relazioni territoriali "orizzontali" e cioè l'interconnessione non solo nel senso tecnico di collegamento intermodale o tra reti di trasporto di diversa portata territoriale, ma anche di collegamento tra le reti tecniche e le reti immateriali operanti in un certo nodo: per esempio reti commerciali e di servizi, reti logistiche, reti d'imprese, ecc... ed il rapporto delle grandi opere infrastrutturali con quell'insieme di caratteri naturali e culturali dei luoghi che i soggetti che operano localmente vedono come possibili risorse. Per quanto riguarda le trasformazioni territoriali ritengo, come Ministero dell'Ambiente, sia superata la logica di ragionare in termini semplicemente di impatti ed effetti. In proposito forse è utile dare impulso alla VAS (Valutazione Ambientale Strategica). Bisognerà cominciare a ragionare su "distretti" e non su singole opere".
http://www.sestopotere.com/dis_foto/nucaraFran.jpg
"Lo studio degli effetti territoriali delle infrastrutture di trasporto - continua Nucara - si concentra, nella maggior parte dei casi, sulle conseguenze degli interventi a breve e medio termine, trascurando il fatto che essi si manifestano nella loro interezza dopo periodi di tempo relativamente lunghi. Occorre invece centrare l'attenzione sulle modificazioni complessive del sistema territoriale in cui si inserisce l'infrastruttura, si immette così un riferimento temporale di lungo periodo e si consente una valutazione nel corso del tempo dei ritmi di diffusione degli effetti. Questo metodo viene definito dai tecnici, studio degli effetti strutturanti, adatto ad individuare il ruolo delle infrastrutture nella crescita economica.
Se c'è una caratteristica comune alle nostre città e ai nostri territori che emerge prepotentemente in questi anni è la estrema complessità dei problemi connessi con il loro governo. Estrema interconnessione ed estrema variabilità. Nel governo del traffico e nel rapporto di questo con l'urbanistica e con l'ambiente è ancora più vero che in altri campi della pubblica amministrazione.
Alcuni dei rapporti tra urbanistica e sistemi di trasporto pubblico di massa dipendono in larga parte dalle dimensioni degli insediamenti. Per quanto si sia cercato di ragionare e di studiare è risultato poco efficace ricercare le dimensioni minime degli insediamenti che rendono una metropolitana economicamente attuabile. Ciò è dovuto soprattutto alla difficoltà a definire il concetto di dimensione giusta; certo la popolazione può essere un indicatore attendibile, ma anche molte altre caratteristiche assumono una influenza rilevante in ciò".

"Ma non basta - continua Nucara -, sono convinto che se anche questi sono i criteri in base ai quali economia del trasporto pubblico e sviluppo urbano vengono messi in relazione, tuttavia la scelta delle infrastrutture per i trasporti è influenzata perlomeno in eguale misura da scelte di tipo politico. Non si spiegano certamente solo con le diversità fisiche e di dimensione degli insediamenti le differenze fondamentali che esistono tra i paesi europei in tema di politiche sulle metropolitane. Le metropolitane hanno avuto certamente un ruolo importante nel quadro generale, ma se alcuni sostengono che senza di loro le altre misure non sarebbero state efficaci è anche vero che senza misure a sistema le metropolitane sarebbero cattedrali nel deserto. Le metropolitane da sole non possono salvare un centro morente, mentre unitamente ad altri mezzi pubblici di trasporto e a interventi di carattere ambientale possono rianimare un centro in declino e possono certamente sostenere e potenziare l'ambiente di un centro già fiorente. Gli obiettivi del trasporto pubblico possono essere classificati in tre categorie: sociali, economici e ambientali. I trasporti pubblici, ovunque siano, offrono sempre dei vantaggi di tipo sociale, economico e ambientale; ciò che invece varia da luogo a luogo è il diverso peso assegnato alle tre categorie di obiettivi in ogni caso considerato. I trasporti pubblici comunque, permettono ad un maggior numero di persone di accedere ai centri urbani e lo consentono a molti che altrimenti non potrebbero raggiungerlo".

"Per quanto riguarda gli aspetti ambientali - aggiunge Nucara - , occorre partire dal presupposto che la qualità ambientale è un fattore rilevante ai fini della prosperità economica dei centri urbani. Occorre considerare che nella grande maggioranza dei casi la pedonalizzazione coincide con un incremento del giro di affari dei negozi. Addirittura si sta dimostrando che le aree pedonalizzate influiscono positivamente perfino sulle vie circostanti lasciate aperte al traffico, favorendo l'accesso della clientela nella zona. Il trasporto pubblico (le metropolitane sotterranee in particolar modo) causa meno danni ambientali per persona trasportata rispetto alle auto private o alle motociclette. Le metropolitane sotterranee hanno inoltre favorito la pedonalizzazione delle strade soprastanti in molte città medie europee, consentendo un accesso che non provoca traffico in superficie. Vale la pena chiarire questo punto. Non sto cercando di dimostrare surrettiziamente che i trasporti pubblici su rotaie siano essenziali alla pedonalizzazione, ma sono sicuramente utili per ridurre le spiacevoli conseguenze della congestione che si crea nelle zone periferiche alle isole pedonali dove gli autobus terminano le loro corse e i passeggeri scendono, e possono inoltre offrire un accesso immediato a un vastissimo numero di persone con interventi ambientali ridottissimi, soprattutto se la loro rete è sotterranea.
Occorre creare le condizioni per far rioccupare la città dai cittadini; il miglior presidio per una città è il sereno svolgimento delle relazioni politiche, economiche e sociali che la caratterizzano".

"La comunicazione, gli scambi, lo svolgersi delle relazioni, lo svolgersi del ruolo di "cuore pulsante" del centro - continua il segretario dell'Edera - sono la medicina per questa malattia. I componenti sono tutte le misure che favoriscono l'accessibilità. Accessibilità da altri paesi, da altre regioni, provincie, città e quartieri verso il cuore o i nodi di eccellenza della città considerata. Per Bologna, mi sembra poi che occorra considerare che è un punto cruciale dei traffici nord- sud del paese e dei traffici sud europei, che ha una delle fiere più importanti d'Europa e che sta sviluppando la sua vocazione di nodo logistico strutturato e di dimensione europea, per non parlare dell'università la cui influenza travalica l'Unione Europea e alla quale il Prof. Roversi Monaco ha lavorato con alacrità, efficacia e con successo.
Bologna ha fatto la scelta di far coincidere la stazione dell'Alta Velocità con la stazione ottocentesca posta a ridosso del Centro Storico, una zona densamente edificata abitata ed utilizzata. Ritengo che debba adottare come soluzione conseguente e logica, il far divenire il nodo della stazione una piastra di interscambio tra le diverse modalità di traffico e tra le diverse gerarchie di trasporto su rotaia (Alta Velocità, linee ferroviarie nazionali, sistema ferroviario regionale e sistema ferroviario metropolitano). Per il ruolo che vuole assumere la città di Bologna, per le economie di agglomerazione e di urbanizzazione che già fornisce e dovrà continuare a fornire in maniera sempre più qualificata ad un sistema regionale, nazionale ed europeo, ritengo che la scelta del metrò, all'interno di una logica di integrazione tra diverse modalità di trasporto, sia quella migliore e che meglio può sposare le esigenze combinate di servizio efficiente ed efficace, con forti valenze di marketing urbano e quindi di promozione di Bologna in Europa e perché non nel mondo".

"Naturalmente - continua Nucara - la città è anche indice di relazione tra pubblico e privato. E' difficile rimanere anonimi. Tuttavia nel reticolo di interscambi con le aziende commerciali, gli enti pubblici, le visite museali ecc. è possibile conservare la propria privacy. Le città, come gli individui, hanno un carattere particolare, degli elementi particolari caratteristici e identificabili frutto di stratificazioni a volte secolari o frutto di modernità come le new towns. Essere città non significa quindi essere un grande agglomerato urbano, ma significa avere una propria strutturazione, significa avere delle funzioni che integrandosi tra di loro formano la struttura della città stessa e non si tratta quindi di una sommatoria di funzioni studiate a tavolino ma di tutte quelle correlazioni che in un gioco di equilibrio dinamico si intersecano tra di loro tanto da divenire inseparabili. "La città è la più grande invenzione dell'uomo: un centro di forze intellettuali, un magazzino di cultura e delle più diverse energie. Città e civiltà sono sinonimi. Niente può sostituire la funzione civilizzante dei contatti individuali e di gruppo, gli incontri faccia a faccia, l'intrecciarsi di gruppi, le società e le associazioni che costituiscono la parte più nobile della vita di ogni individuo. Solamente la città (in quanto fornisce ad ognuno una vasta panoramica di società) può offrire ad ognuno la possibilità di trovare un amico.
In breve mentre in un villaggio o in un sobborgo conosciamo tutti, le persone che "vorremmo" conoscere le troviamo solo in città. La città è il grande palcoscenico, i cittadini sono gli attori: ognuno ha un ruolo da interpretare nel dramma della vita quotidiana". (Sesto Potere)

nuvolarossa
13-04-04, 13:00
GRANDI OPERE
I repubblicani contestano il crescente scetticismo di Rifondazione. «Negli accordi di programma c’è l’autostrada»

«Fuori dalla giunta chi non vuole l’E-55»

RAVENNA - Rifondazione Comunista si è messa di traverso al progetto della nuova autostrada tra Ravenna e Venezia, fino ad affermare che per la città è più importante realizzare il bypass tra le due sponde del Candiano. E i repubblicani non l’hanno digerita, fino a minacciare di ridiscutere le alleanze locali in cui cooperano con gli uomini di Bertinotti. “Il progetto della E55 è nei programmi di mandato dell’Amministrazione provinciale e comunale – sottolinea con decisione Eugenio Fusignani, PRI, assessore ai lavori pubblici nella Giunta Giangrandi – anzi è il punto più qualificante e forte del programma. E metterlo in discussione oggi significa voler mettere in discussione le stesse alleanze”. Fusignani prosegue rilevando che l’Edera a Ravenna si è sganciata dalle scelte del partito nazionale e ha scelto di allearsi con il centro sinistra proprio sulla base di obiettivi e strategie condivisi. “Rifondazione non discute più il tracciato ma arriva a discutere l’opportunità stessa di realizzare l’opera, ritenendo sia più utile il collegamento tra Classicana e Romea. Ma questi due interventi sono entrambi necessari e non possono essere posti in contrapposizione o in alternativa. Possiamo discutere se sia preferibile un’autostrada “corta” da Ravenna a Venezia oppure se sia meglio un collegamento che comprenda anche la E45 e oltre fino a Civitavecchia. Ma la “nuova Romea” – aggiunge l’esponente PRI – è indispensabile. E da qui deve cominciare la realizzazione dell’opera.
Chi non la pensa così stia fuori da questa maggioranza.

nuvolarossa
14-04-04, 12:51
E-55: Rifondazione polemizza col Pri

«Un’autostrada non è nei patti»

RAVENNA - Il tema del collegamento fra Ravenna e Venezia è più che mai all’ordine del giorno di Rifondazione comunista: la segreteria provinciale ha infatti fissato da tempo una riunione specifica; e si svolgerà stasera. E, proprio per questo, la “lezione di fedeltà” alla maggioranza impartita dall’assessore provinciale repubblicano Eugenio Fusignani non è piaciuta nemmeno un po’. “Mi ha sorpreso sia nei toni che nelle modalità. Per altro – commenta il segretario provinciale di Rifondazione, Martino Albonetti – non c’è scritto in alcuna parte del programma di mandato della Provincia che ci debba essere un’autostrada. Mentre ci siamo detti assolutamente d’accordo sulla necessità di quel collegamento, dopo che si siano verificate le migliori condizioni per i cittadini, non infliggendo ferite insanabili al territorio.”. Albonetti ricorda come proprio il tema del tracciato debba essere discusso dal consiglio provinciale, in modo “serio e approfondito”. Insomma, conclude il segretario bertinottiano, “un tema di questa importanza non può essere materia di dichiarazioni gratuite; poi sono altri che si candidano con liste più o meno della bellezza”. Nel merito dell’E55, comunque, Martino Albonetti rimanda a dopo la discussione interna di stasera.
Il portavoce provinciale del PRI, Giannantonio Mingozzi, per parte propria rafforza le dichiarazioni del collega di partito: “L’E55 è assolutamente una priorità – spiega – e la sua realizzazione è fondamentale per lo sviluppo economico del porto e di Ravenna nel suo complesso. Fusignani ha espresso perfettamente l’animus repubblicano rispetto a questo tema. D’altra parte abbiamo dimostrato più volte il nostro impegno in questo senso, parlandone con il sottosegretario Francesco Nucara. Ho il sentore che, a forza di strategie e dibattiti, si svilisce un po’ la priorità di governo che quest’opera riveste”. Poi insiste: “Quella infrastruttura è in cima alle priorità della giunta comunale, non vedo come si possano avere ripensamenti proprio adesso che le cose sembrano sbloccarsi”.
Qualcosa si muove, sempre con toni polemici, anche in Regione. Il consigliere di Forza Italia, Rodolfo Ridolfi, ha infatti invitato la giunta a “interrompere ogni atteggiamento ostruzionistico nei confronti del Governo” sul progetto Orte-Venezia.

nuvolarossa
27-04-04, 20:13
Reggio Calabria giovedì 29 aprile h. 10,30
Università Mediterranea Facoltà di Agraria

Convegno:
"L'Europa incontra l'Italia. Podis: una risorsa per il Mezzogiorno"

Concluderà i lavori Francesco Nucara Sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio
http://utenti.lycos.it/NUVOLA_ROSSA/NAVIGANDO.mid

nuvolarossa
05-05-04, 19:53
Rifiuti/La gente ha bloccato gli operai che non hanno potuto lavorare nel cantiere della Cartiera

Una luce sotto il cielo di Pettogallico

Nucara: esamineremo accuratamente gli studi effettuati e poi interverremo

Una speranza sotto il cielo di Pettogallico. L'ha accesa il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara, il quale, ieri, si è recato in località Cartiera per rendersi conto dal vivo dei motivi che hanno spinto la popolazione della Vallata del Gallico ad opporsi (anche fisicamente) alla realizzazione dell'impianto per il compostaggio dei rifiuti. L'incontro dell'uomo di governo con la gente di Pettogallico e dintorni è servito anche per consegnare all'on. Nucara una copia degli studi effettuati dal "tavolo scientifico" del Comitato per la difesa della vita nella Vallata del Gallico. Studi che dimostrano in maniera inoppugnabile – sostengono quelli del Comitato – come in località Cartiera manchino le condizioni per edificare il contestato impianto. Nucara ha ricevuto gli incartamenti e ha annunciato: "Ovviamente non bastano gli assunti dei tecnici del Comitato. Tuttavia, queste conclusioni meritano di essere verificate. Io le farò verificare a Roma dai tecnici del Ministero e poi vedremo. Quello che ho detto alla gente, e che confermo a voi, è che se rispondessero a verità le conclusioni del tavolo tecnico i lavori saranno fermati immediatamente". Come? Sul metodo Nucara non ha dubbi e ricorda che "il Ministero dell'Ambiente ha il potere-dovere di intervenire sugli atti del Commissario regionale per l'emergenza ambientale quando questi sono viziati". Una piccola pausa e poi aggiunge: "Certo che è ben strano che in Calabria ci sia un'emergenza ambientale lunga sette o otto anni...". Data questa "stoccata" alla Regione, Nucara allarga il suo ragionamento sui rifiuti partendo dall'emergenza di Pettogallico ma senza fermarsi solo a quella: "Io ho grande fiducia e apprezzo tantissimo la scienza della professoressa Lucarelli dell'Università Mediterranea in materia di rifiuti solidi urbani. Mentre farò valutare gli studi del comitato dai tecnici del Ministero, la prof. Lucarelli studierà la fattibilità dell'impianto anche su un altro sito".

– Ma mentre voi studierete la fattibilità dell'impianto alla Cartiera l'impresa continuerà a lavorare? "Io credo che prevalga il buon senso e che non si possa continuare a lavorare finché non si saprà se quel luogo è compatibile con l'impianto oppure no. E poi vorrei aggiungere che le autorità presenti sul territorio hanno anche il potere di far sospendere i lavori". Nel frattempo che si arrivi a un punto fermo per definire la questione, ieri sul cantiere per la ditta è stato impossibile lavorare. I cittadini e il Comitato, infatti, hanno impedito agli operai dell'impresa di recarsi sul cantiere per riprendere i lavori. "L'abbiamo fatto oggi (ieri per chi legge, ndr.) e lo dovremo rifare anche domani (oggi, ndr.) . E lo rifaremo anche tutti i giorni a venire che sarà necessario – ammonisce Maurizio Malaspina del Comitato civico "La Cartiera" – perché quell'impianto noi non lo vogliamo e lotteremo per difendere i diritti di una Vallata intera, di aria pulita e di pozzi d'acqua che non possono venire inquinati da un impianto per il trattamento dei rifiuti". Nonostante dopo quattro mesi di lotta e opposizione (la "rivolta" contro la realizzazione dell'impianto è cominciata lo scorso 12 gennaio) la fiducia cominci a scarseggiare il Comitato e tutta la gente di Pettogallico ha riacquisito un pizzico di fiducia. "La gente ha anche applaudito l'intervento dell'on. Nucara – ha affermato Malaspina – ma sono stati anche applausi freddi. Applausi di gente che sta perdendo la fiducia nelle Istituzioni e, dopo tante promesse, non riesce più a credere a nessuno. Nucara, tuttavia, ha avuto il merito di avere riacceso la fiammella della speranza che qualcosa ancora si può fare e che la partita ancora non è persa. Ci ha fatto capire, insomma, che la Regione non è la padrona che può decidere da sola in barba al sentimento popolare quel che si deve fare. Anzi, Nucara ha confermato pubblicamente che il Commissario per l'emergenza ambientale scadrà il prossimo trenta dicembre e non sarà più rinnovato. Dunque, noi riteniamo che sarebbe anche opportuno bloccare tutti i lavori in corso per dare un nuovo assetto che sia compatibile con le esigenze del territorio smettendo di procedere a tentoni e per tentativi". Nucara ha altresì ribadito il suo impegno a incontrare il prefetto D'Onofrio per sollecitare un suo intervento al fine di ottenere una sospensione dei lavori in attesa di completare gli esami delle carte prodotte dal tavolo tecnico del Comitato.

Piero Gaeta "La Gazzetta del Sud" martedì 4 maggio 2004

nuvolarossa
11-05-04, 19:27
Roma mercoledì 12 maggio h.10,00
presso la sede del Cnel
Via Davide Lubin, 2

Tavola rotonda:
"La risorsa acqua tra esigenze e disponibilità"

Interverrà Francesco Nucara Sottosegretario all'Ambiente

nuvolarossa
14-05-04, 03:15
Consiglio agli italiani: servitevi degli autobus

Da qualche settimana a questa parte, una preoccupazione in più si è aggiunta a quelle che già da tempo affliggono gli italiani. L'instabilità internazionale, gli attentati agli oleodotti e il rifiuto da parte dei Paesi Opec di aumentare la produzione di petrolio hanno fatto schizzare il prezzo del greggio ai massimi storici, il che ha provocato una repentina impennata del costo dei carburanti. Al momento di scrivere, e nella speranza che non vi siano nel frattempo ulteriori aumenti, il prezzo di un litro del prezioso carburante è arrivato a 1,150 euro. Esasperate, le associazioni dei consumatori stanno chiedendo a gran voce al Governo di operare uno sconto fiscale riducendo le varie imposte che gravano sul costo finale della benzina, magari eliminando le molte accise attualmente praticate. Senza contare poi il fatto che l'Iva applicata al prezzo finale viene calcolata dopo il computo delle altre imposte, divenendo così a tutti gli effetti una tassa sulle tasse.

Non bastano però gli improvvisi interventi fiscali che si sono già visti in passato né i complessi meccanismi di compensazione dei prezzi attualmente allo studio, facilmente annullabili da ulteriori incrementi del prezzo del greggio. Tanto per cambiare, gli interventi devono essere di natura strutturale per avere degli effetti duraturi.

Nel breve periodo si potrebbe cominciare attuando politiche antitrust nei confronti di quello che è il vero e proprio cartello delle compagnie petrolifere, prontissime ad aumentare il prezzo ma molto meno solerti a ridurlo in caso di discesa delle quotazioni. Un altro problema da risolvere è rappresentato dal riassetto della rete commerciale, una delle più costose d'Europa, vista la proliferazione dei mini-distributori da una o due pompe che affollano i nostri marciapiedi e che devono essere regolarmente riforniti.

Infine, e qui si passa ad un piano più strategico, si potrebbero incoraggiare i progetti tesi alla realizzazione di nuove tecnologie di propulsione capaci di fornire le stesse prestazioni a fronte di un minore consumo di carburante (con ovvie ripercussioni positive sull'ambiente), come i motori ibridi benzina-elettricità. Anche in questo caso, insomma, rispondere ad un problema serio in maniera affrettata e provvisoria riuscirà solo ad aggravare la situazione. Nell'attesa, ai cittadini non resta che difendersi nell'unico modo possibile: prendere l'autobus.

Riccardo Masini, Fgr Roma

nuvolarossa
04-06-04, 00:07
Nota del sottosegretario Francesco Nucara

Interventi contro il rischio idrogeologico a tutela del territorio

Più sicurezza per il territorio a rischio idrogeologico. Il sottosegretario Francesco Nucara ha comunicato che il ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha stanziato più di 157 milioni di euro, contro il rischio frane e alluvioni, destinati a 130 comuni e nella suddivisione fra le diverse regioni, alla Calabria vanno 16.564.746 euro e alla Sicilia 18.485.109 euro. Il decreto, firmato dal ministro Altero Matteoli, prevede numerosi interventi che vanno dalla messa in sicurezza idrogeologica, al consolidamento di frane, argini e pendici, al risanamento ambientale fino alla rinaturalizzazione e alla manutenzione del territorio. I finanziamenti saranno gestiti direttamente da Regioni, Comuni, Comunità montane. "Si tratta di un intervento di grande importanza _ ha dichiarato il sottosegretario Nucara _ per la messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, una delle grandi emergenze del nostro territorio calabrese. I finanziamenti vanno a progetti specifici, mirati e prioritari e sarà cura del ministero vigilare sulla realizzazione di questi progetti coinvolgendo in ciò le strutture del ministero". Nucara ha inoltre ricordato che questo stanziamento è previsto dall'articolo 16 del collegato ambientale alla finanziaria (legge 179/2002), dove è stabilito che il ministero d'intesa con le Regioni e gli Enti Locali, attivi programmi di interventi urgenti per il riassetto territoriale. In riferimento poi all'ultimo disastro ambientale che ha penalizzato la zona ionica con il crollo del Santuario di Bombile, Nucara ha comunicato di essersi già attivato affinchè con le risorse stanziate dalla finanziaria del 2004 siano previsti adeguati interventi finalizzati alle ultime emergenze".

mun. te. "Gazzetta del Sud" mercoledì 2 giugno 2004

nuvolarossa
04-06-04, 18:25
Lunedì 7 giugno
Il segretario del Pri
Francesco Nucara
sarà su "Rete A"
alle h. 12,57 per un'intervista

nuvolarossa
05-06-04, 21:13
Mezzogiorno: La Malfa, Istituire Ministero Per Lo Sviluppo (3)
Di (Prs/Pe/Adnkronos)

NUCARA, RILANCIO COMPORTA INVESTIMENTI E FORTE VOLONTA' POLITICA (Adnkronos) - ''Il Mezzogiorno e' stato dimenticato dal governo italiano'', ha concordato il segretario nazionale del Pri, Francesco Nucara, in occasione della presentazione della proposta di legge di Giorgio La Malfa sull'istituzione di un ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno. ''La questione meridionale e' una questione italiana -ha aggiunto Nucara- perche' i problemi del Sud condizionano le scelte dell'Italia intera, di conseguenza la questione meridionale e' una questione europea''.

nuvolarossa
30-06-04, 23:32
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Il sottosegretario all'Ambiente è intervenuto ad un convegno, sabato scorso, sulla valorizzazione di Avola Antica-Cava Grande del Cassibile/Un protocollo d'intesa che rappresenta, sotto molti aspetti, un vero piccolo laboratorio politico, un auspicabile modello dei metodi di intervento per il futuro, anche a livello nazionale

Quando la tutela del territorio e dei suoi beni produce un nuovo dialogo fra le parti

di Francesco Nucara

L'ambiente è, per definizione, unitivo: esso include, non separa; tiene assieme, non allontana; invita intorno ad un tavolo, non disperde.

Leggendo il ‘Protocollo d'intesa' del Patto ambientale "Avola antica-Cavagrande del Cassibile" pensavo, appunto, che esso rappresenta, per molti aspetti, un vero, piccolo laboratorio politico, un calco del metodo di intervento politico del futuro.

Innanzitutto perché, espressamente, genera armonia.

In un'epoca che non riesce a trovare neppure sui grandi temi tradizionali della politica sociale – mi riferisco alle pensioni; alla sanità; alla scuola e così via - una forma di concertazione adeguata, che fissi obiettivi ed, attraverso la mediazione politica, smussi le asperità dei contrasti tra le parti sociali, l'ambiente è in grado, attraverso un protocollo d'intesa, di far dialogare, di riunire intorno ad un tavolo "parti ambientali" diversissime tra loro per titolarità di interessi (basti considerare la teorica "distanza" tra Enti locali e strutture ministeriali; tra Istituti di credito ed Associazioni Ambientali), ‘provenienza politica', rappresentatività istituzionale, persino concezione culturale e portati ideologici ed a farle parlare tra di loro.

Pensavo che, ad esempio, se si riuscisse ad esportare questo modello alle grandi diatribe della politica nazionale; se si riuscisse condividere, su ciascuno dei grandi temi, indirizzi ed impegni contenuti su un ‘protocollo' di volta in volta concordato, la politica italiana acquisterebbe un'etica diversa, inedita, invidiabile.

Anche perché - ed è questo un secondo aspetto di metodo che il Protocollo rivela- se vizio della politica urlata e "di contrapposizione" è quello, oggi, di disperdere energie per far prevalere opzioni di parte, a scapito - alla fine - dei contenuti, l'esperimento che oggi viene varato serve ad abbassare i toni della discussione, proprio per renderla fruttuosa. Intendo dire che l'interesse – prevalente - alla tutela ambientale e culturale di una meraviglia quale è Cava Grande del Cassibile fa passare in secondo piano diatribe e polemiche, vacuità verbali ed intemperanze politiche, a beneficio dei contenuti.

Ora, se si rimprovera sempre più spesso alla politica di essere parolaia, ma non fattiva; polemica, ma, spesso, non lucida, l'esperimento che oggi variamo costituisce l'esatto contrario di questo ‘versante d' ombra' della politica.

Ciò che mi colpisce, nella lettura di questo protocollo è, infatti, la consapevole individuazione delle problematiche – secche, senza aggiramenti e secondo un pieno principio di realtà - ma, al tempo stesso, l'altrettanto precisa scansione degli obiettivi del Patto, che non sono, come spesso capita per gli ‘impegni' politici, altisonanti e solo intravisti, ma, al contrario, "fattibili".

Quest'ultimo aggettivo mi pare la chiave di lettura di tutta questa vicenda.

La politica si è progressivamente allontanata dai suoi compiti e da ciò che dovrebbe sostenerla continuamente - e cioè l'entusiasmo dei cittadini- proprio per questo limite di fondo: essere, cioè, criptica fino, talvolta, all'esoterismo; essere impossibile, fino all'utopia.

Che non significa negare alla politica il diritto di ‘pensare in grande', quanto piuttosto il pressante richiamo a realizzare anche dopo aver pensato in grande: in una parola, a non coltivare illusioni.

Ora, a scorrere gli obiettivi del Patto si è percorsi da un senso di benessere: perché esso non promette la luna e non pretende oltre il ragionevole.

Non si illude, insomma, e, soprattutto, non illude: rileva, senza finzioni; programma soluzioni, senza stare, come spesso capita a noi politici, "saldamente ancorati con i piedi su una nuvola", come amava dire Ennio Flaiano.

Così , se si rileva che "l'offerta turistica locale non è organizzata", viene progettato, quale obiettivo, la promozione di un'offerta turistica locale.

Ma ciò viene fatto non quale ovvia risposta ad una deficienza rilevata, quanto con un metodo di analisi e di intervento che – non dovrei dirlo da politico - costituiscono una meravigliosa eccezione nel panorama, spesso improvvisato ed approssimato, delle politiche di intervento.

Così, ci si è accollati l'impegno, innanzitutto, di esaminare i flussi di presenza turistica a Cava Grande di Cassibile; si sono rilevati tipologia e quantità; ci si è resi conto di dover ‘fronteggiare' un flusso turistico in perenne crescita che si assesta, ormai, su una media annuale di circa 29.000 presenze, con incrementi di oltre il 60% nei tre mesi estivi (luglio, agosto, settembre), con la punta massima tra l'8 ed il 22 agosto; che il rapporto tra turisti ‘locali' e non, vede questi ultimi prevalere, sia pure leggermente; che la presenza degli stranieri premia, soprattutto per i turisti tedeschi e francesi – primi per affluenza - le campagne promozionali della Riserva naturale.

Ora, conoscere tutto ciò dà un senso al successivo intervento politico: lo guida, lo rende mirato e fattivo, gli conferisce un contenuto.

Allorquando ci si impegna, nel Patto, ad organizzare e promuovere l'offerta turistica locale si sa già di cosa si parla e non si parla a vuoto: si sa che occorrerà assicurare una ricettività eccezionale in alcuni periodi dell'anno; che sarà necessario concentrare la promozione dell'offerta turistica in alcuni ambiti geografici europei piuttosto che altri, senza tuttavia rinunciare ad incrementare il mercato; che bisognerà incoraggiare un turismo locale – intendo dire: di turisti siciliani - ma trasformandolo, progressivamente, in breve turismo stanziale e così via.

In sintesi: attraverso gli studi di fattibilità, oggi ampiamente esposti, l'intervento politico trova, esso stesso, la sua condizione di fattibilità e, dunque, di credibilità.

C'è poi il metodo dell'impegno comune.

Lo si accennava all'inizio e lo si riprende ora, per ribadire come l'etica della politica del futuro passa attraverso lo sviluppo integrato, quindi attraverso la sinergia degli interventi.

Non sto facendo fare alla politica un ‘passo indietro' rispetto al suo compito fondamentale: decidere per il bene comune; sto, al contrario, evidenziando come, nell'odierna società complessa, siano mutati profondamente i processi decisionali e che, dunque, la vera garanzia affinché tali decisioni siano efficienti, per celerità e qualità di intervento, è quella del metodo sinergico: "mettere a disposizione le rispettive competenze" affinché – come recita l'art. 4 del protocollo - "con riferimento ai diversi ruoli ed interessi" si concorra al migliore risultato possibile del programma di sviluppo.

Se questa distribuzione orizzontale delle competenze rimanesse, tuttavia, nel limbo della genericità e della pura intenzione, nulla o poco sarebbe cambiato rispetto al passato.

Viceversa, noto che la modernità è manifesta in un duplice profilo : l'aver individuato – un po' come è accaduto per la costruzione dell'Unione Europea - una serie di "azioni comuni", portate avanti, cioè, da tutti i partners; ma aver dettagliatamente specificato, parallelamente, le azioni, gli impegni assunti dai singoli firmatari, affinché nulla si perda nel magma dell'indistinzione.

Così, il Protocollo delinea un perfetto sistema integrato, nel quale ciascuno ha una propria parte di azione comune, ma, soprattutto, un'azione ‘individuale' che ridonda a beneficio della prima e senza la quale essa sarebbe impossibile.

Ho parlato non a caso di modello integrato "orizzontale".

Perché questa scelta vettoriale, preferita ad una integrazione di tipo opposto, cioè per separazione "verticale" di competenze e funzioni, supera un'ulteriore punto di stasi che il nostro sistema politico sta drammaticamente vivendo: quello della infinita diatriba tra centro e periferia, della distribuzione delle competenze e dei momenti decisionali tra Stato ed enti locali.

Qui lo Stato non interviene per "far da padrone", né gli enti locali agiscono per rivendicare: l'uno assume su di sé gli obiettivi di carattere generale, gli altri sono i capofila di una cordata che coinvolge, in dimensione locale, l'intera società civile - e cioè l'Università, la Camera di commercio, le Parti Sociali, gli Enti di formazione e orientamento, gli Istituti di credito, le Associazioni – attraverso strumenti di concertazione il cui coordinamento è rimesso al Comune di Avola, cioè all'ente locale.

Ora, se non vogliamo che il federalismo diventi solo un vuoto slogan ideologico dobbiamo ammettere, con onestà, che un modello integrato di questo tipo ne incarna appieno obiettivi e metodi, rilanciando con forza l'autonomia, in senso nobile, delle istituzioni locali (non soltanto politiche in senso stretto), ma non per questo demonizzando la presenza dello Stato o, peggio, riducendola al ruolo di convitato di pietra.

E, a questo proposito, non posso non accennare, prima di concludere, al senso della presenza del Ministero dell'Ambiente nella stipula di questo Patto Ambientale Avola Antica.

E' una presenza discreta, non invasiva, ma neppure superflua: volta a garantire, essenzialmente, il best first, il "miglior inizio possibile", come amano dire i politologi americani, dell'intervento locale e sinergico.

E' una presenza, infatti, che mira a garantire il "livello essenziale delle prestazioni", si direbbe in linguaggio tecnico – quali il generale miglioramento delle condizioni ambientali o il coordinamento degli interventi di contrasto alla desertificazione o al dissesto idrogeologico (la Sicilia è la regione italiana a più alto rischio di desertificazione laddove il 36,6 % del suo territorio presenta aree sensibili al fenomeno; del pari, il rischio idrogeologico è, tra i rischi naturali, il più ricorrente in questa regione) - che costituiscono il presupposto su cui si innesta lo specifico intervento del Patto.

La generale valorizzazione ambientale, nel caso di specie, si sposa felicemente con quella delle risorse storiche, archeologiche e culturali dell'area ed è un connubio di grande valenza politica e culturale.

La risoluzione dei problemi generali della conservazione e della valorizzazione del patrimonio artistico italiano, passa –io credo- attraverso una vecchia intuizione di fondo che riconosceva quale essenza caratterizzante ed unica al mondo l'indissolubilità dei nostri beni artistici dal territorio che ne ha visto, nel susseguirsi dei millenni, la stratificazione.

Intuizione, questa – dicevo- tutt'altro che inedita ma estremamente preziosa e già destinata al pari di tutte le percezioni precoci, ad essere esiziale.

Oggi, tuttavia, essa trova lucida interpretazione nel nuovissimo Codice dei Beni Culturali. Siamo finalmente consapevoli che il patrimonio artistico va inteso come parte integrante e fondamentale dell'ambiente e da questa acquisizione deriva una nozione comprensiva di "rischio ambientale": basti pensare, ad esempio, alla minaccia sismica nei riguardi del patrimonio monumentale.

Si prende atto definitivamente della indispensabilità di coniugare alle esigenze di una società moderna e di un contesto sempre più tecnologico, la tutela parallela ed integrata dei beni artistici e dei beni ambientali.

E nella stessa prospettiva ideologica si pone la normativa sull'ambiente: certo, in una prospettiva fortunatamente archiviata, si riteneva doveroso tutelare l'ambiente in quanto, ad esempio, l'azione giuridica si traduceva nella salvaguardia della salute pubblica: in termini medici diremmo che la tutela avveniva "per seconda intenzione"; oppure, parallelamente, si esercitava tutela del bene culturale in quanto esso era espressione dell'interesse storico ed estetico dell'uomo.

Il sistema normativo odierno non riflette più un interesse indiretto alla tutela ma, per la prima volta, viene affermato il principio di tutela di un bene in quanto tale, cioè meritevole in sé di tutela.

Il bene culturale diviene bene ambientale e il valore da tutelare è, in ogni caso, l'ambiente.

A testimonianza ulteriore di tale impegno - in chiave soprattutto culturale - e del ruolo del Ministero dell'Ambiente, è la previsione di finanziamento delle iniziative di ricerca intraprese nell'ambito del Patto ambientale, anche in collaborazione con il C.N.R. e gli Enti Universitari.

Si badi: non ci muoviamo nella tradizionale dinamica di uno Stato che, a livello centrale, ha la responsabilità solo finanziaria di gestioni del territorio effettuate in sede locale.

La prospettiva è completamente diversa, direi antitetica. Siamo in presenza di uno Stato che interviene sulle iniziative – quali quelle di finanziamento della ricerca - che costituiscono il necessario background - come sopra si è tentato di dimostrare- per gli interventi stessi, affinché essi non siano ciechi, confusi, dispersivi.

La ricerca guida gli interventi e lo Stato organizza e coordina la ricerca, finalizzata al complessivo miglioramento delle condizioni ambientali.

Si replica insomma, a 2.500 anni di distanza, nel cuore della Magna Grecia, un modello politico " di avanguardia": quello in cui Stato e polis concorrono, senza litigare, al bene comune dei cittadini.

nuvolarossa
02-08-04, 20:53
Un ordine del giorno del presidente del Pri sul riassetto del settore energetico in Italia, un Paese posto di fronte a delle scelte decisive/Rinnovabili: quali le prospettive per il solare, sia nelle applicazioni civili sia in quelle industriali. L'enfasi che è stata fino ad oggi posta sull'eolico e i dubbi risultati raggiunti nella Penisola

Quando la nostra dipendenza dalle importazioni indica scenari ormai non più rinviabili

Riproduciamo il testo di un Ordine del giorno presentato in Aula dall'onorevole Giorgio La Malfa nella seduta del 30 luglio 2004, accolto dal governo come raccomandazione. L'Atto Camera è il 3297-C:"Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia".

La Camera, premesso che:

il record storico dei consumi dell'energia elettrica (53.500 megawatt) raggiunto nel nostro Paese il 23 luglio 2004 e le tensioni crescenti registratesi negli ultimi mesi nel mercato del petrolio, tensioni da considerarsi strutturali a fronte della fortissima domanda dei Paesi economicamente emergenti quali Cina ed India cui fa riscontro la preoccupante diminuzione della capacità produttiva di riserva dei Paesi Opec, destinata a far fronte alle tensioni del mercato ed alle emergenze, pongono l'Italia di fronte a scelte energetiche decisive per il proprio futuro;

se da un lato va annotata con favore la crescente diversificazione delle fonti operata dall'Enel, sì da ridurre la dipendenza da petrolio, dall'altro l'Italia resta il Paese nel quale si importano 6 gigawatt annui da Paesi esteri, dove il costo dell'energia è mediamente più elevato rispetto ai partners europei, dove resta elevatissima la dipendenza da combustibili fossili, che non abbiamo;

il Protocollo di Kyoto, dall'Italia sottoscritto e sostenuto con vigore in sede internazionale, non ha prodotto risultati apprezzabili nell'attività di regolazione ad esso riferibile; la carbon tax è al palo, per non introdurre un ulteriore elemento di crisi nel sistema industriale e dei trasporti, mentre forti perplessità devono sollevarsi sulla direzione che prendono le sovvenzioni per le fonti di energia rinnovabile già sollevate nel novembre scorso dalla Commissione attività produttive in sede di parere sul decreto attuativo della direttiva in materia, la 2001/77/CE; Lega Ambiente ha recentemente dimostrato che i cosiddetti contributi CIP6, 0,007 euro ogni kWh consumato, in media 20 euro a famiglia per un totale nazionale di 1840 milioni di euro all'anno, solo per il 19 per cento pagano energia da tecnologie rinnovabili. La maggior parte dei soldi (circa 1.300 milioni all'anno) va alle cosiddette "assimilabili", che includono molti impianti tradizionali a idrocarburi, trasformandosi in una tassa per finanziare l'arretratezza; senza considerare che l'incenerimento dei rifiuti, in buona parte plastica derivata dal petrolio, è stato considerato "energia rinnovabile";

il fallimento delle nostre politiche attuative di Kyoto è condensabile in tre elementi: l'Autorità per l'energia ha emesso il 27 aprile 2004 un provvedimento per controlli e sopralluoghi, tramite la Guardia di Finanza, agli impianti che godono degli incentivi; la Commissione europea nei giorni scorsi ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato invio del piano nazionale per le emissioni; d'altro canto le emissioni lorde di gas serra nel nostro Paese hanno superato i 545 milioni di tonnellate nel 2001, rispetto ai 508 milioni del 1990, con una crescita del 7,3 per cento, invece che una riduzione; viceversa il Regno Unito, Paese petrolifero, ha ridotto le emissioni del 12, per cento e la Germania addirittura del 17,7 per cento;

la maggior parte delle sovvenzioni per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata sinora assorbita dall'energia eolica, settore nel quale il nostro Paese è al quarto posto tra i produttori in Europa con 904 MW installati e prodotti da circa 1.300 torri eoliche, ben lontani dai 14.000 MW della Germania, dai 6.200 della Spagna e dai 3.100 della Danimarca;

la loro installazione, in un Paese stretto ed antropizzato come il nostro, ha prodotto crescenti reazioni che hanno visto opporsi gruppi locali ambientalisti ad imprese, ad enti territoriali e financo alle proprie organizzazioni in sede nazionale, responsabili di un'accettazione che non ha tenuto pieno conto di una attenta valutazione costi-benefici, abbagliati dal miraggio della raggiunta valenza industriale di un metodo pulito di produzione energetica;

per quanto le si voglia chiamare "fattorie del vento", gli impianti eolici sono impianti industriali a tutti gli effetti, in particolare quelli delle ultime generazioni con altezze complessive ben superiori ai 100 metri e rotori di oltre 90, essendo l'altezza crescente direttamente proporzionale alla capacità produttiva; sinteticamente le obiezioni all'installazione delle torri eoliche possono così esemplificarsi:

a) l'energia eolica è intermittente ed imprevedibile; oggi non si può sapere se domani, o tra un'ora, si produrrà. Su oltre 8.000 ore annue l'Italia ha una media di ore utilizzabili dalle torri (con vento tra 4 e 22 metri al secondo) non superiore alle 2.000 ore, a fronte delle oltre 3.000 dei Paesi del Nord Europa; inoltre l'intermittenza obbliga a mantenere centrali tradizionali a sostegno: il gestore di rete tedesco ha dichiarato (der Spiegel aprile 2004) che per ogni MW di eolico occorre mantenere 800 kW tradizionali di sostegno, con un "accendi e spegni" tutt'altro che economico;

b) se l'obiettivo è quello di produrre con il vento il 3,5 per cento dell'energia elettrica e quindi 1'1,2 per cento dell'energia totale consumata dal sistema Italia (nel limite dei 5000 MW installabili di energia elettrica da fonte rinnovabile intermittente), al fine di ridurre le emissioni nocive dell' 1,6 per cento, l'installazione di oltre 5000-6000 torri eoliche alte in media 100 metri, produrrebbe un risparmio irrisorio, del tutto inefficace per il raggiungimento degli impegni di Kyoto, se si considera che il consumo di petrolio e di altri combustibili fossili aumenta ogni anno in Italia di oltre il 2 per cento;

c) viceversa, nel caso esposto, gli impatti sul paesaggio italiano, costituzionalmente tutelato, sarebbero abnormi; gli impianti eolici vanno installati sui crinali di montagna, ad altezze superiori agli 800 metri o in aree costiere di notevole pregio, quali quelle della Sardegna, della Sicilia, della Campania, della Calabria o della Puglia, distruggendo in modo indelebile i caratteri culturali, agricoli, turistici e paesaggistici del nostro Paese, con una dequalificazione di intere province e con costi economici ed ambientali incalcolabili; una per tutte: la strenua opposizione del Ministro per i beni e le attività culturali alle installazioni eoliche in Umbria, anche perché "..si sa che di energia elettrica ne producono poca.." (dichiarazione del 23 gennaio 2004);

d) non si tratta solo di installare torri da cento metri, ma anche di predisporre in zone intatte reti stradali in grado di sopportare il traffico di autoarticolati di oltre 45 metri, sgomberare vaste zone di bosco e di macchia (le torri distano in media 250 metri l'una dall'altra e vanno collegate tra loro), creare basi di cemento da 800 e più tonnellate che scendono nel sottosuolo per decine di metri, collegare con reti elettriche aeree l'impianto alla rete nazionale;

e) impatti rilevanti si verificano anche sulla qualità della vita e sulle possibilità di sviluppo turistico delle zone limitrofe agli impianti; rumore a bassa frequenza, disturbo delle trasmissioni televisive, "effetto discoteca" dovuto alle luci notturne collocate sulle pale; l'esperienza della Germania, dove sono installati oltre 15.000 "asparagi", ha altresì dimostrato che risultano precluse le possibilità di sviluppo turistico e che si è creato un danno economico alle comunità, poiché case e terreni scendono drasticamente di valore ed in molti casi diventano invendibili;

f) tutt'altro che "ecologici" sono anche gli approcci delle società eoliche: "i sindaci dei piccoli Comuni sardi non riescono a resistere a 300 milioni all'anno e così, per un piatto di lenticchie, stiamo distruggendo per sempre il paesaggio della Sardegna. Le società eoliche arrivano di soppiatto, vanno prima dai proprietari delle cime delle colline dove vogliono installare enormi pali di 140 metri e promettono 30 milioni, poi fanno lo stesso con un'altra famiglia. Alla fine, un sindaco non riesce a dire no a 40, 50 famiglie. E così, facendo finta di portare ricchezza e lavoro in Sardegna, approfittano della povertà della gente". Così si è espresso il Presidente della regione Sardegna. Nel Mezzogiorno le società procedono chiedendo concessioni ai comuni, strutturalmente affetti da cronica mancanza di risorse, aggravata dalle nuove funzioni che il Centro trasferisce loro. Il "cedimento" di un comune è il segnale per il cedimento di tutti gli altri, tanto ormai paesaggio e prospettive di sviluppo alternative sono rovinati. È così che il Fortore si trova ad avere una selva di oltre 450 pali, dacché dovevano essere meno di 50; è questa la fine che rischia di fare il Cilento ancora intatto, dove ogni comune ha la sua richiesta di società eolica o la sua delibera d'insediamento approvata, ma aspetta che parta l'altro; la scarsezza dei rendimenti economici per i comuni e, viceversa, la rilevante redditività garantita per legge alle imprese si configurano come una sorta di "nuovo colonialismo" che, come il vecchio, produce esproprio o utilizzo improprio del territorio, nonché straniamento degli assetti economici e culturali locali, cioè l'esatto opposto del concetto di corretto sviluppo civile ed economico;

g) non ultimi, gli impatti violenti sulla fauna ed in particolare sull'avifauna, al punto che anche i cacciatori, nel mensile ‘Diana' di giugno 2004 si sono apertamente schierati contro l'eolico; è pur vero che le convenzioni tra società eoliche ed associazioni ambientaliste prevedono la non installazione nelle zone di passo migratorio, ma è anche vero che ciò non sembra in grado di scongiurare le stragi di rapaci dell'Appennino, né la distruzione di habitat particolari quale quello degli ultimi orsi bruni, in difesa dei quali sono in corso strenue lotte in Abruzzo;

viceversa l'Italia è il Paese del sole, come bene sanno anche gli italiani; da un rapporto dell'Ispo del luglio 2004, l'energia solare è la rinnovabile più conosciuta dagli intervistati (88 per cento del campione); in linea di principio essa è maggiormente affidabile, ha minore impatto sul territorio e crea una miriade di autoproduttori, poiché può diffondersi su gran parte degli edifici civili, salvo, anche qui, il rispetto dei valori paesaggistici; tuttavia dal 1999 ad oggi, le incentivazioni economiche sono state principalmente utilizzate per sostenere gli impianti eolici, impedendo in tal modo il decollo dell'industria fotovoltaica italiana, che nell'ultimo anno ha installato pannelli per 1 MW, contro gli 80 MW della Germania e i 135 MW del Giappone, Paesi molto meno soleggiati del nostro e che tuttavia ci surclassano in questo settore;

secondo Legambiente, "basterebbe poco per portare l'Italia ad un ruolo d'avanguardia nello sviluppo delle tecnologie energetiche del futuro", ma il timore è che gli incentivi per il solare previsti dalla legge n. 387 del 2003, rischiano di essere irrisori e questo a fronte dei 1300 milioni di euro "gettati al vento con la farsa dei contributi CIP6"; i pochi fondi disponibili del meritorio programma nazionale "Tetti fotovoltaici" sono stati utilizzati essenzialmente e giustamente per edifici pubblici, scuole in particolare, mentre la regione Lazio sta per approvare una legge d'avanguardia che prevede un forte risparmio energetico nelle nuove abitazioni e l'installazione obbligatoria dei pannelli solari per la produzione di acqua calda; nel progetto della regione sono previsti contributi, ma è la leva fiscale a garantirne un prevedibile successo, mediante detrazione Irpef del 36 per cento ed IVA ridotta al 10 per cento;

sono gli sviluppi scientifici dello sfruttamento dell'energia solare ad essere di enorme interesse, non solo perché sembrano garantire la continuità di resa energetica, ma anche la possibilità di utilizzo dell'energia così prodotta a scopi industriali; ci si riferisce sia al gruppo di lavoro istituito dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (Iea), denominato Task 33, rispetto al quale plaudiamo l'adesione dell'Italia nel giugno di quest'anno, per promuovere l'impiego di impianti solari termici a bassa e media temperatura (sino a 250 gradi) nelle industrie alimentari, tessili e chimiche, sia in particolare al "progetto Archimede" elaborato dal premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia in Sicilia, il nuovo solare termodinamico ad alta temperatura in cui l'energia catturata dagli specchi parabolici e immagazzinata da un fluido salino, consentirà di produrre dalla fonte solare anche di notte; secondo Rubbia questa miscela di sali permette di raggiungere temperature fino a 550 gradi, industrialmente utilizzabili, "una fonte pulita, perfettamente competitiva, abbondante e sicura. E per giunta è tecnologia italiana: una ricchezza che possiamo utilizzare direttamente ed esportare";

allo stato il progetto Rubbia prevede la produzione di 20 Mw, praticamente effettivi e non fittizi come gli eolici, utilizzando un'area di 200 mila metri quadrati. Con un quadrato di tre chilometri di lato, le dimensioni di un aeroporto, può ottenersi l'energia di una centrale nucleare, i presentatori di questo documento non sono riusciti ad astenersi dal pensare, accostando l'immagine del riarso ed immenso deserto africano a quella delle immani tragedie umane che si stanno consumando al di là del Mar Mediterraneo, quale imperdibile occasione di salvezza e di riscatto potrebbe rappresentare un simile progetto per i nostri fratelli africani,

impegna il Governo

ad individuare l'energia solare quale fonte energetica rinnovabile con maggiore prospettiva di sviluppo, sia nelle applicazioni civili che in quelle industriali, in grado potenzialmente di liberare il Paese dagli attuali elevati livelli di dipendenza energetica, di consentire il rispetto degli impegni di Kyoto, di avviare un volano di sviluppo quale industria nazionale d'avanguardia;

ad emanare direttive agli enti pubblici di ricerca competenti, convogliando le opportune quote di finanziamenti pubblici, al fine di ampliare, anche mediante collaborazioni internazionali, la ricerca pubblica sull'energia solare e sulle sue applicazioni tecnologiche, nonché sulle problematiche concernenti l'inadeguatezza degli attuali sistemi di conservazione e trasmissione dell'energia elettrica;

ad incentivare la ricerca privata e delle imprese in ambito di sviluppo tecnologico e di utilizzo industriale dell'energia elettrica prodotta da fonte solare, nella prospettiva ineludibile dell'indipendenza energetica del Paese;

ad adottare le iniziative di propria competenza volte a prevedere una moratoria per l'installazione di impianti eolici nelle regioni in cui non sia stato redatto il Piano energetico regionale; in tale ambito, a valorizzare i Piani energetici provinciali quale elemento fondamentale per la corretta individuazione degli insediamenti, in quanto frutto della concertazione paritaria tra enti locali;

ad approfondire gli effetti dell'installazione degli impianti eolici sulle comunità civili limitrofe e sulle attività economiche, in particolare sull'attività turistica, nonché edilizia-immobiliare;

ad impedire, per quanto di propria competenza, l'insediamento di impianti eolici nelle zone di pregio paesaggistico-ambientale, comunque definite, prevedendo inoltre adeguate "zone-cuscinetto", nelle zone fortemente antropizzate, nelle zone costiere, nelle zone di passo dell'avifauna, nelle zone di insediamento dei rapaci e di altre specie animali particolarmente sensibili alle modificazioni dell'habitat; in particolare, per quel che riguarda l'avifauna, ad inserire il parere obbligatorio dell'Istituto nazionale della fauna selvatica nel procedimento autorizzatorio;

ad emanare direttive alle regioni nelle quali si stabilisca che il procedimento autorizzatorio di centrali elettriche da fonti rinnovabili o di centrali tradizionali minori di loro spettanza, sia adeguatamente pubblicizzato e di assoluta trasparenza sin dalla sua proposizione e che preveda la puntuale valutazione dei costi e dei benefici, ivi compresi gli impatti e le limitazioni allo sviluppo economico dei comuni o delle popolazioni limitrofe;

a ridurre progressivamente il peso delle fonti assimilate nel quadro delle energie incentivate, spostando le risorse, già dalla prossima legge finanziaria, verso forme di agevolazione fiscale simili a quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, in favore del risparmio energetico e dell'utilizzo dell'energia solare, o eolica a basso impatto, in ambito civile;

ad emanare, in fine, le linee guida per la tutela del paesaggio, permeandole di uno spirito che esalti il suo valore economico, in qualità di bene utile e scarso, ed introducendo elementi che consentano concretamente di valutare il danno paesaggistico-ambientale come risultante della somma dei danni materiali, ivi compreso il lucro cessante, e dei danni morali, per mancata fruizione, sofferti dalla comunità nazionale e dalle comunità locali.

Giorgio La Malfa

nuvolarossa
07-08-04, 22:49
Il Piano deve tenerne conto, ma niente pale sui nostri monti - Siamo privi di energia

Il Piano energetico regionale non può avere la presunzione di rendere le Marche energeticamente indipendenti e tanto più assurdo sarebbe pensare che la nostra Provincia diventi autosufficiente.

L'energia elettrica che ogni giorno consumiamo ad esempio proviene da una rete internazionale che richiede una forte collaborazione e interconnessione fra i diversi gestori.

Il blocco di energia elettrica dell'anno scorso che paralizzò tutta l'Italia ne è un esempio.

Quindi ritengo che, se non vogliamo fare ancora una volta demagogia, sarebbe opportuno valutare il Piano energetico regionale nella sua reale importanza.

Il Piano energetico dovrebbe tenere conto che nella provincia di Pesaro e Urbino la produzione di energia è praticamente nulla.

Questo squilibrio non va a vantaggio né dell'efficienza né tantomeno del tanto decantato risparmio energetico.

Quando si trasporta energia, oltre ad un costo strutturale, bisogna considerare che una parte di essa va perduta.

Dalla Regione, ma anche dalla Provincia ci si aspetterebbe una forte sensibilizzazione per la raccolta differenziata e di conseguenza la costruzione di termovalorizzatori idonei.

E' curiosa la posizione del consigliere provinciale dei Verdi, che critica chi chiede impianti efficienti e un riequilibrio energetico a favore della nostra provincia, mentre trascura completamente il forte ritardo che le istituzioni locali, Provincia e Regione hanno nei confronti di una corretta politica di gestione dei rifiuti.

Di questo passo imiteremo la Campania, poiché le discariche comunitarie, sequestri permettendo, sono ormai al collasso.

Il Partito Repubblicano Italiano ritiene inoltre grave la scelta che favorirebbe una produzione energetica diffusa, un impianto di cogenerazione per ogni distretto industriale.

Pensare di costruire mega strutture è impensabile, ma proporre di costruire piccoli impianti, impianti condominio, perché così è più facile avere il consenso sociale è semplicemente folle.

Sarebbe una scorciatoia che ci creerebbe infiniti problemi, sia dal punto di vista tecnologico, automatismi di autocontrollo, efficienza, ecc, sia dal punto di vista dei controlli da parte delle enti competenti. Come quando, sempre condizionati dal consenso sociale, si costruirono discariche per ogni Comune, allo stesso modo oggi si vorrebbe ripetere questo gravissimo errore con conseguenze negative ben più gravi di quanto produssero le innumerevoli discariche comunali.

Il Pri inoltre mette in guardia i sindaci dei Comuni appenninici affinché si oppongano energicamente al Piano energetico regionale sulla previsione di installare pale eoliche sulle nostre bellissime montagne (Passo del Furlo e Monte Catria). Nel Paese del sole e non certo quello del vento, avvallare impianti eolici, che producono benefici inesistenti mentre avremo un vistoso scempio paesaggistico e ambientale sarebbe davvero insopportabile.

GIUSEPPE GAMBIOLI

nuvolarossa
10-08-04, 13:32
INTERVISTA CON IL SOTTOSEGRETARIO ALL’AMBIENTE FRANCESCO NUCARA

«Quell’impianto è sicuro, avrete tutte le garanzie»

ANTONIO TROISE
Roma. La linea del governo non cambia: i termovalorizzatori si devono fare. Francesco Nucara, sottosegretario all’Ambiente, manda un segnale inequivocabile proprio mentre, ad Acerra, le tensione cresce di ora in ora. «Capisco le preoccupazioni dei cittadini. Le ho vissute in prima persona quando, in Calabria, ci furono le cariche della polizia contro le persone che manifestavano contro gli inceneritori. Ma i problemi non si risolvono in questa maniera».
E come si risolvono?
«Facendo capire alla gente che i termovalorizzatori non inquinano, non sono dannosi. Ma sono fondamentali per risolvere il problema dei rifiuti».
Non esistono alternative?
«No. Le discariche, prima o poi, si esauriscono. E i rifiuti devono essere distrutti. Ma c’è anche un altro aspetto da tenere presente. A Vienna o, a Brescia per restare in Italia, i termovalorizzatori sono localizzati nel centro delle città. È la prova più evidente che non sono dannosi».
Però i cittadini di Acerra la pensano in maniera diametralmente opposta. Forse, prima, occorrerebbe convincerli?
«Noi siamo pronti a dare tutte le garanzie. La popolazione ha tutto il diritto di chiedere che ci sia una Valutazione di impatto ambientale o che, per cinque anni, la situazione sia attentamente monitorata da strutture non di parte. Ma non si può continuare a giocare allo scaricabarile. La Regione ha indicato il sito dove creare questo impianto. Ora il termovalorizzatore si deve fare».
Ad Acerra, però, sono tornate le barricate. E la situazione potrebbe degenerare.
«Capisco. Ma, ripeto: non si può pensare di rimandare nel tempo il problema dello smaltimento del rifiuti. Forse, con una adeguata raccolta differenziata, le dimensioni del problema sarebbero diversi. Ora dobbiamo recuperare il tempo perduto. Nessuno può pensare di poter tamponare l’emergenza continuano a spostare i rifiuti da una città all’altra».
È proprio quello che avvenuto fino ad oggi?
«Sì. Ma è una soluzione che non possiamo più adottare. Senza considerare, poi, che ad Acerra dobbiamo fare i conti con una situazione davvero paradossale».
Quale?
«I cittadini di Acerra si lamentano del termovalorizzatori. Ma dovrebbero anche sapere che la falda acquifera del comune è completamente inquinata proprio per i rifiuti sparsi sul territorio. Tanto che l’acqua del Comune non può essere utilizzata neanche per l’irrigazione dei campi. Tutto questo crea un danno economico incalcolabile».
Quindi, il ministero andrà avanti nonostante le proteste?
«La decisione politica è stata presa dalla Regione. Toccava all’amministrazione campana elaborare il piano di smaltimento dei rifiuti. Ora non si può tornare indietro. Anche perchè si innescherebbe un circolo vizioso e sarebbe possibile convincere i cittadini di un comune ad accettare quello che un’altra città a rifiutato. Ripeto: i cittadini hanno il diritto di chiedere tutte le garanzie e le compensazioni possibili. Il ministero è disponibile ad accettare le richieste. Ma gli impianti devono essere realizzati».

nuvolarossa
09-09-04, 22:52
Il sottosegretario Francesco Nucara al convegno su "Popolazione, pianeta e prosperità"

Domenica 12 settembre il segretario del Partito repubblicano italiano, onorevole Francesco Nucara, parteciperà, in qualità di sottosegretario all'Ambiente, al 37° convegno sui problemi internazionali organizzato dall'istituto Nicolò Rezzara di Vicenza, congiuntamente alla Regione Veneto, dedicato a "Popolazione, pianeta, prosperità".

L'intervento dell'onorevole Francesco Nucara chiude questo convegno, che si svolgerà a Recoaro Terme a partire dal giorno venerdì 10 settembre.

nuvolarossa
24-09-04, 23:07
"Italia Oggi" giovedì 23 settembre 2004/Il Sottosegretario per l'ambiente lancia l'allarme spesa e si dichiara contrario al ponte sullo Stretto

Contro il dissesto dirottare i fondi

Nucara: le risorse della protezione civile vadano al territorio

di Luigi Chiarello

Dirottare i fondi della protezione civile alla gestione del territorio. E incentivare il consumo di metano per far muovere le auto. Ma evitare che l'Ue attui da sola il protocollo di Kyoto, se Russia e Usa non dovessero ratificarlo. Francesco Nucara, sottosegretario per l'ambiente e il territorio, chiede un'inversione di rotta al governo e bolla come sbagliata la scelta di costruire il ponte sullo Stretto.

Nei giorni scorsi Pietro Armani (An), presidente della commissione ambiente alla camera, ha dichiarato: se Russia e Usa non ratificano il protocollo di Kyoto, i paesi Ue non dovranno attuarlo (Italia Oggi del 9 settembre 2004). Cosa ne pensa?

Gli Usa intendono comprare emissioni di gas serra dai paesi in via di sviluppo. Cioè non vogliono tagliare le emissioni sul loro territorio, ma ridurre le quantità di gas emesse da altri stati. In pratica, intendono continuare a inquinare il loro paese e vogliono disinquinare altri stati. Assurdo? No. Probabilmente, dietro, c'è una politica di carattere commerciale, basata sulla vendita di tecnologie ambientali ai paesi emergenti.

Il problema, dunque, è complesso e va letto nell'ottica di una strategia mondiale. Certamente, se solo Italia e Ue dovessero applicare il protocollo di Kyoto, i nuovi vincoli ambientali si tradurrebbero in un danno oggettivo per l'industria italiana, senza risultati per la salute del pianeta.

Il rischio che Usa e Russia si accordino sul rifiuto di ratifica è molto alto, nonostante oggi (ieri per chi legge) il consigliere di Putin, Serghei Yastrzhembskiy, abbia dichiarato che la Russia ratificherà il protocollo, anche se non è ancora possibile dire quando. Potrebbe saltare il lavoro di anni?

Sì. Potrebbe succedere. Gli Usa andranno al mercato delle emissioni. Anche la Russia, ma con minore interesse perché non ha la stessa capacità di spesa. Resta un fatto. L'inquinamento è un problema senza frontiere. E ci sono paesi avanzati a più elevato tasso d'inquinamento: l'Italia, per esempio, con le sue centrali a carbone inquina molto più della Francia con il nucleare.

Il 20 aprile scorso l'Italia ha varato il piano nazionale delle emissioni. Ma quando andrà realmente a regime il nuovo sistema?

Sono percorsi accidentati. E non bastano le affermazioni di principio. Il governo deve conciliare la propria azione politica alle esigenze di sviluppo industriale del paese. Questi provvedimenti subiranno un complicato processo di attuazione. L'applicazione severa dei vincoli Ue sull'ambiente, che spesso effettuiamo, penalizza la capacità di competere del nostro sistema economico, influisce sull'occupazione e stimola il trasferimento di aziende italiane all'estero.

Passiamo ad altro. In Italia il dissesto idrogeologico è un problema rilevante, così come la regimentazione delle acque. Sono previsti fondi nella prossima Finanziari ?

In Italia abbiamo sempre aspettato che i disastri si realizzassero. Tutti i governi hanno letto il problema come occasionale. Passato l'autunno tutti se ne dimenticano. Il ministero per l'ambiente, invece, ha condotto una mappatura delle zone a rischio, disponibile sul sito www.minambiente.it. E ha fatto i conti: per eliminare il rischio idrogeologico dalle aree R4, cioè le zone più esposte a disastri, servono circa 100 mila miliardi di vecchie lire, cioè cinque Finanziarie. Una somma non stanziabile.

Ma qualcosa andrà pur fatto.

Il governo sbaglia a non destinare risorse a riguardo, perché poi le uscite ci saranno comunque; quando dovrà trovare i soldi per gli interventi d'urgenza della protezione civile. Sarebbe meglio pianificare certi investimenti, tentando di evitare che i disastri succedano. Invece oggi, paradossalmente, i fondi destinati alla protezione civile per i danni causati da piogge e frane sono superiori a quelli del ministero dell'ambiente, che deve fare il lavoro di tutela del territorio.

Dunque, la scarsità di risorse penalizzerà le spese necessarie alla riduzione dei rischi.

Certamente. Ma l'attuale esecutivo può invertire la rotta, destinando prima le risorse alla tutela del territorio, piuttosto che stanziarle dopo alla protezione civile. Almeno per le zone a più alto rischio.

Negli ultimi giorni riecheggia il dibattito sul ritorno al nucleare. Cosa ne pensa?

Io sono per il nucleare. Se importiamo energia dalle centrali nucleari di Lione o dalla Slovenia che senso ha vietarne la costruzione in Italia. Esistono i problemi scorie e attentati, ma anche le tecnologie valide per affrontarli.

E il ponte sullo Stretto?

Sono contrario alla sua costruzione. Va realizzato solo dopo aver migliorato le infrastrutture di Calabria e Sicilia, indecenti per un paese civile. E' come se un signore andasse in giro per Milano con una bella cravatta, ma senza camicia.

Il governo ha recentemente varato un provvedimento per ridurre lo zolfo in benzina e diesel. Arriveranno altri decreti a riguardo?

Sulla benzina ho i miei dubbi che non ci sia stata dietro una manovra industriale, come avvenne per la catalitica. Piuttosto credo che in Italia vada sostenuto l'uso del metano per far muovere le auto.

E sulla possibilità per la gdo di aprire distributori di carburanti?

Sono per la liberalizzazione in tutti i sensi.

nuvolarossa
27-09-04, 19:37
Dopo 10 anni di legge Galli/Mezzogiorno: le risorse idriche necessitano di investimenti

Quando le tariffe non consentono ritorni economici

di Giovanni Pizzo

Nel gennaio scorso abbiamo celebrato il "decennale" della legge "Galli"; una legge che avrebbe dovuto eliminare i carrozzoni clientelari che la politica aveva piazzato a presidio del più basilare dei servizi pubblici (portare nelle case l'acqua potabile e depurare quella scaricata) per poterne sfruttare l'enorme potenziale elettorale e creare una industria dei servizi idrici. "Inutile al Nord, inapplicabile al Sud", così fu subito bollata quella legge da chi aveva chiaro il quadro della situazione. In effetti al Nord, anche per una maggiore oggettiva semplicità del sistema, era già presente un tessuto di aziende erogatrici del servizio, che, sia pure in regime di protezione dalla concorrenza, avevano cominciato a realizzare la necessità di un approccio industriale, in cui costi operativi, investimenti e ricavi fossero coerentemente legati per il conseguimento dell'equilibrio economico dell'attività, e la politica aveva fatto già qualche passo indietro.

Al Sud le cose erano molto diverse. La maggior parte del territorio era (ed è ancora) gestito – come due secoli fa - direttamente dai Comuni, con la eccezione di alcuni grandi "Carrozzoni" regionali e qualche Azienda comunale. Qui bisognava preliminarmente "distruggere" i carrozzoni per innescare il processo di industrializzazione. Dopo dieci anni di scontri ideologici di principio fra i "liberisti" ad oltranza e i fautori del modello "misto", al Nord sembra si sia raggiunto un equilibrio fra politica e investitori basato sulla creazione di grandi Aziende "multiutility" attraverso processi di aggregazione territoriale delle aziende di proprietà pubblica preesistenti, e la cessione sul mercato di quote di capitale.

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con lo schema della legge "Galli" che ha avuto il merito di "smuovere le acque". Al Sud si profila un vero e proprio disastro. Dopo un decennio di retorica sulla necessità di industrializzare il sistema togliendolo al controllo della politica, si è conseguito il risultato diametralmente opposto: non c'è più un euro di finanziamento pubblico destinato alle infrastrutture idriche che non sia controllato dalle Assemblee di Sindaci che condizionano fantasmi di Organismi Tecnici, "Segreterie Tecnico – operative" che sono solo "segreterie politiche". I c.d. "Piani d'Ambito" che avrebbero dovuto costituire la base per il piano industriale del nuovo Gestore per l'intero ambito territoriale (coincidente spesso con il territorio delle Province), sono diventati l'ennesima lista della spesa per gli irrefrenabili appetiti di finanziamenti dei Sindaci; poiché le regole comunitarie impongono una quota di co – finanziamento privato del 30%, il solo apporto richiesto per sostenere i finanziamenti pubblici rende impossibile, con l'attuale sistema tariffario, la redditività del capitale. La conclusione è sintetizzata in modo efficace da Andrea Mangoni, Amministratore delegato di Acea, la multiutility romana, primo operatore nazionale nei servizi idrici: "l'attuale sistema tariffario impedisce ad una società quotata di investire nel Mezzogiorno. Il sistema delle tariffe delle acque in Italia – tra le più basse al mondo – agevola quelle acquisizioni in cui si può recuperare efficienza con investimenti limitati. Al Sud serve invece un innesto di investimenti forte, ma le tariffe non consentono il ritorno." In effetti le poche gare per l'affidamento del Servizio bandite al Sud hanno visto la totale assenza dei grandi operatori del settore, scoraggiati dalle pretese garanzie bancarie.

Probabilmente, in assenza della "droga" dei fondi pubblici, i Sindaci avrebbero approvato Piani d'Ambito più ragionevoli e non avrebbero scoraggiato gli operatori. Come si vede il problema del Sud non è più (se mai lo è stato) un problema di scarsità di finanziamenti, ma di capacità di utilizzarli bene. E questo è un problema molto più complicato.

nuvolarossa
30-09-04, 19:41
Donne in agricoltura: osservatorio che rivela le problematiche femminili in un particolare ambito lavorativo/Intervento di Francesco Nucara tratto da un recente convegno organizzato a Roma: ne emerge la necessità di un ripensamento delle politiche del settore

Il management del gentil sesso si realizza soltanto nelle piccole imprese

Intervento del sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara presentato al convegno "L'Europagricola del terzo millennio ha bisogno delle donne", Roma, 24 settembre 2004.

di Francesco Nucara

Se non temessi di tracimare immediatamente dai limiti di tempo e di spazio propri di un saluto, comincerei con il contestare il titolo di questo convegno. Non è l' "Europagricola" ad avere bisogno delle donne in agricoltura, ma è l'Europa tout court -nella sua interezza di nuovo soggetto politico ed economico- ad avere bisogno delle donne. Tutta l'Europa, insomma, di tutte le donne.

Dico questo per veicolare una prima riflessione: le competenze femminili, l'impegno delle donne, i loro "stili di vita" conferiscono qualità alla vita sociale ed economica evadendo dalla logica dei settori, delle parcellizzazioni, della "schedatura" dei mestieri. L'Europa deve parlare al femminile non perché le "donne siano più adatte a...", secondo la logica delle partiture sociali di fine ottocento; ma perché quello femminile è il linguaggio del futuro: un po' come il basic lo è per l'informatica, l'inglese per la tecnologia, il tedesco per la grande poesia e letteratura.

Parlare al femminile significa sì tener conto di un dato quantitativo, ma soprattutto di un orizzonte qualitativo: ed è questo l'orizzonte che -credo- faccia da sfondo al nostro convegno.

Perché se solo i numeri fossero importanti e solo le quantità rilevanti, faremmo oggi torto alla fatica degli organizzatori ed alla importanza dei relatori: attualmente, infatti, il numero delle donne occupate in agricoltura non arriva alle 500.000 unità e, soprattutto, rappresenta poco più del 5 % del totale delle donne occupate.

Tanto rumore per nulla, dunque ?

E' vero esattamente il contrario. Il lavoro delle donne in agricoltura è infatti un microcosmo ideale, un laboratorio d'elezione per esaminare, per un verso, le problematiche del lavoro delle donne e, per altro verso, la peculiarità del lavoro agricolo.

Voglio dire che, scorrendo le statistiche, si scoprono dati di notevole interesse, oltremodo rivelatori. Leggiamo, ad esempio, che la donna occupata in agricoltura è mediamente di età elevata (42,3 anni); è più "coniugata" ed ha più figli delle altre donne occupate; vive in famiglie più numerose ma ha anche un grado di istruzione più basso delle donne occupate in altri settori. Soprattutto, la donna in agricoltura -parlo della lavoratrice indipendente- lavora di più delle sue colleghe: 65 ore (settimanali), tra lavoro extradomestico e familiare, contro una media di 59 ore negli altri settori, superiore anche alle medie del sesso forte.

Cosa esprimono questi dati?

A prima vista una condizione deteriore della donna lavoratrice in agricoltura rispetto a quella impiegata in altre categorie produttive. Il dato che funge da cartina al tornasole -quello dell'età media abbastanza alta- induce, ad esempio, a ritenere che l'occupazione in agricoltura invecchi (in presenza di un ricambio generazionale sempre più difficoltoso) con l'agricoltura medesima: a fronte di una età media di appena 36 anni delle donne nel settore dell'industria e di 38,3 anni dell'età media della donna in altri settori di attività.

Ma anche questo dato non va posto in relazione, a mio avviso, ad una specificità della condizione femminile: esso, piuttosto, segnala la necessità di ripensare le stesse politiche agricole a livello non solo nazionale, problema drammaticamente attuale e prioritario.

(Da uomo del Sud, non posso fare a meno di sottolineare come, a questo proposito, il Paese sia, ancora una volta, spaccato in due: l'imprenditoria agricola gestita dalla donna esiste solo nel Nord Italia, mentre al Sud la realtà è quella del lavoro dipendente, salariato. E' un problema economico prima ancora che "femminile".)

Dicevo, comunque, che, i dati esaminati, per quanto all'apparenza "negativi", risultano, ad un esame più approfondito, di segno esattamente contrario.

Ad esempio, rilevare che le lavoratrici indipendenti in agricoltura hanno -tra lavoro extradomestico e familiare- il picco più elevato di ore lavorative settimanali (quasi il doppio delle celebrate 35 ore della gauche francese) è sì, indubbiamente, un dato in sé negativo; ma lo è molto di meno considerando che esso esprime una sorta di compatibilità storica (confermata da tutti i dati statistici) tra ruolo familiare e ruolo professionale della donna.

Insomma, nel lavoro in agricoltura -dove innovazione e tradizione si alternano, fino a confondersi in maniera inestricabile- il dato precipuo della tradizione è proprio rappresentato da una figura femminile pienamente radicata nel ruolo familiare al quale non rinunzia (sono, abbiamo detto, le più "coniugate" e quelle con il maggior numero di figli), anche se viene riaffermata la vocazione professionale, a costo di sacrifici enormi. I dati statistici confermano come tale settore professionale offra, probabilmente, un ideale connubio di valori di tradizione e di prospettive di innovazione: è chiaro che il sacrificio sopportato dalle protagoniste di tale dinamico intreccio è inversamente proporzionale alla modernizzazione ed allo sviluppo dell'agricoltura stessa.

Ed è questa la focalizzazione perfetta del rapporto tra donna ed agricoltura.

I dati statistici dimostrano che l'occupazione in agricoltura al femminile non è vista più -semplicemente- come la perpetuazione di una tradizione (solo il 71 % delle donne che lavorano in agricoltura ha un genitore che lo fa o lo ha fatto, contro l'80% degli uomini lavoratori) o, peggio, come un ripiego occupazionale di scarso pregio (è sufficiente uno sguardo alle rilevazioni relative alla "percezione di soddisfazione" di tale occupazione da parte delle donne medesime). Come dire, quello in agricoltura non è un lavoro ereditato o un ripiego occupazionale, ma un lavoro scelto. Per passione, ma anche per "riconoscimento salariale"; per spirito imprenditoriale, certo, ma anche perché l'azienda agricola -la cui sede coincide sovente con la residenza familiare- consente di fondere impegni familiari e professionali.

E' chiaro che la scelta di tale occupazione esige, tuttavia, una necessaria sponda politica: precisamente, uno scudo delle politiche sociali, pronte ad incoraggiare la ricchezza -assai rara- di questa duplice scelta, familiare e professionale. Intendo dire che se fino ad oggi il peso dell'impegno dedicato all'agricoltura senza rinunzia alla famiglia (ed anzi sul presupposto di una localizzazione congiunta delle due attività) si è materializzato nelle 65 ore di lavoro settimanale, l'impegno della politica- opportunamente sollecitata da incontri di alto profilo quale il presente- deve essere altrettanto intenso. Occorre prendere atto che, a partire dagli anni '90, si è ormai completato il passaggio dalla terra all'impresa, che di terra vive; che, dunque, la femminilizzazione in agricoltura non vive più le agiografie e le icone delle mondine di Riso amaro, ma registra una vera strategia imprenditoriale delle donne, le cui aziende -come è stato scritto- palesano una redditività mediamente superiore a quelle a conduzione maschile "indipendentemente dalla dimensione aziendale e dal territorio ove esse sono localizzate: espressione, quindi, di una managerialità diffusa che porta le donne ad ottenere, per le proprie aziende, in genere, risultati economicamente validi".

Ma questa capacità, pure collaudata, non basta a creare sviluppo al femminile dell'agricoltura. Sempre i dati statistici degli ultimi decenni ci dicono, ad esempio, che mentre raddoppia, nel tempo, il numero delle piccole e medie aziende agricole (da 10 a 20 ettari) condotte da donne, nella dimensione superiore -e cioè per aziende superiori ai 20 ettari- si registra un fenomeno inverso. Le donne imprenditrici in agricoltura trovano difficoltà a profondere managerialità in imprese medio-grandi: non sfondano la "barriera"dei 20 ettari. Senza indulgere nella retorica, è evidente come le spiegazioni di tale fenomeno annoverino, senza dubbio, quella più ovvia: e cioè che le attività extraziendali, di tipo familiare -che nessun conduttore maschio, soprattutto a quel livello imprenditoriale, certamente effettua- continuano a costituire una limitazione per la grande imprenditoria femminile.

Questi pochi numeri disegnano, in conclusione, un quadro sufficientemente chiaro. L'impegno femminile in agricoltura, dopo la flessione dei primi anni novanta, si è trasformato in alacrità di management nell'impresa agricola di piccola-media dimensione. Ancora oggi, però, sembra inibito alla donna un ruolo di gestione aziendale di più vaste dimensioni; il ruolo imprenditoriale che la donna si è ritagliato è un sentiero tuttora impervio che difficilmente pare spianato dalle istituzioni o dalle politiche sociali, ma, quasi sempre, solo dal coraggio e dal sacrificio personale delle protagoniste. Eppure, gli stessi temi di questo nostro incontro di studio lasciano intravedere prospettive "al femminile" di enorme potenzialità imprenditoriale: immagino, ad esempio, il ruolo della donna imprenditrice in ambiti quali l'agricoltura biologica, l'agricoltura sostenibile sotto il profilo ambientale, la sperimentazione e la ricerca nello sviluppo delle aree rurali per l'efficienza funzionale del territorio.

Ma tutto ciò passa, in generale, attraverso nuovi sostegni rivolti dalla politica all'agricoltura ed, in particolare, attraverso una nuova sensibilità per ripensare alla salvaguardia delle intelligenze che in essa operano, in primo luogo le donne.

Alla fine, esse chiedono alla politica, ancora una volta, solo l'esiguità di un'attenzione: davvero poco, in cambio del tantissimo che dànno.

nuvolarossa
06-10-04, 22:09
Energia, linfa vitale: ma sale la domanda finendo col raddoppiare entro il 2050. Così come crescerà l'inquinamento/Molte le speranze che si concentrano, ad esempio, sull'idrogeno, anche se in realtà ne esiste un "tipo nero" ed un altro indicato con l'aggettivo "verde"

Riequilibrare le risorse e sostenere la ricerca contro i "ghetti" di domani

di Vincenzo Cesareo*

L'energia è la linfa vitale dell'era dell'informazione. Mentre è stato chiarito che la recente crisi californiana dell'energia elettrica non è dipesa dalla "net economy", ci sono segnali che fanno preoccupare analisti ed esperti.

I prezzi degli idrocarburi salgono, la deregulation del mercato dell'energia elettrica negli USA ha portato più problemi che benefici e l'industria pesante, grande consumatrice di energia, soffre.

Il tutto in un periodo di recessione.

La realtà che circonda i nuovi scenari energetici è molto complessa e si muove su piani temporali diversi, con associazioni ed operatori che sono concentrati sul breve periodo ed altri sul medio o lunghissimo.

Questo comporta alcune difficoltà di comunicazione, dovute ad una babele di linguaggi: si va dal linguaggio tecnico-scientifico, al linguaggio quasi visionario, ad un linguaggio molto più ancorato ai dati della realtà attuale.

Anche i ruoli in gioco sono diversi: dall'operatore tecnico-scientifico a quello economico, ai cittadini, alle istituzioni.

Ci sono forti contrapposizioni che percorrono il campo dell'energia, tra un mondo che si orienta soprattutto verso il risparmio energetico ed un altro che guarda con molta più attenzione alla produzione energetica; tra un mondo che è abituato a considerare la pianificazione dell'energia delle centrali come una pianificazione calata dall'alto sul territorio, ed un mondo che cerca di dar vita ad una pianificazione partecipata, o quantomeno che tenta di mettere in rapporto l'elemento centrale con quello locale.

Quali saranno, pertanto, i nuovi scenari energetici?

Non ce lo devono spiegare gli scienziati che, su un pianeta sempre più popolato, ci sarà sempre più bisogno di energia elettrica.

La domanda mondiale, si calcola, crescerà del 50% da qui al 2030 e raddoppierà addirittura entro il 2050.

Basti pensare che solo negli Stati Uniti la richiesta di energia elettrica crescerà del 40% nei prossimi 18 anni, passando da circa 3,8 migliaia di miliardi di kilowattora a circa 5,3 migliaia di miliardi.

Oggi l'80% dei consumi mondiali di energia è soddisfatto dai combustibili fossili.

E' in questo contesto che nasce l'esigenza di una regolazione dei mercati indipendenti sia dalle imprese che dallo Stato: questa è l'origine dell'Autorità per l'energia elettrica e del gas.

Infatti anche nei mercati liberalizzati, i governi possono difficilmente funzionale come arbitri imparziali se mantengono la proprietà ed il controllo delle imprese.

In un contesto privatizzato, subiscono le pressioni delle lobby industriali e degli elettori.

Pertanto nasce la necessità di istituire organi di supervisione dei mercati indipendenti dai poteri politici, oltre che dalle industrie.

Per quanto riguarda le direttive europee, che praticamente sono alla base del processo di liberalizzazione che stiamo attualmente vivendo, il breve tempo della liberalizzazione e le forti variazioni intervenute nel prezzo del petrolio non permettono di valutare l'effetto sui prezzi dell'energia.

Dall'esperienza dei Paesi che hanno avviato il processo da più tempo, risulta che la concorrenza, quando opportunamente regolata, può portare a forti riduzioni del prezzo dell'energia.

Resta comunque indilazionabile iniziare la corsa alle energie alternative: l'U E, ad esempio, si è impegnata a produrre, entro il 2010, il 22% dell'energia elettrica da fonti rinnovabili: centrali eoliche, geotermiche, idriche, pannelli solari.

Oggi in Italia siamo già al 17% soprattutto grazie alle dighe.

I vantaggi? Intanto non inquinano.

E presto sarà indispensabile potenziare queste fonti alternative perché il petrolio è destinato a finire.

Persino società petrolifere come la Shell e la BP stanno passando gradualmente all'energia solare.

E gli svantaggi?

Il prezzo: un kilowattora fotovoltaico (ossia prodotto da un pannello solare) costa il doppio rispetto all'energia tradizionale.

Si parla anche di nuove centrali a turbogas, che però usano il metano e quindi inquinano.

E' allo studio la possibilità di sfruttare i moti del mare in profondità nello Stretto di Messina, che darebbero energia a tutta la Sicilia.

La Danimarca è il maggiore produttore mondiale di energia eolica, seguita dall'India e dall'Olanda.

Nel Paese dei mulini a vento la usano per illuminare e scaldare le case. Un kilowattora eolico ha un costo minore di un decimo rispetto all'energia tradizionale. Infatti nel mondo si è passati dai 6.070 megawatt eolici del 96 ai 31.650 della fine del 2002.

A Madrid ed in altre 8 città europee di grandi dimensioni si stanno sperimentando gli autobus ad idrogeno. Su questa fonte di energia si concentrano molte speranze. In realtà esiste un idrogeno "nero" (prodotto da petrolio e carbone, e che aumenta l'effetto serra) ed uno "verde". L'idrogeno, infatti, non è una fonte energetica di per sé, ma un trasportatore di energia.

Per ricavare energia bisogna spezzare la sua molecola, tramite un processo chiamato elettrolisi: oggi lo si fa usando petrolio, metano o carbone, ossia combustibili inquinanti. In Islanda, invece, progettano di convertire gli impianti ad idrogeno non inquinante, perché per l'elettrolisi useranno il calore dei geyser.

Esistono già i prototipi di automobili ad idrogeno, purtroppo inquinanti (usano metano per l'elettrolisi) anche se almeno non producono polveri.

La Germania ha già installato due milioni di metri quadrati di pannelli solari sui tetti delle case, e l'Austria un milione e trecentomila.

L'Italia, invece, ‘o Paese do sole', ha solo 180mila metri quadrati di pannelli. A dire il vero, però, Carlo Rubbia, già premio Nobel per la Fisica, ha realizzato una nuova centrale Enea in Sicilia, a Priolo Gargallo, costituita da 360 specchi parabolici, che concentreranno l'energia solare in una serie di tubi, riuscendo a fornire energia elettrica necessaria ad una cittadina di 20mila abitanti.

Al costo di 50 milioni di euro, immetterà 20 megawatt nella rete nazionale al costo stracciato di 6 centesimi a kilowattora: meno della metà del costo medio delle attuali energie verdi. Sicuramente un passo avanti, ma non idoneo a scongiurare il grande spauracchio del black-out.

Perché, Milano o New York non cambia, si passa dal riscaldamento a go - go in inverno, all'aria condizionata effetto Polo in estate.

Per non parlare dei gas di scarico, degli elettrodomestici vecchi ….. Risultato? Più inquiniamo, più abbiamo sete di energia. Negli ultimi 420mila anni non c'era mai stata sulla Terra una variazione della presenza di anidride carbonica superiore alle trecento parti per milione di volume.

L'anidride carbonica, lo ricordo, "cattura" i raggi del sole che vengono così riflessi nell'atmosfera: a questo effetto serra dobbiamo la temperatura di circa 18 gradi centigradi nel nostro pianeta, che ha permesso la nascita della vita. L'effetto serra fa paura perché cresce in modo incontrollato, a causa delle emissioni di anidride carbonica nelle industrie: siamo arrivati ad un picco di 373 parti per milione di volume.

Nell'ultimo secolo la temperatura è salita di 0,6 gradi. Se arriveremo a 550 parti di anidride carbonica per milione di volume sarà la catastrofe. Speriamo che gli Stati Uniti, soprattutto dopo la recente adesione della Russia, ratifichino l'accordo di Kyoto, firmato da 120 Paesi, che impone di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 5,2% entro il 2012. E l'Italia, che l'ha firmato, le ha aumentate del 7,3% !

Tra cento anni, andando avanti così, è facile prevedere città nelle quali i poveri staranno in ghetti sempre più poveri ed i ricchi in gabbie dorate sempre più blindate (una sorta di arresto domiciliare).

L'unico modo di evitare questo incubo?

Riequilibrare le risorse a cominciare da quelle energetiche, investire e sostenere la ricerca.

*Consigliere regionale Pri in Calabria

nuvolarossa
08-10-04, 10:54
Sul capitolo dei trasporti il governo sembra essere rimasto a piedi. Probabilmente i giornali c’informano male, ma il caos regna sovrano.
Il ministro Siniscalco prima dice che lo Stato vende le strade e si dovrà pagare il pedaggio; poi precisa che il pedaggio lo paga lo Stato e non il cittadino; poi ancora ...

(continua al link sotto)

http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/1054

nuvolarossa
08-10-04, 18:16
Assemblea annuale dell'Associazione bonifiche: intervento del sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara/Un ruolo e una funzione che ormai appaiono lontani dall'antica impostazione limitata al risanamento rurale. Il futuro è la valorizzazione complessiva

Quando l'ente è chiamato allo sviluppo delle potenzialità del territorio

Intervento del sottosegretario all'Ambiente, on. Francesco Nucara, all'assemblea annuale Anbi, Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari. Roma, 7 ottobre 2004.

di Francesco Nucara

Vi ringrazio per l'invito, che ho accolto ben volentieri, di partecipare alla Vostra Assemblea Annuale.

Un appuntamento questo che si svolge in una fase particolare della politica nazionale, concentrata sulla legge finanziaria presentata dal Governo nell'ultimo Consiglio dei ministri.

Sicuramente gran parte del vostro dibattito si svolgerà attorno al ruolo dei consorzi di bonifica, quelli relativi alle questioni legate alla gestione delle risorse idriche, alla tutela delle acque, al loro utilizzo.

Un ruolo ad essi attribuito dalla legge fondamentale sulla difesa del suolo, la legge 183 del 1989 e poi successivamente dal Decreto Legislativo n. 152 del 1999.

Il ruolo e la funzione dei Consorzi di Bonifica, alla luce della più recente evoluzione, possono ormai dirsi lontani dall'antica impostazione circoscritta unicamente al risanamento rurale, essendo incentrati, invece, sul privilegio delle potenzialità produttive del patrimonio terriero (incrementate attraverso l'utilizzo delle tecniche più avanzate), nonché, soprattutto, sulla costante e capillare azione di consolidamento, difesa e valorizzazione del territorio.

La complessità e la molteplicità delle funzioni oggi attribuite agli enti di bonifica, in ragione delle sofisticate e non comuni cognizioni tecnico _ scientifiche di cui gli enti suddetti sono portatori, è testimoniata dalla sovrapposizione di leggi statali e regionali intervenute a disciplinare la materia, anche se in maniera frammentaria, non omogenea e certamente inadeguata al ruolo ed alla crescente importanza di un ente come il Consorzio di Bonifica.

A riprova dell' accresciuto rilievo assunto nel corso dell'ultimo ventennio dai Consorzi di Bonifica, ai fini della specifica valorizzazione dei singoli comprensori, la stessa Corte Costituzionale ha operato una mirabile sintesi di compiti e funzioni ascrivibili agli enti consortili (sentenza n°66 del 1992).

Essa, infatti, argomenta che, "La bonifica è un'attività pubblica che ha per fine la conservazione e la difesa del suolo, l'utilizzazione e tutela delle risorse idriche e la tutela ambientale. I Consorzi di Bonifica sono una delle istituzioni principali per la realizzazione degli scopi di difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e di tutela degli assetti ambientali ad essi connessi".

La Consulta fotografa in maniera inequivocabile il ruolo strategico del Consorzio di Bonifica, nonché i molteplici profili ascrivibili alla attività istituzionale dei Consorzi; non solo in ordine ai compiti che sono loro affidati, ma anche in ordine alla complessità ed alla valenza globale della stessa attività che sono chiamati a svolgere.

E ciò avuto riguardo, in primo luogo, alle realtà di comprensori a medio e/o alto tasso urbanistico, ove le infrastrutture di bonifica presenti sono notevolissime e l'equilibrio idrogeologico e l'integrità del territorio sono in connessione inscindibile con dette opere; opere, delle quali, in molti casi, la collettività disconosce la basilare importanza.

Basti por mente all'importanza delle opere consortili contro il rischio idrico ed idrogeologico; alla rilevanza dei processi di regimazione dell'acqua e di difesa idraulica ed in ultima analisi, dell'attività irrigua (per non menzionare, sia pur limitatamente ad alcune realtà regionali, le attività demandate ai Consorzi di Bonifica in materia di forestazione).

Appare, pertanto, opportuno ribadire, con vigore ed in tutte le sedi, la centralità e l'importanza dei più rilevanti compiti assolti dai Consorzi di Bonifica.

Pur volendo limitare la presente disamina ad una valutazione generale del problema, per chiare esigenze di sintesi, non si può non rimarcare, ad esempio, la preminente funzione del sistema di opere di regimazione idraulica e la centralità che tale sistema assume per la difesa dalle inondazioni, non solo dei terreni agricoli, ma di tutto il territorio a qualunque uso adibito.

In molti casi, le descritte opere di adduzione e regimentazione, si rivelano fondamentali anche al fine dell'abbattimento dei carichi inquinanti dei corsi d'acqua naturali, costituendo spesso lo strumento per il trasporto di grandi quantità di acque reflue dei centri urbani e degli stabilimenti industriali.

Si palesa, pertanto, di palmare evidenza l'evoluzione che ha interessato l'ente Consorzio di Bonifica: da istituzione originariamente finalizzata allo sviluppo agricolo, ad indispensabile presidio dell'equilibrio idrogeologico del territorio, a strumento di moderno e razionale sfruttamento delle acque, ad ente di salvaguardia e tutela ambientale nell'accezione più ampia del termine.

L'originaria funzione agricola della bonifica, pur conservando la sua connotazione essenziale, ha perso la sua primitiva identità per acquisirne una di più ampio respiro e di interesse generale, nell'ottica di una più moderna concezione della attività di bonifica.

La bonifica, in sostanza, è venuta ad assumere imprescindibili compiti di difesa complessiva del suolo e delle sue risorse per fini d'interesse pubblico sempre meno settoriali, attraverso la complessa attività sopra descritta, che muove dalle prime fasi di studio e di progettazione, sino a pervenire alla compiuta realizzazione delle opere pubbliche di bonifica di più rilevante importanza, indispensabili per garantire risposte adeguate alle diversificate realtà territoriali

L'attività di bonifica abbraccia, quindi, tutti gli insediamenti presenti nel comprensorio (agricoli, urbani, industriali), anche in ragione della capacità di incidere fortemente sull'assetto territoriale, per effetto di un patrimonio di competenze sofisticate in tema di opere pubbliche di bonifica e di opere idrauliche in generale.

Sotto altro e non meno importante aspetto, va evidenziato come i Consorzi di Bonifica diventano enti nevralgici ai fini del migliore e più proficuo sfruttamento dei finanziamenti di derivazione comunitaria.

L'attività dei Consorzi, pertanto, si presta anche a divenire seria ed affidabile garanzia di impiego di risorse pubbliche, nello specifico settore di pertinenza.

Sarebbe, allora, quanto mai auspicabile che, sulla base di tale rinnovata consapevolezza ed in armonia con il riconosciuto potere legislativo regionale, il Legislatore centrale si facesse carico di un'opera di rivisitazione della normativa esistente, attribuendo ai Consorzi di Bonifica, interessati dalla evoluzione sin qui ripercorsa, una collocazione istituzionale nitida, definita, consona alle potenzialità espresse da questi soggetti pubblici.

Prima di concludere, vorrei parlare del Programma idrico nazionale previsto dalla legge finanziaria dello scorso anno.

Si tratta di un documento presentato dal Ministero dell'Ambiente, già approvato in sede di Conferenza Stato Regioni del 23 settembre scorso, ma non definitivo rispetto alle problematiche complessive del settore.

La relazione di accompagnamento è stata concordata con le Regioni le quali hanno indicato le varie classi di interventi che la norma prevede vengano ricompresi nel Programma.

In sede di Conferenza Stato Regioni ho evidenziato il carattere di flessibilità e di adattabilità del Programma ed il ruolo fondamentale delle Regioni nella determinazione delle priorità per la scelta degli interventi da finanziare, garantendo la compatibilità di tali interventi con le linee di governo definite dagli atti di pianificazione e programmazione regionale ed in particolare dai Piani di Tutela.

Uno degli allegati riguardava in particolare il programma irriguo nazionale, elaborato del Ministero delle Politiche agricole e forestali e concordato con le Regioni.

A fronte di un fabbisogno complessivo precedentemente stimato attorno ai 30 miliardi di euro, le indicazioni provenienti dalle Regioni proiettano la richiesta finanziaria su valori sensibilmente più elevati.

In sede di Conferenza Stato Regioni ho assunto l'impegno di presentare al Cipe il Programma unitamente agli allegati predisposti in accordo con le Regioni.

Alla stesura del programma, anche la vostra Associazione ha dato il suo contributo, specificamente nella parte relativa al sistema unico e interconnesso e alla distribuzione e usi delle acque.

E' uno dei motivi per cui bisogna ringraziare il Direttore Generale, l'Avvocato Martuccelli, sempre molto attenta alle esigenze della vostra organizzazione e sempre presente sui temi che sono collegati alle tematiche legate all'acqua e alla difesa del suolo.

In altre due occasioni ho avuto infatti modo di apprezzare il Suo valente contributo.

A marzo, in occasione della chiusura dell'Anno internazionale dell'Acqua, organizzato dal Ministero dell'Ambiente, presso la Fiera di Milano ed alla fine di Aprile a Reggio Calabria in un bel convegno organizzato sempre dal Ministero dell'Ambiente sul Progetto Operativo Difesa Suolo.

Non sono venuto qui per fare un intervento, ma soltanto per un saluto molto cordiale ad un'Associazione che si muove nell'ambito di un settore a cui io sono molto legato, sia per la mia formazione personale sia perché, come sottosegretario ai Lavori Pubblici, ho portato a conclusione l'iter parlamentare della legge sulla difesa del suolo.

Termino con un augurio a tutti i partecipanti e con la certezza che da questa assise verranno, così come è sempre stato, contributi importanti per indirizzare la politica del Paese verso la soluzione di quei problemi che, sembrano insignificanti, ma sono fondamentali per una moderna civiltà.

nuvolarossa
14-10-04, 12:40
Il rischio industriale minuto per minuto

Roma - Il ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio a fine novembre collauderà un sistema innovativo di gestione degli incidenti dove sarà possibile seguire, malauguratamente dovesse avvenire, l'evento nel suo evolversi. Ogni cittadino presto potrà anche collegarsi a internet e, come per il rischio idrogeologico, verificare se la propria casa ricade in un'area a rischio.
«Il rischio industriale - ha detto il sottosegretario all' Ambiente, Francesco Nucara - è un problema molto serio e in Italia è stato sottovalutato. Solo dopo Seveso ci si è accorti che alcuni insediamenti sono vere e proprie bombe ecologiche».
In tal senso, ha annunciato il direttore generale, Bruno Agricola, il ministero sta mettendo a punto un servizio ispettivo ad hoc per il quale manca solo la parte finanziaria. «Per le tariffe, che ricadono sulle aziende - ha detto Agricola - è previsto un incontro con l'Economia e le Attività Produttive». Sul sistema ispezioni l'Italia deve infatti accelerare se, come ha riferito Agricola, «in 4 anni è stato realizzato solo il 64% delle ispezioni contro il 100% richiesto dall'Unione Europea».
In Italia sono 1.105 gli stabilimenti a rischio, tra cui 293 depositi di oli minerali, 282 stabilimenti chimici e petrolchimici, 248 depositi di gas liquefatti. Del totale 643 detengono quantitativi minori di sostanze pericolose (i cosiddetti a rischio) e 462 detengono quantitativi maggiori (ad alto rischio). Degli oltre 1.100 stabilimenti a rischio, il 22% è concentrato in Lombardia. Regioni con elevata presenza di industrie a rischio sono anche Piemonte (circa 10%), Emilia - Romagna (circa 9%) e Veneto (circa 8%). Al Sud in testa Sicilia (circa 6%), Puglia (circa 4%) e Sardegna (circa 4%).
Intanto arrivano gli eco-incentivi per le «auto pulite» di Regioni, Enti locali e soggetti gestori di servizi pubblici. Sta infatti per essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell'Ambiente che finanzia una seconda tranche di eco-incentivi per un ammontare di 90 milioni di euro per l'acquisto di veicoli elettrici, ibridi, a metano, a gpl e bifuel.
«Il rinnovo del parco circolante ha detto il Ministro dell' Ambiente Altero Matteoli - è la strategia vincente contro lo smog. Con questo provvedimento si potranno mandare in pensione i veicoli a trazione tradizionale e sostituirli con veicoli elettrici o a gas, a minimo impatto ambientale, con indiscussi vantaggi per l'aria delle città».

nuvolarossa
19-10-04, 11:27
CONVEGNO NAZIONALE SUL RISCHIO INDUSTRIALE

(Sesto Potere) - Roma - 19 ottobre 2004 - Oltre 1.100 stabilimenti a rischio in tutt'Italia, tra cui 293 depositi di oli minerali, 282 stabilimenti chimici e petrolchimici, 248 depositi di gas liquefatti. Sono solo alcuni dei dati sugli stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose e per questo motivo soggetti all'applicazione della Direttiva Seveso.
L'aggiornamento sullo stato di attuazione della norma comunitaria che prevede il controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose è stato reso noto, al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, nel corso della conferenza stampa sulla presentazione del Convegno nazionale "Valutazione e Gestione del Rischio negli insediamenti civili e industriali" (VGR 2004) che si terrà a Pisa da oggi 19 fino al 21 ottobre prossimo.

"L'evento di Pisa - ha detto il sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio, Francesco Nucara - rappresenta un momento di sereno confronto tra tutti i soggetti coinvolti nell'attuazione della norma sui rischi di incidenti rilevanti. Il Ministero dell'Ambiente si sta dotando di tutti gli strumenti al fine di attuare l'emendamento alla direttiva Seveso che estende il campo di applicazione".

Infatti, nel dicembre 2003, anche a seguito degli incidenti di Baia Mare (Romania - 2000), di Enschede (Paesi Bassi - 2000) e di Tolosa (Francia - 2001), il Parlamento ed il Consiglio europei hanno emanato la Direttiva di modifica della direttiva Seveso, estendendone il campo di applicazione, essenzialmente per quanto riguarda le sostanze esplodenti, alcune attività minerarie, l'inserimento di nuove sostanze cancerogene e maggiore attenzione per le sostanze pericolose per l'ambiente, nonché l'inserimento di nuovi obblighi per gli stati membri e per i gestori degli stabilimenti, al fine di garantire standard di sicurezza sempre più elevati. Proprio l'Italia, nel corso del semestre di turno alla presidenza dell'Unione Europea, ha portato rapidamente a conclusione le procedure della Conciliazione tra Consiglio e Parlamento Europeo.

Il numero complessivo degli stabilimenti a rischio presenti in Italia al 30 settembre 2004 è pari a 1.105, di cui 643 detengono quantitativi minori di sostanze pericolose (i cosiddetti a rischio) e 462 detengono quantitativi maggiori (ad alto rischio).

Relativamente alla distribuzione degli stabilimenti soggetti a notifica sul territorio nazionale, si rileva che oltre il 22% sono concentrati in Lombardia, in particolare nelle province di Milano, Varese e Bergamo. Regioni con elevata presenza di industrie a rischio sono anche il Piemonte (circa 10%), l'Emilia-Romagna (circa 9%), ed il Veneto (circa 8%), dove si evidenziano concentrazioni particolari nelle aree di Trecate (nel Novarese), Ravenna, Ferrara e Porto Marghera e nelle province di Torino, Alessandria e Bologna. Al Sud le regioni con maggior presenza di attività soggette a notifica risultano essere la Sicilia (circa 6%), la Puglia (circa 4%) e la Sardegna (circa 4%), in relazione alla presenza degli insediamenti petroliferi e petrolchimici nelle aree di Gela, Priolo, Brindisi, Porto Torres e Sarroch. Altre province dove si riscontra un elevato numero di stabilimenti a rischio sono Livorno, Roma, Frosinone, Napoli e Bari.

Proprio la quarta edizione del convegno di Pisa, un appuntamento biennale di riferimento per gli analisti di rischio, costituisce un'occasione di confronto tra Amministrazioni centrali e locali, Università, centri di ricerca e mondo dell'impresa sulle problematiche inerenti la sicurezza negli insediamenti industriali. (Sesto Potere)

nuvolarossa
19-10-04, 11:29
RISCHI INDUSTRIALI: PER IL SOTTOSEGRETARIO NUCARA MAI PIÙ SEVESO IN ITALIA

Roma, 18 ottobre - Il rischio industriale minuto per minuto. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio collauderà a fine novembre un sistema innovativo di gestione degli incidenti che permetterà di seguire l'evento nel suo evolversi. Presto i cittadini potranno anche collegarsi ad internet e verificare se la propria casa ricade in una zona a rischio. Questi solo due dei progetti del piano di prevenzione dei rischi industriali annunciati dal ministero nel corso della conferenza stampa di presentazione della quarta edizione del Convegno nazionale “Valutazione e Gestione del Rischio negli insediamenti civili e industriali” che si terrà a Pisa dal 19 al 21 ottobre prossimi.
“Il rischio industriale - ha detto il sottosegretario all'Ambiente, Francesco Nucara - è un problema molto serio e in Italia è stato sottovalutato. Solo dopo Seveso ci si è accorti che alcuni insediamenti sono vere e proprie bombe ecologiche. Non si possono lasciare le industria libere di inquinare. Ecco perché è necessario un piano di prevenzione che, però - ha sottolineato Nucara - deve prevedere anche un sistema di controlli”. Bruno Agricola, direttore generale del ministero dell’Ambiente, ha annunciato che il ministero sta mettendo a punto un servizio ispettivo ad hoc per il quale manca solo la parte finanziaria.
“Per le tariffe, che ricadono sulle aziende - ha detto Agricola - è previsto un incontro con l'Economia e le Attività Produttive”. Sul sistema ispezioni l'Italia deve infatti accelerare se, come ha riferito Agricola, “in quattro anni è stato realizzato solo il 64% delle ispezioni contro il 100% richiesto dall'Unione Europea”. In Italia sono 1.105 gli stabilimenti a rischio, tra cui 293 depositi di oli minerali, 282 stabilimenti chimici e petrolchimici, 248 depositi di gas liquefatti. In tutto, 643 detengono quantitativi minori di sostanze pericolose (i cosiddetti “a rischio”) e 462 detengono quantitativi maggiori (ad alto rischio). Degli oltre 1.100 stabilimenti a rischio, il 22% è concentrato in Lombardia. Regioni con elevata presenza di industria a rischio sono anche Piemonte (circa 10%), Emilia - Romagna (circa 9%) e Veneto (circa 8%). Al Sud in testa Sicilia (circa 6%), Puglia (circa 4%) e Sardegna (circa 4%). Per tutti questi stabilimenti, entro il 2005 Nucara ha annunciato l'approvazione della direttiva europea di modifica della Seveso che stringe le maglie della prevenzione. “Sanare e prevedere interventi per prevenire i disastri - ha detto Nucara - è lo sforzo del ministero dell'Ambiente che sta cercando anche di fare avvicinare l'opinione pubblica a questa problematica. Quando deve intervenire la protezione civile allora significa che non c'è pianificazione. Noi stiamo tentando di non dover più ricorrere all'intervento d'urgenza”.

nuvolarossa
27-10-04, 20:29
Cartagine: "Sviluppo sostenibile e dell'energia rinnovabile per i Paesi del Mediterraneo"/L'intervento di Rizzica al convegno dell'università Mediterranea d'Estate e dell'Obsevatoire Méditerranéen de l'énergie

Gli obiettivi comuni di amministrazioni locali e Università

Pubblichiamo l'intervento tenuto a Cartagine in un convegno organizzato dall'Università Mediterranea d'Estate unitamente all'Obsevatoire Méditerranéen de l'Energie sul tema dello "Sviluppo sostenibile e dell'energia rinnovabile per i Paesi del Mediterraneo", al quale erano presenti varie delegazioni, tra cui quella di Reggio Calabria guidata dal vice-sindaco Gianni Riizzica.

Preliminarmente mi preme ringraziare gli organizzatori di questo terzo UMET, sottolineando la condivisione piena sulla costituzione di un luogo privilegiato per il dibattito e lo scambio di idee per fare delle riflessioni comuni sulle prospettive dell'area del Mediterraneo.

Sono peraltro orgoglioso e soddisfatto dell'opportunità, costruita con il dialogo, di partecipare a questo qualificato tavolo di lavoro, congiuntamente all'Università Mediterranea di Reggio Calabria, che è l'Ateneo che opera sul nostro territorio con forti e significative sinergie con gli enti politici di gestione amministrativa.

D'altronde sono un convinto sostenitore, prima come politico del Partito Repubblicano Italiano e dopo come amministratore, che la ricerca scientifica è il primo motore di sviluppo per il territorio e, purtroppo, il territorio di Reggio Calabria e del Sud Italia intero ha bisogno di sviluppo essendo ancora una regione Obiettivo Uno dell'Unione Europea, ovvero un'area sottosviluppata; probabilmente la meno sviluppata dell'attuale scenario comunitario.

E' un dato per me preoccupante che l'Italia investa sempre meno in ricerca scientifica e che le politiche fiscali non sempre la agevolino, considerando che i paesi piu' avanzati sono quelli che sostengono con forza la Ricerca Scientifica.

Tuttavia, in Calabria insistono tre elementi particolarmente interessanti per questo dibattito:

L'ambiente, che non avendo subito una forte industrializzazione, mantiene la sua intatta bellezza che va preservata, valorizzata e curata come risorsa;

Le risorse umane, un potenziale di giovani professionisti e ricercatori, in passato andati a svolgere la propria attività all'estero o nel nord Italia, che possono dare la giusta propulsione a nuove ricerche e modalità per lo sviluppo locale;

L'energia, che la Calabria ha sempre prodotto ed esportato attraverso le sue centrali di carattere tradizionale idroelettrico.

Su queste basi si può innestare una nuova stagione di sviluppo basato su nuove forme di energie rinnovabili e di sviluppo sostenibile locale, attraverso nuove modalità.

Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo primario del Governo Italiano, tuttavia il quadro delle norme e dei regolamenti non risulta efficace come dovrebbe e come potrebbe.

Il mercato dell'energia in Italia è stato liberalizzato dal 1999 in seguito al recepimento della Direttiva Comunitaria 96/92/EC del 1996, ma, di fatto, continua ad essere anomalo e la produzione privata di nuova istituzione è contenuta in percentuali molto basse.

La politica degli incentivi su nuove forme di energia, dopo un primo impulso come ricaduta dell'adesione dell'Italia ai protocolli internazionali sullo sviluppo sostenibile (Kioto, Trieste, ecc…) di fatto ha segnato il passo e programmi come quello dei 10.000 tetti fotovoltaici non hanno dato l'esito previsto.

Il progetto Operativo Energia prospetta nuove misure di sostegno tecnico alle quali attingere. Misure regionali e locali, talvolta disomogenee continuano ad incentivare l'introduzione di sistemi fotovoltaici, soprattutto nell'edilizia.

Appare però interessante una serie di Circolari Ministeriali sulle condizioni di costruzione e gestione di produzione energetica alternativa e sul servizio di scambio dell'energia prodotta con fonti rinnovabili.

Il Ministero dell'Ambiente, anche attraverso l'azione di prestigiosi esponenti del mio partito, sta operando un piano nazionale per la ristrutturazione dei servizi tecnici dedicati all'ambiente ed in particolare allo sviluppo sostenibile.

L'amministrazione di Reggio Calabria si è proposta di individuare misure politiche adeguate alla dimensione di una città, proponendo azioni e politiche operative.

Abbiamo implementato un'apposita Unità Operativa, Energie e Risorse, che ha sviluppato alcuni programmi di informazione e censimento dei consumi energetici comunali, come caldaie condominali, e ha predisposto campagne informative per i cittadini.

Si è agito sugli edifici scolatici per i risparmio energetico e si è prodotta una zonizzazione energetica del territorio comunale.

Con l'ENEA, l'Ente Nazionale per l'Energia Alternativa, sono state attivate politiche divulgative.

Con l'Università Mediterranea stiamo lavorando al recepimento di alcune istanze provenienti da studi e ricerche sull'introduzione di fonti energetiche rinnovabili e su misure di accompagnamento.

Con l'Università Mediterranea di Reggio Calabria abbiamo maturato una certa esperienza comune che ci consente di operare in sinergia: oggi sappiamo che Amministrazioni Locali e Università possono e devono operare per obiettivi comuni.

Riguardo temi come l'ambiente, il governo delle trasformazioni, lo sviluppo sostenibile, abbiamo attivato programmi di alta formazione e concordato programmi comuni.

Sul tema dell'energia, come si è detto, centrale per l'Amministrazione che rappresento, intendiamo proporci come luogo di sperimentazione operativa delle ricerche che verranno ed intendiamo produrre buone prassi con reti internazionali che vorranno coinvolgerci in futuro.

Il nostro territorio è al centro del Mediterraneo, fra Marsiglia e Tripoli, tra Gibilterra e Alessandria, e intendiamo coltivare le nostre radici.

I nostri obiettivi condivisi sono:

La partecipazione attiva a programmi di respiro internazionale di ricerca scientifica in partenariato con l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, con attività di sperimentazione sul campo di progetti di ricerca.

La costituzione di una o più Società Consortili, anche con l'Università al fine di offrire vantaggi concreti e quantificabili, dalla riduzione dei costi energetici alla ricerca di soluzioni innovative per l'energia.

Lo studio e l'attuazione di nuove misure strategiche per l'introduzione di fonti di energia rinnovabile, come Regolamenti Edilizi ed Urbanistici Comunali, Statuti Locali, Patti per il risparmio ecc…

La progettazione e la realizzazione di centrali, di piccolo e medio taglio, per la produzione energetica alternativa sul territorio comunale.

La costruzione della mappa energetica territoriale.

La proposizione di misure di accompagnamento.

Siamo qui per dimostrare la nostra disponibilità ad operare con l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, con partner prestigiosi per costruire una società che conosca uno sviluppo sostenibile migliore di quello che i nostri avi, che vissero nel Mediterraneo, costruirono in passato.

Gianni Rizzica
Vice Sindaco di Reggio Calabria

nuvolarossa
28-10-04, 20:02
Reggio Calabria sabato 30 ottobre
Altafiumarahotel
Santa Trada di Cannitello

Convegno/"Energia eolica e aree naturali protette: l'esperienza del Parco Nazionale dell'Aspromonte"

Interverrà il sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara

nuvolarossa
06-12-04, 16:49
Fondi destinati alla ricerca: le proposte dei repubblicani

Riproduciamo il testo del documento, a cura del Pri, sui fondi da destinare alla ricerca scientifica. Tale documento è stato presentato (come annunciato nel fondo di venerdì) durante l’ultimo vertice di maggioranza dedicato alla manovra economica.

Dalla manovra prevista per il 2005 sono stati eliminati i 600 milioni aggiuntivi per le università e che erano stati considerati certi sino all’ultimo momento.

Il PRI ritiene indispensabile che questa posta sia riattivata al fine di rendere possibile un rilancio delle Università ed in particolare della ricerca di base in esse svolta.

Adesso l’economia europea, e quella italiana in particolare, sono soggette ad una forte sfida competitiva che si gioca su più livelli. Accanto alla pressione congiunturale creata dalla caduta del dollaro, che potrà eventualmente rilassarsi con un diverso riallineamento delle valute, esiste una pressione strutturale data dai bassi costi di produzione dell’area asiatica, Cina ed India in particolare, e dall’immissione di nuovi prodotti da parte dei paesi più sviluppati, in particolare gli Stati Uniti.

È indispensabile prendere atto come i bassi costi di lavoro dell’area asiatica, connessi all’immissione sul mercato del lavoro di una nuova forza lavoro di ingente dimensione, sono tali da mantenere per lungo tempo un incolmabile vantaggio di competitività nelle produzioni mature. Va inoltre osservato come la produzione di tutta una serie di servizi per le imprese, connessi all’uso dei computer, è trasferibile, ed infatti è in corso di trasferimento, in questi paesi dalle aree più sviluppate come gli stessi Stati Uniti.

In questo quadro il futuro dell’economia europea, ed italiana in particolare, data la sua relativa debolezza in materia, sta nella capacità di sviluppare nuove tecnologie sia in termini di miglioramento di quelle attuali, sia, e soprattutto, in direzione di nuovi prodotti e nuove metodologie. I settori più rilevanti per il prossimo futuro sembrano essere quelli dei supercomputer, delle biotecnologie e dei nuovi materiali intelligenti, questi ultimi derivati dallo sviluppo delle nano tecnologie.

Tutti questi possibili sviluppi richiedono il realizzarsi della ricerca di base in forme forti e significative anche in termini di collaborazione internazionale, scambio di conoscenze mediante presenze di studiosi italiani all’estero e di studiosi stranieri in Italia, nonché un più stretto rapporto tra il mondo della ricerca e quello della produzione.

Tagliare i fondi all’Università ed alla ricerca in questo momento significa mettere in pericolo una significativa e concreta possibilità di sviluppo e difesa dell’economia italiana nel futuro prossimo ed anche più lontano con un atto di colpevole miopia. Per questo motivo il PRI ribadisce con forza la necessità di ripristinare le risorse aggiuntive dei 600 milioni (cifra già di per sé modesta) la cui eliminazione creerebbe un danno difficilmente riparabile.

nuvolarossa
07-12-04, 18:44
Convegno Pri «Navigazione Questione nazionale»

CREMONA - Restituire alla navigazione interna la dignità di questione nazionale, e sollecitare lo Stato ad interventi strutturali impossibili finchè non si andrà oltre l’ottica limitata e perennemente rissosa delle regioni che si affacciano sul grande fiume. Questo l’appello che verrà lanciato sabato pomeriggio (dalle 15.30 all’hotel Continental), con il convegno nazionale ‘Il Po, navigazione fluvio - marittima e bacinizzazione’, organizzato dal Partito Repubblicano. L’iniziativa è stata presentata ieri dal segretario provinciale Gusperti, insieme a Dolfini e Ghizzoni. «Continuare ad intendere la navigazione interna come fatto solamente limitato al Po non ha più senso», hanno sostenuto gli esponenti repubblicani. «Bisogna puntare invece sulla navigabilità fluvio - marittima, che considera il grande fiume una risorsa nazionale, naturale collegamento con il sud Italia ed il bacino del Mediterraneo». Previsti gli interventi di Gusperti, Genzini, Ceruti, Nucara (sottosegretario al Ministero dell’Ambiente), Del Pennino, Torchio, Corada, Albera, Colonna (autorità portuale di Bari), Zizzi (esperto portuali di Brindisi).

nuvolarossa
20-12-04, 23:11
Lettera a Calderoli

Forestali calabresi: anche loro hanno contribuito a risanare la Regione. Lettera aperta del segretario nazionale del Pri al Ministro per le Riforme Istituzionali e la Devoluzione, on. Roberto Calderoli.
di Francesco Nucara.
(continua ... sotto)

http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/041221/6ckfd.tif

nuvolarossa
21-12-04, 21:58
Le due Italie si vedono anche dai vagoni dei treni

Il presidente del Pri Giorgio La Malfa ha inviato la seguente lettera al dott. Elio Catania, Presidente Ferrovie dello Stato.

Gentile Presidente, ho avuto occasione andando da Roma a Chiusi e da Chiusi a Roma, lunedì 13 dicembre di quest’anno, di viaggiare con Trenitalia, per cui desidero darLe questo resoconto.

In partenza da Roma ho preso un treno regionale delle 13.14 che doveva arrivare alle 15.01 a Chiusi. E’ partito puntuale, ma, arrivato alla stazione di Orte, ha fatto una fermata piuttosto lunga il che mi ha fatto pensare ci fosse qualche problema. Ho chiesto notizie ad un ferroviere il quale mi ha risposto che si era rotto il locomotore e che si stava provvedendo a sostituirlo. E’ stato annunciato in quel momento il passaggio per Orte dell’intercity da Roma delle 12.47 che aveva 55 minuti di ritardo sul quale mi sono spostato e che mi ha fatto arrivare più o meno all’ora in cui dovevo essere a Chiusi.

Al ritorno, avendo un impegno a Roma alle 21.00, dovevo prendere il treno delle 19.01 da Chiusi con arrivo a Roma Termini alle 20.48; alla stazione di Chiusi ho letto che aveva 40 minuti di ritardo. A questo treno, visto il ritardo, vi erano due alternative:

l’intercity che doveva passare a Chiusi alle 19.49 e che aveva già 10 minuti di ritardo;

il treno di lunga percorrenza Milano-Agrigento numero 823 delle ore 19.38 con arrivo a Roma Tiburtina alle 20.48. Essendo esso in orario l’ho preso.

Io penso che Lei debba fare un viaggio sul treno 823 e constatare, come io ho constatato, quanto segue:

il materiale ferroviario è vecchissimo, non so se abbia 30 o 40 anni e, comunque, in condizioni da essere definite indecenti;

sono divelte una serie di porte di comunicazione fra le varie vetture;

le porte di molte toilette sono aperte e da esse esce un fetore insopportabile;

vi sono molti finestrini aperti nei corridoi e pur non avendo constatato personalmente, molti di essi sono incastrati;

nella carrozza delle cuccette ho visto i controllori, per altro cortesissimi, affannarsi attorno ad un pannello elettrico ed avendo chiesto di che si trattasse mi hanno detto che la carrozza con le cuccette, essendo rotto il riscaldamento, era gelata con proteste ovvie dei viaggiatori. Mi è stato altresì detto che questa carrozza è rotta da settimane e che, nonostante i regolari rapporti fatti all’arrivo, essa viene rimessa, non aggiustata, sia nel treno ad Agrigento sia a quello di Milano. I conduttori si preparavano a chiedere a tutti i passeggeri delle cuccette di spostarsi in un altra carrozza nella quale vi erano posti liberi.

In sostanza, l’impressione era di una condizione di totale abbandono di un sistema ferroviario indegno di un paese civile. Usando spesso il treno anche per distanze più lunghe, Venezia o Milano, tendo a vedere soltanto i treni eurostar. Avere constatato una condizione di degrado di questo genere mi induce ad inviarLe questa lettera che spero venga letta nella certezza che Lei vorrà assumere degli impegni a difesa dei poveri utenti di questo servizio e dei ferrovieri che fanno il loro dovere su questo treno.

Molto cordialmente,

Giorgio La Malfa

nuvolarossa
29-12-04, 22:35
La biografia di Francesco Nucara

http://www.pri.it/immagini/NucaraFrancesco.jpg

Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Ambiente, è nato a Reggio Calabria il 3 aprile 1940.

Vive a Roma dal 1962. Sposato con due figli.

Segretario Nazionale del Partito Repubblicano Italiano.

Direttore responsabile della "Voce Repubblicana"

E' laureato in Scienze Statistiche ed Attuariali e in Architettura ed è Giornalista iscritto all'albo dei pubblicisti del Lazio.

Dal 1962 ha ricoperto la carica di funzionario della Cassa per il Mezzogiorno.

All'interno di questa, dal dicembre 1976 al marzo 1977, ha svolto l'attività di segretario della Commissione Bilancio e Programmazione finanziaria su richiesta dell'allora Consigliere Coordinatore Prof. Pasquale Saraceno.

Sempre all'interno della Cassa per il Mezzogiorno, nell'aprile 1977, è stato chiamato a collaborare con il responsabile del Progetto Speciale 26 per la predisposizione di strumenti di analisi volti ad individuare "il complesso ottimale degli interventi da realizzare nell'ambito della formulazione del piano di utilizzazione intersettoriale delle acque di Calabria".

E' stato eletto alla Camera dei Deputati nella lista del Partito Repubblicano Italiano per tre legislature, dal luglio 1983 all'aprile 1994. Dal 1994 non si è più ricandidato.

Ha fatto parte della Commissione Industria e Commercio e della Commissione Trasporti della Camera; è stato segretario e vicepresidente della Commissione bicamerale per il Mezzogiorno.

Nel luglio 1989 è stato nominato Sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici.

Per conto del Governo ha seguito la legge 183 del 1989 sulla difesa del suolo e la legge 36 del 1994 sul ciclo integrato delle acque.

E' stato relatore del disegno di legge sulle società di ingegneria e sulla riconversione delle fabbriche di armi, rimanendo in carica come Sottosegretario fino all'aprile del 1991.

All'interno del Partito Repubblicano, cui è iscritto dal 1963, ha ricoperto, fra le altre, le cariche di Segretario regionale per la Calabria, di responsabile dell'Ufficio Mezzogiorno e Aree depresse del Centro Nord, di Segretario organizzativo nazionale.

nuvolarossa
30-12-04, 10:48
Roma, 29 dic.-(Adnkronos) - Sono tre i nuovi viceministri nominati stasera dal consiglio dei ministri. Stefano Caldoro, da sottosegretario all'Istruzione diventa viceministro all'Istruzione; Antonio Martusciello, da sottosegretario all'Ambiente diventa viceministro dei Beni Culturali e Francesco Nucara da sottosegretario all'Ambiente diventa viceministro all'Ambiente

(Cor/Opr/Adnkronos)
29-DIC-0421:37

nuvolarossa
30-12-04, 20:35
Nucara viceministro

Un’occasione per rilanciare il ruolo dei repubblicani

Il segretario del Partito repubblicano italiano, l’amico Francesco Nucara, è stato nominato, dal Consiglio dei ministri del 29 dicembre, viceministro all’Ambiente.

Riteniamo che questo sia un segno di apprezzamento sincero per il lavoro svolto dal segretario del Pri in difesa del patrimonio ambientale italiano, ma anche e soprattutto un riconoscimento dell’impegno del Partito repubblicano nella politica della coalizione.

Il segnale che questa nomina del Consiglio dei ministri ha effettuato, non va dunque certo sottovalutata. Essa rappresenta un passo importante per realizzare una migliore collaborazione politica nell’alleanza di governo ed offre uno strumento per la crescita del Pri, evidenziandone il ruolo all’opinione pubblica.

Nei giorni scorsi abbiamo letto spesso sugli organi di informazione di richieste da parte dei repubblicani a Berlusconi. L’unica richiesta formale che è stata fatta al presidente del Consiglio era quella della pari dignità nella coalizione, a cominciare dalla presenza nel Consiglio dei Ministri. La nomina di Nucara va sicuramente in questa direzione e ne prendiamo atto con soddisfazione, per quanto con essa non vengano certo risolti tutti i problemi. Ma è chiaro che i repubblicani sanno valutare una situazione come l’attuale, rispetto ad una precedente nella quale la coalizione, a cui pur si apparteneva, nominava, contro le indicazioni del partito, un iscritto a presiedere una commissione parlamentare, a dimostrazione dell’arroganza che vigeva verso gli alleati minori, la stessa di cui oggi è vittima l’onorevole Mastella.

Va anche detto che non sempre i nostri rapporti con la coalizione attuale sono stati ottimali, nel senso che in diversi casi abbiamo sottolineato sensibilità ed opinioni diverse e ci siamo comportati di conseguenza.

Evidentemente, con la nomina di Francesco Nucara, la maggioranza dimostra di considerare positivamente il confronto politico con l’Edera, oltre che cercare di tenere più saldo il suo sostegno, perché sicuramente, senza la possibilità di espressione del primo, non c’è nemmeno il secondo.

E questo sicuramente testimonia di una maggiore armonia maturata all’interno di questa coalizione, dopo una scelta sofferta rispetto allo schieramento a cui pure eravamo appartenuti nella passata legislatura.

Roma, 30 dicembre 2004

nuvolarossa
17-01-05, 12:20
I treni sono fermi, da ieri sera alle 21 e fino a questa sera, stesso orario. I ferrovieri protestano per la poca sicurezza dei trasporti su rotaie, nel mentre, ancora ieri, vicino Varese, un treno ha deragliato investendo il marciapiede della stazione. Nessuna vittima, fortunatamente, ma si è anche appurato che i bulloni, da quelle parti, sono estraibili a mano.
Se si sciopera per la sicurezza c’è da immaginare di poter disporre di un consenso molto vasto, invece avviene il contrario. L’astensione dal lavoro non è stata decisa dai sindacati, ma è nata, come si dice, dal basso. I sindacati l’hanno subita ed oggi, guarda caso, a parte il Messaggero, nessun quotidiano riporta in prima pagina la notizia dello sciopero. Uno sciopero non è una notizia a seconda di quanta gente resterà priva di trasporto, ma a seconda di chi ne è il promotore e lo sponsor politico. Non è un azzardo dirlo, perché gli altri scioperi, quelli per questioni contrattuali, non hanno mai mancato l’onore della prima pagina.
Detto questo, si deve anche osservare che l’arma dello sciopero non è la più adatta per far valere ogni genere di questione. Non c’è dubbio che i macchinisti sono i più esposti e, al tempo stesso, i più informati sull’insicurezza dei binari. Forse, anziché incrociare le braccia, avrebbero fatto meglio ad impugnare la penna ed illustrare ai cittadini quel che sanno e quel che vedono.

Davide Giacalone

.............................
tratto dal Gruppo "I Repubblicani"
http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/2036

nuvolarossa
28-01-05, 22:51
Regione Emilia Romagna: le "Linee Guida" per le zone costiere/Un progetto che esamina gli aspetti ambientali, economici, turistici e abitativi

La costa da considerare nella sua unitarietà

La Commissione Territorio e Ambiente ha appena licenziato le "Linee Guida" per la difesa delle zone costiere regionali che, attraverso un approccio di sistema e il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, intendono indirizzare in modo armonico lo sviluppo delle attività che insistono sulla costa.

Le frequenti inondazioni, fenomeni di erosione, inquinamento, entropizzazione, cementificazione, portano in primo piano la necessità di avviare un programma di interventi integrato e a tutto campo in grado di conciliare la tutela ambientale con le prospettive di sviluppo turistiche, delle attività commerciali e imprenditoriali.

"Quella della costa è una realtà estremamente fragile, che si regge su di un equilibrio precario" - ha dichiarato la Consigliera PRI Luisa Babini - "la fascia costiera è infatti sottoposta non solo ad un notevole stress ambientale ma anche al notevole grado di sfruttamento esercitato dall’uomo.

Se vogliamo tutelare questo territorio e preservarne il potenziale turistico dobbiamo proporci soprattutto di ricomporre una situazione di integrazione fra ambiente ed attività umane. Se il mare è pulito e la costa mantiene un buon equilibrio ambientale, i primi a risentirne positivamente, infatti, sono proprio il turismo e tutte le attività economiche che ruotano attorno a questa grande risorsa.

Nelle Linee Guida che la prossima settimana verranno sottoposte all’approvazione del Consiglio, la Regione coglie nel segno tutte le varie problematiche che gravano sulla costa dimostrando grande consapevolezza della sua criticità e vulnerabilità. Si tratta di un Progetto che prende in considerazione tutti gli aspetti ambientali, economici, turistici e abitativi legati alla gestione della costa considerata nella sua unitarietà.

Sono previsti interventi volti alla difesa della fascia costiera e a limitare i fenomeni di erosione della linea di costa come la ricostituzione del profilo delle spiagge mediante opere di rimpascimento con sabbie sottomarine e litoranee, la ricostruzione degli apparati dunosi a tergo delle spiagge, la limitazione ulteriore del prelievo di acqua da falda, la messa in opera di interventi per favorire lo scorrimento dell’acqua dai fiumi al mare attraverso la pulizia degli alvei e il ripristino delle sezioni di deflusso nei tratti di pianura.

Verrà creata una banca dati geografica sull’assetto del sistema costiero e sviluppata una rete di monitoraggio utile a rilevare le variazioni del profilo della spiaggia e della linea di riva.

Verranno inoltre messe in atto strategie di riequilibrio territoriale fra gli insediamenti permanenti e le strutture turistiche volte ad ospitare le migliaia di turisti che ogni anno si riversano nella costa.

Si punterà più sulla riqualificazione turistica che sullo sviluppo ulteriore degli alloggi, anche in considerazione dell’ultima Legge approvata in Regione in materia di innovazione del servizio ricettivo alberghiero, e sarà presto avviato un piano per il rinnovo degli impianti balneari.

Sono in sintonia con la filosofia di queste linee guida – ha concluso il Consigliere Babini – attraverso il quale la Regione dimostra grande attenzione e grande sensibilità nei confronti di un territorio tanto importante per il mercato turistico emiliano-romagnolo che necessita di continui interventi di difesa e di tutela. Il turismo rappresenta infatti una grossa risorsa economica per la nostra Regione e gli interventi previsti nelle linee guida regionali si propongono di contribuire alla tutela della costa in un’ottica completa, a 360 gradi".

Luisa Babini
consigliere regionale Pri Emilia Romagna

nuvolarossa
31-01-05, 20:10
Nevica, governo ladro

http://www.opinione.it/img_naz/224.jpg

La sinistra, che per blandire i Verdi si è sempre opposta alla grandi opere per il miglioramento del sistema stradale e dei trasporti, accusa il governo per il blocco dell’autostrada Napoli-Reggio Calabria provocato dalle tempeste di neve. Ed invece di fare autocritica per aver frenato e bloccato la modernizzazione del paese, chiede strumentalmente le dimissioni del ministro Lunardi.

nuvolarossa
18-02-05, 15:41
L’Italia rientra nel nucleare

http://www.opinione.it/img_naz/548.jpg

La sinistra innalza il solito piagnisteo per gli alti tassi d’inquinamento atmosferico e chiede di bloccare la circolazione in tutta Italia. Ma il governo passa dalle parole ai fatti: l’Enel acquista una centrale nucleare in Slovacchia ed in questo modo garantisce al nostro paese una fonte di approvvigionamento di energia pulita in perfetta linea col protocollo di Kyoto.

nuvolarossa
03-03-05, 11:48
...

nuvolarossa
17-03-05, 23:25
Il Parco nazionale dell'Aspromonte è al servizio dei cittadini

Nucara: vanno cambiati i metodi di gestione

"Il Parco Nazionale dell'Aspromonte esiste ed è al servizio dei cittadini" cosi il Vice Ministro all'Ambiente Francesco Nucara si è espresso al termine del suo intervento nel corso di una riunione operativa svoltasi nella sede del Parco in località Gambarie di S. Stefano, presenti anche il Commissario dell'Ente, il Direttore generale della Protezione della Natura del Ministero dell'Ambiente dott. Aldo Cosentino, il direttore del Parco Giuseppe Putorti e gli impiegati e addetti ai lavori dell'Ente.

"Il mio sogno, è quello - ha continuato il Vice Ministro - di vedere questo parco rifiorire per diventare un parco modello e riferimento per tutti gli altri. Occorre invertire la rotta ed imporre un cambiamento nei metodi di gestione utilizzati dagli amministratori in tutti questi anni".

Secondo Nucara, bisogna procedere verso "una rimodulazione delle risorse e dello stato delle opere all'interno del parco per far si che questo Ente esca dall'anonimato e vada incontro alle esigenze della gente, alle esigenze reali del cittadino/turista che, soprattutto nella stagione estiva, affolla l'area."

Il Vice Ministro ha affrontato, infine, il problema del personale del Parco che "va sicuramente valorizzato, anche perché le risorse ci sono e sono qualificate". C'è soltanto la necessità che tutto il personale sia determinato alla crescita del Parco.

E rivolgendosi al Direttore generale Cosentino, Nucara ha chiesto dei "segnali ben precisi per far apprezzare il valore del parco, ma soprattutto per promuovere in tutto il territorio nazionale ma anche all'estero le stupende immagini ed i prodotti del Parco Nazionale dell'Aspromonte."

nuvolarossa
29-03-05, 22:36
Appuntamenti Nucara

Il segretario del Pri il 29 marzo è a Brescia per una conferenza stampa (ore 11,15) alla Provincia. A seguire, un incontro, ore 12,00. con gli industriali bresciani nella zona Brescia 2 (via Cefalonia). Nello stesso giorno, a Milano, è prevista una intervista a "Il Giorno" e, alle 17,00, un incontro elettorale. Un altro incontro elettorale è previsto a Rozzano, ore 18,30.

Il segretario del Pri, mercoledì 30 marzo, è in Campania per appuntamenti elettorali a: Avellino h. 17,00, Mercato San Severino h. 18,00, San Mango di Piemonte h. 19,00, Rocca d'Evandro h. 20,30.

nuvolarossa
30-03-05, 16:49
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Visita a palazzo Broletto per il sottosegretario pri all’Ambiente Nucara ( Pri ): «Bravi bresciani»
Apprezzato l’impegno per la raccolta differenziata

«Da uomo del profondo sud», Francesco Nucara, (nella foto), calabrese doc, viceministro dell’Ambiente e segretario del Partito repubblicano italiano, alleato del centrodestra, confida che la visita a Brescia «è stata un bagno di civiltà».
A impressionare il sottosegretario sono stati l’attivismo della Provincia in materia di tutela ambientale e il grado di coscienza raggiunto dai cittadini bresciani sui problemi dell’inquinamento. Nucara ha citato un dato su tutti, quello della raccolta differenziata. «Nella vostra provincia - ha detto nel corso di una conferenza stampa in Broletto - il livello è al 32 per cento, contro una media del 3 al Sud».
Nucara ha parlato dopo un incontro con il presidente della Provincia Alberto Cavalli. Una chiacchierata privata durata circa 20 minuti, nel corso della quale Cavalli ha fatto il punto sulla situazione ambientale a Brescia e sul lavoro della Provincia. Nucara ha sottolineato il valore delle iniziative della Provincia in materia ambientale, tra cui la valutazione ambientale strategica (Vas), la difesa idrogeologica, l’alto livello di raccolta differenziata. Apprezzato dal viceministro anche l’attivismo della Provincia nel promuovere la certificazione e l’autocertificazione delle caldaie.
A causare l’inquinamento dell’aria, secondo Nucara, più che le automobili, contribuisce infatti il riscaldamento: «Al Sud ci sono vetture più vecchie, eppure c’è meno inquinamento dell’aria perchè meno sono le caldaie». Nucara ha inoltre assicurato il suo impegno nel Cipe perchè sia dato l’ok alle opere pubbliche nel nostro territorio.
Sui problemi dell’ambiente in Italia, Nucara ha puntato il dito su due eredità del passato: l’inquinamento e il debito pubblico. «Per bonificare tutti i siti inquinati - ha detto - servirebbero 100 mila miliardi di vecchie lire», l’equivalente di quattro Finanziarie. Purtroppo «nonostante questo governo abbia fatto molto, i mezzi a disposizione sono quelli che sono». Per il futuro, dunque, occorre più attenzione verso l’ambiente. Nucara si è poi recato nella sede di Apindustria, dove ha incontrato il presidente, Flavio Pasotti.Paolo Algisi

nuvolarossa
30-03-05, 21:52
Intervista al segretario dell'Edera sulla situazione ambientale in Lombardia/Nucara al "Giorno": le domeniche a piedi hanno un sapore ecologico ma non risolvono i problemi

La ricetta contro lo smog si chiama modernizzazione

Intervista a Francesco Nucara a cura di Albina Olivati, pubblicata su "Il Giorno" del 30 marzo 2005.

Francesco Nucara, segretario nazionale del Pri e viceministro all'Ambiente, è in Lombardia per sostenere il Polo Laico (Pri, Liberaldemocratici e Pli). Uno dei problemi della nostra regione è proprio l'inquinamento atmosferico. Traffico, riscaldamento, industrie, posizione geografica disgraziata concorrono a rendere l'aria irrespirabile.

Onorevole, come ne usciamo?

"Il professor Veronesi dice che lo smog non fa male alla salute, però questo problema non è collegato solamente alle auto, accanto ci dobbiamo mettere il riscaldamento. L'esempio più semplice arriva dalle città del Mezzogiorno, dove le vecchie case non hanno le caldaie e lo smog non si avverte - tranne che a Napoli - pur avendo un parco macchine obsoleto".

Le domeniche a piedi non servono?

"Servono come cultura ambientalista, ma al fine della soluzione del problema, così come le targhe alterne, non servono a nulla".

Soluzione?

"Bisogna vedere come far diminuire il traffico, come modernizzare tecnologicamente le caldaie delle abitazioni, il parco - automobili. Poi dobbiamo pensare all'industria Italiana: I giapponesi, ad esempio, vanno sull'ibrido: benzina o gasolio ed elettrico sulla stessa macchina e noi siamo ancora con la marmitta catalitica, se ci va bene. Il ministero dell'Ambiente ha attivato un tavolo tecnico al quale partecipano rappresentanti di quello della Salute, delle Regioni, dell'Upi, Anci, Apat, Cnr ed Enea. L'obbiettivo è agevolare il confronto tra i soggetti istituzionali coinvolti nelle attività di gestione e valutazione della qualità dell'aria, nella fase di transizione fra la precedente disciplina nazionale e quella prevista dalle nuove direttive europee. Abbiamo anche finanziato progetti mirati a ridurre l'inquinamento. Dal ‘99 al 2002 sono stati impegnati circa 220 milioni di euro a favore di enti locali e Regioni. Ma il problema vero va risolto alla radice o non riusciremo a concludere granché".

Che tipo di progetti avete finanziato?

"Quelli riguardanti la mobilità, ma vorrei segnalare che sono stati portati avanti programmi nazionali per la diffusione e sperimentazione delle fonti rinnovabili, come strumento alternativo alle tradizionali fonti di produzione di energia. L'energia alternativa è importante ma non risolutiva. Stiamo finanziando i programmi nazionali "tetti fotovoltaici", il "solare termico", "l'efficienza energetica". Nel settore dell'edilizia poi, i Comuni, le Province, le Aler devono pensare che le case vanno costruite anche sul risparmio energetico. Non è un caso se noi abbiamo il black-out d'estate e succede quando ancora una parte del Paese non consuma energia come al Nord".

E il nucleare?

"Il Governo ne ha fatto un accenno. I repubblicani ed io personalmente siamo nuclearisti convinti. E' un modo di risolvere il problema dell'inquinamento. Bisogna tenere presente che il referendum fatto nell'87 non ha detto "nucleare sì, nucleare no". La domanda era se si dovevano dare i contributi ai Comuni in cui venivano insediate le centrali nucleari. Si è detto no. Però il maggiore produttore privato italiano di energia è l'Edison, la cui maggioranza è dell'Edf francese. Allora non conviene innovare tecnologicamente le nostre centrali, perché l'energia che noi importiamo da Lione e Marsiglia costa meno. Risultato: l'autonomia energetica del nostro Paese diventa sempre più labile. Quindi ci potremmo trovare in un momento qualsiasi col black-out, perché nel giorno in cui Francia, Svizzera o Slovenia dovessero decidere di aver bisogno di energia, se la terrebbero per loro. Per fortuna il presidente dell'Enel sta cercando di fare un programma nucleare con la Slovacchia".

E sul versante della depurazione?

"L'Italia è stata condannata - e c'era la sinistra al Governo - dalla Corte di giustizia per l'inquinamento dell'Adriatico. Dopo la condanna è stato dichiarato lo stato d'emergenza, quindi sono stati finanziati e realizzati i depuratori. L'ultimo è quello di Peschiera Borromeo, non ancora collaudato, ma che funziona dal 15 marzo. Mentre sono già stati collaudati quelli di San Rocco e Nosedo. Quando ci sarà l'ambito territoriale ottimale sarà importante vedere con quale accorgimento tecnologico l'acqua che esce dal depuratore di Milano potrà essere riutilizzata per usi agricoli e industriali. Quindi ci sarà risparmio energetico e l'area di Milano potrà tutelarsi dall'inquinamento delle falde acquifere, che vanno salvate pure dal rifacimento, evitando di cementificare i fiumi".

nuvolarossa
28-04-05, 22:49
Sintesi dell'intervento del viceministro dell'Ambiente al Salone internazionale di biotecnologie che si è svolto a Padova dal 20 al 22 aprile/Scienza e politica: due termini non sempre in armonia. Cosa c'è all'origine di questa sfasatura che fa sì che il potere spesso sia insofferente nei confronti dello sviluppo della ricerca

Quelle conseguenze sbagliate che derivano dall'inseguire l'onda emotiva del momento

Pubblichiamo ampi estratti dell'intervento del viceministro dell'Ambiente presentato a "Bionova", Salone internazionale di biotecnologie e bioingegneria, Padova, 22 aprile 2005.

di Francesco Nucara

Che la decisione politica non abiti più il solo "palazzo" della politica è verità che abbiamo appreso, ormai, da tempo. Che, poi, i suoi nuovi domicili siano molteplici, spesso assai distanti tra loro e, talora, persino difficili da identificare, è fenomeno tutto odierno, di tangibile oggettività.

E', forse, la politica divenuta servente e cedevole, rispetto ai protocolli della scienza ed ha soltanto il ruolo di scortare -ma senza poter, in realtà, mai sorvegliare- mezzi, fini, movenze della scienza?

Sembrerebbe proprio di sì, perlomeno a scorrere le 30 Azioni che compongono il Piano elaborato dalla Commissione europea quale strategia, per l'Europa, nell'ambito de Le scienze della vita e la biotecnologia. La conferma è in una serie di rilevanze, che la Commissione stessa pare considerare, secondo "indici di priorità", per realizzare il programma in questione. Voglio dire che, se all'ordine progressivo delle Azioni da compiere si annette una gradazione d'importanza, le preminenze tematiche sembrano -tutte- privilegiare il momento della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico, piuttosto che l'esercizio della direzione e del controllo nell'egemonia della politica.

Dunque, la Politica pare considerare che la condizione imprescindibile per la governance sia la Ricerca, la formazione dei ricercatori, l'infrastruttura scientifica, il sostegno di specialistiche competenze. Il ricercatore è in cima alla priorità sociale e politica dell'Europa di oggi. La quale ha compreso pienamente che senza ricerca ed innovazione non c'è futuro e senza investimento nel futuro c'è solo inarrestabile declino. Qui la politica è allora chiamata a dover riconoscere che, perlomeno nell'Italia del secolo appena trascorso, lo sviluppo delle specifiche competenze tecniche ha costruito una sorta di "rete autogestita" della comunità scientifica, che si è retta ed ha proseguito il proprio sviluppo in maniera quasi autonoma rispetto all'apporto politico-istituzionale o, al più, con la sola attenzione, per interesse, dell'imprenditoria privata.

Scarso stimolo agli investimenti

Questa sorta di "autosufficienza" della scienza ha poco o nulla stimolato gli investimenti nella ricerca da parte dei finanziamenti pubblici: ed ha alimentato l'illusione che l'investigazione scientifica potesse correre su un binario parallelo ed autonomo (finanziariamente, economicamente) rispetto a quello percorso dalla politica e che, anzi, ciò fosse congeniale, per molti aspetti, a ridimensionare il potere della scienza. Sappiamo come le cose siano andate assai diversamente: la Scienza ha assunto autonomamente un proprio assetto divulgativo/comunicativo che le ha consentito di diffondere le proprie scoperte "saltando" la mediazione della Politica. Così tutti abbiamo fruito dei nuovi "oggetti" della scienza: dalla rivoluzione informatica a quella mediatica; dalla tecnologia dei trasporti a quella applicata alla salute umana, il progresso scientifico è stato, innanzitutto, un progresso di democrazia, nel senso pieno del termine, come possibilità di usufruire di tutto (o di gran parte) da parte di tutti (o di gran parte).

E' avvenuto, nondimeno, che la Politica abbia, proprio per questo, cominciato a nutrire una sorta di insofferenza per il versante tecnologico: timorosa, soprattutto, della impopolarità cui obbliga, spesso, il dover seguire, fino in fondo, gli esiti della Scienza: di fronte agli incubatori dei ritrovati tecnologici, la Politica ha assunto un atteggiamento generalmente ambiguo, di preconcetto "sospetto", specie per il dubbio continuo circa gli effetti sul consenso di cui essa si nutre. Così è accaduto per il nucleare, così accade oggi per le biotecnologie, perlomeno in Italia.

Questo Paese si è condannato ad un perenne debito industriale, ad una perenne mestizia delle infrastrutture del Mezzogiorno perché la Politica ha preferito recepire un'emotiva risposta popolare di diniego, anziché sforzarsi di spiegare, ad esempio, che le centrali francesi appena oltre il confine, non sono, alla fine, più rassicuranti di Montalto di Castro; o che, ormeggiata in permanenza nel porto di Napoli, è una portaerei americana il cui reattore nucleare è pari, per potenza, a circa un terzo dell'ultimo impianto spento dopo il referendum: e così via.

La tentazione elettoralistica

Vale a dire: la politica ha seguito non già i paradigmi scientifici e la loro continua evoluzione; e neppure ha voluto discernere l'articolazione del processo di analisi dei rischi; viceversa, ha passivamente aderito o rigettato, secondo una modalità assai manichea, a sua volta condizionata da una logica di conferma elettorale. Così, il nucleare fu osteggiato dapprima per i meschini interessi del cartello degli industriali elettrici (che portò ai quattro anni di carcere di Felice Ippolito, difeso -in una delle pagine più nere della nostra democrazia- da La Voce Repubblicana); successivamente, per assecondare il moto immediato di un precipitoso rifiuto da parte di una società civile, scarsamente educata ad esercitare controlli razionali e costanti delle scelte politiche.

Fu un cedimento a quella visione della politica fondata su popolarità e plebiscito, incapace di scelte impopolari ma lungimiranti, tesa ad inseguire la sicurezza dell'opinione comune, per quanto effimera, ad ogni costo. Non è la Politica in ruolo servente rispetto alla Scienza, ma la sua esatta antitesi: è la Politica al servizio del pregiudizio che offende la Scienza, di cui prospetta solo i rischi, ne mina le certezze, ne pretende, ingenuamente, il rischio zero.

Tutto questo, secondo un copione già visto, si sta ripetendo oggi per gli OGM e per le biotecnologie in generale. La politica -parlo di quella italiana, in particolare- rischia di essere ancor più ottusamente preclusiva di quanto lo sia stata per il nucleare: anziché esigere dalla comunità scientifica una seria mappatura dei vantaggi e dei rischi/svantaggi del biotech; anziché esaminarne le implicazioni economiche (e dunque le incidenze sociali); anziché ricercare i percorsi del consenso sugli standard etici minimi o sulle migliori prassi -per far sì che cellule staminali, biobanche, esperimenti di genetica, OGM non divengano altrettanti spettri sociali- la Politica ha fatto un passo indietro. Ha percepito che la disinformazione sociale generava rifiuti generalizzati, quanto immotivati e, ancora una volta, si è schierata, con il più forte (la "maggioranza" silenziosa), nella posizione più comoda: quella del "no" a tutto.

La sagra del qualunquismo

Ed è stata la sagra del qualunquismo, della politica degli slogan ("solo agricoltura convenzionale e biologica, per la salute dei nostri figli"; "solo prodotti tipici, per la conservazione delle nostre risorse" e così via).

Con gli slogan, però, non si decide la fattibilità di una opzione scientifica e neppure si creano promozione e ricerca. Si determina soltanto una spaventosa stagnazione, in un Paese che, quanto ad innovazione e competitività, sembra imboccare un declino malinconico, nonostante che, nel secolo passato, le più importanti scoperte scientifiche siano venute da italiani o da partenariati di ricerca italiani.

E' in corso, in questi giorni, il Forum biennale di Lione, Biovision, dedicato alle biotecnologie. Occasione rilevante di dialogo tra gli esponenti del mondo scientifico, dell'industria, della politica nonché delle agenzie delle Nazioni Unite e dei rappresentanti delle organizzazioni non governative. Il fine è, ancora una volta, la verifica delle molteplici potenzialità applicative che -ad ogni titolo di responsabilità- le biotecnologie offrono nei fondamentali settori della salvaguardia della salute, della tutela ambientale e della evoluzione dell'alimentazione.

E a questo proposito, anche il più disattento degli italiani dovrebbe rammentare che, come ha sottolineato qualcuno, il biotech è "tricolore": perlomeno nei suoi contenuti, molto meno, purtroppo, nei suoi intenti programmatici. Così il "verde" simboleggia le piante transgeniche e, mentre permane a tutt'ora, fortemente contestato in Europa, si espande a macchia d'olio in Paesi sino a ieri economicamente depressi, segnandone significativamente le tappe di uno sviluppo finalmente "sostenibile": certo, in un Paese come l'Italia, laddove l'agricoltura ha comunque un peso rilevante nel contesto dell'economia nazionale, le agrobiotecnologie avrebbero dovuto e potuto ricoprire un ruolo strategico di prim'ordine nel sostegno e nel rilancio dei nostri prodotti. Le politiche governative -che io stesso non ho condiviso- non hanno appoggiato questo indirizzo mentre il diffuso atteggiamento di sospetto da parte del cittadino nei riguardi degli alimenti geneticamente modificati è retaggio, per dirla con Gilberto Corbellini, di credenze e di abitudini che, rientrando nell'alveo della "antropologia alimentare", risultano profondamente radicate. Il biotecnologico "bianco" è quello che concerne le attività dei batteri tanto preziose quanto incontestate e pressoché universalmente accettate. Infine il "rosso" è l'emblema dell'ingegnerizzazione in medicina. Nessun problema e grandi attese sino a che non si toccano i temi delicati della clonazione.

Rivoluzione prossima ventura

Nel loro complesso, le Scienze della vita e le Biotecnologie costituiscono, recita la Commissione europea, dopo le tecnologie dell'informazione, "la prossima rivoluzione tecnologica nell'economia della conoscenza, creatrice di nuove possibilità per le nostre società e le nostre economie". Adesso, l'Europa -e l'Italia non può chiamarsi fuori- è posta dinnanzi ad una scelta politica indefettibile: se accettasse un ruolo passivo subirebbe le implicazioni dello sviluppo di queste tecnologie da parte di altri Paesi. Ciò è tanto vero che il Piano di azione non rifiuta affatto l'innovazione delle biotecnologie in ragione di una generica tutela ambientale, bensì correla quest'ultima alle necessità della crescita economica suggerendo un modo politicamente serio di affrontare l'innovazione scientifica. Che, insomma, si abbandonino le definizioni con le quali amano fregiarsi alcune Regioni italiane ("OGM free", come già "Territorio denuclearizzato"), per sostituire all'ottusità ideologica una seria attività di identificazione precoce dei rischi emergenti: ciò speriamo preluda, anche per l'Italia, ad una inversione di tendenza, inaugurando un circolo virtuoso in forza del quale le risorse destinate all'innovazione ed alla ricerca non siano più briciole di cui ci si ciba dopo che gli altri convitati hanno lautamente consumato la propria abbondante porzione.

brunik
29-04-05, 15:19
Parole tante, fatti niente.

L'unica cosa che hanno fato in 4 anni sono i condoni, ma solo perchè il Capo si era costruito una piscina abusiva in Sardegna.

Evergreen
29-04-05, 17:37
Secondo me di abusivi qua ci sei solo tu.
Grazie.

nuvolarossa
27-05-05, 19:29
Nucara: l'opera diplomatica nell'integrazione europea

Intervento del segretario Pri e Vice Ministro dell'Ambiente e Tutela del Territorio Francesco Nucara all'XXIX Assemblea Nazionale dell'U.C.O.I, Sorrento-Capri 20/22 maggio 2005.

E' con un senso di profonda amicizia che rivolgo oggi a nome del Governo questo indirizzo di saluto ai partecipanti della ventinovesima assemblea nazionale dell'Unione dei Consoli Onorari in Italia. Un saluto non disgiunto da quel sincero ringraziamento che il Governo della Repubblica sente di esprimere per il lavoro quotidiano che i Consoli Onorari svolgono nell'interesse del Paese. Un lavoro reso vieppiù complesso a fronte delle nuove sfide imposte dalla globalizzazione da un lato e dalle grandi questione mondiali tuttora irrisolte: penso in particolare alle questioni relative all'immigrazione connesse alle vecchie e nuove forme di povertà, ai temi del commercio internazionale, a quelli dello sviluppo sostenibile.

Il Vostro impegno sulle questioni relative alla cittadinanza, allo status delle persone, sui rapporti economici e commerciali rende oltremodo prezioso il contributo che Voi esprimete nel rafforzamento dell'immagine internazionale dell'Italia.

In un contesto internazionale dove le distanze si sono progressivamente ridotte, anche in ragione dello straordinario avanzamento delle tecnologie dell'informazione, resta immutata la necessità di evidenziare come la pazienza del dialogo e la tenacia della ragione siano il segno e il simbolo della nostra diplomazia.

Sia sul piano economico che culturale l'apporto che Voi realizzate nel concerto delle attività diplomatiche merita certamente una sempre maggiore valorizzazione, ed è con questo auspicio che ho accolto con favore la partecipazione ai Vostri lavori.

I grandi temi dell'Europa e della progressiva integrazione dei popoli oltre che degli Stati è uno degli obiettivi sui quali sarà necessario uno straordinario impegno politico e culturale. Siamo certi che non mancheranno altresì da parte Vostra, e da questi lavori, idee e contributi.

Oggi l'Europa vive il più lungo periodo di continuata pace della propria Storia, una pace conquistata a prezzo di grandi sacrifici che hanno consolidato nelle coscienze degli individui l'importanza della collaborazione e del dialogo.

Voi Consoli onorari più di altri potrete seguitare ad esprimere queste condizioni e questi valori di cittadinanza.

Sono lieto altresì che oggi venga assegnato all'On. Tremaglia il Vostro premio, anche per il contributo straordinario che Egli ha dato alla valorizzazione del ruolo degli italiani nel mondo, un premio che mi riporta a quel 1993, anno nel quale questo riconoscimento andò al Presidente Giovanni Spadolini, un repubblicano, cui va oggi il mio affettuoso ricordo.

Desidero concludere questo mio intervento con l'auspicio che i lavori della Vostra Assemblea Nazionale siano davvero proficui, e con l'augurio di poter esprimere io stesso una sempre maggiore tutela e valorizzazione del ruolo del corpo consolare onorario in Italia.

nuvolarossa
03-06-05, 20:41
Aspromonte: Nucara difende il lavoro del Commissario straordinario/Il viceministro dell'Ambiente: Cosentino tecnico di valore che garantisce l'ordinaria amministrazione

Un esperto in grado di rimettere le cose a posto

Intervista al viceministro dell'Ambiente Francesco Nucara, a firma di Piero Gaeta, pubblicata sulla "Gazzetta del Sud" di mercoledì 1 giugno 2005.

Se si parla di montagna, di verde e di Gambarie, il volto del viceministro all'Ambiente Francesco Nucara si illumina. Almeno solitamente era così. Ultimamente, invece, se il viceministro sente la parolina "Parco" non sorride più. "Ho sentito in questi giorni troppe parole in libertà che non mi sono piaciute. Soprattutto – spiega Nucara – alcune critiche gratuite sull'operato del Commissario straordinario che avrebbe abolito alcune attività positivamente poste in essere negli anni precedenti".

Non è così?

"Non è così. E ho le carte per dimostrarglielo".

Le urla del centrosinistra, quindi, sono solo aria fritta?

"Se il centrosinistra, qualche volta, usasse di più la testa capirebbe che se avessimo voluto avremmo già nominato il nuovo presidente dell'Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte. Se, invece, abbiamo preferito nominare un commissario una ragione ci sarà stata".

Quale?

"Semplicemente perché era necessario nominare un esperto per rimettere a posto le cose del Parco. Solo dopo che il commissario straordinario Aldo Cosentino avrà rimesso ordine nell'amministrazione del Parco, passeremo alla nomina del nuovo presidente che, ricordo, spetta al Ministro dell'Ambiente. Francamente faccio molta fatica a capire tutti questi strepiti di politici e associazioni varie in difesa dell'operato del prof. Perna che ha terminato il suo mandato di presidente del Parco e che spesso, come ha rilevato il commissario, dimenticava di trasmettere al Ministero le delibere di giunta e di presidenza per la conseguente attività di vigilanza".

Entriamo nel merito delle questioni?

"Comincerei dall'eco-aspromonte, la famosa moneta del Parco".

Perché? Non le piace?

"Il problema non è che non piace a me, ma che non piace alla Banca d'Italia. Infatti, dopo censure, la Banca d'Italia ha fatto una denuncia secondo cui l'emissione e la messa in circolazione della moneta come mezzo di pagamento si pongono in contrasto con le leggi vigenti, quindi per evitare strascichi penali a carica del presidente e della giunta esecutiva pro-tempore abbiamo preferito assicurare la Banca d'Italia che le banconote verranno utilizzate solo come souvenir del Parco".

Si è paventato che il commissario non volesse più riproporre la campagna antincendio.

"È vero esattamente il contrario. Dopo aver valutato la compatibilità con il bilancio dell'Ente, si è disposto di riattivare le procedure finalizzate alla realizzazione degli interventi di prevenzione degli incendi boschivi con un sistema di contratti di responsabilità con le associazioni di volontariato che opereranno in sinergia con il Corpo forestale dello Stato".

Si è detto molto anche sull'interruzione delle azioni che la precedente gestione aveva attivato sul Villaggio De Leo.

"Questa è una storia che merita di essere approfondita, perché dopo essere stato acquisito dal Parco per 519 mila euro sono state rilevate delle anomalie, che possiamo definire "deliberative", che hanno costretto il commissario straordinario a rivedere gli interventi e le iniziative per razionalizzarle e ottimizzare, al contempo, le risorse disponibili, nonché valutare le azioni necessarie tese a garantire il completo recupero del complesso immobiliare e la migliore fruibilità del bene".

È in grado di difendere il "suo" commissario anche se le agito lo spettro delle "Porte di accesso del Parco"?

"Delle quattro strutture, ad oggi, risulta chiusa solo la convenzione di finanziamento al Comune di Cittanova, quale soggetto attuatore, per la realizzazione del Centro Visita. Lo stesso Comune che per convenzione resta proprietario dell'opera, ha in corso l'espletamento delle procedure di gare per l'arredamento e la gestione del Centro con il finanziamento concesso dall'Ente Parco".

E le altre?

"Per la porta di accesso di Bagaladi, completata recentemente con alcune opere e arredamento, è in corso la registrazione dell'atto di trasferimento del bene dal Comune al Parco e solo dopo si potrà procedere all'affidamento della gestione. Il centro visita di Gerace non risulta ancora ultimato e per la gara relativa all'arredamento pende ricorso innanzi al Tar promosso da una delle ditte concorrenti. La porta di accesso di Delianuova è a tutt'oggi in corso di completamento".

Senza volere sminuire gli altri centri, ma un occhio di riguardo a Gambarie l'ha dedicato?

"Avendo preso atto della non agibilità degli impianti di risalita di Gambarie e delle conseguenti disfunzioni che ne connotano la gestione, il commissario ha chiesto formalmente al Presidente della Regione di valutare la possibilità di estendere anche a questo centro turistico, in analogia a quanto disposto in favore di altre località sciistiche calabresi, quei provvedimenti legislativi di sostegno, anche in via diretta, che hanno garantito efficienti gestioni e il radicamento di un moderno sistema di servizi di alta qualità ed elevato valore aggiunto. Nel contempo si è rappresentata la propria disponibilità a partecipare a ogni iniziativa finalizzata a promuovere la valorizzazione e il recupero di Gambarie e lo sviluppo delle comunità del Parco dell'Aspromonte in sinergia con gli enti locali coinvolti".

Il nuovo presidente del Parco quando sarà nominato?

"Non appena il commissario avrà terminato il suo lavoro".

nuvolarossa
06-06-05, 19:04
Calabria: il governo stanzierà 5,6 milioni per l'emergenza idrica/Nucara: "Per l'acqua potabile i cittadini non pagheranno un centesimo in più"

Importanti progetti per la città di Reggio

Intervista pubblicata su "La Gazzetta del Sud", 5 giugno 2005, a cura di Piero Gaeta.

A volte anche i convegni servono. E servono quando riescono ad andare al di là del puro esercizio linguistico e retorico. È stato il caso di ieri pomeriggio, allorché un convegno del Rotary ci ha fornito l'occasione per approfondire con il viceministro all'Ambiente Francesco Nucara alcune tematiche di assoluta attualità su come battere l'emergenza idrica.

"Proprio l'ultimo venerdì di maggio – dice l'on. Nucara – il Cipe ha approvato il primo stralcio del Programma nazionale degli interventi nel settore idrico. Al primo posto ci sono due progetti che riguardano Reggio Calabria: l'impianto di dissalazione dei pozzi S. Giorgio Calopinace e la dismissione della vecchia rete idrica".

Ma si tratta di progetti approvati in sede programmatica che devono avere ancora la copertura finanziaria.

"Questo è vero. Ma è anche vero che il Cipe ha fissato la copertura finanziaria dei progetti in oltre cinque milioni e mezzo di euro e che, tra luglio e settembre, il governo provvederà a finanziare con nuove risorse".

Dunque sono progetti che saranno realizzati?

"Io ne sono sicuro anche perché finora con il commissario per l'emergenza idrica (il sindaco Giuseppe Scopelliti, ndr.) abbiamo lavorato in perfetta sinergia per cercare di dare finalmente risposte definitive a un problema che si sta trascinando da decenni. Le soluzioni-tampone non hanno mai dato risultati apprezzabili nel lungo periodo e per questo non mi sono mai piaciute".

Il dissalatore potrà essere una risposta convincente alla crisi idrica?

"Intanto il dissalatore consentirà ai reggini di riavere in tempi brevi acqua potabile che scorre nei rubinetti e già questo non mi sembra una cosa di poco conto. In ogni caso, credo che si tratti di una buona idea per fronteggiare il problema della carenza idrica fino al completamento definitivo della diga sul Menta".

Di quella parleremo dopo, intanto restiamo al dissalatore. Dopo l'annuncio dato dal sindaco-commissario, l'opposizione ha agitato lo spettro che se l'acqua sarà dolce, le bollette saranno salate...

"Questo è falso. E lo dimostra proprio l'ultima riunione del Cipe. Quei fondi in più, infatti, serviranno proprio per non far gravare costi in più ai cittadini in bolletta. Una volta che il dissalatore entrerà in funzione, i cittadini avranno acqua potabile allo stesso prezzo con il quale adesso pagano questa salata".

Diamo uno sguardo alla Diga sul Menta?

"Anche su questo fronte abbiamo registrato qualche importante risultato".

Cioè?

"Finalmente la Regione si è svegliata e mercoledì scorso, dopo essere stata più volte sollecitata dal Ministero dell'Ambiente, ha versato quanto dovuto per avere il parere dalla commissione speciale Via. Ottenuto tale parere si può proseguire nel progetto di completamento dello schema acquedottistico del Menta, che è fondamentale per dare una risposta definitiva alla gran sete di Reggio e dintorni".

Tra lo Stato e la Regione era stato sottoscritto un Apg (Accordo programma quadro) nel 1999. Risultati?

"Quell'accordo per il ciclo integrato delle acque prevedeva tre interventi fondamentali: il progetto per il completamento della galleria e dell'opera di presa per il quale la "legge obiettivo" stanziava 23,4 milioni di euro; altri 18,1 milioni erano previsti per il progetto che riguardava la realizzazione della condotta forzata e della centrale idroelettrica. Infine, c'è il progetto per le opere a valle della centrale idroelettrica per un importo di ottanta milioni di euro".

Come accelerare?

"Anche i privati possono e devono fare di più. La legge 443/2001 prevede la realizzazione di queste opere con il contributo dei privati. Al riguardo la regione Calabria ha affidato la realizzazione di tutto quello che riguarda il Menta alla Sorical, una società mista per azioni Regione-privati. Ecco, io credo che completare la centrale idroelettrica possa essere (economicamente) un investimento utile per i capitali privati".

Energia elettrica, acqua e ambiente. Il cerchio si chiude?

"L'Ambiente rappresenta sempre la nostra grande risorsa. Rispettarlo e sfruttarlo nei modi adeguati è la nostra sfida più grande".

nuvolarossa
07-06-05, 19:42
La scienza, le sue battaglie e i compiti della politica

Intervento del Vice Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, On. Francesco Nucara, al convegno "Qualità dell'aria nelle città italiane", Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 6 giugno 2005.

di Francesco Nucara

E' con particolare interesse che ho accolto l'invito, propostomi dal Ministro Matteoli, a rappresentare il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio: in prima istanza perché l'incontro odierno inserisce tematiche di notevole rilevanza e attualità, ma soprattutto perché la manifestazione si colloca nella sede più prestigiosa della scienza italiana e, con rara opportunità, nella scansione temporale di realizzazione delle iniziative che il Ministero stesso sta elaborando e promuovendo nel settore oggetto della vostra considerazione.

Per un politico, un oggetto di scienza, per la sua vastità e complessità, sfugge dal suo bagaglio culturale.

Cercherò di derivare il mio saluto, che non è formale, dal territorio nel quale ricade il mio domicilio intellettuale, quello, appunto, della politica.

Orbene sulla base dei dati a disposizione del Ministero possiamo affermare che nel corso degli anni la qualità dell'aria nelle nostre città è mutata, con sostanziali miglioramenti per quanto riguarda la concentrazione dei composti dello zolfo, del monossido di carbonio, del piombo e del benzene. Questo grazie all'uso di combustibili "più puliti".

Le criticità attuali riguardano il PM10 (materiale particolato) in primo luogo, i cui valori limite entrano in vigore nel corso di quest'anno e l'ozono e il biossido di ozono, i cui valori limite entreranno in vigore nel 2010.

Naturalmente questo tipo di problema riguarda soprattutto le città.

Osservo che quasi tutti gli interventi dei relatori sono riferibili ai problemi che insorgono nelle città. In questo senso si potrebbe applicare il metodo induttivo partendo dai problemi della città e risalire ai problemi del paese.

Ma cosa significa essere città?

Essere sommatoria di caseggiati non significa affatto essere città come l'esperienza non del tutto positiva delle new-towns inglesi ci insegna. Essere città significa avere una propria "armatura urbana" con delle funzioni che integrandosi tra di loro formano la struttura della città stessa rendendo vivibile "il grande palcoscenico in cui ‘i cittadini sono gli attori' e dove "ognuno ha un ruolo da interpretare nel dramma della vita quotidiana".

A mio avviso, pur riconoscendo al diritto la sua insostituibile funzione, sono tra quelli che diffidano della onnipotenza che lo circonda, della fede assoluta sulla possibilità di risolvere i problemi delle società complesse a suon di norme e divieti. Se queste non vengono percepite positivamente, e quindi condivise dai cittadini, si rivelano spesso inutili.

Bisogna pianificare per poter progettare il futuro.

E proprio su questo concetto la classe politica mostra tutti i suoi limiti. Nelle aule parlamentari si parla spesso a sproposito talvolta per incompetenza, tal altra per propaganda e spesso per assunti ideologici.

C'è una frattura netta tra la società del futuro e l'attualità della classe politica. Il futuro è assolutamente patrimonio della scienza e ad essa si deve rivolgere la classe politica più attenta. La frattura deve terminare e gli scienziati devono indicare la strada dell'avvenire sapendo bene che bisogna conciliare l'attuale con il futuro.

I politici, classe cui peraltro io appartengo da una vita, devono rientrare nel loro recinto senza parlare di "principi precauzionali" che non hanno nessun valore scientifico e spesso sono lo strumento della conservazione più retriva.

Gli scienziati, e voi tra questi, non devono dare solo pareri su richiesta, ma devono battersi con determinazione per il progresso, per la crescita civile, per la migliore qualità della vita, ben sapendo che le loro iniziative sono dall'esito incerto, ma avendo piena consapevolezza che una battaglia quando è giusta, se si affronta con coraggio, è vinta anche quando momentaneamente si è persa.

nuvolarossa
08-06-05, 20:22
Pugliese presidente Parco Alta Murgia

Il ministro dell'Ambiente Altero Matteoli ha firmato il decreto di nomina del dott. Girolamo Pugliese a Presidente dell'Ente Parco dell'Alta Murgia.

nuvolarossa
28-06-05, 20:01
Milano, dibattito sugli ogm/Le ragioni della scienza e di coloro che sfruttano l'emotività

Quei nobili scopi e la convenienza dell'agire politico

"Si riunisce ancora il mondo della scienza intorno alla figura del Segretario nazionale del Partito Repubblicano Italiano, viceministro all'Ambiente, on. Francesco Nucara". Così ha esordito a Milano, lunedì scorso, Alessandro Cecchi Paone, inaugurando un convegno che, dedicato alla presentazione del volume del prof. Francesco Sala, costituisce occasione preziosa per sollecitare l'attenzione della classe politica e del grande pubblico su problematiche di estrema attualità e di cospicuo rilievo per il futuro economico del nostro Paese. La presentazione del libro - dedicato alla confutazione dei molti pregiudizi sugli organismi geneticamente modificati ("Gli OGM sono davvero pericolosi ?", ed. Laterza) e già alla seconda edizione - ha costituito, come d'altra parte già accaduto nel corso della originaria presentazione a Roma, nel febbraio scorso, solo un pretesto per parlare di temi politici "alti" e per un confronto serrato del ruolo della scienza nella società contemporanea.

"E se cambiano le figure degli scienziati che, di volta in volta, animano gli incontri - ha continuato Cecchi Paone - è sempre Francesco Nucara il promotore instancabile di queste iniziative, la cui sapiente regia sa riconoscere il fondamentale rapporto tra politica ed accademia." Il parterre scientifico era sempre di primissimo ordine: dai relatori - tra cui sedevano scienziati del calibro di Umberto Veronesi, Edoardo Boncinelli e Tullio Regge - agli invitati, tra cui si notavano studiosi di fama internazionale, quali Renato Ricci, Vittorio Sgaramella, Gilberto Corbellini e Franco Battaglia, per citarne solo alcuni; ma la rappresentanza politica, cui si deve anche l'organizzazione del convegno, non risultava meno prestigiosa, annoverando a fianco del segretario Nucara, il ministro delle Politiche Comunitarie, on. La Malfa, il cui intervento ha concluso i lavori. Muovendo da alcuni significativi dati di cronaca - relativi alla recente bocciatura, da parte dei ministri europei dell'ambiente, della richiesta della Commissione Ue di abbandono della moratoria sulla produzione di alcune varietà di colza e mais transgenici, nonché al recente attacco sferrato dal Ministro Alemanno contro l'European food safety authority di Parma- il segretario Nucara ha rimarcato il pericolo di tali posizioni oscurantiste sia rispetto alla libertà della scienza, che alla soluzione degli enormi problemi economici che ne conseguono. "Sembra un film già visto" - ha evidenziato Nucara - "e sembra un destino che affligge questo Paese: come già accaduto per il rifiuto, pregiudiziale ed ideologico, dell'energia nucleare, oggi rifiutiamo in blocco la sperimentazione sugli OGM, senza alcuna coerenza, senza alcuna prova della loro nocività. E come allora quella scelta fu penalizzante per l'intera economia italiana, con riverberi negativi che giungono fino ad oggi, così la ‘pregiudiziale Alemanno' sugli OGM pare dettata solo da una strategia che mira a conquistare emotività di consensi ammucchiati sul ‘biologico' e simpatie nel mondo dell'agricoltura cooperativistica".

In effetti, dall'autorevolezza degli scienziati presenti si è ancora una volta levata una richiesta profondamente etica alla classe politica: precisamente, di non sacrificare alla convenienza di un agire politico utilitaristico le ragioni nobili della ricerca e gli interessi, quindi, della collettività. Appello accorato, che coagula intorno alla sensibilità del segretario Nucara attenzioni e speranze dei più alti consessi scientifici italiani, stanchi di una politica solo parolaia ed evanescente nei confronti della scienza. E non è un caso che questa fiducia premi, oggi, le tradizioni nobili di un partito, quale quello repubblicano, che sulla ragione e sul pensiero scientifico - e non sugli apriorismi ideologici - ha accumulato il proprio patrimonio politico ed ideale.

(k. m.)

nuvolarossa
29-06-05, 19:12
Concorrenza e innovazione/Senza scordare la grave saturazione delle superfici territoriali

Porre le politiche ambientali nel processo di crescita

di Giovanni Pizzo

Il presidente del Partito repubblicano, Giorgio La Malfa, in poche settimane ha suonato la sveglia ad un ministero dai più ritenuto un ripiego, dimostrando che la forza delle idee supera la mancanza di "portafogli". Giorgio La Malfa, che aveva previsto con largo anticipo le difficoltà che avrebbe avuto l'Europa con una moneta unica ma senza una politica economica unitaria, oggi coglie, con la consueta lucidità politica, che la crisi dell'Europa ha radici nell'ansia della popolazione per il rischio di un arretramento delle condizioni economiche e nella delusione per l'incapacità dimostrata dai governi (sempre quelli in carica indipendentemente dal loro orientamento di destra o di sinistra) di formulare ed attuare una strategia convincente per invertire queste tendenze. Egli, quindi, rilancia la "strategia di Lisbona" (consiglio europeo di Lisbona del 23 – 24 marzo 2000): "Fare dell'Unione europea la più competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza, capace di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale". Dopo cinque anni il bilancio di quella iniziativa è del tutto fallimentare. Se l'economia non cresce a causa dei troppi vincoli al mercato del lavoro, alla concorrenza, all'innovazione, l'attuazione della strategia di Lisbona deve passare per la introduzione a livello europeo, di "dosi massicce" di concorrenza nel mercato del lavoro, in quello dei capitali e nei servizi, puntando sull'innovazione e la ricerca.

Ma esiste un altro vincolo che gli economisti ortodossi tendono a sottovalutare: la saturazione dei sistemi economici il cui supporto fisico è ormai entrato in crisi e non riesce ad alimentare il processo di sviluppo così come oggi è strutturato. L'Italia, la Germania e l'Olanda (che costituiscono una grande fetta dell'economia europea) presentano valori fra i più alti al mondo del rapporto pil su superficie di territorio ma, considerando la disomogenea distribuzione territoriale della ricchezza, le zone più sviluppate di Germania e Italia raggiungono densità di pil ancora superiori.

Le risorse ambientali che forniscono i servizi di supporto fisico allo sviluppo economico sono diventate, in questi paesi, molto scarse e, quindi, molto costose, sia in termini monetari (costi di disinquinamento, restrizioni alle attività, costi delle infrastrutture, ecc.) che in termini di esternalità (costi non misurabili con la moneta che si scaricano a lungo termine sulla collettività, come le malattie, il degrado del paesaggio, la perdita di bio diversità, ecc.). Questo vincolo non potrà né essere eluso né essere rimosso. In materia ambientale l'Unione europea punta ad assumere un ruolo guida a livello globale e lo stesso documento di Lisbona si propone di "adeguare la politica macro economica alle esigenze dello sviluppo sostenibile". Il "sesto programma di azione comunitaria in materia di ambiente" istituito con decisione 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002 indica le priorità per la dimensione ambientale della strategia dello sviluppo sostenibile e mira a "sganciare" le pressioni ambientali dalla crescita economica.

La sola legislazione ambientale non è sufficiente a realizzare lo sganciamento auspicato (e direi indispensabile in alcuni contesti saturi). Allora è necessario: ottenere una maggiore interazione con il mercato; restringere le "esternalità"; internalizzare gli impatti ambientali positivi e negativi attraverso l'utilizzo di strumenti di mercato ed economici quali l'eliminazione dei "sussidi perversi" (si pensi a quelli per l'autotrasporto su gomma!), i diritti di emissione negoziabili, le tasse "pigouviane" (ambientali); indurre cambiamenti dei modelli di produzione e di consumo pubblico e privato; attuare il principio "chi inquina paga".

La struttura dell'economia italiana richiede l'immediata attivazione delle strategie di sostenibilità del processo di crescita che si vorrebbe innescare, in modo che le stesse politiche ambientali diventino un pezzo della riforma del sistema industriale italiano e della sfida della competitività. Basta dare uno sguardo all'andamento degli ultimi anni degli indicatori classici della sostenibilità (intensità di consumo lordo di energia per unità di pil, andamento delle emissioni di gas serra, volumi di trasporti per unità di pil, ripartizione modale dei trasporti, esposizione della popolazione urbana all'inquinamento atmosferico, produzione pro capite di rifiuti urbani, prelievo di risorse idriche per unità di pil, quota di produzione di energia da fonti rinnovabili, ecc.) per rendersi conto che la proiezione di questi indici riferita agli auspicati tassi di crescita del pil porterebbe alla congestione e al collasso del sistema.

Dovendo contestualmente affrontare il problema della copertura finanziaria per l'eliminazione dell'irap sul lavoro si potrebbe partire con la tassazione ambientale. Introdotte con appositi accorgimenti, a seguito di una attenta progettazione, con una applicazione graduale ed una corretta informazione, le tasse ambientali hanno stimolato l'innovazione e promosso il cambiamento strutturale dei comportamenti (molti esempi provengono dai paesi Scandinavi). E allora perché non provare subito con la introduzione di una aliquota di imposta sul consumo ambientale (Ica): qualche punto percentuale commisurato alla quantità di impatto ambientale negativo incorporato da ciascuna categoria di prodotti. Potrà sembrare una proposta bizzarra, ma certamente più moderna di quella del Ministro Siniscalco (che ha proposto l'aumento delle aliquote iva) e poi, a confronto con ciò che propongono alcuni ministri (uscire dall'euro, introdurre la castrazione chimica per i reati sessuali) ci sentiamo di dire che si tratta comunque di una proposta seria.

nuvolarossa
14-07-05, 20:29
Nucara ha presieduto una riunione sulle emergenze in Calabria/Presso gli uffici del viceministro si è affrontato lo stato della depurazione dei reflui

Da settembre una pianificazione mirata

Il giorno 13 luglio 2005 alle ore 12.00 si è tenuta presso gli uffici del Vice Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio On Nucara una riunione volta ad affrontare le gravi problematiche relative all'emergenza depurazione in Calabria.

Alla riunione, presieduta dal Vice Ministro hanno partecipato: il commissario per l'emergenza ambientale in Calabria dott Bagnato, il presidente del Comitato di vigilanza sull'uso delle risorse idriche Prof D'Elia, il Direttore generale per la qualità della vita Dott. Mascazini, la dott.sa Basile dirigente della divisione 3, l'assessore all'ambiente Dott. Tommasi, il Presidente della provincia di Cosenza dott. Oliverio, il Presidente della provincia di Reggio Calabria Ing Fuda, il Presidente della provincia di Catanzaro dott. Traversa, il Vice Presidente della provincia di Vibo Valentia dott. Barbieri, l'assessore all'ambiente della provincia di Crotone Dott Liotti ed alcuni rappresentanti della Protezione civile.

Nel corso della riunione, alla luce dei gravi problemi emersi si è convenuto sull'opportunità di pianificare, entro il mese di settembre, investimenti ed interventi per ottimizzare il sistema depurativo attraverso l'individuazione di priorità che saranno individuate di concerto tra i tecnici regionali e l'ufficio del commissario delegato.

Dalla riunione, è poi emersa la precisa volontà sia del Ministero dell'Ambiente che della Regione di coordinarsi in maniera paritetica sia per quanto riguarda gli intenti che per quanto riguarda il reperimento delle risorse finanziarie necessarie a fronteggiare il problema nel breve periodo.

Per tentare di risolvere l'emergenza nell'immediatezza, si è inoltre stabilito di affrontare il problema dell'inquinamento marino attraverso il monitoraggio di quei depuratori non perfettamente funzionanti, anche a causa di una insufficiente attività di gestione e manutenzione, a tal proposito il Vice Ministro ha convocato, insieme al Commissario Bagnato, presso i propri uffici per il giorno 19 luglio alle ore 13 il Direttore Generale per la qualità della vita Dott. Mascazzini, l'Assessore all'Ambiente Dott. Tommasi e le cinque imprese che gestiscono la depurazione nei cinque Ambiti Territoriali Ottimali della Regione: Ditta SMECO società di gestione nell'ATO Reggio Calabria e ATO Cosenza; Ditta A.T.I IBI DONDI società di gestione nell'ATO Catanzaro; Ditta Licosanto Società di gestione nell'ATO Vibo Valentia; Ditta IMPEC società di gestione nell'ATO Crotone per la gestione pregressa al 30 giugno 2005.

A margine dell'incontro Nucara ha dichiarato: "Non si è superato nessuno steccato perché non ci sono steccati. I problemi non hanno colore e bisogna affrontarli e superarli senza badare ai colori politici che pure si possono manifestare.

Per ora abbiamo affrontato l'urgenza della stagione estiva; da settembre si partirà con una pianificazione mirata e risolutiva".

Il Vice Ministro, calabrese come Loiero, si augura che al di la delle dichiarazioni ci sia un reale obiettivo comune: un vero progetto ambientale alla stregua del Programma nazionale di assetto idrogeologico.

nuvolarossa
16-07-05, 00:23
Governo europeo delle risorse idriche/L'incontro di Mondorf del 20 e 21 giugno

La normativa italiana in armonia con il quadro Ue

di Debora Cava

Con l'entrata in vigore della Direttiva comunitaria 2000/60/CE sulle acque, il quadro normativo di riferimento per le politiche di tutela e di uso sostenibile delle risorse idriche è stato profondamente rinnovato.

La Direttiva istituisce un quadro comunitario per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e di quelle sotterranee con l'obiettivo di ampliare la protezione delle acque superficiali e sotterranee, raggiungere lo stato di "buono" per tutte le acque entro il 31 dicembre 2015, gestire le risorse idriche sulla base di bacini idrografici indipendentemente dalle strutture amministrative, procedere attraverso un approccio combinato che integri la fissazione di limiti alle emissioni e il perseguimento di standard di qualità dei corpi idrici, riconoscere a tutti i servizi idrici il giusto prezzo che tenga conto del loro costo economico reale, rendere partecipi i cittadini delle scelte adottate in materia.

La Direttiva stabilisce che i singoli Stati membri affrontino la tutela delle acque a livello di "bacino idrografico" e l'unità territoriale di riferimento per la gestione del bacino è individuata nel "distretto idrografico", area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere.

Su ogni distretto, il singolo Stato membro deve preparare un programma di misure che tenga conto delle analisi effettuate e degli obiettivi ambientali fissati dalla Direttiva per le acque superficiali, per le acque sotterranee e per le aree protette, con lo scopo ultimo di raggiungere uno "stato buono" di tutte le acque entro il 2015.

Lo stato di qualità delle acque deve essere valutato sotto l'aspetto ecologico, chimico e quantitativo, tenendo conto di una serie di criteri fissati negli Allegati della Direttiva a seconda dei vari tipi di corpi idrici. I programmi di misure necessari al perseguimento degli obiettivi di qualità sono indicati nei Piani di Gestione che gli Stati membri devono predisporre per ogni singolo bacino idrografico.

La Direttiva quadro rappresenta un vero punto di svolta per la politica delle risorse idriche in ambito comunitario, stabilendo, come già richiamato, strategie, obiettivi e scadenze precise, in ognuna delle fasi in cui si articola la sua realizzazione, con il fine ultimo di assicurare una gestione sostenibile ed integrata delle acque in tutta Europa.

Purtroppo, alcuni Stati tra cui l'Italia non hanno ancora portato a termine l'iter legislativo necessario per recepire la Direttiva e per notificare le misure di recepimento alla Commissione. È però vero che, in questo quadro, la posizione dell'Italia è particolare. Infatti, il D. Lgs. 152/1999, che a livello nazionale rappresenta la disciplina di riferimento per la tutela delle acque dall'inquinamento e per la gestione delle risorse idriche, si basa sugli stessi principi ispiratori della Direttiva 2000/60/CE, anticipandone, di fatto, alcuni criteri e forme di tutela.

La normativa italiana in materia di acque è stata rivolta, per un lungo periodo, alla disciplina degli usi della risorsa. Nelle prime norme nazionali, infatti, è stata prevalente la preoccupazione di garantire le diverse utenze, prescindendo da valutazioni di compatibilità degli usi con il mantenimento di adeguate caratteristiche quali-quantitative dei corpi idrici interessati dai prelievi e dalle restituzioni.

La diversificazione delle attività economiche e industriali, lo sviluppo antropico, nonché le variazioni climatiche, hanno però accentuato lo squilibrio tra domanda e offerta di acqua per le diverse utilizzazioni. Pertanto, la legislazione ha subito un'evoluzione che può identificarsi nel passaggio dalla gestione particolare degli usi, i cui presupposti erano nella concezione del bene acqua come risorsa a disponibilità illimitata e quindi priva di valore economico (regio decreto 1775/1933), alla gestione sostenibile della risorsa.

Con l'entrata in vigore del Decreto legislativo n.152/99, successivamente modificato e integrato dal Decreto Legislativo n.258 del 18 agosto 2000, anche l'Italia si è dotata di uno strumento legislativo per la tutela delle acque armonico con gli indirizzi comunitari.

Il Decreto legislativo recepisce le Direttive comunitarie 91/271/CEE (trattamento delle acque reflue urbane) e 91/676/CEE (protezione delle acque dall'inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole) e anticipa alcuni contenuti della Direttiva comunitaria 2000/60/CE, quali l'individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche.

Il D. Lgs. 152/99 dunque, pone le basi per un diverso approccio alla tutela delle acque dall'inquinamento: esso infatti sposta l'attenzione dal controllo del singolo scarico all'insieme degli eventi che causano l'inquinamento del corpo idrico, integrando gli aspetti quantitativi con quelli qualitativi, il tutto in una visione più ampia, di bacino idrografico. In questa nuova ottica, non è più sufficiente controllare il rispetto dei limiti da parte del singolo scarico, ma è necessario garantire che l'insieme degli scarichi recapitanti nello stesso corpo recettore non siano tali da pregiudicarne la qualità. Tale approccio integrato, che combina le definizioni di qualità ambientale e per specifica destinazione d'uso e di valori limite d'emissione, si conforma alla politica europea in materia di tutela delle acque.

Il D. Lgs. 152/99 costituisce, allo stato attuale, il quadro di riferimento all'interno del quale innestare le normative tecniche e di settore. A questo proposito, l'attività del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio è stata intensa.

A titolo di esempio, si possono rammentare il DM 28 luglio 2004 recante le "Linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale, di cui all'articolo 22, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152. ed il DM 12 giugno 2003 n.185 "Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell'articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152".

Nell'ottica della necessaria implementazione il 20 e 21 giugno 2005 si è tenuto a Mondorf (Lussemburgo) un meeting informale dei Direttori delle acque degli Stati membri e degli altri paesi che partecipano alla cosi detta strategia comune per l'implementazione della Direttiva Quadro. Il meeting è stato l'occasione per discutere gli aspetti tecnici legati ai progressi delle diverse attività in corso, in particolare sono stati affrontati i progressi della strategia comune di implementazione, i progressi nella preparazione di una strategia Marina dell'Unione Europea ed i progressi nella preparazione di un piano d'azione per le alluvioni dell'UE. Inoltre nel corso del meeting i direttori delle acque sono stati informati dalla Presidenza di turno e dalla commissione sui progressi del processo di negoziato delle nuove Direttive (Direttiva acque di balneazione, Direttive figlie sulle acque sotterranee). La Commissione ha infine presentato lo stato di recepimento della Direttiva sul trattamento delle acque reflue depurate.

nuvolarossa
20-07-05, 19:46
Emergenza depurazione in Calabria, riunione presso il viceministro Nucara/Le ditte interessate hanno convenuto di continuare l'esercizio della funzione fino al mese di settembre

Reflui, sarà normalizzata la gestione degli impianti

Il giorno 19 luglio 2005 si è svolta, al Ministero dell'Ambiente e della tutela del Territorio, convocata dal Vice Ministro On. Nucara una riunione volta ad affrontare la grave situazione relativa all'emergenza depurazione in Calabria. Alla riunione erano presenti il Commissario Bagnato, il Direttore Generale per la qualità della vita Dott. Mascazzini, l'assessore all'Ambiente Dott. Tommasi e le quattro società che gestiscono la depurazione nei cinque ambiti territoriali ottimali della Regione: Ditta SMECO società di gestione nell'ATO Reggio Calabria e ATO Cosenza; Ditta A.T.I IBI DONDI società di gestione nell' ATO Catanzaro; Ditta LICOSANTO società di gestione nell'ATO Vibo Valentia; Ditta IMPEC società di gestione nell'ATO Crotone per la gestione pregressa al 30 giugno 2005.

Al riguardo le società di gestione hanno lamentato le difficoltà esistenti nel settore della depurazione, dovute alle mancate erogazioni delle somme spettanti per la gestione degli impianti. Tale situazione ha determinato la difficoltà a garantire una normale gestione del servizio da parte delle stesse società.

Nel corso della riunione e nel tentativo di risolvere la situazione nell' immediatezza, in attesa della conversione definitiva del Decreto Legge n. 90/2005, si è stabilito di procedere al pagamento, in favore delle società di gestione dei crediti da loro vantati per investimenti,di contro le società hanno assicurato la prosecuzione della gestione del servizio.

Per il 30 luglio è prevista la conversione definitiva del Decreto Legge n. 90/2005; l'art 2 dispone che in relazione allo stato di emergenza in atto nella Regione, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del D.L. è nominato il Commissario Delegato cui sono attribuiti i poteri previsti dalla normativa vigente; al riguardo l'art.1 della OPCM del 28 gennaio 2005 n. 3397 prevede la possibilità ove ricorrano situazioni di inadempienza dei Comuni a disporre per la sostituzione delle amministrazioni inadempienti. Tutto ciò con applicazione delle procedure previste dall'art.1 del D.L. n. 14/2005 convertito con modificazioni nella legge n.53/2005, l'art.1 della legge n. 53/2005 prevede che entro 60 giorni dall'anticipazione delle risorse finanziarie da parte della Cassa Depositi e Prestiti S.p.a., il Commissario, ove non vi provvedano direttamente i soggetti inadempienti, si sostituisce ai medesimi per la definizione di un piano di rientro, al massimo quadriennale delle situazioni debitorie con la medesima cassa. In ogni caso, a fronte della mancata attuazione anche parziale del piano di rientro, il Ministero dell'Interno provvede attraverso corrispondenti riduzioni dei trasferimenti erariali spettanti ai comuni interessati.

Il Vice Ministro, fautore dei numerosi incontri che sul tema dell'emergenza depurazione in Calabria si sono svolti presso il suo Ministero, ha espresso soddisfazione per il risultato ottenuto ed al termine della riunione ha ringraziato le società affidatarie per lo sforzo da loro dimostrato volto alla risoluzione della questione.

In particolare è stato sottolineato da Nucara e dall'Assessore Tommasi, il sacrificio chiesto alle ditte in questione che, pur vantando cospicui crediti dal commissariato per l'emergenza ambientale e pur nella confusione contrattuale hanno convenuto di continuare l'esercizio della gestione fino a tutto settembre.

In questo lasso di tempo saranno attivati tutti i meccanismi politici e amministrativi per normalizzare la gestione degli impianti recuperando le somme dovute alle ditte e provvedendo al saldo delle loro spettanze.

Un significativo ringraziamento è stato espresso da Nucara all'assessore Tommasi.

nuvolarossa
21-09-05, 19:31
Inquinamento elettromagnetico: Francesco Nucara a Savona/Nei casi di tralicci vicini alle abitazioni è opportuno applicare il principio precauzionale

Le esigenze dell'Enel e quelle dei cittadini

"Se c'è una rappresentanza referente del Comitato, sono pronto ad ascoltarne le ragioni e valutare le opportunità che possiamo affrontare assieme". Così l'onorevole Francesco Nucara, vice ministro all'Ambiente e alla Tutela del territorio, in visita a Varazze dove ha incontrato i vertici regionali del Partito Repubblicano. Nucara ha fatto un sopralluogo ad Albisola Superiore e Cogoleto, le cittadine nelle quali esiste da tempo il problema dell'inquinamento elettromagnetico già denunciato dal comitato spontaneo di cittadini e causato dal passaggio sull'abitato dai tralicci dell'Enel e Ferrovie dello Stato. Ad Albisola la questione riguarda Luceto, mentre per Cogoleto si tratta del quartiere collinare di Lerca.

"Abbiamo notato come le condotte transitino nelle vicinanze dei tetti delle abitazioni. Anche se questi edifici sono stati costruiti dopo l'installazione dei tralicci, occorre pensare prima ai cittadini poi all'economia, in base al ‘principio precauzionale'. I valori massimi consentiti, in Italia sono tra i più rigidi di tutta l'Europa. Bisogna considerare le molte persone che abitano per tanti anni, in certi casi tutta la vita, nei pressi di linee elettriche di qualsiasi portata: quindi è da valutare cosa può accadere alla salute basandosi su questi parametri. In altre parole, sottoporsi a esami radiologici o a tac una volta ogni tanto non crea disturbi. Ma sarebbe fatale se tutti i giorni finissimo sotto i raggi, pur se con strumenti che rispettino i valori legali", ha spiegato il viceministro, che ha fatto il punto della situazione a Varazze assieme al segretario regionale del Pri Giuseppe Alongi, al senatore Stelio De Carolis e Alfio Lamanna, presidente onorario dell'Edera in Liguria.

"Condivido i contenuti del vice ministro. Siamo lieti di questo interessamento e siamo pronti a recarci a Roma per illustrare tutta la documentazione raccolta e capire quello che si può fare", ha spiegato il presidente del Comitato Massimo Sprio.

da "La Stampa" (Savona) del 21 settembre 2005

nuvolarossa
22-09-05, 19:58
Nucara in Liguria: sopralluogo in una fabbrica inquinante/E' stato anche esaminato il caso di un elettrodotto che suscita timori nei cittadini

Quel principio precauzionale da applicare

Il percorso ligure inizia la mattina del 20 settembre 2005 alle ore 10,00: il segretario del Partito repubblicano italiano nonché viceministro all´Ambiente e alla Tutela del territorio, Francesco Nucara, si è recato in visita al Comune di Cogoleto, in Provincia di Genova.

Si tratta di un Comune che presenta svariati segni di degrado ambientale e vive, dunque, un problema di inquinamento i cui risvolti sociali hanno assunto dimensioni che non è esagerato definire rilevanti.

Il primo incontro era previsto presso lo stabilimento Stoppani. Si tratta di una struttura palesemente fatiscente all'interno della quale prestano la loro attività circa venticinque operai che lavorano senza nessuna garanzia di sicurezza e perfino senza certezza di salario regolare.

Nello stabilimento, risalente agli inizi del Novecento - e sicuramente non oggetto delle opportune ristrutturazioni - si produceva bicromato di sodio sin dalla sua apertura. Le conseguenze dell'incuria si sono trasmesse in modo amplificato ai nostri giorni. Il cromo – notoriamente cancerogeno nella forma esavalente – è ormai vastamente diffuso in tutta l'area circostante, infiltrandosi sia nel suolo sia nelle falde acquifere. Le dimensioni di tale propagazione sono giunte a minacciare seriamente addirittura gli arenili e i fondali marini. Dalle indagini dell´ARPAL (Agenzia per la protezione ambientale della Liguria) risalenti all'8 giugno del 2005, si evince la presenza di una concentrazione, inaccettabile rispetto alle percentuali massime tollerate, di metalli pesanti quali arsenico, zinco, cromo esavalente, nichel, vanadio, cobalto, nonché di idrocarburi policiclici aromatici totali.

Ad aggravare una situazione già precaria, si deve registrare il fallimento dei ripetuti tentativi di accordo che, nel corso di questi ultimi anni, hanno visto inutilmente contrapposti i "proprietari" della struttura e le istituzioni locali: in sostanza le trattative non hanno portato a nessuna conclusione positiva.

Insomma, si è "tirato a campare": ma tra poco si "tireranno pure le cuoia", se non si assumeranno provvedimenti, i quali inevitabilmente presenteranno caratteri di urgenza. Necessaria l'attivazione di poteri sostitutivi, dopo aver concordato con i Comuni interessati, la Provincia di Genova e la Regione Liguria, la soluzione migliore da adottare. All'orizzonte potrebbe profilarsi, visti i presupposti, un commissariamento per l'emergenza. Una soluzione, quest'ultima, che consentirebbe di accelerare i tempi per il risanamento di tutta la zona, rendendo inoltre appetibili le aree bonificate per altre iniziative. Resta comunque primaria la necessità di tutelare, al meglio e da subito, la salute dei cittadini. Risulta ancora più pressante, vista la portata della propagazione delle sostanze inquinanti, il controllo degli arenili di Cogoleto e Arenano, al fine di evitare la balneazione illegale.

L'elettrodotto. Nella frazione Lerca di Cogoleto è stato installato un elettrodotto di proprietà delle Ferrovie dello Stato. La sede di tale manufatto è stata di recente collocata in altra zona, allo scopo di fare spazio ad un campo da golf. Al di là della piacevolezza offerta da una simile struttura dedicata al tempo libero, è doveroso sottolineare che, se di tale spazio usufruiscono pochi golfisti a scapito dei cittadini, meglio sarebbe stato lasciare l'elettrodotto nella sede originaria, il cui spostamento ha oltretutto richiesto un impegno economico diversamente utilizzabile, forse degno di miglior destinazione. Lo spostamento dell'elettrodotto ha determinato, per contro, un problema ben più serio, rappresentato dal fatto che esso attualmente risulta collocato a pochi metri dagli edifici. Naturalmente, per gli abitanti delle case interessate, sono sorte le abituali preoccupazioni che in genere si associano al fenomeno del cosiddetto inquinamento elettromagnetico; parimenti colpisce l'assenza indifferente delle istituzioni, pur demandate a garantire la sicurezza dei propri amministrati, che si sentono minacciati dalla vicinanza dell'elettrodotto. Per rassicurare l'opinione pubblica è indispensabile che Regione, Provincia, Comune e Sovrintendenza esprimano le proprie valutazioni. Tali pareri, sono già stati emessi? Ed ancora, la documentazione sulla base della quale è stata concessa l'autorizzazione alla deviazione dei tralicci, risulta regolare?

Accerteremo le responsabilità ed applicheremo nella sua forma più corretta quel principio di precauzione formulato per tutelare, in prima insopprimibile istanza, la salute dei cittadini.

nuvolarossa
07-10-05, 21:00
Il pubblico, il privato, l'ambiente/Alla ricerca di una sinergia che si chiama partenariato

Un binomio mirato a conciliare esigenze diverse

"Il partenariato pubblico/privato al servizio delle politiche ambientali", relazione predisposta per il convegno "Le politiche ambientali di raccolta differenziata e riciclaggio: modelli di gestione, strumenti, esperienze di partenariato pubblico/privato", Roma, 4 ottobre 2005.

di Francesco Nucara

Nel "libro verde", presentato il 30 aprile 2004, la Commissione europea fornisce la migliore e più puntuale definizione di "partenariato pubblico-privato" (PPP): esso designa le "forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio". Sempre in ambito europeo, è poi nota la distinzione tra un partenariato di tipo esclusivamente "contrattuale" ed uno di carattere "istituzionale". Con il primo si designa, come testualmente recita il libro verde, un partenariato "basato esclusivamente su legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazioni, nei quali uno o più compiti più o meno ampi -tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio- vengono affidati al partner privato". In tale nozione rientrano modelli assai noti alla tradizione giuridica occidentale, quali ad esempio il contratto di appalto o la concessione amministrativa. Ora se il fenomeno PPP dovesse limitarsi alla rilettura dei canoni contrattuali dell'appalto o della concessione, sia pure alla luce della normativa europea, potremmo manifestare la nostra delusione scettica affermando: "niente di nuovo sotto il sole".

In realtà, quando si parla di partenariato, lo si fa riferendosi, prevalentemente, a quello di tipo istituzionalizzato: è questa la figura, infatti, non soltanto foriera delle più originali novità teoriche, ma, soprattutto, degli esiti operativi più interessanti. Secondo la Commissione europea, i partenariati pubblico-privato di tipo istituzionalizzato implicano, infatti, una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato che genera un'entità distinta, idonea ad assicurare la fornitura di un'opera e di un servizio a favore del pubblico. Si tratta, in breve, di una sinergia dalla quale non nasce, come in passato, la prevalenza di una soggettività (pubblica o privata) rispetto all'altra, quanto la finalizzazione di una funzione (di una "missione", come ha scritto qualcuno). Il modello maggiormente adoperato a tale fine è quello della c.d. "società mista".

E' di tutta evidenza come in questa prospettiva, la scelta del partner privato sia, per la pubblica amministrazione, la prima e più importante delle strategie dell'intero progetto. La P.A. si muove con lo sfondo di principi (buon andamento, imparzialità: art. 97 Cost.) che governano il suo operato anche quando tratta, nella condizione di parità, con i privati. La scelta di costoro, dunque, benché preluda alla creazione di una società mista, su basi paritarie, non può prescindere, in ogni caso, da criteri di trasparenza, convenienza, parità di trattamento, imparzialità. Tutto ciò pone una prima difficoltà teorica: la scelta del partner privato è davvero espressione di una sorta di "libertà imprenditoriale" da riconoscersi in capo al versante pubblico di questo accordo o, piuttosto, la selezione si ispira anche ad altri criteri? Con un calembour ad effetto ci si potrebbe chiedere se il Pubblico (la Pubblica Amministrazione) si comporta davvero quale soggetto privato nella scelta del suo partenariato, dimenticando i vincoli derivanti dalla finalità del suo operato.

E' difficile, quanto imprescindibile, fornire una risposta puntuale a questa domanda.

Lo è ancor di più allorquando le società miste originano non già in ambiti locali della P.A. -dove la scelta del partner privato è spesso abbastanza mirata sul territorio e, per molti aspetti, condizionata da necessità localmente riconoscibili ed individuabili- ma sorgono nei settori di vertice della stessa P.A. Penso, ad esempio, ai partenariati che involgono direttamente uno o più Ministeri, in relazione ad attività che riguardano l'intero territorio nazionale. Ora, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato, da più di un lustro, statuisca la necessità di ricorrere a procedure selettive per la scelta del partner privato da inserire nella "società mista" è, sicuramente, apprezzabile: lo è meno l'assenza di criteri certi per effettuare tale selezione in mancanza di una normativa univoca. Il rischio, insomma, è che si torni, anche per le società miste, ai criteri vaghi -e, spesso, assai poco edificanti- delle gare di appalto. Voglio dire che il legislatore si è dato un gran da fare per prevedere che, in una serie di ambiti importanti, il partner privato fosse scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica (nel caso in cui si tratti di costituire, ad esempio, le società miste per la gestione di servizi pubblici locali; per la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali; le società di trasformazione urbana, e così via). Ma tutto ciò non ha ancora prodotto, normativamente, criteri univoci per i contenuti di tale evidenza pubblica. In breve, mi pare che un primo e fondamentale quesito da porre sul tappeto sia così formulabile: il partenariato vive, nel versante pubblico, del liberalismo più sfrenato ovvero è mitigato, per l'importanza della posta in gioco, dalla oculata finalità pubblica, dunque dai fini di amministrazione, dunque dalla finalità sociale (che non coincide quasi mai con quella economica e di mercato) che ispira l'azione della P.A.?

Piccolo esperimento collettivo

Per capire quanto sia importante e strategico tale quesito, invito ad un piccolo esperimento collettivo: trasferire questo interrogativo ad una delle più famose ed impegnative esperienze di partenariato odierno, quello relativo alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. E' superfluo aggiungere altro alla riflessione su questo esempio.

Peraltro, tale problema è reso ancor di più "drammatico" dalla circostanza che il modello di società mista previsto in sede europea, nel già citato "libro verde" non è esattamente coincidente con quello che ha prodotto la prassi (e la legislazione) italiana.

Nella prospettiva europea, il partner privato è un po' mortificato e quello pubblico alquanto ingigantito: il privato è, essenzialmente, un esecutore; l'amministrazione pubblica, un controllore. Ma tale prospettiva, se da un lato affievolisce le novità operative del partenariato, per altro aspetto esalta proprio quel momento selettivo di cui sopra si diceva: proprio perché esecutore, il partner privato (e proprio perché controllore quello pubblico) la scelta, oltre ad originare da procedure selettive, non può fondarsi "esclusivamente sulla qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza", dovendosi anche "tenere conto delle caratteristiche della sua offerta (…) per quanto riguarda le prestazioni specifiche da fornire" (§ 58 del "libro verde"). Insomma, una effettiva concorrenza qualitativa, che emerge anche nella previsione della durata limitata della società mista, coincidente "con la durata del contratto o della concessione", onde evitare una reiterazione che danneggia la concorrenza. Ciò vale ad evitare "rinnovi dell'incarico affidato a questa impresa senza che sia posta in essere una reale nuova messa in concorrenza" e, quindi, in definitiva, a stornare il pericolo di attribuire gli incarichi "per una durata illimitata" (§ 61).

Un messaggio molto prudente

Alla fine, il messaggio che ci viene dalla "costruzione europea" della società mista è assai prudente: nulla di troppo diverso dalla vecchia concessione (con venature che richiamano l'appalto); nulla che possa scalfire il principio della concorrenza (anche a scapito della progressiva acquisizione di un rapporto fiduciario che si sedimenta con il partner privato); nulla che possa compromettere una rigorosa scelta "trasparente". Ma tutto ciò è davvero possibile non soltanto per il Ponte di Messina (che è l'esempio limite) ma anche per i partenariati in materia di rifiuti?

Ora, se è vero che le società miste previste dall'ordinamento interno rispettano l'orientamento comunitario per ciò che attiene la necessità di scelta del socio privato mediante una procedura selettiva/concorrenziale, non altrettanto si può dire per le modalità di concreto espletamento delle attività da parte delle società miste. Nell'ambito nazionale, infatti, gli incarichi sono ad esse affidati direttamente e vengono da esse svolte direttamente, non già dai singoli soci: ma che la società, direttamente e con la propria organizzazione imprenditoriale, ponga in essere le attività per le quali è nato il partenariato, significa anche che lo Stato non è più solo controllore, ma co-gestore di tali attività. E, d'altra parte, proprio questo tipo di modello rende, per così dire, assai diafana la necessità di un limite temporale alla vita della società mista.

E torno al quesito appena posto: come interagisce questa struttura di partenariato con un oggetto assai "particolare", quale quello dei rifiuti?

Ci sono due norme che, nella bozza di decreto legislativo in attuazione della legge delega in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti contaminati, appaiono sintomatiche in proposito.

La prima è l'art. 27, il quale prevede uno schema tipo di contratto di servizio volto a regolare i rapporti tra le Autorità d'ambito ed i soggetti affidatari del servizio integrato per la raccolta e gestione dei rifiuti. Tale schema tipo prevede, in particolare, il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione; la durata dell'affidamento, comunque non inferiore a 15 anni; i criteri per definire il piano economico-finanziario per la gestione integrata del servizio; le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio; i principi e le regole generali relativi alle attività ed alle tipologie di controllo in relazione ai livelli del servizio ed al corrispettivo; le modalità, i termini e le procedure per lo svolgimento del controllo e le caratteristiche delle strutture organizzative all'uopo preposte; gli obblighi di comunicazione e trasmissione di dati, informazioni e documenti del gestore e le relative sanzioni; e molto altro ancora.

C'è una via italiana

Ora, tale norma è sintomatica di una ulteriore "via italiana" al partenariato: che non si chiama così, ma contratto di servizi; che non comporta la creazione di una società mista, e, nondimeno, realizza una gestione che vede coinvolto il soggetto privato sotto il diretto controllo (ma di un controllo fattivo ed attivo) di quello pubblico. In breve: non è un organismo in house; non è una società mista; è un contratto di servizi, avente ad oggetto un affidamento di almeno quindici anni di una gestione integrata in materia di rifiuti, certamente inedito quanto ad ampiezza e pregnanza.

La seconda norma è contenuta nell'art. 30, il quale prevede, ai fini dell'attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dal decreto sui rifiuti, che il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, di concerto con il Ministro delle Attività Produttive, possa stipulare appositi accordi e contratti di programma con Enti pubblici o con le imprese maggiormente presenti sul mercato, con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria. Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto, in particolare, l'attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti; la sperimentazione, la promozione, l'attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità, e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti stessi; lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili; la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento; e molto altro ancora.

Una forma evoluta

Certo, si dirà che gli accordi ed i contratti di programma non sono le società miste e sono appena un abbozzo di partenariato. Ma nessuno si sognerebbe di negare che essi, probabilmente, costituiscono per molti aspetti, la forma evoluta della stessa nozione di partenariato. Stabilire "accordi di programma" con le imprese "maggiormente presenti sul mercato" al fine di ottimizzare i flussi di rifiuti o di attuare specifici piani di riduzione è un modo legislativamente elegante per attuare una forma -magari soft, magari "mascherata"- di coinvolgimento dell'imprenditoria privata nel settore della gestione dei rifiuti. Un accordo che è la prosecuzione, sotto altra forma, della istituzione di una società mista poiché, alla fine, il "socio" privato sarà l'esecutore di un programma ed il Ministero dell'Ambiente il controllore della esatta e puntuale esecuzione del programma.

Nel corso del 2004 gli investimenti avviati con partenariato pubblico privato -ci informa Paolo Emilio Signorini, direttore della Segreteria del Cipe, in un suo ottimo scritto- appaiono in ascesa sul totale degli appalti assegnati, mentre i dati riferiti agli avvisi di gara mostrano la prevalenza sia in valori assoluti sia di crescita dei settori "trasporti", "public utilities" e "sanità": i dati relativi al mercato del PPP in Italia, tuttavia, ci suggeriscono come sia ancora presto per dire se esista un modello di PPP particolarmente adatto alla realtà italiana. Il Cipe ha approvato opere per cinquantaquattro miliardi di euro, già coperte finanziariamente per circa 20 miliardi di cui oltre il dieci per cento con risorse private. Non solo: il novanta per cento delle risorse private finanzia opere con elevato ritorno tariffario realizzate attraverso Concessione Costruzione e Gestione nel settore "trasporti". Per contro, la realizzazione delle grandi infrastrutture senza significativo ritorno economico avviene tramite General contractor: ne sono un esempio l'autostrada Salerno-Reggio Calabria o la Catania-Siracusa o, ancora, il Ponte sullo Stretto. Una rapida disamina della collocazione delle grandi infrastrutture tra il mercato e il Patto di stabilità e crescita, mette in evidenza come molte siano le iniziative volte a valorizzare le risorse finanziarie e lo scrutinio del mercato nel finanziamento delle opere stesse (dall'ISPA al Patrimonio SpA, dal Piano economico finanziario per le opere finanziate dal CIPE al cofinanziamento privato per opere in settori con ritorno economico) perseguendo, al tempo stesso, l'esigenza di contenere la spesa pubblica ed assicurare la coesione territoriale. Come enunciato da Signorini, gli Accordi di programma quadro complessivamente stipulati sono 311 per un ammontare di investimenti - all'ultimo monitoraggio - pari a oltre 63 miliardi di euro di cui il 17 per cento con risorse private.

Concentrazione di risorse private nel Centro - Nord

Oltre il 75 per cento delle risorse private è concentrato nel Centro Nord, dove circa il 27 per cento degli investimenti è coperto da privati contro l'8 per cento del Sud.

Nei settori trasporti, acqua ed energia -tradizionalmente favorevoli allo sviluppo di PPP- è programmato oltre l'80 per cento del totale degli investimenti.

La concentrazione al Sud di gran parte delle risorse pubbliche aggiuntive non ha dunque fatto da traino all'afflusso di risorse private. Fanno eccezione i settori idrico e rifiuti dove l'assegnazione di risorse private è notevolmente superiore al Centro Nord ma gli investimenti tramite Concessione di Gestione tardano a partire. La concentrazione delle risorse private al Centro Nord è in gran parte dovuta ai fondi di Concessione Costruzione e Gestione, destinati al finanziamento di opere con significativi ricavi da tariffa.

Ed a questo punto, una seria riflessione concernente lo sviluppo del partenariato pubblico privato impone di chiedersi innanzitutto se la forte carenza di infrastrutture sia indice di terreno fertile per il partenariato stesso. Non sempre.

Definire gli standard

Per il PPP occorre definire contrattualmente standard di qualità sia nella costruzione della infrastruttura sia nella successiva erogazione del servizio: questo da un lato spiega i ritardi del PPP al Sud dove è più difficile contrattualizzare adeguati livelli di qualità -ad esempio- in termini di legalità. Sono in tal caso preferibili modelli di PPP che integrino tutte le fasi del ciclo di vita dell'investimento, riducendo le asimmetrie informative tra le varie attività. Altro pressante quesito da porsi concerne la possibilità che i vincoli di finanza pubblica ostacolino lo sviluppo del PPP: è sovente vero il contrario. In realtà, essi aiutano a introdurre metodi di analisi più rigorosi; accrescono la capacità di controllo delle Amministrazioni sui tempi e la qualità degli investimenti; avvicinano gli operatori del mercato (quali banche, investitori istituzionali, società di project management consulting) alle pubbliche amministrazioni.

In conclusione, quindi rimangono da identificare i punti suscettibili di miglioramento. Su cosa agire? Occorre assicurare maggiore supporto politico al PPP, come è avvenuto nel Regno Unito con la PFI; rafforzare le competenze professionali nelle amministrazioni pubbliche, soprattutto quelle regionali e locali sempre più responsabili della spesa per infrastrutture ed insistere, infine, nella ricerca di soluzioni istituzionali volte a favorire il trasferimento del rischio (nelle sue tre componenti construction, performance, demand ) alla parte privata della partnership senza aggirare il Patto di stabilità e crescita.

In breve, il binomio pubblico-privato pare ormai inscindibile e le sue concrete epifanie praticamente infinite. Con buona pace dei liberisti d'antan, i quali hanno vagheggiano una società, assai improbabile, in cui lo Stato è azzerato e che vive solo di onnipotenti privati; e per gli statalisti nostalgici, che pensano ancora allo Stato hegelianamente: un po' mamma, un po' Superman, in grado di assumere tutto nel suo potere di gestione, relegando i privati al ruolo di spettatori.

Il partenariato pubblico-privato fa giustizia di queste tenere ingenuità ideologiche.

nuvolarossa
19-10-05, 21:02
I progetti fra Italia e Cina sostenuti dal nostro Ministero dell'Ambiente. Francesco Nucara ha illustrato a Pechino queste iniziative/Nel programma generale, finalizzato alla realizzazione di lavori pilota, svolge un ruolo determinante l'attività in un settore fondamentale del futuro come quello delle biotecnologie

Riprendere in modo sinergico una collaborazione del passato: i vantaggi che ne derivano

"Perché questo progetto?", è il titolo della relazione presentata da Francesco Nucara a Pechino, il 19 ottobre 2005, nell'ambito del Program Management Office for Environmental Protection.

di Francesco Nucara

E' dal tempo di Marco Polo -e cioè dalla via della seta percorsa, per la prima volta, nel 1292- che la Cina continua ad esercitare un fascino magnetico sugli occidentali. La Cina è il sogno segreto ed il mistero di ogni viaggiatore; la curiosità assoluta di ogni studioso; l'inconsueta esperienza, struggente ed indimenticabile, di ogni visitatore. Ed oggi, che la realtà sociale cinese realizza la magica fusione di una tradizione millenaria con le espressioni più moderne della tecnologia e del progresso, la Cina incrementa questo suo potere ammaliante: essa continua ad essere il regno del bello ma anche l'avanguardia del tecnologico; la pagoda dell'origine della civiltà umana ed, al contempo, il grattacielo della sua più moderna espressione. In questa armonia, nella quale l'infinità dell'arte si mescola alla potenza della ricerca e dell'industria, si realizza –in noi ospiti occidentali- lo stesso ed inalterato incanto che già conquistò Marco Polo ottocento anni fa.

Oggetti ed idee

Di tutto questo, in primo luogo, noi vi siamo grati e per tutto questo esprimiamo la nostra profonda e sincera gioia ad essere qui con voi oggi. Anche lo scopo di questa visita è, alla fine, lo sviluppo moderno della finalità dei primi mercanti veneziani: loro scambiavano oggetti preziosi; noi sostituiamo agli oggetti le idee, i progetti, le tecnologie non meno preziose ed innovative, al giorno d'oggi, di quanto non lo fossero le sete e le spezie per il passato.

Ed è prezioso, innanzitutto, il cammino della collaborazione che ha preceduto, fino ad oggi, questa nostra visita.

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha avviato dal 2000 un Programma di cooperazione con l'Agenzia per la protezione dell'ambiente cinese (SEPA), con l'Accademia delle Scienze Sociali di Pechino (CASS), con il Ministero delle Ricerca e della Tecnologia cinese (MOST), con il Ministero delle Risorse Idriche cinese, con l'Amministrazione Forestale di Stato, con il Comitato Nazionale per le Riforme e lo Sviluppo, e con le Municipalità di Pechino e Shanghai.

Il Programma è finalizzato alla realizzazione di progetti pilota e studi di fattibilità per la protezione e conservazione delle risorse naturali; si articola prevalentemente nei settori dell' efficienza energetica e della promozione delle fonti rinnovabili; promuove tecnologie e sistemi di trasporto a basse emissioni; si occupa, infine, dell' agricoltura "sostenibile" e della formazione ambientale.

Il Programma di cooperazione -incluso dalle Nazioni Unite tra le "Partnership Initiatives" per lo sviluppo sostenibile- è stato presentato al Vertice Mondiale di Johannesburg del settembre 2002, dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dai Ministri dell'Ambiente Xie Zhenhua per la Cina ed Altero Matteoli per l'Italia.

Protocollo internazionale

Il Programma si colloca nell'ambito delle Convenzioni e dei Protocolli internazionali delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sulla protezione della fascia di ozono, sulla protezione della biodiversità, sulla eliminazione delle sostanze chimiche organiche persistenti, sulla lotta contro la desertificazione.

I progetti pilota e gli studi di fattibilità per l'attuazione del programma sono stati predisposti secondo il "format" di World Bank (WB) e di Global Environment Facility (GEF), nonché delle altre istituzioni finanziarie multilaterali che sostengono i programmi internazionali per la protezione dell'ambiente: ciò mira a costituire la base per ulteriori finanziamenti destinati allo sviluppo ed alla diffusione dei progetti stessi.

Inoltre, i progetti in campo energetico e forestale sono finalizzati a generare crediti di carbonio e crediti di emissione, secondo le procedure previste dal Clean Development Mechanism (CDM) del Protocollo di Kyoto.

L'elaborazione dei progetti è affidata a una task-force permanente italo-cinese, composta da esperti del Ministero dell'Ambiente italiano, delle Agenzie e Ministeri cinesi, di Istituzioni scientifiche e Università italiane e cinesi: tale gruppo di lavoro costituisce il Program Management Office (PMO) con sede a Pechino e a Shanghai.

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha affidato all'Ufficio ICE di Pechino il ruolo di project manager della task-force.

ICE assicura anche la collaborazione di esperti delle imprese italiane interessate a partecipare alla progettazione ed al co-finanziamento del Programma.

Un comitato di coordinamento, composto dall'Ambasciata italiana in Cina, dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e da ICE, assicura la coerenza del Programma con la strategia e le politiche di cooperazione italiana con la Cina.

Due progetti di rilievo

Tra il 2001 e il 2005 il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha co-finanziato il programma con più di 96 milioni di euro, attraverso contributi diretti e mediante l'impiego di Trust Funds istituiti presso World Bank e Fondi Multilaterali.

Al co-finanziamento dei progetti partecipano le Istituzioni Cinesi con 18 milioni di euro e le Imprese Italiane - che hanno aderito al programma di cooperazione - con 9 milioni di euro.

La United Nations Foundation, le Agenzie delle Nazioni Unite (UNEP, UNDP, UNIDO) Global Environment Facility, World Bank e Fondo Multilaterale del Protocollo di Montreal per la Protezione della Fascia di Ozono vi prendono parte con 19 milioni di euro.

Il programma comprende pertanto, fino ad oggi, progetti per l'ammontare di 142 milioni di euro.

Per il finanziamento dei progetti, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ha istituito meccanismi di finanziamento e allocato risorse, sulla base di accordi con le Istituzioni Finanziarie Internazionali, con le Autorità cinesi, con Università ed Istituti Scientifici Italiani e con Imprese Italiane.

Ed è esattamente in questo contesto che si inserisce il progetto del quale siamo in procinto di discutere finanziato, lo scorso giugno dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, nel quadro dei rapporti bilaterali Italia-Cina.

L' obiettivo del lavoro è già bene espresso nel suo titolo generale che recita: "Attività di ricerca e sviluppo sostenibile nel settore delle biotecnologie applicate alla salvaguardia dell'ambiente, in collaborazione con la Repubblica Popolare Cinese".

In particolare, due sono i progetti che fanno capo al disegno di ricerca coordinato dal Professor Sala: il primo progetto è dedicato al "Miglioramento genetico del pioppo coltivato e salvaguardia della biodiversità del pioppo naturale" mentre il secondo concerne la "Salvaguardia della biodiversità del riso e della vite".

Perché queste tematiche?

Oggi la Cina si presenta come uno dei leader mondiali nella ricerca e sviluppo delle piante coltivate, sia non-Ogm che Ogm. Di estremo rilievo sono i benefici attesi da questa ricerca nei settori agricolo, commerciale e ambientale. Italia e Repubblica Popolare Cinese hanno già una lunga e importante consuetudine di collaborazione in questo settore. Infatti, negli anni 1987-1994, l'Italia aveva finanziato e sviluppato il progetto "Biotechnology for China" -coordinato dal Professor Leonardo Santi - nell'ambito del "World Laboratory Project", il cui responsabile era il Professor Antonino Zichichi.

Un laboratorio avanzato

Il progetto, inteso ad aiutare lo sviluppo delle scienze agrarie e biomediche nella R. P. Cinese, prevedeva -in prima istanza- la donazione di strumentazione scientifica per la creazione di un laboratorio avanzato di biotecnologie vegetali a Pechino (presso l'Istituto di Microbiologia, Academia Sinica) ed uno di Biotecnologie mediche a Shanghai; successivamente sono stati elaborati progetti di ricerca di mutuo interesse nell'ambito delle biotecnologie vegetali, coordinati dal Professor Sala. Sono state istituite, tra l'altro, borse di studio per prolungati soggiorni (1-2 anni) di giovani ricercatori cinesi in laboratori italiani d'avanguardia.

Nel settore vegetale, il risultato applicativo più interessante è stata la costituzione di cloni di pioppo-Bt resistenti agli insetti parassiti, oggi coltivati in Cina senza ricorso all'uso di insetticidi.

L'Italia è intervenuta ancora in Cina quando, negli anni 2001-04, la Fondazione Bussolera-Branca (di Mairano di Casteggio, Pavia) finanziò un progetto di ricerca Italia-Cina sempre coordinato dal Professor Sala, sulla produzione di cloni di pioppo-Bt sterili, cioè incapaci di produrre fiori. Questa ricerca era intesa a proteggere la biodiversità del pioppo naturale, evitando incroci con il pioppo coltivato.

Attività sinergiche

Dopo il 2004, la cooperazione Italia-R.P.Cinese nel settore delle piante coltivate si è ridotta a sporadiche e spontanee iniziative. Oggi noi siamo orgogliosi di avere recuperato questi rapporti e dato un nuovo, proficuo avvio a queste attività sinergiche, intese a migliorare la produttività agricola ed il suo utilizzo industriale. Il fine comune sarà lo sviluppo di una agricoltura competitiva ma rispettosa dell'ambiente e della biodiversità.

La prosecuzione della collaborazione Italia-Cina, nel settore delle biotecnologie vegetali, offre notevoli vantaggi reciproci ed è, nel prossimo futuro, particolarmente vantaggiosa per il nostro paese.

Infatti, dopo un primo periodo in cui noi abbiamo aiutato la scienza cinese a crescere e ad arrivare agli attuali ottimi livelli, possiamo, adesso, raccogliere i frutti del canale preferenziale di cui oggi godiamo. In primo luogo, riprendiamo le posizioni più avanzate della ricerca e dello sviluppo nel settore vegetale, con particolare attenzione a quelle applicazioni biotecnologiche che apportano benefici all'ambiente e alla biodiversità.

L'incremento della collaborazione nel settore del miglioramento genetico del pioppo avrà conseguenze molto positive sulla pioppicoltura in Italia. Oggi, nel nostro paese, è ancora difficoltoso progettare e condurre la sperimentazione in campo di piante Ogm, mentre in Cina ciò è permesso, anche se sotto stretti, ma non proibitivi, controlli.

Selezione italiana

Vi è da notare come il 50% dei cloni di pioppo coltivati in Cina sia stato selezionato in Italia: ciò significa che i cloni che verranno geneticamente migliorati in Cina, saranno direttamente adattabili alle condizioni agricole italiane.

Da parte sua, la Cina ha sempre espresso grande interesse per il nostro know-how a livello di analisi molecolare dei genomi. Inoltre, da parte cinese, vi è una grande attenzione alle applicazioni delle moderne tecniche di meccanizzazione della coltivazione del pioppo e della sua lavorazione industriale, settore in cui l'Italia è all'avanguardia.

Ma non basta: le colture resistenti agli insetti coltivate in Cina, possono fornire interessanti indicazioni sulla lotta a parassiti che possono ritornare utili anche per la nostra agricoltura. Infatti, in alcune zone temperate della Cina sono segnalate specie appartenenti allo stesso genere degli insetti infestanti le colture italiane o, in alcuni casi, appartenenti alla medesima specie. Le valutazioni del rischio in Cina costituiranno, dunque, una fondamentale base di partenza per la valutazione e per il rilascio di tali colture in Italia.

Per dirla con il Professor Sala, in conclusione, non parleremo più di biotecnologie "for China", bensì - correttamente - di biotecnologie "with China"!

nuvolarossa
20-10-05, 20:15
Cooperazione italo-cinese per la protezione ambientale: un'attività che è cresciuta in termini di progetti e risorse/L'obiettivo che ci si prefigge è quello della realizzazione di una partnership in sintonia con le indicazioni giunte dal summit mondiale di Johannesburg

La "lunga marcia" di nuovo in movimento per una Terra meno inquinata

Intervento alla "China International Conference on Clean Development Mechanism" (CDM), Pechino, 20 ottobre 2005.

di Francesco Nucara

E' con estrema soddisfazione che registro gli sviluppi del Programma di Cooperazione Italo-Cinese per la Protezione Ambientale. La cooperazione tra i nostri due Paesi è cresciuta di peso e intensità, in termini di progetti, risorse finanziarie, entità coinvolte. L'obiettivo raggiunto è la realizzazione di un modello di partnership in sintonia con le indicazioni del Summit Mondiale di Johannesburg sullo Sviluppo Sostenibile.

Partner strategico

Il Dipartimento della Commissione responsabile dei Cambiamenti Climatici, guidato da Gao Guansheng è un partner strategico per le attività del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Sino Italian Cooperation Program, (Programma di Cooperazione Ambientale Italia-Cina) specie per quanto riguarda la preparazione e la futura approvazione dei progetti CDM (Clean Development Mechanism). Inoltre la Commissione Nazionale delle Riforme e dello Sviluppo è già uno dei partners del Programma sino-italiano, essendo parte di un accordo sull'efficienza energetica tramite il Dipartimento per la Conservazione dell'Energia guidato da Mr. Zhao Jiarong.

L'entrata in vigore, in febbraio, del Protocollo di Kyoto ha dato una ulteriore spinta alle iniziative già in corso tra Italia e Cina per la promozione dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas serra.

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio è l'agenzia capofila, in Italia, nelle politiche per i cambiamenti climatici. L'Obiettivo di riduzione per l'Italia nel 2008-2012 -secondo il protocollo di Kyoto- è del 6,5% rispetto alle emissioni del 1990. La legge di ratifica del Protocollo di Kyoto, approvata dal Parlamento italiano il 1° giugno 2002, ammette il pieno uso dei meccanismi di Kyoto –Clean Development Mechanism e Joint Implementation– per raggiungere l'obiettivo di riduzione delle emissioni ad un costo competitivo e per promuovere lo sviluppo sostenibile. Il fabbisogno italiano di Progetti Joint Implementation e Clean Development Mechanism sarà di circa 80 milioni di tonnellate per anno di anidride carbonica.

Punto di svolta

Kyoto rappresenta un punto di svolta per le politiche ambientali internazionali: molto si è già detto, ma mi fa piacere sottolineare, ancora una volta, come -con Kyoto- si introducano strumenti di mercato nel settore ambientale. Per anni le politiche ambientali internazionali sono state dettate dalla tradizionale logica di Command and Control che, purtroppo, ha manifestato nel settore ambientale tutte le sue inefficienze. Con Kyoto si crea, invece, uno strumento economico che consente di perseguire obiettivi generali di sviluppo sostenibile ed, al contempo, per le imprese virtuose, di considerare la protezione ambientale come un'opportunità economica e non più come un costo aggiuntivo.

La cooperazione fra privato e pubblico rappresenta un altro elemento innovativo del Protocollo di Kyoto: elemento che ha come obiettivo l'incremento di sinergie tra questi comparti i quali, garantendo, così, uno sviluppo sostenibile nel tempo, daranno risultati positivi per le future generazioni.

Su richiesta del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e' stato istituito l'Italian Carbon Fund. Il Fondo è progettato per acquistare certificati di riduzioni di emissioni da progetti Clean Development Mechanism e Joint Implementation al fine di rispettare l'impegno italiano stabilito dal Protocollo di Kyoto.

Rinnovabili ed efficienza

Il Programma di Cooperazione Italo-Cinese per la Protezione Ambientale sta sviluppando numerosi progetti CDM nei settori delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica e siamo fiduciosi che il numero di progetti in Cina possa costituire una percentuale significativa dei nostri progetti CDM e Joint Implementation a livello globale.

Il settore dei CDM è comunque legato ad un mercato che si sta sviluppando in modo significativo con sollecitazioni che agiscono in duplice direzione: da un lato, vi è la crescente domanda di CER (Crediti da Riduzione di Emissioni) dei Paesi con vincoli di riduzione che spinge i prezzi verso l'alto. Dall'altro, vi è un'offerta che si sta animando per la concorrenza internazionale fra i Paesi in via di sviluppo che desiderano attirare capitali e tecnologie e che quindi spinge i prezzi al ribasso.

L'Italia sta operando in Cina tenendo in considerazione le dinamiche globali del mercato e tentando di strutturare un portafoglio di progetti diversificato ed efficiente.

Rinnovando l'interesse dell'Italia nel farsi promotrice di un ambiente globale sostenibile, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio intende ribadire il suo impegno di cooperazione con il Governo cinese, non solo a livello tecnologico ma anche dal punto di vista economico e politico.

Al riguardo, sono fiero di sottolineare come l'Italia stia, in questi mesi, negoziando voluminosi accordi per gli impianti di idrofluorocarburi e monossido di azoto, accettando di pagare un sovrapprezzo per lo sviluppo di misure di sostenibilità. Tali misure verranno incrementate al fine di garantire una crescita ambientale, sociale ed economica sostenibile per alcune aree a rischio.

L'Italia ha partecipato attivamente, attraverso il proprio Trust Fund in Banca Mondiale, alla definizione di tali misure di sostenibilità e, sempre attraverso il Trust Fund, partecipa ai lavori per il perfezionamento e l'implementazione della Strategia cinese per il Cambiamento Climatico.

Inoltre, l'Italia ha cofinanziato insieme all'Agenzia per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), alla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme (NDRC) ed al Governo Cinese, il Progetto di Capacity Building per i CDM che ha dato ottimi risultati come testimoniano le proposte di progetto che la delegazione cinese ha presentato a Colonia durante l'ultimo Carbon Expo.

Modello di cooperazione

I progetti CDM rappresentano un modello di cooperazione nell'ambito dello sviluppo sostenibile e nel quadro della protezione ambientale. Tale modello ha l'intento di sviluppare un "ponte tecnologico e scientifico" importante ed effettivo tra le economie dei due Paesi, ponte teso a favorire lo scambio di esperienze e di know-how, nello spirito delle migliori cooperazioni bilaterali.

I numerosi risultati ottenuti sino ad oggi, in seno ai progetti e alle diverse attività di cooperazione sino-italiane, mi permettono di poter sinceramente dire che l'esperienza italiana nel settore della protezione dell'ambiente ha assunto un ruolo chiave in Cina, come valido esempio di gestione ambientale sostenibile.

Ciò è testimoniato anche dalle parole del Primo Ministro Wen Jia Bao che, durante la visita in Italia nel maggio 2004, ha evidenziato come tale programma di cooperazione ambientale sia un modello da seguire anche per altri settori.

L'auspicio è che il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio continui a sviluppare con il Governo Cinese progetti di fruttuosa collaborazione in campo ambientale e tecnologico, coniugando i programmi e le esigenze locali in campo ambientale con l'utilizzo delle moderne tecnologie italiane.

Voi cinesi siete abituati alle lunghe marce. E allora aiutate anche con il vostro esempio la comunità internazionale alla "lunga marcia" per la tutela del nostro ambiente e del territorio, in modo da consegnare a chi verrà dopo di noi una terra meno inquinata di come è ora.

nuvolarossa
07-11-05, 22:32
Ambiente e comunicazione/Contro ogni demagogia è necessaria una seria informazione
Intercettare il consenso tramite i dati della scienza

di Giovanni Pizzo

La comunicazione ambientale riveste un ruolo fondamentale nella diffusione e nella condivisione della cultura dello sviluppo sostenibile. Oggi è diventata uno strumento di governance che promuove l'informazione e la conoscenza delle tematiche ambientali nei confronti della popolazione, con l'obiettivo di coinvolgere i cittadini, aumentarne la consapevolezza, incoraggiare la modifica di comportamenti, spesso consolidati, in favore di abitudini più responsabili nei confronti dell'ambiente, consentire un processo partecipativo razionale alle decisioni riguardanti l'uso delle risorse ambientali.

Il VI "Programma di Azione per l'ambiente" della Comunità europea 2001 – 2010, preso atto della inadeguatezza delle sole politiche restrittive di tipo "command and control", propone un nuovo approccio strategico alle tematiche dell'ambiente, mirato a conseguire l'interazione positiva fra ambiente e mercato e indurre gli attori del mercato stesso - i cittadini, elettori e consumatori, e le imprese - ad assumere i necessari cambiamenti nei modelli di produzione e di consumo e favorire la formazione di opinioni consapevoli per le decisioni pubbliche riguardanti l'utilizzo delle risorse ambientali. In questo modo si punta all'obiettivo del "disaccoppiamento" ovvero ribaltare l'attuale equazione sviluppo uguale degrado dell'ambiente, per orientare l'uso delle risorse necessarie allo sviluppo in direzione della sostenibilità.

Con espressione sintetica da economisti - utilizzata anche nel Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione (Pico) di La Malfa e Savona - è necessario incorporare la domanda ambientale nei processi di produzione e consumo. Ma il mercato, secondo la classica definizione, funziona se i soggetti che vi operano sono dotati di adeguata informazione, così come la democrazia per quanto riguarda le decisioni pubbliche. Ne consegue che l'accesso all'informazione in materia di ambiente e la consapevole partecipazione del pubblico alla definizione delle politiche ambientali costituiscono gli elementi portanti della nuova strategia, decisivi per il successo delle politiche ambientali in direzione dello sviluppo sostenibile. Le forze politiche tradizionali non hanno colto tempestivamente che l'irruzione dell'ambiente nei sistemi economici e sociali, in soli 30 – 35 anni, ha sconvolto gli equilibri e i meccanismi di funzionamento; essi hanno solo cercato di difendere il modello di funzionamento tradizionale contrapponendolo a quello "alternativo" figurato dalle associazioni politico – ambientaliste. Ciò ha portato a sottovalutare l'importanza della comunicazione ambientale che è stata lasciata ai gruppi organizzati di pressione. Il risultato è che oggi, gran parte delle tradizionali convinzioni in materia di ambiente è basata su pregiudizi e dati poco precisi, di provenienza non certificata e scientificamente poco rigorosi. Se ne è accorto bene Bjorn Lomborg, una volta appartenente all'ala sinistra di Greenpeace, che, essendo uno studioso di statistica, si è posto l'obiettivo di verificare se le "sacre" convinzioni sociali in materia di ambiente resistessero alla prova dell'analisi con metodo scientifico. Ne è venuto fuori un corposo volume di oltre 500 pagine ("L'ambientalista scettico" – Mondadori) fitto di diagrammi e tabelle che sfata gran parte delle convinzioni sui grandi temi cari all'ambientalismo politico. In realtà la descrizione dei fenomeni legati alle componenti ambientali e dei trend relativi, gli effetti sugli organismi che interagiscono con esse, ed in particolare quelli sulla salute e sulla qualità della vita dell'uomo, l'analisi e la misura delle conseguenze economiche indotte dalle variazioni, le previsioni degli effetti futuri, dovrebbero scaturire da analisi condotte con rigore scientifico, supportati da dati aggiornati omogenei e verificabili e diffusi da organismi accreditati. Approfittando della confusione, invece, è facile, per coloro che hanno scopi puramente demagogici o interessi specifici, alimentare la disinformazione che può determinare conseguenze disastrose nel momento in cui fa presa sulla opinione pubblica. Una delle più gravi conseguenze della disinformazione innestata sull'incidente di Chernobyl, che creò in Italia la psicosi del nucleare, la stiamo ancora pagando con la bolletta energetica. Recenti valutazioni "a consuntivo" dei dati di mortalità per quell'incidente hanno dimostrato che il numero di morti per suicidio da depressione per l'attesa di morte che era stata prevista è stato dello stesso ordine di grandezza delle morti associate agli effetti diretti della radiazione. Come dire che la disinformazione ha ucciso quanto le radiazioni.

nuvolarossa
08-11-05, 21:00
Italia, un bilancio energetico/Quando anche la nostra competitività finisce per risentirne

Il "no" al nucleare e l'utilizzo massiccio di petrolio

"Energia vs competitività" è il convegno che si è svolto a Bologna martedì 8 novembre. Riproduciamo la relazione di Francesco Nucara.

di Francesco Nucara

La conferenza nazionale sull'energia, tenutasi nel 1987, viene a ragione considerata l'inizio "storico" della crisi energetica italiana, confermata definitivamente dal fallimento dei tentativi di pianificazione: di fatto tre piani energetici nazionali e due piani dei trasporti vennero accantonati. Il sistema politico non seppe - o comunque non volle - far proprie le indicazioni unanimi che il sistema tecnico-scientifico ed il sistema economico-industriale gli suggerivano: così il dopo-Chernobyl fu caratterizzato, in massima parte, da una adesione alle analisi ideologiche che provenivano dal sistema ambientalista.

Qualcuno ricorda come, anche autorevoli esponenti del mondo accademico giungessero a sostenere, allora, che l'energia nucleare da fissione non sarebbe stata mai una fonte sostanziale di approvvigionamento energetico mentre, per contro, la fusione nucleare controllata era quasi a portata di mano ed avrebbe condotto - entro il 2015 - alla produzione del primo chilowattora. Si poteva, dunque, rinunciare tranquillamente alla prima affidandosi all'arrivo imminente della seconda.

Oggi sappiamo che purtroppo così non è stato.

Gli stessi ricercatori che lavorano ai progetti di fusione nucleare (ad esempio nell'ambito della JET o della ITER, le joint venture internazionali) rinviano il raggiungimento del loro obiettivo a dopo il 2040. E senza alcuna certezza.

Nel frattempo, il consumo energetico mondiale è, come sappiamo, destinato ad aumentare - tra il 2000 ed il 2020 - del 60%, circa, a causa della crescita demografica, della persistente urbanizzazione e dello sviluppo economico e industriale, mentre il consumo di elettricità, la forma più versatile di energia, aumenterà, quasi, del 70%: non è più ipotizzabile, dunque, che la crescita della domanda possa essere soddisfatta con i combustibili e le tecnologie tradizionali, assurte, talora, a concreta minaccia non solo dell'ambiente naturale e della salute pubblica ma anche della stessa stabilità internazionale. L'attenzione, nell'ultimo decennio, si è rivolta, necessariamente, alle fonti rinnovabili tanto classiche, con la produzione di energia idraulica o geotermica, quanto innovative, con lo sviluppo di energia solare termica e fotovoltaica o, ancora, eolica; accanto, beninteso, ai combustibili "alternativi" derivati da rifiuti, biomassa e biocombustibili. Già il summit di Johannesburg, nel 2002, aveva suggerito, in alternativa ai combustibili fossili, l'opportunità di utilizzare tecnologie per le energie rinnovabili.

In Italia - in assenza del nucleare quale unica alternativa valida ai combustibili fossili - il cammino della politica energetica fu necessariamente quello della incentivazione delle fonti rinnovabili.

Orbene il motto "Ricerca, innovazione e sviluppo" (all'insegna del quale è stato correttamente proposto questo convegno) rischia di costituire solo una espressione di moda ed una vuota formula magica di nuovi apprendisti stregoni, qualora si dovesse prescindere dall'oggettività dei numeri.

Voglio dire - provocatoriamente - che spesso il linguaggio della politica si rifugia dietro le frasi convenzionali e le parole di facciata ed ha maggiori difficoltà ad affrontare una realtà di cifre, stime, percentuali, insomma di "quantità".

Per un volta, allora, mi sottraggo alla tentazione della paludosa parola politica e cerco una sintesi - al termine di queste poche ed intense ore - con l'intento di affidarmi quasi esclusivamente a dati oggettivi, per definire ed esplicare i concetti.

Cosa significa quindi, in concreto, ricerca, innovazione e sviluppo in materia energetica?

Significa, in primo luogo, che, in Italia, gli addetti al settore fotovoltaico sono 1.000, contro i 6.000 del mercato tedesco e gli oltre 15.000 di quello giapponese. Ora, le rinnovabili sono energie e non magie: sono fatte da uomini e mezzi, per cui, con ogni magnanimità di lettura dei numeri, mille soggetti impiegati sono solo mille lavoratori di un settore che, a giudicare da tale parametro, è - innanzitutto - microscopico. Ma lo è, purtroppo, l'intero settore delle energie rinnovabili, in valore percentuale, rispetto alla sua produttività. Le fonti rinnovabili hanno coperto, nel 2004, appena il 7 per cento della domanda energetica nazionale: se poi andiamo a scomporre il dato stesso delle rinnovabili, scopriamo che la percentuale più elevata (pari al 60 per cento) è ancora affidata all'energia tradizionalmente alternativa, vale a dire l'idroelettrico, mentre eolico e solare non arrivano, assieme, al 3 per cento.

Questi dati sono, peraltro, in controtendenza rispetto all'Europa: Germania e Spagna conoscono trend di crescita per le tecnologie fotovoltaiche davvero notevoli e la Danimarca, ad esempio, primeggia per crescita produttiva in relazione alla produzione di energia eolica.

Inoltre, non devo essere io a rammentare che, a fronte di tale sostanziale stagnazione nel settore delle rinnovabili, la domanda complessiva di energia elettrica in Italia, nel 2004, ha conosciuto un incremento dell' 1,5 % rispetto all'anno precedente: ciò significa che, con un tasso di crescita dell'economia attestato all' 1,2 %, si configura un aumento dell'intensità elettrica del Pil pari allo 0,3 % rispetto al 2003.

Queste cifre sono strumento opportuno per sostenere ed argomentare concetti. Fino a questo momento, infatti, i numeri mi dicono che consumiamo più energia, ma non affrontiamo tale maggior domanda con le fonti rinnovabili, statiche a livelli di quasi insignificanza.

Dominano le energie tradizionali

E, difatti, alla maggior domanda si è fatto fronte con una maggiore offerta dell'energia tradizionale prodotta nel territorio italiano, offerta che ha raggiunto circa l' 86 % del fabbisogno, con un incremento del 3,7% rispetto al 2003, mentre il rimanente 14 % è stato coperto con importazioni nette, in calo tuttavia rispetto all'anno precedente, di circa un 10 %.

E le cifre dicono ancora che un incremento sia pure minimo, sia pure poco incidente sui grandi numeri dei consumi, c'è anche nell'ambito delle energie alternative: la produzione delle geotermiche, eoliche e fotovoltaiche risulta aumentata del 7,1% rispetto al 2003 ed, in particolare, la fonte eolica conosce incrementi addirittura nell'ordine del 26 %.

Al di là delle percentuali ovviamente relative, che cosa significa?

Che consumiamo di più e che questo surplus di consumi è fronteggiato con una maggiore produzione di energia tradizionale interna; che siamo ben lungi dal raggiungere l'autonomia energetica, ma che, complessivamente, affrontiamo la maggior domanda non già incrementando l'acquisto dall'estero, ma forzando una produzione lorda tutto sommato tradizionale.

Dico "tutto sommato" perché, se è vero che le cifre ci danno valori percentuali in crescita delle alternative, è altrettanto indubbio che, in termini di valori assoluti e, soprattutto, di comparazione con i valori medi europei, la quota di energia elettrica ricavata da fonti alternative è ancora estremamente bassa.

Oggetto di mercato? No

Si dirà che in Italia l'energia come oggetto di mercato è appena agli albori, un neonato da far crescere; che dopo quarant'anni di statalizzazione, la liberalizzazione del mercato è partita solo cinque anni fa e che fino all'1 luglio dello scorso anno - prima, cioè, dell'estensione della soglia di idoneità a tutti i clienti non domestici - gli stessi contorni della liberalizzazione erano incerti. Si dirà che un mercato che conosce solo oggi lo spostamento di ingenti quantitativi di energia dal mercato vincolato (che ha conservato, comunque, nel 2004, una quota pari al 51 % dell'intero mercato) a quello libero non è ancora un mercato assestato e, anzi, non è ancora un mercato in senso pieno. Tutto vero.

Ma è proprio questo il problema dell'energia in Italia, la variabile che rende, nel nostro Paese, assai più complessa la pianificazione strategica, per il Governo, per affrontare le sfide del futuro sui risparmi energetici e sulle alternative.

Difficili piroette

Dico questo perché, mentre in Italia ci assestiamo con difficoltà nel mercato dell'energia; mentre cerchiamo di evitare - con una piroetta economica assai difficile - di consumare di più, producendo di più, senza indebitarci, però, di più con l'estero e cercando di più il ricorso alle alternative, l'Europa e la Comunità internazionale non ci aspettano più.

La complessità del problema energetico è oggi rappresentata, in realtà, da impegni internazionali che risultano ineludibili e che, soprattutto, sembrano temporalmente incompatibili con i tempi di assestamento e di "recupero" delle energie alternative di cui un mercato interno appena liberalizzato necessita.

In breve, quello dell'energia non è un mercato chiuso, indifferente al contesto internazionale ed impermeabile alle variabili che l'adesione ai trattati sovranazionali impone.

Ecco allora che il meccanismo semplice: "maggiori consumi, maggiore produzione, incremento delle energie alternative", conosce una variabilità in ragione di fattori che non direttamente attengono alla produzione energetica in sé, ma che incidono indubbiamente su di essa.

Provo a sintetizzarli.

Obiettivi di riduzione

Innanzitutto dobbiamo fare i conti con la riduzione delle emissioni in ambito UE e per l'attuazione nazionale del Protocollo di Kyoto. L'obiettivo di riduzione assegnato all'Italia pare modesto in valore assoluto, essendo di appena il 6,5 %, la metà circa di quanto prescritto alla Gran Bretagna (- 12, 5 %), un terzo circa di quanto è obbligata la Germania (- 21 %). Ma queste cifre non devono ingannare, nel senso di ritenere il nostro Paese in una situazione privilegiata, perché chiamato a "ridurre" una percentuale inferiore di emissioni. In realtà, i maggiori oneri di riduzione sono stati posti a carico di paesi aventi struttura produttiva a bassa efficienza e ad alto impiego di carbone; viceversa, l'Italia (o anche l'Olanda, che si trova nell'identica posizione) sconta il minor valore assoluto della riduzione, con un livello di efficienza già raggiunto e senza avere un sistema energetico ad alto impiego di carbone, come Inghilterra e Germania. Attuare la riduzione con la contemporanea acquisizione di efficienza produttiva o limitando l'alto impiego di carbone, costa marginalmente meno di quanto costi ad un sistema, come quello italiano, che aveva già raggiunto il proprio livello di efficienza intorno al 1990 e la cui produzione energetica non contemplava un alto impiego di carbone. Ecco perché ridurre, per l'Italia, solo di un 6,5 % costa di più che, per la Gran Bretagna, ridurre di quasi il doppio (12,5 %) e per la Germania di quasi il triplo (21 %). Oltretutto, la percentuale "italiana" accettata nel 1998 si fondava su di uno scenario non più attuale, per l'innesto di ulteriori obiettivi che hanno interagito con il sistema quali variabili assai "pesanti".

Non dimentichiamo, infatti, che solo nel 2001 (dunque dopo tre anni circa della fissazione della percentuale di riduzione citata) è stata assunta, quale priorità in ambito energetico, la sicurezza degli impianti attraverso il c.d. decreto "sblocca centrali" proposto dapprima da Enrico Letta e coltivato, nell'attuale governo, dal suo successore, Antonio Marzano, ed infine approvato dal Parlamento. Ora - per citare ancora un dato - l'obiettivo della sicurezza energetica comporta che, ad esempio, le emissioni di anidride carbonica per il settore elettrico avranno, prevedibilmente al 2010, una crescita stimata di oltre il 20 %.

Obblighi di riduzione

Pensare, dunque, ad una strategia per la futura governance dell'energia significa non solo considerare il fabbisogno; limitare l'indebitamento con l'estero, non eccedendo nelle importazioni; avviare il programma delle alternative; migliorare la liberalizzazione del mercato e rafforzarlo con l'auto-produzione; rispettare le riduzioni di Kyoto, badando, senza la costruzione di nuovi impianti, a convertire il termoelettrico ad olio combustibile in centrali combinate a gas naturale; ma anche rispettare l'impegno della sicurezza energetica, con i connessi incrementi di emissione che confliggono con gli obblighi di riduzione di Kyoto e con le esigenze di fare energia guardando ai conti dello Stato.

Nondimeno, la politica del Governo ha, proprio in questo intricatissimo ginepraio di variabili conflittuali, ottenuto un significativo successo, proprio sul piano dell'attuazione della direttiva "Emission Trading" (2003/87/CE) che istituisce il mercato di emissione all'interno della Comunità Europea. Dopo un faticoso negoziato con la commissione Europea, conclusosi lo scorso 31 maggio, in merito al Piano Nazionale di assegnazione delle quote di CO2, è stato sancito, in quest'ultimo, per il periodo 2005-2007, un aumento delle emissioni del sistema industriale del 10%, contro un'ipotesi iniziale di riduzione del 6,5%. Tale originaria percentuale avrebbe comportato un tetto di 200 milioni di tonnellate/anno di anidride carbonica, con una drastica riduzione della produzione nazionale o, in alternativa, con costi marginali elevatissimi per la ulteriore riduzione di CO2.

Eventualità scongiurata, per fortuna: ma l'innalzamento, a 232,5 milioni di tonnellate di CO2/anno "strappato" alla Commissione, incide sul programma energetico nazionale, se è vero che, in cambio, l'Italia ha assunto l'impegno sia a dare piena attuazione alla direttiva europea sulle fonti rinnovabili 2001/77/CE, sia a ri-finanziare, presso la Banca Mondiale, l' Italian Carbon Fund, al fine di garantire, per il triennio 2006-2008, una adeguata disponibilità di "crediti" per coprire l'eventuale sforamento tra il tetto dei permessi attribuiti all'Italia e le emissioni effettive.

L'alta efficienza

Accanto a tale problematica, l'ulteriore strategia per il futuro energetico del Paese è rappresentata dalla messa a punto e diffusione di motori industriali ad alta efficienza.

L'aumento dell'efficienza energetica nel settore industriale costituisce uno strumento primario per attuare il risparmio energetico, riducendo le emissioni di gas serra. Il risparmio stimato per tale progetto è di 7,2, TWh (Terawattora) con un corrispondente abbattimento di CO2 fino a 3,6 milioni di tonnellate/anno.

Proprio tale ultimo profilo, mi introduce alla possibilità di accennare, sia pure per sintesi, agli ulteriori programmi e progetti pilota nazionali, che affiancano, nella politica energetica del Governo, quelli internazionali.

Innanzitutto, per i fini che qui interessano, mi pare di grande rilievo politico e programmatico il progetto che prevede la produzione di elettricità, calore e frigorie attraverso la piccola cogenerazione distribuita ad alto rendimento. Ancora una volta, tale progetto consente il raggiungimento di un doppio obiettivo: coprire, entro il 2012, il 20% circa della domanda nazionale di elettricità ed abbattere circa otto milioni di CO2 all'anno.

Ovviamente, sono già in stato avanzato due progetti pilota, con know how tutto italiano, per la realizzazione di pannelli fotovoltaici a film sottile ad alta efficienza e per la produzione ed immagazzinamento di calore ad alta temperatura a partire dalla captazione di energia solare, il cosiddetto "progetto Archimede".

Ancora: è già finanziata ed in fase di attuazione la progettazione e la realizzazione di un distretto con produzione decentrata e distribuita di energia elettrica, al fine di trarre economie di scala per la gestione della rete di distribuzione, che rendano la struttura del sistema elettrico nazionale più flessibile e compatibile con l'ambiente.

Intendo ancora sottolineare - in ragione delle potenzialità applicative immediate - l'avvenuta istituzione dell'Osservatorio Nazionale sulle fonti rinnovabili e l'efficienza negli usi finali dell'energia, attivo fin dal marzo 2005.

Funzione di stimolo

Esso ha soprattutto una funzione di stimolo nei confronti dell'Autorità per l'elettricità ed il gas, nonché del Gestore della rete, con lo scopo di assicurare il pieno rispetto della normativa nazionale ed europea, in relazione alla priorità di erogazione, nella rete elettrica, della elettricità proveniente da fonti rinnovabili. Questa azione è costantemente sostenuta dal Ministero dell'Ambiente, al fine, soprattutto, di vincere la resistenza "culturale" all'uso ed alla diffusione delle fonti rinnovabili in Italia. Inoltre, l'Osservatorio sta svolgendo un ruolo di fondamentale importanza anche rispetto alle Regioni ed alla conseguente diffusione delle rinnovabili sul territorio.

E' stato, oltre a questo, emanato il decreto che avvia la prima fase dell'incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare. Il decreto ha registrato un immediato successo: le domande presentate nella prima scadenza del 30 settembre del 2005 hanno infatti già saturato i limiti di potenza installata previsti.

Campagna di informazione

E' stata pure avviata la campagna di informazione e comunicazione a favore delle fonti rinnovabili e dell'efficienza negli usi finali dell'energia mentre sono in fase di emanazione una serie di decreti, aventi ad oggetto la promozione delle fonti rinnovabili per il triennio 2007-2009.

In particolare, sono previsti incrementi di quota minima di elettricità da fonti rinnovabili; si vuole incentivare la produzione di energia elettrica dalla fonte solare mediante cicli termodinamici; è in programma l'individuazione di rifiuti - e combustibili derivati dai rifiuti - ammessi a beneficiare del regime giuridico riservato alle rinnovabili per la fissazione dei valori di emissione consentiti; sono state fissate le linee guida per lo svolgimento del procedimento autorizzativo degli impianti ed il loro corretto inserimento.

Viceministro ma anche segretario

Il mio intervento si è svolto finora sul piano istituzionale ribadendo le posizioni ufficiali del Ministero dell'Ambiente più volte sostenute dal Ministro Matteoli.

Adesso desidererei affrontare gli argomenti trattati come segretario del Pri.

Vorrei esprimere provocatoriamente qualche mia perplessità che derivo pur sempre dall'analisi di "numeri" e dal mio personale impegno a scorrere i fatti con lo sguardo asettico della razionalità. Premetto immediatamente che non nutro alcuna riserva nei confronti delle fonti rinnovabili alle quali può e deve (come abbiamo visto) competere un ruolo importante - tuttavia sempre termodinamicamente realistico - nella copertura del fabbisogno energetico italiano.

I dati relativi all'investimento per lo sviluppo delle rinnovabili nel periodo 1981/2002 sono forniti dal Ministero delle Attività Produttive e consentono di stimare in circa 99.000 miliardi di lire (ovvero 51,1 miliardi di euro più del triplo della Finanziaria 2004) l'impegno complessivo sostenuto dallo Stato per il rilancio del settore.

Alla fine del 2003, i dati ci dicono che le rinnovabili contribuiscono per il 6,5 % della copertura del nostro fabbisogno energetico complessivo. Ora, però, questo contributo è, più che altro, legato alle fonti classiche (idroelettrico e geotermico) nonché alla legna da ardere; le fonti innovative e quelle alternative rivestono un ruolo marginale.

Vogliamo scomporre il dato in riferimento alla produzione di energia elettrica?

Se le rinnovabili sono classiche

Complessivamente le rinnovabili hanno fornito il 17,9 per cento dell'energia elettrica, attribuibile, però, per la quasi totalità alle rinnovabili classiche: nell'ordine del 15,6 per cento all'idroelettrico; dell'1,8 per cento geotermoelettrico e di uno 0,5 per cento ascrivibile alle rinnovabili nuove considerate nel loro insieme. Se dovessimo "riferire" questo contributo ai citati 51,1 miliardi di euro ci troveremmo di fronte ai chilowattora più preziosi del mondo. E, come fa efficacemente notare il Professor Spezia, mentre si continua a gridare che lo Stato non ha fatto e non fa abbastanza e che le rinnovabili costituiscono il futuro energetico del paese, il contributo massimo ottenibile da esse non coprirebbe, nel 2020 oltre il 5 per cento del fabbisogno interno: secondo le stime fornite dal documento TERES II del programma ALTENER della Commissione europea.

Le incentivazioni introdotte dal provvedimento CIP 6/92 obbligano il gestore della rete ad acquistare a prezzo "politico" l'energia prodotta da fonti "rinnovabili" o "assimilate". In particolare, il provvedimento differenzia tra: prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta da impianti esistenti e prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta da nuovi impianti.

I contributi complessivi netti per chilowattora prodotto sono stati fissati in modo da rendere competitive la maggior parte delle fonti rinnovabili; per esempio, il chilowattora prodotto da nuovi impianti fotovoltaici o a biomassa è stato pagato anche oltre trecento lire (in valuta del 1997). Ebbene, pure a fronte di questo meccanismo di incentivazione il mercato non ha risposto sino ad ora in misura sufficiente.

Le nuove fonti rinnovabili possono certamente fornire un contributo importante in un'ottica di razionalizzazione dei consumi energetici, ma sono destinate dalla termodinamica ad avere un "ruolo integrativo", non "sostitutivo", rispetto alle fonti fossili ed al nucleare.

Il bilancio energetico complessivo del nostro Paese dipende per l'82 per cento del fabbisogno dall'importazione di fonti energetiche: ciò comporta una spesa annua che, già nel 2003, aveva superato i trenta miliardi di euro. Il fabbisogno nazionale è coperto per il 65 per cento dal ricorso agli idrocarburi. Nel sistema elettrico la situazione è ancor più grave: la dipendenza dall'estero raggiunge l'84 per cento e la dipendenza dagli idrocarburi il 75 per cento.

Due immediate conseguenze

Così, a causa dell'impiego intensivo di petrolio nella produzione di elettricità, due sono le immediate conseguenze. La prima di queste è costituita dai problemi sempre più imponenti della salvaguardia dell'ambiente rispetto ad una energia "sporca" che rende di fatto irraggiungibili gli obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dal protocollo di Kyoto; in secondo luogo, vanno considerati i dilemmi sempre più pressanti dell'aumento inesorabile della spesa rispetto ad una energia "costosa".

L'energia elettrica prodotta in Italia, ci fa notare ancora il professor Spezia, costa il 60 per cento in più della media europea, il doppio di quella prodotta in Francia ed il triplo di quella prodotta in Svezia: la capacità italiana di competere sui mercati internazionali è ormai pesantemente condizionata da queste cifre laddove il costo dell'energia grava intollerabilmente sul sistema industriale e pesa inevitabilmente sul bilancio delle famiglie. Con le prime avvisaglie di crisi del mercato petrolifero (in Europa dopo la crisi degli anni Settanta) i paesi industriali hanno avviato politiche di diversificazione del mix energetico che hanno sostanzialmente condotto ad una progressiva riduzione del contributo degli idrocarburi unitamente ad un progressivo, parallelo incremento del carbone e dell'energia nucleare.

Abiura italiana

Non così è stato in Italia, dove l'abiura al nucleare ha determinato un aumento del ricorso agli idrocarburi al punto che, è stato calcolato, l'Italia brucia più petrolio per produrre energia elettrica di quello impiegato per lo stesso motivo in tutti gli altri paesi europei messi insieme.

Attuare il Protocollo di Kyoto, secondo le valutazioni del Ministero dell'Ambiente costerebbe, oggi, all'Italia 360 dollari per abitante a fronte dei cinque della Germania e dei tre della Francia che "dipendono" dal nucleare la prima per il 33% e la seconda per il 78%.

Concludendo, vanno benissimo le energie rinnovabili, ma le stesse devono essere congruenti con un sistema industriale moderno, efficiente ed efficace.

La politica ambientale deve essere intesa come incentivo allo sviluppo, non come freno.

nuvolarossa
16-11-05, 20:56
Nucara interviene giovedì 17 al convegno Apat

Sarà il Viceministro all'Ambiente, Francesco Nucara, a concludere i lavori ed elaborare le considerazioni finali del seminario di studi dedicato alla disamina degli "Interventi strutturali per la difesa del suolo". Il convegno ha luogo oggi, giovedì 17 novembre 2005, a Roma, presso la sede dell'APAT (l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i servizi tecnici che ha sostituito l'ANPA, Agenzia Nazionale Protezione Ambiente). Animano la discussione, in qualità di relatori, Paolo Togni e Mauro Luciani, Capo di Gabinetto e Direttore generale del Ministero dell'Ambiente; Bernardo de Bernardinis, Direttore generale della Protezione Civile ed Angelo Rughetti, Segretario generale dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani; per le Autorità di Bacino, presenti Raffaele Moffa, Maria Sargentini e Michele Presbitero. L'incontro, promosso dall'Agenzia, si propone, in prima istanza, di polarizzare l'attenzione –ad ogni livello istituzionale- sul tema fondamentale del monitoraggio quale strumento essenziale di tutela del territorio nonché base per qualsivoglia intervento di prevenzione o di risanamento. In questa ottica di organizzazione sinergica e di proficuo coordinamento, pur nel rispetto assoluto delle competenze di pertinenza di tutti gli enti coinvolti nel gravoso impegno della difesa del suolo, l'Apat ribadisce il proprio ruolo di "affidataria" da parte del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio (del quale essa è parte integrante) del monitoraggio degli interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico, finanziati dal DL 180/1998 e sue successive integrazioni. Il finanziamento, pari a oltre un miliardo di euro, ha supportato, nell'arco del quinquennio 2000-2005, circa millecinquecento interventi gestiti dal Servizio Geologico d'Italia per il Dipartimento Difesa del Suolo dell'Apat. L'attività è documentata in un articolato database georeferenziato che attesta tanto lo stato d'avanzamento delle opere messe in atto, quanto la tipologia dei fenomeni esaminati e delle soluzioni pragmatiche di riduzione del rischio. L'esperienza sedimentata unitamente alla dettagliata analisi della banca-dati (fanno notare gli organizzatori del Convegno) costituiscono il background oggetto degli interventi dei relatori nonché il substrato offerto alla riflessione dei partecipanti. All'apertura dei lavori da parte di Giorgio Cesari, direttore generale dell'Apat, faranno seguito gli interventi illustrativi e la tavola rotonda concernenti il monitoraggio e le sue prospettive, moderati da Claudio Campobasso e da Leonello Serva, dirigenti dell'Apat. In particolare, il Dipartimento vuole proporre la realizzazione del cosiddetto "Progetto ReNDiS" acronimo che indica il "Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo" inteso come piattaforma per la futura evoluzione dell'azione di controllo. Il coinvolgimento dei partners istituzionalmente interessati è, ancora una volta, condizione indispensabile alla efficienza operativa.

Vi è da sottolineare, tuttavia, come allo stesso Ministero dell'Ambiente (per il quale ha competenza specifica la Direzione Generale Difesa del suolo) spetti, in forza del DL 183/1989, la gestione autonoma dello strumento "monitoraggio" e l'utilizzazione dei dati archiviati.

Ma non basta. Organo competente, sia pure tenendo in debito conto la profonda diversificazione della tipologia degli interventi tecnici, è la Protezione civile il cui ruolo insindacabile concerne le zone già interessate da un disastro ovvero minacciate dall'imminenza di una calamità.

Ora, il ReNDiS auspica testualmente "l'estensione del database a tutti gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico finanziati su base nazionale. Ciò consentirebbe di realizzare un quadro unitario, complessivo ed aggiornato delle azioni relative alla difesa del suolo e, di conseguenza, a nostro parere, di ottimizzare l'attività dello Stato (in tutte le sue articolazioni) su questo tema".

Pieno riconoscimento, dunque, alla struttura dell'Apat per l'ottimo lavoro svolto ed attestato anche da due pregevoli volumi della collana Atlanti - inerenti "Opere di sistemazione fluviale" ed "Opere di sistemazione dei versanti"- che verranno esposti nel corso del Convegno. Rimane pur sempre aperto il delicato problema dell'attribuzione delle competenze laddove il lodevole proposito di "aggregazione dei dati" (riducendo, magari, il rischio di sovrapposizioni e consentendo economie di spesa) potrebbe – nondimeno - creare confusione nella priorità d'intervento (sminuendone l'efficienza) e, senza dubbio, confliggere con l'amministrazione stessa delle risorse.

Auguriamo, pertanto, a tutti i partecipanti ai lavori congressuali una discussione foriera di soluzioni elaborate all'insegna del buon senso e della scrupolosa valutazione del bene comune.

nuvolarossa
17-11-05, 17:01
http://www.opinione.it/vignette/2005_259_B.jpg

nuvolarossa
18-11-05, 20:22
Difesa del suolo e competenze: l'unico modo per raggiungere risultati efficienti è quello di adottare una politica basata sulla cooperazione/Definire criteri affidabili per la scelta delle priorità. Il ruolo del Ministero dell'Ambiente e i suoi strumenti: il ritiro dei finanziamenti rappresenterebbe l'"ultima spiaggia" e una sconfitta
Tutela del territorio: dal groviglio normativo ad un federalismo meditato e "intelligente"
Relazione presentata al Convegno Apat su "Interventi strutturali per la difesa del suolo", Roma, 17 novembre 2005.

di Francesco Nucara

Sono chiamato al compito più difficile: concludere un discorso appena tratteggiato nelle sue linee essenziali e, soprattutto, formulare una sintesi di interventi complessi ed articolati, proiettandola in un futuro progettuale. Come dire: sembra quasi di dover ricominciare, più che concludere.

Proverò ad assegnare alle mie conclusioni tre confini più o meno rigorosi. I tre universi di discorso che tratterò riguarderanno, innanzitutto, le competenze; quindi gli strumenti; ed infine gli obiettivi relativi agli elementi strategici delle opere di difesa suolo.

Ciò - tradotto in termini semplici ma di sicura efficacia - identifica, in primo luogo, chi è l'artefice degli interventi di difesa del suolo; successivamente, come lo si fa ovvero gli strumenti più idonei alla realizzazione ottimale dell'intervento stesso; in ultimo, a cosa serve e quali siano, dunque, le finalità espresse dall'intervento medesimo nel suo "farsi". Ovviamente, ciascuna di queste partizioni non può essere immaginata come separata dal contesto generale: inoltre, per ciascuna di tali prospettive è possibile evidenziare quali siano le componenti che necessitano di azioni di miglioramento; quali i rischi e le specifiche opportunità; quali, soprattutto, le possibili azioni di indirizzo politico. Ne viene fuori un quadro assai composito, difficile da ricondurre ad unità nelle sue molteplici variegature.

Le competenze

Innanzitutto, in tema di competenze. Queste risultano essenzialmente dall'originario dettato normativo della legge n. 183, recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo" che, nel 1989, vide finalmente la luce. Secondo quanto recita l'art. 1, essa mira ad "assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi." Alla realizzazione di tali attività erano chiamati _secondo l'ambito delle rispettive competenze - una serie di soggetti pubblici: "lo stato, le regioni a statuto speciale e ordinario, le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni, le comunità montane, i consorzi di bonifica ed irrigazione e quelli di bacino montano". La legge individuava i soggetti competenti in materia di difesa del suolo: a livello centrale, il Presidente del Consiglio dei ministri; il Ministro dei lavori pubblici ed il Ministro dell'Ambiente e, come organi di nuova istituzione, il Comitato dei ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore per la difesa del suolo; la Direzione generale della difesa del suolo (in cui viene trasformata la vecchia Direzione generale delle acque e degli impianti); i servizi tecnici nazionali istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sotto l'alta vigilanza del Comitato dei ministri.

Su questo schema si è sovrapposto il decreto legislativo n. 300 del 1999 che attribuisce le competenze in tema di difesa del suolo al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ed all'APAT, l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici.

Il ruolo della Protezione civile

In tale quadro -già complesso per l'intervento, sotto vari profili, di due organi istituzionali centrali (MATT ed APAT)- si innesta l'ulteriore competenza della Protezione civile: organo competente - sia pure tenendo in debito conto la profonda diversificazione della tipologia degli interventi tecnici- il cui ruolo insindacabile concerne le zone già interessate da un disastro ovvero minacciate dall'imminenza di una calamità. Tale sistema di competenze ha ricevuto l'importante avallo della Corte costituzionale, che, àdita su ricorso della regione Veneto, ha ritenuto la legge in questione conforme al sistema di ripartizione delle competenze Stato - Enti locali.

Lo spirito della legge (ha peraltro suggerito il giudice delle leggi) risiede nel senso che l'obiettivo della difesa del suolo è finalità che coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale, quanto a quella regionale e provinciale. Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato ed alle regioni, la difesa del suolo può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione tra l'uno e gli altri soggetti.

Nuovi elementi

Tuttavia, la cooperazione trova un ulteriore elemento di complessità nella riforma del titolo V della Costituzione e nella necessità di "collocare" la materia della "difesa del suolo". Occorre intendersi su di un punto: la collocazione della materia non è finalizzata ad una sistematica giuridica priva di effetti pratici; al contrario, dalla collocazione nascono le competenze e, dunque, si definiscono le relative potestà legislative. Perché, se collochiamo la "difesa del suolo" nell'ambito del "governo del territorio", siamo nell'ambito del comma 3 dell'art. 117 della Costituzione e, perciò, nel novero di una materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni; se viceversa, la "difesa del suolo" è collocata quale valore funzionale alla tutela dell'ambiente, essa, pur non escludendo la titolarità in capo alle regioni di competenze legislative, postula un limite a tale possibilità di intervento derivante dalla competenza esclusiva dello Stato, ai sensi della lettera "s" del comma 2 dell'art. 117 Cost., relativa alla "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali". Come si vede, il groviglio di competenze deriva dal fatto che si sono innanzitutto accavallate tra loro normative diverse e, di più, che esse, hanno dovuto poi "scontare" la loro collocazione nel nuovo titolo V della Costituzione.

Migliorare il coordinamento

Dunque: la prima componente che necessita di azione di miglioramento è effettivamente il coordinamento tra i soggetti.

Peraltro, con un'azione politica improntata alla condivisione ed alla definizione chiara dei ruoli tra gli organi competenti è possibile realizzare, oltre che una migliore efficienza, una serie di economie di scala, oggi impensabili nella indeterminata confusione operativa cui spesso si assiste.

Ciò nondimeno, subito dopo aver segnalato la difficile convivenza tra le diverse competenze, è necessario individuare il non facile approccio al "come si fa" l'intervento.

La conoscenza del territorio rappresenta, certamente, la base per la sua corretta gestione: e questo richiede che la Pubblica Amministrazione abbia a disposizione strumenti che le permettano di fruire del patrimonio informativo attualmente disponibile. L'utilizzo, la diffusione e la gestione degli strumenti informatici rappresentano un supporto fondamentale per l'attuazione di coerenti politiche di programmazione e pianificazione da parte di tutti i soggetti preposti al governo del territorio. Questi strumenti consentono, infatti, di gestire, organizzare in modo sistematico ed omogeneo nonché mettere a disposizione degli Enti e degli operatori, le informazioni sulle caratteristiche reali del territorio, le quali rappresentano il necessario riferimento alla definizione degli obiettivi generali e dei contenuti dei piani. Permettono, inoltre, di valutare la reale sostenibilità ambientale e territoriale delle scelte di programmazione, sia nella fase della loro determinazione che in quella della loro attuazione. Sappiamo bene come ancora la situazione nazionale in materia di dati ambientali sia disomogenea e come una delle cause prioritarie della loro disaggregazione sia da cercare nella molteplicità delle "fonti" di elaborazione (dalle pubbliche amministrazioni alle università; dagli enti agli istituti di ricerca pubblici e privati) alla quale si assomma il problema tecnico della non confrontabilità delle informazioni; sappiamo pure quanto l'accesso stesso ai dati da parte delle comunità interessate sia difficoltosa. A tale realtà, che sembra paradossale in tempi di comunicazione globale, il Ministero dell'Ambiente vuole contrapporre una azione di indirizzo e, insieme, di coordinamento.

Omogeneità necessaria

Già il DL 279/2000 convertito nella L 365/2000, assegnava al Ministero dell'Ambiente il compito di acquisire e rendere disponibili i dati d'interesse per le politiche relative all'assetto del territorio ed alla difesa del suolo in possesso di ciascuna amministrazione nazionale o locale che fosse. L'omogeneità dei dati sarebbe stata garantita dagli standard definiti dal Sistema Cartografico di Riferimento, realizzato previo apposito accordo con le Regioni e divenuto rapidamente operativo soprattutto riguardo alla prevenzione ed alla tutela dal rischio idrogeologico. E qui viene, finalmente, in rilievo -quale strumento "conoscitivo" ideale- l'esecuzione di un vero "monitoraggio" realizzabile in presenza di una azione organica ed organizzata. Orbene, quando ci si riferisce ad un'impresa articolata e complessa -come un grande progetto, un piano o un programma articolati- il monitoraggio è inquadrabile fra le tecniche del "Project Management", accanto a "pianificazione", "valutazione ex ante", "valutazione ex post", e così via; esso rientra, quindi, fra gli strumenti che il responsabile dell'azione pone in essere per il conseguimento degli obiettivi della sua azione.

La sistematica fase di monitoraggio degli investimenti pubblici è una esigenza derivante dalle procedure comunitarie. Il termine, e le relative tecniche di attuazione, sono stati diffusi in Italia dalla Commissione europea che ha richiesto un'azione strutturata di monitoraggio nell'ambito dei programmi di attuazione del Quadro Comunitario di Sostegno 1994/99 e, in modo ancora più pressante, per il QCS 2000/2006.

Burocrazia

Il nostro paese non ha una cultura di monitoraggio, noi siamo più portati al controllo burocratico. La sua specifica applicazione è tutt'altra cosa. Il termine deriva infatti dall'inglese "monitor", che, a sua volta, proviene dal verbo latino "monère" la cui traduzione è "ammonire", "avvisare". Infatti, lo scopo ultimo del monitoraggio è quello di un'azione "attiva" nei confronti dell'attuazione dell'impresa, il cui fine è quello di intercettare i problemi, prevenire le cause, assicurare l'avanzamento, fornire informazioni per il miglioramento dell'azione. Tanto per banalizzare, "monitoraggio" è quello che si realizza nel cruscotto della nostra automobile quando il computer di bordo ci segnala la velocità, mentre l'autovelox della polizia, che misura anch'esso la velocità, ha ben altra funzione!

L'Italia, per allinearsi alle esigenze comunitarie, ha introdotto il Monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP) con l'art. 1 commi 1 e 5 della legge n. 144 del 17 maggio 1999, nell'ambito della "costituzione di unità tecniche di supporto alla programmazione, valutazione e monitoraggio degli investimenti pubblici e della relativa banca dati". E' bene ricordare ulteriormente come si tratti di competenza "esclusiva" dello Stato in forza del titolo V della Costituzione che sempre all'art. 117 detta alla lettera "r" del comma 2, norme in merito al coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell'Amministrazione Statale, Regionale, Locale. Con successive delibere CIPE sono state regolamentate attività e strumenti per la piena attuazione di quanto previsto dalla legge, con la istituzione del CUP (codice unico di progetto) nel contesto del MIP. I lavori sono tuttora in corso, ma la direzione lungo la quale si procede è senz'altro quella giusta. Un livello soddisfacente di monitoraggio è stato conseguito, come dicevamo, per il QCS, PON e POR in corso.

E' in questo quadro che, naturalmente, si inserisce l'azione avviata con l'incarico all'APAT per il monitoraggio degli interventi urgenti, per la riduzione del rischio idrogeologico finanziati dal D.L. 180/98 e successive modifiche e integrazioni. In questa ottica di organizzazione sinergica e di proficuo coordinamento, pur nel rispetto assoluto delle competenze di pertinenza di tutti gli enti coinvolti nel gravoso impegno della difesa del suolo, l'Apat ribadisce il proprio ruolo di "affidataria" da parte del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio (del quale essa è parte integrante) dell'azione di monitoraggio. In particolare, il Dipartimento propone la realizzazione del cosiddetto "Progetto ReNDiS" acronimo che indica il "Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo inteso come piattaforma per la futura evoluzione dell'azione di controllo. Il coinvolgimento dei partners istituzionalmente interessati è, ancora una volta, condizione indispensabile alla efficienza operativa.

Un ottimo lavoro

Pieno riconoscimento, dunque, alla struttura dell'Apat per l'ottimo lavoro svolto: sottolineerei, in specie, come proprio nel contesto degli sviluppi del MIP nazionale, trovi ottimale collocazione il progetto ReNDIS.

A questo proposito, vorrei richiamare l'attenzione su un altro prezioso quanto attuale strumento di "indagine": il cosidetto Piano Straordinario di Telerilevamento. In Italia vi sono circa 13.000 aree a rischio di frana, alluvione e valanga. Tuttavia, ad oggi, l'individuazione di tali aree non è precisa perché effettuata a scala medio-piccola (1:25.000) e, cautelativamente, a gran parte di esse è stata attribuita la classe a massimo rischio (R4).

Un'individuazione imprecisa, però, genera inefficienze tecniche e diseconomie in fase di prevenzione, monitoraggio, pianificazione e programmazione.

Il Piano Straordinario di Telerilevamento ad alta precisione nasce per far fronte a queste problematiche e si propone, ricorrendo alle moderne tecnologie di telerilevamento satellitare ed aereo, attivo (radar) e passivo, di soddisfare a due esigenze prioritarie.

Intende contribuire, innanzitutto, ad individuare l'esatta perimetrazione delle aree a rischio (scala di riferimento 1:2.000); mira, in seconda istanza, a monitorare i fenomeni fisici nelle aree a rischio precedentemente caratterizzate. L'avvio del Piano Straordinario di Telerilevamento presume la stipula dei seguenti due accordi necessariamente propedeutici alla sua messa in atto: la stesura di un Protocollo di intesa tra MATT e Ministero della Difesa per le attività di validazione e collaudo delle informazioni territoriali derivanti dall'attività stessa: protocollo, peraltro, già siglato; nonché la definitiva approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, istituzione competente, presso la quale la procedura è tuttora in corso. Le informazioni territoriali prodotte dovranno essere condivise sfruttando l'infrastruttura telematica del Sistema Cartografico Cooperativo del Portale Cartografico Nazionale. I fondi del Piano Straordinario di Telerilevamento (circa 22 Milioni di Euro) provengono dalla Finanziaria 2001 (art.27).

Obsolescenza tecnologica

Dunque: anche per gli strumenti, il rischio maggiore proviene dalla obsolescenza tecnologica dello strumentario tradizionale da cui scaturisce l'opportunità del suo esatto contrario: vale a dire dal miglioramento dell'approccio tecnico al problema, che reca con sé la migliore efficacia dell'intervento. In tale prospettiva, l'azione politica fondamentale è la promozione di concrete sinergie di intervento con gli altri Ministeri: penso, soprattutto, ad un lavoro di squadra tra il MATT ed il Ministero per l'Innovazione Tecnologica; ma anche ad un concerto tra le varie componenti centrali per il rapido utilizzo delle risorse disponibili. Ma non basta. I profili di maggiore problematicità emergono allorquando si affronta l'aspetto inerente agli obiettivi dell'intervento a difesa del suolo. In altri termini: la maggiore problematicità si evidenzia nel momento in cui ci si chiede "a cosa serve" l'intervento.

Qui si ripresenta, in fase dinamica ed operativa, la problematica confusione esistente a livello di competenze. Perché se diversi sono i soggetti deputati all'intervento, diversi saranno anche i tempi dei loro interventi e, soprattutto, problematica la verifica dei tempi nonché della conformità tecnica degli interventi medesimi. Direi, anzi, che il vero, sostanziale problema delle opere di difesa del suolo risieda proprio nella difficoltà delle verifiche, del buon fine, insomma, dell'intervento.

La verifica presuppone, in prima istanza, il controllo del dato temporale, variabile essenziale per l'ottimizzazione dell'obiettivo della difesa del suolo. Verificare i tempi significa poter controllare, dopo l'erogazione del finanziamento per la realizzazione dell'intervento, lo stato di avanzamento dei lavori in relazione alla spesa effettuata. Ma significa, anche e soprattutto, poter effettuare una "verifica di merito": vale a dire poter accertare, per l'istituzione che provvede al finanziamento, la conformità tecnica dell'intervento realizzato rispetto alla finalità prevista. Ed è questo, a mio avviso, il vero cuore del problema: a chi spetta la definizione delle criticità; chi è il soggetto deputato a farlo ed, ancora, quali sono i canali attraverso cui tali determinazioni pervengono all'ente finanziatore dell'intervento. Se, in breve, esiste oggi un "nervo scoperto" dell'intervento di difesa del suolo, esso è rappresentato da questa nebulosa che nessuna normativa ha, fino ad oggi, davvero deterso, circa i soggetti ed i modi di individuazione di quelle criticità del suolo che esigono l'immediato intervento di difesa.

Troppa indeterminatezza

Mi rendo conto che nessun sistema normativo possa essere così "ingessato" da formalizzare, in una legge, i presupposti per l'intervento, le concrete modalità per individuarli, tutti i soggetti, le procedure e quant'altro serva a "fissare" una quadro che, per sua natura, è dinamico e mobile. Ma i livelli di indeterminatezza che, sul punto, abbiamo raggiunto costituiscono il disdicevole estremo opposto, che si riflette negativamente sulla qualità dell'intervento stesso. Se, infatti, il sistema delle verifiche temporali e di merito diviene diafano, fin quasi l'invisibilità, ne discende che non si potranno mai stabilire dei criteri di priorità; non si potranno mai attuare delle economie di scala; che la difesa del suolo, insomma, rischia di divenire un enorme canale di finanziamento di "altro", magari genericamente collegato alla tutela ambientale, ma assolutamente estraneo alla difesa del suolo. Per contro, quest'ultima esige, come ogni vera difesa, un requisito imprescindibile: l'efficacia, che discende dalla sua tempestività e dalla immediata realizzazione della finalità cui l'intervento è diretto. Ora ciò che mi pare manchi completamente nella strategia degli interventi a tutela del suolo è, appunto, questa possibilità di verificare, di "incanalare", cioè, l'intervento in un target che ne certifichi la tempestività e la funzionalità.

Soluzioni estreme

Cosa può realmente controllare il Ministero dell'Ambiente rispetto all'obiettivo proclamato di un intervento ad un micro-livello territoriale? E quali sono le azioni correttive a sua disposizione? Si dirà: ma il Ministero ha (potrebbe avere!) in mano la formidabile arma del ritiro dei finanziamenti. Orbene, se questa è la prospettiva, la collaborazione istituzionale è già fallita ed il rischio del danno (disastro?) ambientale già moltiplicata.

Perché, ricorrere al ritiro del finanziamento è già proclamare una sconfitta: soluzione estrema che cela il rischio, ben più consistente, di una mancata realizzazione dell'intervento, rispetto alla quale la perdita del finanziamento risulta essere il male minore.

Ecco perché, a fronte della minaccia di una "sanzione" quale il ritiro del finanziamento, preferirei altri strumenti di verifica-controllo-dissuasione. Penso, in specie, ad una seria assistenza tecnica da parte di una task force ministeriale di alta specializzazione tecnica deputata ad assistere e controllare l'intervento locale.

Penso, in sostanza, ad un controllo in fieri, ad una vera e propria organizzazione di un servizio di assistenza gestito da esperti, per gli enti locali; penso ad una attribuzione di poteri aggiuntivi di controllo e di impulso agli organi competenti. In tale prospettiva, il ritiro dei finanziamenti è davvero l'ultima spiaggia, nell'ambito di una attività di monitoraggio che la struttura ministeriale deve poter continuamente esercitare sulla concreta esecuzione dell'intervento.

Federalismo intelligente

Né si dica che questa prospettiva risulta quasi nostalgica del centro che controlla la periferia, del vertice che eroga i soldi, ma vuole controllarne l'impiego che ne fa la base. Il problema è piuttosto quello di un federalismo intelligente anche in materia di difesa del suolo. La ricognizione delle esigenze del territorio non può che competere agli enti locali: solo a livello locale è possibile individuare -prima che sopravvenga l'ennesimo, irreparabile disastro territoriale- il punto di criticità, l'esigenza non procrastinabile dell'intervento.

Ma nessuna "regionalizzazione" che non voglia essere isterica o cieca (o, peggio ancora, demagogica) può pensare seriamente di rinunciare ad una prospettiva unitaria, ad un'azione di coordinamento che parta dai centri istituzionali; che si nutra di verifiche e di correzioni; che abbia, insomma, un occhio più lungo e sistematico per evitare che la difesa del suolo si trasformi nell'ennesimo finanziamento "a pioggia" di realtà del territorio che, dopo il progetto di intervento, risultano _ ineluttabilmente - più indifese di prima.

nuvolarossa
30-11-05, 20:35
La Calabria e il suo storico rapporto assai conflittuale con una risorsa preziosissima: l'acqua/E' assolutamente indispensabile il riordino delle modalità di approccio al problema delle infrastrutture idriche e della loro gestione

Analisi del paradosso di una delle Regioni più ricche di precipitazioni

Intervento presentato al convegno "Il servizio idrico in Calabria", Reggio Calabria, 28 novembre 2005.

di Francesco Nucara

La Calabria, una delle regioni più ricche di precipitazioni, ha sempre avuto un rapporto conflittuale con l'acqua. Gli abbondanti apporti naturali sono concentrati nelle aree centrali montuose a quote elevate (che li determinano intercettando le correnti di aria umida atlantica che attraversano il Tirreno) ma precipitano rovinosamente a valle lungo i solchi a forte pendenza che incidono terreni geologicamente instabili e finiscono con scaricare enormi volumi d'acqua e detriti sulle poche aree pianeggianti costiere dove necessariamente si sono concentrate le attività produttive (agricoltura e industria) e residenziali. Ne è sorto un eterno conflitto fatto di arginature e canalizzazioni spesso travolte dalle piene. I torrenti hanno un regime di portata coincidente con gli eventi piovosi e, quindi, sono per lo più asciutti durante il lungo periodo estivo senza piogge in pianura; le acque sotterranee restano così l'unica risorsa per le aree produttive ed urbanizzate delle pianure costiere.

Degrado qualitativo

Ad esse, a seguito dello sviluppo (seppure di gran lunga più contenuto di quello programmato dalla Cassa per il Mezzogiorno) si è fatto ricorso in modo massiccio ed indiscriminato che ha determinato il degrado qualitativo e quantitativo della maggior parte di questi corpi idrici: residui delle attività agricole, presenza di discariche non controllate ed intrusione salina sono i principali fattori di inquinamento delle falde. L'intrusione marina, favorita dal fatto che si tratta sempre di falde alluvionali a diretto contatto con il mare, sta assumendo le caratteristiche di una vera catastrofe ambientale. Le zone della costa ionica più a rischio sono le piane di Sibari e di Cariati – Crotone; sul versante tirrenico le zone più esposte sono le piane di Gioia Tauro e di S. Eufemia, l'area dello stretto di Messina ed in particolare la provincia di Reggio Calabria. La causa è sempre l'eccessivo sfruttamento associato agli effetti delle impermeabilizzazioni e canalizzazioni connesse alla urbanizzazione che hanno diminuito le possibilità di ricarica, facendo superare il limite della sostenibilità, che per falde di questo tipo è rappresentato dall'equilibrio fra gli apporti e i prelievi.

Politiche scriteriate

Molto acuto è il problema irriguo: le scriteriate politiche di sostegno all'agricoltura hanno generato enormi fabbisogni di acqua: l'irrigazione, ancora oggi, in gran parte è di tipo autonomo aziendale con prelievo dai pozzi. Nella sola piana di Sibari dalla fine degli anni '70 ad oggi si è passati da 500 – 1000 pozzi a 5.000 – 6000 pozzi. Una delle situazioni più gravi è quella della falda di Reggio Calabria, utilizzata per l'approvvigionamento potabile della città: si stima un prelievo di oltre 30 Mmc/anno di cui almeno 10 sono utilizzati per l'acquedotto della città. La qualità è arrivata a limiti intollerabili per il consumo umano. La Cassa per il Mezzogiorno che aveva valutato la insufficienza delle risorse locali per il progetto di sviluppo che aveva programmato, decise, con il Progetto Speciale n. 26, di disegnare un nuovo assetto delle infrastrutture idriche, basato su grandi schemi idrici ed acquedottistici alimentati dalle risorse più montane, sorgenti o corsi d'acqua regolati mediante invasi artificiali. Il prelievo dalle falde era visto come una soluzione temporanea in attesa della realizzazione degli invasi artificiali.

Intervento interrotto

L'interruzione dell'Intervento Straordinario ha lasciato incompiuto quel disegno: si fece in tempo a realizzare quella rete di grandi acquedotti c.d. "schemi regionali" che su un totale di circa 392 Mmc/anno prodotti per l'uso potabile dell'intera regione, ne forniscono 248 Mmc/anno (il 63%). Rimasero incompiute le grandi dighe che, aggiungendosi agli schemi idroelettrici realizzati dalle società elettriche SME poi ENEL, avrebbero dovuto alimentare gran parte di questi acquedotti e le reti irrigue consortili. Fra opere di invaso sospese o comunque non utilizzate si raggiunge una capacità di raccolta di circa 375 Mmc a fronte del totale di 725 Mmc dei quali erano già in esercizio 276 Mmc per gli usi idroelettrici. Dal punto di vista infrastrutturale, la Calabria presenta un indice di dotazione infrastrutturale delle risorse idriche che si attesta sul valore di 17,3 (Italia = 100 e Mezzogiorno = 46). Nella Regione, infatti, si presentano tuttora diversi problemi sulla rete idrica insufficiente a fronteggiare le esigenze della popolazione. Le perdite nelle reti, infatti, risultano abbastanza elevate, come nel resto del Mezzogiorno. I valori stimati per le diverse province si attestano tra il 21% e il 45%, con un valore medio del 35% a cui si aggiungono le perdite nel sistema di adduzione e trasporto extraurbano.

Quali sono i presupposti

E' evidente che la realizzazione di queste opere ed il completamento degli schemi acquedottistici ed irrigui costituiscono uno dei presupposti essenziali per ricondurre entro i limiti della sostenibilità il prelievo dalle falde. Invece, contro la prosecuzione delle attività per completare ed attivare gli invasi abbiamo dovuto scontrarci contro un ambientalismo preconcetto e miope. E' vero, però, che alcune di quelle opere, progettate con un certo "gigantismo" che caratterizzò l'epoca della Cassa per il Mezzogiorno, avulso dalle questioni strettamente ambientali, avevano bisogno di essere "compatibilizzate" con il territorio che le deve accogliere. Per questo sono state estremamente utili le procedure di VIA cui le opere sono state sottoposte; mi riferisco alla diga sull'Alaco e a quella sul Menta, che hanno permesso di individuare il giusto equilibrio fra le stringenti esigenze dello sviluppo del territorio e della tutela delle falde di valle e i vincoli di tutela di patrimoni ambientali unici, come nel caso del parco dell'Aspromonte. Questo equilibrio si è potuto individuare, limitando le opere allo stretto indispensabile e prescrivendo rigorosi interventi di mitigazione ambientale e di monitoraggio. Certo, si sarebbe dovuto procedere con maggiore razionalità, forse si sarebbe potuto evitare l'adozione di drastici provvedimenti di emergenza per assicurare l'acqua potabile ai reggini mediante il desalinizzatore; ma, alla fine il nostro impegno è stato ripagato. Fra pochi mesi avremo l'acqua desalinizzata e, fra due o tre anni, finalmente, arriverà l'acqua del Menta! Lo stesso dovrà avvenire per le altre dighe ancora in discussione, come quella sull'Alto Esaro (anche per questa sarebbe opportuna una rigorosa compatibilizzazione sulla base di quanto strettamente necessario) e quella sul Melito.

Il Servizio idrico integrato

L'attuazione della legge di riforma del settore, la n. 36 del 1994, ha portato in Calabria alla creazione di cinque Ambiti Territoriali Ottimali, gli ATO, ed alla costituzione della società mista per la gestione degli acquedotti regionali. Diciamo subito che tre ATO bastavano e che uno sarebbe stato quello veramente Ottimale. Di riforma in senso industriale dei servizi ancora non se ne è vista l'ombra, in compenso le c.d. Autorità d'Ambito hanno le loro brave strutture e sovrastrutture tecniche e burocratiche e producono, questo sì, i relativi costi che si vorrebbe addossare alla tariffa e quindi al cittadino. Per fortuna nel decreto delegato per il Testo unico ambientale, è stato esplicitamente vietato che i costi delle strutture dell'Autorità d'ambito possano essere trasferite in tariffa. L'ATO più popoloso è quello di Cosenza con 727.000 abitanti, mentre Crotone (163.000 abitanti) e Vibo Valentia (175.000 abitanti) raggiungono dimensioni inferiori a quelle di un quartiere di Roma. Difficile è pensare che queste realtà possano interessare i leader del settore. Nel frattempo le cose vanno con l'andazzo di sempre, e siccome la Calabria è una regione ricca d'acqua, si può permettere di sprecarla. Il volume complessivo prodotto è di circa 392 Mmc/anno (144 Mmc da risorse locali e 249 Mmc dagli schemi regionali); il volume immesso in rete è di 388 Mmc/anno, quello fatturato è di 179 Mmc/anno: le perdite apparenti (fisiche e di fatturato) ammontano quindi a quasi il 54%. Questa situazione, fra l'altro, crea un grave problema nei rapporti fra i comuni distributori al dettaglio (quelli che fatturano all'utente finale), e la Sorical che fattura l'acqua all'ingrosso. I piani d'ambito ipotizzano volumi di investimento notevoli: da 850 a 1.290 euro/abitante che si scaricano sulle tariffe: forse un approccio più da gestore che da opera pubblica classica avrebbe potuto ridurre questi investimenti del 50%.

Il settore irriguo

In Calabria sono attivi 17 Consorzi di Bonifica, ma solo su 15 si pratica l'irrigazione pubblica. Le aree irrigue consortili ammontano a circa 89.000 ha, fortemente dispersi in comprensori di superficie limitata: solo 4 comprensori hanno superficie superiore ai 5.000 ha e sono concentrati nelle maggiori pianure: Piana di Sibari, bassa val di Neto e promontorio di Capo Colonna. La superficie irrigata con gli schemi consortili è pari solo al 38.6% di quella attrezzata. La superficie irrigata rilevata mediante tecniche con ortofoto satellitari ammonta a oltre 94.000 ha e ciò indica che è molto diffusa la pratica di irrigare con pozzi gestiti autonomamente, che costituisce una delle cause del degrado delle falde di pianura. Il costo unitario medio che i Consorzi fanno pagare oscilla da 0,01 euro/mc a 0,1 euro/mc. Le reti irrigue sono spesso obsolete, così come arcaica è l'organizzazione della gestione; spesso vi sono problemi di limitate disponibilità della risorsa. In queste condizioni gli operatori preferiscono agire in proprio. Il miglioramento della qualità del servizio consortile è un obiettivo prioritario, anche se necessariamente correlato ad un adeguamento delle tariffe che devono almeno coprire integralmente i costi di gestione.

I programmi di investimento

Il CIPE ha approvato nel 1999 l'Accordo di Programma Quadro per il ciclo integrato: il programma complessivo si articola su quattro linee di intervento:

completamento dei grandi schemi a scopi multipli; completamento, adeguamento e riefficientamento del sistema di offerta primaria ad uso potabile (acquedotti esterni); completamento, adeguamento, riefficientamento e ottimizzazione delle infrastrutture idriche urbane (reti di distribuzione, fognature depuratori);

riordino, riconversione e razionalizzazione dell'offerta irrigua nelle esistenti aree irrigue.

Nella prima linea rientrano gli inerenti di completamento dei sistemi Melito – Alaco - Metramo – Lordo; il sistema Menta; il sistema Alto Esaro. La seconda e terza linea comprendono le opere previste dai piani d'Ambito.

La delibera CIPE che approva il 1° programma della legge obiettivo per la regione Calabria, nel periodo 2002 – 2010 ha indicato interventi per 324,85 Milioni di euro. Le proposte riguardano gli schemi Esaro e Menta, nonché il completamento dello schema Metramo.

Conclusioni

I vincoli economici ed ambientali, che si faranno più stringenti con l'applicazione della direttiva 2000/60/CE rendono indispensabile il riordino delle modalità di approccio al problema delle infrastrutture idriche e della loro gestione. L'attuazione della parte industriale della legge n. 36/94 ed una analoga riforma per il settore irriguo dovrebbero portare alla stabilizzazione del quadro infrastrutturale necessario ad assicurare sufficienti risorse nelle aree costiere e metropolitane dove si concentrano le attività economiche e residenziali e, quindi, la domanda idrica. Il completamento dei grandi sistemi alimentati da invasi, sia pure con le dovute cautele ambientali, resta la principale risposta ai problemi ambientali delle falde e a quelli di approvvigionamento potabile in alcuni casi come quello della Città di Reggio Calabria.

nuvolarossa
01-12-05, 20:27
Ciampi criticato a sinistra

Si rispetta il pensiero del Quirinale anche se si è in disaccordo

Il Capo dello Stato ha espresso un giudizio di buon senso, ricordando la necessità che il nostro Paese non resti isolato nel consesso europeo, ed ha anche mostrato un giusto equilibrio nelle parole, calibrate verso coloro che, non pensandola come lui, sono interamente impegnati nella protesta anti - Tav.

In risposta ha avuto una serie di critiche prive di qualunque ritegno verso il ruolo e la funzione che Ciampi stesso rappresenta. Tali obiezioni fanno scalpore, in particolare perché provengono da ambienti che negli anni hanno usato - strumentalmente - ogni intervento del Capo dello Stato che potesse essere utile ai fini della loro parte politica. Il danno che proviene da questo tipo di atteggiamento è incommensurabile, perché dimostra l'assoluto disprezzo nei confronti del sistema istituzionale democratico del nostro Paese, il quale prevede che si rispettino le posizioni del presidente della Repubblica, soprattutto quando queste divergano dalle proprie. E' evidente che il senso alto dello Stato manchi completamente alla pletora di coloro che, avvezzi ad osannare Ciampi, si sono trovati improvvisamente su una sponda diversa da quella in cui egli si era posto. Ed ecco quindi che, se il Capo dello Stato non va incontro alle esigenze spicciole di propaganda politica di costoro, questi si sentono liberi di esprimere nei suoi confronti i rilievi più pesanti. Sinceramente uno spettacolo tanto indecoroso non lo vedevamo dai tempi dell'impeachment contro il presidente Cossiga.

Ovviamente non crediamo si possa arrivare a questo, ma è sempre meglio non dimenticare il passato.

Anche perché - ha ragione Giulio Anselmi sulla "Stampa" - la Tav "rischia di diventare una delle linee di frattura nella cui costruzione noi italiani siamo maestri". Ma, visto che qui si tratta di soddisfare un'esigenza europea, di non cedere ai fantasmi del di-sastro ambientale che vengono agitati a proposito ogni volta che si tratta di decidere per le ragioni dello sviluppo, e che vi è anche l'esigenza di ammodernamento di una rete di trasporto particolarmente deficitaria, come è quella italiana, allora quale migliore occasione per Prodi e l'asse riformista del centrosinistra, per dimostrare come non ci si lascia prendere la mano da qualche migliaio di manifestanti ma, al contrario, si è in grado di riportarli alla calma? Saremo davvero lieti di vedere come i nuovi alfieri del rinnovamento del Paese supereranno questa prova.

Roma, 1 dicembre 2005

nuvolarossa
02-12-05, 14:14
Per la Tav Prodi rischia il Piemonte

Non gettano la spugna gli estremisti che impediscono l’avvio dei lavori per l’Alta velocità in Val di Susa. Neppure le parole di Carlo Azeglio Ciampi, seguite da quelle di Pierferdinando Casini e di Beppe Pisanu, hanno fermato una protesta che è ormai diventata una sorta di prova generale di quanto potrebbe avvenire nel paese se la sinistra andasse al governo. Non a caso il Presidente del Piemonte Mercedes Bresso ha minacciato le dimissioni se non avrà il sostegno aperto di Prodi sulla Tav.

nuvolarossa
02-12-05, 15:30
Dopo Ciampi anche Berlusconi, Fini e Casini sconfessano gli irriducibili della Val di Susa
Una cooperativa rossa si aggiudica l’appalto Tav
di Sergio Menicucci

Sono “i compagni” romagnoli della società cooperativa di muratori e cementisti di Ravenna (Cmc) che hanno preso possesso di sei lotti su 57 necessari per costruire il tunnel di 7 km, largo tra 3 e 6 metri, indispensabile come test per la costruzione del tratto dell’alta velocità Torino-Lione. Naturalmente doverosamente incappucciati per non farsi riconoscere e non esporsi alle ritorsioni. La polemica si inasprisce al punto che il presidente Ds della regione Piemonte, Mercedes Bresso, minaccia le dimissioni. Barricate, fuochi, presidi, colloqui tra dimostranti e forze dell’ordine in assetto antisommossa, infatti, continuano. “Resisteremo” dicono i 5-10 mila valligiani come cinquant’anni anni fa, quando le brigate partigiane erano riuscite a conquistare i monti della Val di Susa.

Megafono in bocca, piedi su una grossa bobina di legno, il fronte anti-Tav per eccellenza, reduce da tante battaglie ecologiste, grida che da lì non se ne andrà nessuno. I lavori non devono proseguire. I sindaci chiedono di essere ricevuti al Quirinale dopo che il Presidente Ciampi ha chiaramente osservato che l’Italia non può permettersi di essere isolata dal resto d’Europa. D’altra parte era stato proprio l’inquilino del Quirinale a battersi perché l’Italia non fosse esclusa dall’alta velocità. Il primo tracciato passava, infatti, per la Svizzera evitando il nostro paese. Ma è anche battaglia politica tra i due poli. Il centrodestra è da sempre favorevole alla realizzazione dell’opera. La sinistra è divisa. Dopo Berlusconi e Fini anche la terza punta dello schieramento della Casa delle libertà interviene nella polemica. Pier Ferdinando Casini invita la sinistra a parlare chiaro, a non essere ambigua come invece sta facendo il leader dell’Unione Romano Prodi, preoccupato di non scontentare l’ala della sinistra radicale ed ambientalista.

Per Casini “quello che sta accadendo è molto grave. La sinistra ha grosse responsabilità nella regione Piemonte. Quando si bloccano importanti infrastrutture non ci si può lamentare se l’Italia rimane tagliata fuori dall’Europa e se la crescita economica italiana rischia di essere diversa da quella della Francia e della Germania”. D’altra parte le manifestazioni bloccano ogni forma di dialogo. Il portavoce del commissario dei trasporti Jacques Barrot ha ribadito che il progetto è strategico anche per diminuire l’impatto negativo del trasporto su strada in continuo aumento. L’Unione Europea ha inoltre nominato come coordinatrice della realizzazione del “Corridoio 5” Loyola de Palacio, che ha fatto molti sforzi per avviare un tavolo di dialogo e fornire chiarimenti sul progetto. Parlando del rischio amianto temuto dai cittadini, gli osservatori europei sostengono che oggi esistono molte tecniche in grado di proteggere e minimizzare ogni pericolo.

Quello che alcune forze della sinistra radicale non vogliono accettare è un tipo di modernizzazione che li metterebbe politicamente fuori gioco. La linea ad alta velocità che da Lisbona raggiunge Lione per poi entrare in Italia a Torino e quindi proseguire verso Lubiana e Kiev rientra nei trenta progetti “Ten” dell’Ue, che disegnano una linea trasfrontaliera con un tracciato che intercetta i Corridoi 1 e 8 collegando meglio il Nord e il Sud dell’Europa. D’altra parte tra l’Italia e la Francia l’unico passaggio è quello del traforo del Frejus, con i suoi 14 chilometri di galleria sempre più intasati. Il no alla Tav allunga la lista dei tanti no delle sinistre alle riforme di cui necessita l’Italia: scuola, università, giustizia, mercato del lavoro, infrastrutture, grandi opere pubbliche.

nuvolarossa
02-12-05, 19:09
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nuvolarossa
02-12-05, 20:26
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Gas naturale: fonte energetica pulita ed economica, che non necessita di passaggi di trasformazione/I prezzi di tale materia prima sono più favorevoli su scala internazionale. Si trasporta facilmente e non richiede i costi delle autobotti

Molti buoni motivi per usare un combustibile rispettoso dell'ambiente

Intervento presentato al convegno internazionale "Il metano nelle politiche di sostenibilità", Pala De André, Ravenna, 2 dicembre 2005.

di Francesco Nucara

Negli ultimi anni si è assistito ad un'espansione dell'impiego del gas naturale in diversi ambiti di applicazione. Tale aumento è dovuto alle caratteristiche del gas quale fonte energetica pulita ed economica.

Come nel caso di molte materie prime, le principali aree di consumo di gas naturale non coincidono con le principali aree di produzione.

Inoltre si può sostenere che il metano è una fonte rinnovabile in quanto si può produrre industrialmente da idrogeno e anidride carbonica e si può ottenere anche per fermentazione anaerobica di scarti vegetali e rifiuti zootecnici.

I maggiori tassi di incremento delle produzioni di gas naturale sono previsti in Medio Oriente, Africa ed America latina (valori compresi tra 5,5 % e 6 %). In valori assoluti, invece, le principali aree di produzione nel 2020 resteranno l'ex URSS (oltre 1000 Giga metri cubi), il Nord America (900 Gmc) ed il Medio Oriente (700 Gmc).

Dipendenza italiana

L'Italia ha, come noto, un'elevata dipendenza e vulnerabilità nell'approvvigionamento energetico. La dipendenza del nostro Paese dalle fonti estere ha raggiunto, nel 2004, quasi l'90,3%.

In particolare l'Italia ha importato in quell'anno:

82,5 (milioni di tep) di petrolio pari al 94% del consumo;

55,1 (milioni di tep) di gas pari al 83,7% del consumo;

17,1 (milioni di tep) di carbone pari al 97,5% del consumo.

La nostra bolletta energetica è salita così ai 30 miliardi di euro nel 2004 a seguito degli aumenti del prezzo del petrolio. In particolare, per quanto riguarda l'approvvigionamento di gas naturale, l'Italia importa prevalentemente dall'Algeria, dalla Russia, dai Paesi Bassi e dalla Norvegia.

Nel 2004 si è riscontrato, in Italia, un aumento della domanda di energia in Italia pari allo 0,8% rispetto all'anno precedente. Anche per il 2005, è previsto un incremento del fabbisogno energetico di circa l'1%.

Nel periodo 2003 – 2004, si è assistito ad una riduzione della domanda di petrolio e ad un aumento del gas e dei combustibili solidi.

Tecnologie innovative

Il gas viene ampiamente utilizzato per produrre altre forme di energia (soprattutto elettricità) attraverso tecnologie innovative. Nel settore civile ma anche nei settori dei servizi e del commercio, il gas naturale viene utilizzato per il riscaldamento e/o condizionamento degli ambienti, per riscaldare l'acqua e per la cottura dei cibi. Nel settore industriale si fa ricorso al gas per rendere più efficienti, economici ed ecologici i processi di produzione.

I maggiori consumi di gas si registrano nel settore termoelettrico (produzione di energia elettrica), nel settore civile e nel settore industriale. L'impiego del gas naturale nel settore dei trasporti è attualmente poco significativo ma si ritiene potrà avere un importante sviluppo nei prossimi anni.

Produzione di energia elettrica

Il settore elettrico italiano è caratterizzato da alcune disfunzioni, tra le quali l'insufficiente capacità di generazione, problemi di congestione e soprattutto elevati costi di produzione riconducibili in parte all'utilizzo di un mix di fonti energetiche molto sbilanciato verso i combustibili più cari ed inquinanti rispetto a quelli utilizzati in altri Paesi europei. Questa situazione penalizza i nostri costi di generazione che risultano mediamente più elevati del 30% di quelli degli altri Paesi europei.Grazie a recenti normative (v. decreto sblocca centrali e Legge Marzano) sono state avviate alcune azioni per l'incremento delle capacità di generazione elettrica in Italia, sia attraverso processi di riconversione e repowering delle vecchie centrali, sia attraverso la costruzione di nuove centrali a ciclo combinato a gas.

L'adozione di impianti di generazione a gas comporta per l'Italia una serie di vantaggi sia di tipo economico che di tipo ambientale. Nel primo caso, infatti, la riconversione di vecchie centrali termoelettriche presenta ridotti costi di investimento e di esercizio; nel secondo caso, lo sviluppo di centrali a ciclo combinato a gas permette di limitare le emissioni inquinanti e/o climalteranti (CO2).

Ai valori attuali del combustibile, le centrali a cicli combinati a gas, presentano vantaggi in termini di costi d'esercizio nel rispetto delle altre tipologie di centrali, con esclusione di quelle a carbone, che tuttavia comportano maggiori costi in termini di emissioni di CO2.

In una prospettiva futura l'ulteriore sviluppo dell'utilizzo del gas naturale nel settore elettrico italiano appare come un'opportunità per migliorare la situazione dei costi di generazione elettrica (tuttavia i costi di generazione elettrica in Italia rimarrebbero al di sopra di quelli di altri paesi quali la Francia e la Germania che dispongono di centrali nucleari e a carbone già ammortizzate). E' quindi di importanza strategica per l'Italia favorire un rapido sviluppo di un nuovo parco più efficiente di generazione elettrica con la costruzione di nuove centrali a ciclo combinato a gas, che permettano di soddisfare (insieme alle importazioni) la futura domanda elettrica.

Uso civile e commerciale

Attualmente il gas naturale è disponibile per circa l'84% della popolazione italiana (96% della popolazione del Centro-Nord e 72% della popolazione del Sud). L'uso più comune del gas naturale è nei settori residenziale e commerciale, in quanto il gas oltre ad essere il combustibile fossile più pulito, è anche il più conveniente grazie a costi di gestione delle apparecchiature significativamente più bassi. In ambito domestico e commerciale il gas viene principalmente utilizzato per: il riscaldamento; la produzione di acqua calda; il condizionamento; la cogenerazione.

Riscaldamento

A livello nazionale il gas naturale viene sempre maggiormente utilizzato per il riscaldamento degli ambienti. Il riscaldamento di un locale a gas naturale piuttosto che a gasolio o GPL, infatti, consente di risparmiare in media il 30% sul prezzo finale, a parità di chilocalorie fornite.

Esistono diverse tipologie di riscaldamento a gas naturale: stufe a gas, riscaldamento centralizzato e riscaldamento autonomo.

Tra queste, il riscaldamento autonomo è la modalità di riscaldamento più innovativa in quanto consente di ottimizzare i consumi regolando la temperatura dei locali. Un ulteriore vantaggio legato al riscaldamento di tipo autonomo è legato alla possibilità di utilizzare apparecchi che consentono contemporaneamente il riscaldamento e la produzione di acqua calda.

La produzione di acqua calda con il gas può avvenire attraverso apparecchi dedicati o più comunemente per mezzo di apparecchi misti che consentono contemporaneamente il riscaldamento e la produzione di acqua calda. Questo tipo di impianti, detti anche impianti autonomi combinati, sono generalmente istantanei, al contrario degli scaldabagni elettrici che funzionano ad accumulo. Con questo sistema il riscaldamento dell'acqua avviene al momento del prelievo ed è limitato alla sola quantità d'acqua necessaria.

Da alcuni anni il gas naturale ha trovato impiego anche nel settore del condizionamento ambientale. Grazie ad elevati standard di efficienza energetica i condizionatori a gas naturale costituiscono la più valida alternativa ai tradizionali sistemi elettrici e trovano ampio utilizzo in edifici civili quali ospedali, alberghi, palazzi-uffici, ecc.

Cogenerazione

La cogenerazione, ovvero la produzione combinata di energia elettrica e calore rappresenta un utilizzo innovativo del gas. In un impianto di cogenerazione si utilizza un motore alimentato a metano per produrre elettricità e si sfruttano i fumi di scarico come fonte termica, ad esempio per riscaldare l'acqua. Vengono così prodotte in modo combinato energia elettrica ed energia termica ottimizzando l'impiego delle risorse energetiche con notevoli benefici economici e ambientali.

Grazie allo sviluppo tecnologico di nuove e più efficienti turbine e macchine alimentate a gas naturale, la cogenerazione, un tempo sfruttata solo nella grande industria, sta oggi diffondendosi anche nella piccola e media industria e nel terziario. In particolare, i sistemi di cogenerazione rappresentano una soluzione efficace per ridurre i costi di energia elettrica e riscaldamento nei centri commerciali.

Le industrie fanno largo ricorso al gas per rendere più efficienti, economici ed ecologici i processi di produzione. Circa il 40% del fabbisogno energetico complessivo dell'industria è soddisfatto con il gas naturale.

L'utilizzo del gas è diffuso in tutti i settori industriali con quote di penetrazione differenti in funzione delle singole realtà tecnologiche e produttive (da un massimo di oltre il 95% nel settore delle piastrelle di ceramica, a un minimo di circa il 25% nella siderurgia).

Di seguito si riportano i principali impieghi nel settore produttivo del gas naturale:

in chimica: utilizzo indiretto in caldaia per la produzione di vapore;

nella siderurgia: uso diretto nei forni per riscaldo;

nella meccanica: utilizzo indiretto in caldaia per la produzione di vapore e acqua calda;

nel cartario: utilizzo in caldaia e negli impianti per la generazione di energia elettrica;

nell'alimentare: usi indiretti in caldaia e diretti in forni di cottura;

nel ceramico: usi diretti in forni di cottura;

nella produzione di vetro cavo e piano: uso diretto per la fusione del vetro e la cottura dei differenti materiali lapidei.

Al fine di rendere meno forte il divario fra i costi di produzione italiani rispetto a quelli degli altri paesi europei, nei prossimi anni si dovrà investire nel miglioramento del parco di generazione elettrico e nell'impiego del gas naturale in sostituzione del petrolio, nei cicli combinati ed in altri utilizzi industriali.

Un ulteriore beneficio al settore industriale potrebbe venire anche da un minor consumo di energia per unità di prodotto. Infatti, si stima che il miglioramento di efficienza dovuto all'utilizzo del gas naturale sia dell'ordine anche del 30%.

Con tali condizioni, si ridurrebbero notevolmente sia i costi di produzione, aumentando la competitività delle nostre imprese, sia il livello di emissioni di CO2.

Per raggiungere tali obiettivi però, bisognerebbe investire notevolmente in ricerca al fine di migliorare le tecnologie esistenti e realizzarne delle nuove.

Trasporto

Oggi nel mondo circolano oltre un milione di vetture a gas naturale (370.000 circa in Italia) e le case automobilistiche investono sempre maggiori risorse nella progettazione di nuovi modelli con questo tipo di alimentazione.

Per le sue qualità ecologiche, il metano è destinato a svolgere un ruolo sempre più importante nel mercato dei veicoli a minimo impatto ambientale, in particolare nelle grandi aree urbane afflitte dal problema dell'inquinamento atmosferico.

In Italia il numero di auto private in rapporto al numero di abitanti e al numero di chilometri di strade è tra i più alti in Europa. Questo porta ad un congestionamento del traffico automobilistico che, soprattutto nelle città, rappresenta una delle maggiori fonti di inquinamento. Il fatto poi che il trasporto di merci e di passeggeri sia soprattutto di tipo privato rende più problematica una sua gestione efficiente. Infine il trasporto su strada (o su gomma) è in continua crescita rispetto a quello su ferro che risulta ancora non sufficientemente competitivo; conseguentemente sono in aumento le emissioni inquinanti derivanti dagli scarichi delle vetture che utilizzano carburanti petroliferi (gasolio e benzina).

In assenza di interventi strutturali questa situazione tenderà ad aggravarsi nei prossimi anni, aumentando il disagio, la congestione e l'inquinamento dell'aria.

Tendenze di fondo

Sulla base delle previsioni pubblicate dall'Unione Petrolifera, le tendenze di fondo relativamente al parco vetture circolanti in Italia portano a definire il seguente scenario tendenziale:

crescita limitata nei prossimi 5 anni del parco autovetture private che dovrebbe rimanere intorno a circa 31 milioni di unità;

significativa crescita del parco autobus che dovrebbe passare da 92,7 mila unità a circa 106 mila nel 2015;

riduzione della percorrenza media annua sia per le vetture private che per gli autobus (in particolare per quelli urbani);

riduzione del parco autovetture a benzina e contestuale aumento di quello a gasolio che dovrebbe rappresentare nel 2015 oltre il 42% del totale parco automobilistico;

aumento contenuto delle vetture e dei bus alimentati a GPL e a metano.

Se questo scenario fosse confermato, l'unico elemento di sviluppo sarebbe rappresentato dal progressivo aumento delle autovetture alimentate a gasolio a discapito di quelle alimentate a benzina. In termini di consumi petroliferi e di emissioni di C02, tale scenario tendenziale non apporterebbe vantaggi significativi all'Italia.

Sarebbe invece auspicabile favorire l'uso del gas naturale nel settore trasporti attraverso la definizione di alcuni obiettivi quali:

sostituire progressivamente la benzina (ed anche il gasolio nel segmento degli autobus) con il metano;

incentivare la riconversione di alcune vetture già circolanti;

favorire lo sviluppo di nuove auto e autobus a metano da parte delle case costruttrici.

La fonte più pulita

Il metano infatti è il combustibile alternativo più pulito attualmente disponibile e il suo impiego sui veicoli può offrire un contributo alla soluzione dei problemi ambientali delle città. Per la semplicità della sua composizione rispetto agli altri carburanti (contiene più idrogeno e meno carbonio), il metano è intrinsecamente ecologico e garantisce una notevole pulizia della combustione.

Le emissioni inquinanti prodotte dalla combustione del gas naturale sono inferiori a quelle prodotte dai carburanti tradizionali: rispetto ai motori alimentati a benzina si registra una riduzione dell'emissione degli idrocarburi volatili più dannosi (in particolare il benzene) del 94-96%, dell'inquinamento fotochimico (provocato dall'ozono troposferico) dell'80%, e della formazione di anidride carbonica del 25-30%.

Inoltre l'utilizzo del gas naturale permette di eliminare pressoché totalmente le emissioni di zolfo e piombo. Infine, rispetto ai veicoli che utilizzano motori diesel, come ad esempio gli autobus urbani, è possibile ridurre dell'85-90% le emissioni di ossidi di azoto, dell'85-95% quelle di monossido di carbonio e di eliminare quasi completamente le emissioni di particolato (le pericolose polveri inquinanti PM10).

Per favorire lo sviluppo del gas nel settore dei trasporti in Italia, una misura che potrebbe essere adottata è di sostituire il 50% degli autobus per servizio pubblico e la maggior parte delle flotte di mezzi pubblici con nuovi mezzi alimentati a metano. Si tratterebbe di circa 30.000 mezzi con un consumo di circa 1-2 miliardi di metri cubi di metano l'anno.

Sforzi promozionali

Un secondo obiettivo potrebbe essere quello di portare le attuali 340.000 autovetture alimentate a metano a 2,5 milioni di vetture entro il 2015 ed a 5 milioni entro il 2020 (16% del totale parco autovetture privato). Il metano potrebbe essere usato o come carburante in sostituzione della benzina e del gasolio (nuove auto) oppure come dual fuel.

Naturalmente questi obiettivi potrebbero essere ottenuti solo grazie ad un adeguato sforzo promozionale presso le case automobilistiche, presso gli utenti, i Comuni e soprattutto presso i distributori di carburanti.

Come illustrato precedentemente, il gas naturale dovrebbe divenire, nel corso dei prossimi 10 anni, la prima fonte energetica del nostro Paese.

Tutti i vantaggi

Di seguito vengono riportati i vantaggi e le motivazioni che spingono verso un incremento dell'uso del gas naturale rispetto ad altre fonti energetiche.

A livello generale il gas è preferibile per:

la larga disponibilità di riserve, ubicate in aree geografiche politicamente più stabili di quelle petrolifere;

la possibilità di accordi di lunga durata con Paesi produttori;

la bassa variabilità dei prezzi, rispetto al petrolio, sui mercati internazionali;

l'esistenza e gli investimenti in atto di grandi reti di distribuzione;

la possibilità di sviluppare il trasporto via GNL verso terminali di rigassificazione ubicati nei paesi consumatori;

la buona sostituibilità del gas al petrolio in quasi tutti gli usi, incluso quelli relativi al settore trasporto

la possibilità di trasformare il gas in prodotti liquidi da usare come sostituto dei prodotti petroliferi (tecnologia GTL);

A livello nazionale, l'incremento prospettato dell'uso del gas rispetto ad altri combustibili è motivato da:

presenza sul territorio del Gruppo ENI, che vanta un'esperienza collaudata nel settore gas;

presenza capillare, su quasi tutto il territorio, di una rete di distribuzione del metano che consente agli utilizzatori di accedere agevolmente ed offre ampie garanzie sulla continuità della fornitura;

crescente interesse da parte di molti operatori italiani e stranieri a sviluppare la filiera del GNL (esistono numerosi progetti per nuovi terminali);

possibilità di utilizzare il gas nella generazione elettrica grazie all'affermarsi dei cicli combinati;

capacità del gas naturale di essere una fonte importante nella microgenerazione di energia elettrica e termica (produzione combinata di elettricità e calore);

maggiore interesse nella salvaguardia dell'ambiente, in quanto il metano ha un basso livello di emissioni di CO2;

buona possibilità di affermarsi come carburante in sostituzione della benzina e del gasolio nel settore del trasporto pubblico e privato.

Aspetti importanti

Circa la scelta di sviluppare la fonte gas naturale, oltre le motivazioni sopra indicate vanno segnalati due aspetti importanti.

Il primo aspetto riguarda il vantaggio economico e competitivo di questa scelta. Il gas naturale rispetto al petrolio ha un rapporto più favorevole circa i prezzi internazionali. Infatti, guardando le serie storiche, ed anche le più recenti previsioni sui prezzi delle due fonti, troviamo che rapportate in termini di uno stesso valore di riferimento ed al mercato europeo, il gas naturale è sempre più economico a parità di potere calorifico, rispetto al greggio di circa un 25-30%.

Il secondo aspetto è che il passaggio della rete carburanti da benzina/gasolio a metano, oltre a consentire lo sviluppo di questo prodotto meno caro e meno inquinante, rappresenterebbe la prima fase del progetto di sviluppo delle auto ad idrogeno.

Il gas, infatti, rappresenta il prodotto più semplice per alimentare le pile a combustibile; inoltre, la realizzazione di una rete di distribuzione a metano per auto, faciliterebbe il successivo passaggio ad una rete di distribuzione ad idrogeno.

Il gas è favorito

Si potrebbe osservare che, con l'aumento di domanda negli ultimi anni, il gas naturale potrebbe avere prezzi più elevati. Ma anche in questo caso, tenendo conto che l'aumento di domanda di petrolio sarà sempre molto elevata e l'offerta tenderà ad essere rigida e scarsa (v. precedenti scenari), c'è da ritenere che il differenziale tra gas naturale e petrolio sarà sempre più favorevole al gas rispetto alle quotazioni del greggio sulle piazze internazionali.

È importante, inoltre, segnalare che per l'Italia, il gas naturale risulta più interessante e conveniente rispetto al petrolio per altri tre motivi:

il gas naturale può essere impiegato "tal quale" per quasi tutti gli usi, dal riscaldamento alla termoelettrica e fino all'autotrazione, senza quindi costi aggiuntivi di trasformazione, laddove il petrolio per essere utilizzato nei vari usi richiede un costo aggiuntivo di lavorazione in raffineria che incide sul prodotto finale;

il gas naturale si trasporta più facilmente e con costi minori rispetto al petrolio ed ai prodotti petroliferi perché viaggia nelle tubazioni, mentre i prodotti petroliferi viaggiano in autobotti e hanno costi aggiuntivi di carico e scarico, problemi di congestione di traffico sulle strade e quindi di crescita di inquinamento ambientale;

il gas naturale in termini di emissioni di CO2 e di altri inquinanti è più ecocompatibile rispetto al petrolio (e prodotti petroliferi), produce un minor costo in termini di "esternalità" per il Paese e quindi anche di maggiore economicità come fonte da adottare per il prossimo futuro.

Incentivare l'uso

Al fine di incentivare l'uso del gas naturale quale sostituto del petrolio, le azioni necessarie da intraprendere riguardano sia le infrastrutture da realizzare, sia le politiche da attuare.

Per quanto riguarda le infrastrutture, è indispensabile realizzare nel nostro Paese una serie di opere per la ricezione, il trasporto, lo stoccaggio e la distribuzione del gas naturale.

Tali investimenti dovrebbero portare non solo al pieno soddisfacimento della domanda interna di gas naturale, (incrementata dai nuovi usi sostitutivi del petrolio), ma anche alla possibilità che si creino in Italia le condizioni per realizzare un grande "Hub" del Mediterraneo nel settore del gas (potenzialmente destinabile all'Europa Centrale che vedrà crescere la domanda e ridurre la produzione interna già a partire dal 2007).

Tale possibilità, dovrebbe essere sfruttata dall'Italia anche in considerazione del fatto che, negli ultimi anni, la politica mondiale ed europea rivolge particolare attenzione al problema ambientale.

L'obiettivo di rispettare il protocollo di Kyoto relativo alla riduzione dell'emissione di gas serra, soprattutto CO2, dovrebbe spingere le politiche nazionali all'incentivazione dell'utilizzo di fonti ecocompatibili e allo sviluppo di tecnologie "pulite".

Segnali forti

Per far ciò, occorre che il Governo dia un segnale forte alle Regioni ed agli operatori del settore, con eventuali modifiche anche sul piano legislativo e fiscale volte a favorire la realizzazione di tali investimenti.

In merito alle politiche occorre, da un lato, superare rapidamente le ostilità locali alla costruzione di nuovi terminali e dall'altro lato dare un quadro di certezze agli investitori di nuove infrastrutture sia pubblici (SNAM Rete Gas) sia privati.

Inoltre, anche in accordo a quanto previsto dall'Autorità per l'Energia, bisogna sviluppare la Borsa del gas, superare le difficoltà nella vendita e distribuzione del gas agli utenti finali ed incentivare, infine, un fondo ricerca - come quello per il settore elettrico e cioè finanziato dalle tariffe - per migliorare l'utilizzo, il trasporto e la sicurezza del gas naturale nel nostro Paese.

Infine, dovrebbero essere aumentati gli incentivi attualmente previsti (tali ecoincentivi sono stati sospesi dal 30 aprile 2005 per esaurimento dei fondi) per attuare il processo di conversione al metano dei mezzi di trasporto a benzina.
http://www.rhost.it/Luli/Midi/Italiani/Gerardina Trovato/Non è un film.mid

nuvolarossa
05-12-05, 14:55
Il “progresso” a passo di lumaca
La battaglia di “retroguardia” contro la TAV della “Vandea” e del fondamentalismo ambientalista

di Romano Bracalini

Dalla barricata improvvisata di legna ammucchiata e di eleganti barricadieri col telefonino e il giaccone Colmar di boutique, s’alza in direzione del pattuglione assiderato dei carabinieri il grido fellone e francamente odioso: “Falluja, Falluja”, e un dito medio alzato nel gesto scurrile accompagna il coro successivo: “Merde, merde”, e “andate a fare in culo”. Se l’eleganza di forma non è mai stato il corollario delle manifestazione di popolo, né il linguaggio prediletto della Crusca, la rivolta valligiana contro la TAV della linea Torino-Lione ha assunto i contorni di una questione politica di tutta rilevanza, ma con gli inconfondibili caratteri della protesta reazionaria, codina, come talvolta la sinistra sinistrata per avventura o abbaglio si trova a dover sostenere per punto d’onore e vezzo “rivoluzionario”.

Le rivolte italiane nei secoli hanno sempre preso avvio dal verbo appassionato dei demagoghi e degli arruffapopoli, da Cola di Rienzo, a Masaniello, a Mussolini, finiti tutti scannati dal medesimo popolo che li aveva innalzati ad effimera gloria. Che in questa tardiva e rumorosa riedizione di Vandea il viscido e inguardabile Agnoletto con i suoi bravi vi abbia scorto un’occasione e un tornaconto politico non fa specie; è il prezzo che ogni manifestazione paga alla vanità; ma è bastata la presenza degli incappucciati, degli inquilini morosi dei centri sociali, degli uomini neri a gettare il discredito e una luce equivoca sulle ragioni vaghe e confuse della protesta. La val di Susa, come i “boia chi molla” calabresi di quarant’anni fa, è diventata lo specchio delle nostre rituali confusioni mentali, del nostro inveterato anarchismo di pecore che hanno bisogno di essere ricondotte all’ovile, ma a differenza della sommossa fascista di Reggio, stavolta è la sinistra sinistrata a farsi mentore e paladina della protesta valligiana, che di “sinistra”, come la si intendeva di vecchio, parrebbe aver poco o nulla.

Ma uscire di fretta col berretto frigio e le culotte può capitare di sbagliare “rivoluzione”; è successo anche a Bertinotti, che non ha mai visto un’officina in vita sua, il quale invece che alla presa della Bastiglia s’è trovato a tessere l’elogio del tiro a quattro col postiglione a cassetta. I valligiani con bandiere e slogan, No Tav, Preferisco il budino, ci vorrebbe Che Guevara, Amo Maria, che non c’entrava nulla ma c’è sempre chi approfitta del casino, hanno addotto questioni di salute, oltre che di tutela del paesaggio. Non è provato che il treno faccia male e che la montagna si adonti se le si chiede di rendersi utile. Certo, il progresso! Due secoli fa si era meno assillati dalla fretta, le carrozze erano scomode ma romantiche, e qualche extracomunitario che le assaliva lo trovavi già. Il cancro, malattia della modernità, era meno diffusa, ma la durata della vita media in Italia era di 33 anni. Di qualcosa anche allora si moriva, senza la TAV, la cui sigla sembrerebbe piuttosto un ricostituente o una specie di Lexotan per dormire meglio.

Aboliamo i treni! Filippo Tommaso Marinetti, poeta di regime, voleva abolire la pastasciutta ma esaltava la velocità ed era di destra. Bertinotti la vuole abolire ed è di sinistra. Chi ci capisce qualcosa è bravo! Carlo Cattaneo, che era per il progresso compatibile, e non per un ritorno al mito di Adamo ed Eva, aveva progettato il traforo del Gottardo che avrebbe messo in contatto Milano e il Ticino svizzero, con i grandi mercati dell’Europa centrale e settentrionale e trovò chi gli diede retta e finanziò l’impresa. Anche allora ci furono i contrari e gli avversari dell’opera di cui gli annali non recano più traccia. Cavour avrebbe preferito una ferrovia che dal grande porto commerciale di Genova proseguisse per Torino e travalicasse le Alpi, senza toccare Milano che sarebbe rimasta isolata da ogni progresso civile. Occorre dire che al Piemonte sabaudo di Milano non fregava nulla?

I manifestanti della Val di Susa, col pretesto della salvaguardia del panorama e della raccolta di funghi, col subitaneo e non spontaneo appoggio dei “movimenti”, finiscono per dare di sé un’immagine anacronistica di reazione e di manovra di corto respiro. Hanno scelto un simbolo sbagliato. Il treno, per antonomasia, rappresenta il progresso che libera l’uomo dalla fatica e dalla schiavitù. La locomotiva che mise in moto l’Europa è un’invenzione della rivoluzione industriale inglese. La ferrovia conquistò la frontiera americana. I valligiani rischiano di far la parte degli indiani che combattono il progresso col pretesto che spaventa i bufali.

nuvolarossa
07-12-05, 14:05
Disagi e Disastri
Bertolaso inadeguato a fronteggiare l'emergenza civile

Abbiamo ritenuto di aspettare qualche giorno, per non dare l'impressione di una reazione dovuta all'emotività, prima di prendere posizione sui disagi che si sono verificati sull'autostrada Torino - Savona e per valutare, con la necessaria ponderazione, le dichiarazioni del responsabile della protezione civile a riguardo di quanto si è verificato. Non possiamo accettare la politica dello scaricabarile a cui si è assistito all'indomani dei gravi disagi che si sono verificati a danno degli automobilisti sulla Torino - Savona. Ed in particolare appare grave e deficitario il ruolo svolto dal responsabile nazionale della protezione civile, Guido Bertolaso, costretto ormai a mettere in scena ogni anno la medesima recita di rassegnazione ed impotenza.

Il compito della protezione civile non è quello di lanciare allarmi e poi di lamentarsi che tali allarmi non siano stati ascoltati. Perché, per fare questo, potrebbero bastare gli istituti di previsione del tempo ed il compianto colonnello Bernacca. Il compito della protezione civile è invece di intervenire e soprattutto, quando plausibile, di prevenire. Il dipartimento di cui Bertolaso si trova alla guida, dispone di strumenti, mezzi e fondi per svolgere un ruolo che è stato financo apprezzato - di fronte ai danni dello Tsunami in estremo oriente - da governi di svariate nazioni. E' inquietante vedere invece che tale ruolo non venga svolto nel nostro paese, come è stato nel 2004 in occasione della neve sulla Salerno - Reggio Calabria, e come è ancora avvenuto in questa ultima occasione. Di questo passo abbiamo ragione di temere che tali disagi gravi si registreranno ancora in futuro, se la politica che contraddistingue il dipartimento della protezione civile è quella di scaricare responsabilità di sua competenza, sulle autostrade, gli automobilisti o quant'altro. Più grave ancora la posizione di Bertolaso, visto che si arroga il merito di aver previsto quello che sarebbe avvenuto e, cionostante, ha rimesso ad altri i compiti che sono sotto la sua diretta responsabilità. Crediamo che la presidenza del Consiglio, da cui la protezione civile dipende, debba interrogarsi seriamente se può ancora riporre fiducia in chi a distanza di due soli anni ha dato prova di non essere all'altezza di fronteggiare fenomeni naturali di questa consistenza.

Roma, 6 dicembre 2005
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tratto da http://www.pri.it

nuvolarossa
08-12-05, 01:14
http://www.ilriformista.it/imagesfe/tav-c-1729_img.jpg

nuvolarossa
08-12-05, 11:29
L’incubo Italia se vince la sinistra, negli ultimi giorni un piccolo assaggio

di Enzo Balboni

L’ uomo della strada è sconcertato. Si chiede: “ Sto forse avendo un incubo”? No, non è un incubo, è la realtà bell’è buona di un Paese in cui l’ottantacinque per cento della stampa è schierata contro l’attuale governo con tale faccia tosta da trasformare quello che potrebbe essere soltanto una polemica, in “fatti” autentici, una battuta in una presa di posizione. Quando non si arriva addirittura ad essere minacciosi come “Aprile”: “Bada a te, Ciampi… In Val di Susa sei scivolato e non mi sei piaciuto.” Categorico. E il cittadino? Sta vivendo un incubo, quello di come lo Stato potrebbe diventare “davvero” se dovesse vincere la coalizione di opposizione. Che fa pressing su tutto, che non accetta nemmeno una riforma tra le tante “liberiste” che sono state condotte in porto. Che mostra intolleranza in tutto, che sostiene la menzogna, con la criminalizzazione dell’avversario, con le prediche giornaliere dei “lacchè” della carta stampata omologata e della televisione di parte (altro che in mano al Cavaliere).

Torniamo a Ciampi. Il presidente della Repubblica ha esternato come fa spesso, facendo chiarezza sulla posizione di Presidente e personale, sulla questione della Val di Susa. In Val di Susa ecologisti incalliti e senza orizzonti, hanno fatto le barricate, coinvolgendo i sindaci dei comuni sparsi nella valle e dando campo agli “eco-prop” di professione, per bloccare i lavori della ferrovia ad Alta velocità, la linea ferroviaria in costruzione che unirà il Portogallo (Lisbona) alla Turchia (Istanbul) per fare da spina dorsale alla nuova Europa unita. Carlo Azelio Ciampi si è espresso sul “blocco” dei lavori, condannando senza mezzi termini i protagonisti delle manifestazioni di protesta, diventati improvvisamente minacciosi, dopo un inizio di tutto rispetto. Da quando, insomma, i partiti sono stati costretti a dire la loro sul problema, e in modo chiaro.

Romano Prodi, che si illude di poter guidare una coalizione così eterogenea da averne per tutti i gusti, nel tentativo di trovare una via di mezzo, sulla quale adagiarsi, ha sostenuto che il “traforo” (54 chilometri) vada fatto, ma che, come chiedono i sindaci interessati, se ne possa discutere tutti assieme. Un modo “alla Prodi” (un tempo si diceva all’italiana) che ormai è diventato la costante delle promesse - non mantenibili - che Romano Prodi fa per cercare, pur di poter mantenere il consenso dei vari gruppi, ambiguo come sempre sul nulla contro il nulla. Sull’uscita anti-Ciampi di “Aprile” il periodico “on line” del “correntone” (“Caro Presidente, le sue parole sulla necessità di bucare per 54 chilometri una montagna piena di amianto e di uranio, non ci sono piaciute…”) è nata una polemica a toni forti con tanto di accusa al presidente della Repubblica di “essere intervenuto a gamba tesa” in una partita difficile e controversa non come un arbitro neutrale ma come uno “sponsor” autorevole della squadra filo-tunnel.

Apriti Cielo! Bertinotti esulta, Fassino la prende larga, Pecoraro Scanio appoggia a man salva gli ecologisti, il correntone si “scolla” ancora una volta. Nel frattempo l’uomo della strada si è svegliato dall’incubo. Incassa senza ammutolire la notizia che nell’incontro dell’opposizione a San Martino in Campo per mettersi d’accordo sul programma di governo (il programma di governo? Ma quale governo, quello che non c’è?) è stato partorito un topolino: Prodi ha sciolto tre nodi, l’accordo sulle “coppie di fatto”, il testamento biologico e, soprattutto, il ritiro dall’Iraq entro sei mesi non concordato con il governo iracheno e non con il governo degli Stati Uniti. Ho-là, il gioco è fatto. E l’uomo della strada, il cittadino, deve stare ancora a sentire il “professore”? Ma ci faccia il piacere. Il momento storico-politico che stiamo affrontando non è un gioco da tavolino, non è una partita a “risicò”. E’ roba vera, terribilmente vera.

nuvolarossa
10-12-05, 20:30
Val di Susa: no ai pregiudizi

Sono necessarie trasparenza e correttezza dei comportamenti politici

La vicenda TAV - Val di Susa - con i drammatici risvolti di ordine pubblico - sta facendo saltare i nervi a più di un rappresentante delle Istituzioni, mentre, al contrario, servirebbero nervi saldi e lucidità, per riportare il problema nell'alveo razionale dei processi democratici di decisione di investimenti pubblici secondo criteri e regole conformi a quelle europee. Trattandosi di un'opera di rilevanza europea, peraltro, siamo sotto i riflettori comunitari e non possiamo apparire contraddittori verso un interesse così generale, ma, nello stesso tempo, dobbiamo dimostrare di sapere ottenere i risultati usando i metodi prescritti dalle Direttive.

http://www.repubblica.it/2005/l/ARCHIVE/homepage/images/sezioni/cronaca/tav2/tav2_HM/reut_7230540_30150.jpg

Una cosa è certa: non si può far cambiare opinione in pochi giorni e con i manganelli a cittadini abbindolati per decenni da una classe politica irresponsabile, che ha fatto loro credere che sviluppo e benessere locali possono essere ottenuti senza il pedaggio del potenziamento delle infrastrutture a livello nazionale necessario per agganciare i gradi flussi europei. Innanzi tutto va chiarito che la decisione di realizzare o meno un'opera così importante sia per lo sviluppo economico che per le implicazioni ambientali, deve essere vista in un quadro di livello nazionale tenendo distinte, almeno dal punto di vista metodologico, le due questioni di fondo: a) se l'opera debba essere realizzata; b) quali condizioni debbano essere soddisfatte dal progetto perché sia le fasi della costruzione che quelle dell'utilizzo possano essere compatibili con il mantenimento delle condizioni di qualità della vita delle popolazioni direttamente interferite dall'opera stessa. Sappiamo bene che le due condizioni non sono del tutto indipendenti, ma, ai fini della trasparenza del processo logico è necessario procedere separatamente. La procedura di valutazione dell'impatto ambientale articolata in due momenti (sul progetto preliminare in una prima fase ed una successiva verifica/conferma sulla base del progetto definitivo) introdotta con la legge obiettivo risulta, da questo punto di vista, più consona a questo tipo di decisione. Infatti, quando si dispone del progetto preliminare è possibile formulare un giudizio di compatibilità ambientale complessivo dell'opera ai fini della decisione principale indicata al punto "a", ovvero verificare che il bilancio fra gli obiettivi/benefici associati all'opera e il prezzo economico e ambientale da pagare risulti a favore della realizzazione. In questa fase, inoltre, anche se non si posseggono i dettagli di un progetto definitivo, è possibile individuare tutti quegli aspetti di criticità ambientale ai quali devono essere dedicati i maggiori approfondimenti che procederanno di pari passo con quelli progettuali necessari alla redazione del progetto definitivo. Completati gli approfondimenti sulle questioni ambientali e definito il progetto che ovviamente deve farsi carico di tutti i provvedimenti necessari a eliminare rischi di carattere sanitario e minimizzare le modifiche del quadro ambientale preesistente, si procede ad una ulteriore valutazione che, quindi, ha come scopo principale, questa volta, quella di rispondere alle questioni indicate al punto "b", ovvero verificare, sulla scorta di informazioni dettagliate, che non si indurranno rischi di carattere sanitario per la popolazione e che si sia effettivamente fatto tutto quanto ragionevolmente possibile, per rendere minimi i disagi temporanei e definitivi per le popolazioni interferite direttamente e che siano state predisposte opportune misure di "compensazione". Il progetto dell'opera incriminata, che fa parte di quelli della legge obiettivo, è stato già sottoposto alla prima fase della VIA sul progetto preliminare: è emerso un parere positivo ma con una lunga serie di prescrizioni sul progetto definitivo, dettate proprio dalla evidenziazione delle problematiche di carattere ambientale richiamate anche dalla popolazione, ed in particolare la possibile presenza di amianto e di radioattività nelle rocce nelle quali si dovrà realizzare il tunnel. E' evidente che esiste, in via teorica, la possibilità che gli approfondimenti della progettazione definitiva mettano in luce l'esistenza di condizioni ambientalmente insopportabili o tali che per conseguire un livello di accettabilità, si debbano impegnare risorse finanziarie tanto ingenti da rendere non più positivo il bilancio di convenienza iniziale. Ma l'importanza dell'opera e la sua grande valenza positiva su altre componenti ambientali, come ad esempio quelle che verrebbero interessate, in mancanza dell'opera, dall'incremento di traffico su gomma che devasterebbe la valle, rendono tale possibilità del tutto teorica. Quindi è necessario procedere con grande rigore tecnico e scientifico per definire i contorni delle problematiche ambientali e configurare le soluzioni del progetto definitivo in modo da escludere qualsiasi possibilità di rischi alla salute della popolazione. Per fare questo sono necessari sondaggi esplorativi che possono essere essi stessi oggetto di preoccupazioni e per i quali, anche se la legge non lo prescriverebbe, è opportuno svolgere una preliminare valutazione ambientale.

Roma, 9 dicembre 2005

nuvolarossa
13-12-05, 16:33
http://www.opinione.it/vignette/2005_281_B.jpg

nuvolarossa
24-01-06, 21:14
Il paesaggio dell'area dello Stretto di Messina: una relazione del viceministro all'Ambiente e Tutela del Territorio Francesco Nucara/Una realizzazione problematica, un innesto in un sistema complesso: ma non si tratta di demonizzare, piuttosto di capire quali saranno i vantaggi di un'opera di questa importanza
Infrastruttura "trasversale" con tutte le sue implicazioni: politiche, economiche, sociali

Relazione su "Italia da salvare. Il paesaggio dell'area dello Stretto: via d'acqua, di commerci e cultura" (21- 22 gennaio 2006), presentata a Reggio Calabria, Sala Conferenze Amministrazione Provinciale.

di Francesco Nucara

L'istituzione delle aree marine protette ha assunto un ruolo di primaria importanza nella politica ambientale e nella pianificazione del territorio, indicando la via da percorrere nella difficile salvaguardia di ecosistemi estremamente esposti.

Tale meritevolezza di tutela non discende tuttavia solo da un fattore "quantitativo", cioè da una entità naturale da salvaguardare in proporzione della sua "entità". In realtà, la percezione della centralità del paesaggio marino non ritengo abbia necessità di un approccio matematico e, più in generale, di un approccio filtrato dalla ragione. Noi -immersi nel Mediterraneo ed affacciati sulle sue sponde- percepiamo già epidermicamente che il mare è ancora più presente nella nostra storia e nella nostra civiltà, nella nostra cultura come nella nostra economia, nel nostro genoma come nel nostro spirito assai di più che la stessa terra.

Non riusciamo ad immaginarci senza il mare.

Possiamo figurare nella mente una diversa orografia; possiamo pensarci senza la montagna alle spalle; concepirci, con la fantasia, in una pianura di nebbie: ma se proviamo ad escludere la corona di mare che accompagna le nostre coste, lo sforzo della fantasia soccombe.

Paesaggio come identità

In questo senso, il paesaggio dello Stretto è innanzitutto identità; non nel significato di identità culturale o storica: ma nella sua dimensione –ancora più originaria- di identità genica. Nei nostri geni esiste l' imprinting del paesaggio dello Stretto e dai nostri geni esso si trasmette ai nostri figli e poi ai nostri nipoti e così via.

Ma, poiché mi rendo conto che non è possibile trattare nell'ambito di un Convegno dedicato al "paesaggio dello Stretto", quest'ultimo come patrimonio genetico, sono costretto ad abbandonare tale approccio "epidermico" e "naturale" per tornare sul terreno della razionalità.

E' puramente illusorio un qualsiasi approccio alla pianificazione territoriale che prescinda –in Italia, ma ancor di più in Calabria, ma in special modo in questa Provincia– dal mare, dal paesaggio marino, dallo Stretto.

Se, insomma, è impossibile istintivamente pensarci, intuitivamente collocarci in questa terra senza lo Stretto ed il mare che lo riempie, è ancor di più inimmaginabile, sotto un profilo razionale, pensare a questo territorio "prescindendo da...". Deciderlo, cioè come una terraferma e basta: se così fosse, ogni nostra riflessione, ogni nostra pianificazione, ogni nostro approccio alla tutela ambientale, come per esempio al problema energetico, risulterebbe mutila, imperfetta, precaria.

Non riesco a pensare, ad esempio, ad uno specifico culturale di questa nostra terra che faccia a meno del mare: perché significherebbe rinnegare le stesse origini della nostra cultura, le sue sedimentazioni. Persino i paesaggi montani, gli agglomerati urbani collocati sul sopra costa, persino Montebello o Pentadattilo o Mosorrofa, risulterebbero incomprensibili –culturalmente, architettonicamente, ma anche socialmente– prescindendo dal mare e da tutto ciò che proveniva da esso e che ha plasmato l'insieme del territorio: anche l'entroterra, non solo la costa. Persino Reggio, la sua struttura, la direzione delle sue vie, la distribuzione dei suoi spazi sarebbe priva del filo d'Arianna di una comprensione isolandola dal suo mare o ignorando le onde dei maremoti.

Difficoltà di innesto

Ora –e lo affermo senza polemica– è davvero difficile far capire tutto questo a chi ci parla di Ponte. Parlo senza pregiudizio e tentando di restar fuori da ogni schiavitù ideologica: tanto di quella che, a volte, vorrebbe fermare il mondo e scendere di fretta, pur di salvarlo; quanto dell'opposta ideologia di mitizzazione, ad ogni costo, del progresso e di chi vuole, comunque, cavalcarne le "magnifiche sorti e progressive".

Il problema del Ponte è innanzitutto questo.

Non è la campata unica lunga, con i suoi 3300 metri, non sono tanto i due piloni di sostegno alti quanto le Twin Towers e grandi, alla base, 328 mila metri cubi in Sicilia e 370 mila in Calabria; non è la considerazione che gli stessi sprofonderanno per cinquanta metri nelle acque dello Stretto; e non è neanche il problema della zona rossa di rischio sismico. Ma neppure –al limite- della minaccia al biosistema dello Stretto.

Il problema è ancor più intenso e riguarda, proprio, la difficoltà di innestare, quasi con una manipolazione genetica, un piccolo segmento di DNA completamente estraneo ad una terra, ad una cultura, ad una popolazione, ad un sistema di comunicazione, ad un'idea, in breve, di territorio: prima ancora, ad un "sentire" comune di quel territorio.

Nessuno potrà anticipare, oggi, quali e quanti potranno essere i fenomeni di rigetto di questo innesto. Le manipolazioni genetiche si programmano, di solito, per superare mali endemici, patologie irrisolvibili: ma nessuno ha mai creduto –ritengo neppure gli scientisti più fanatici- che esse siano, per così dire, indolori: quale che sia l'approccio etico, nessuno azzarderebbe affermare che anche la più tenue e giustificata delle operazioni di manipolazione non abbia un costo, spesso elevatissimo.

Ora, l'approccio al problema del Ponte sullo Stretto ha la medesima intensa problematica.

Le malattie che potrebbe risolvere sono tante e troppo note, per essere ricordate: la dorsale Europa- Africa, vale a dire il futuro economico del modello europeo, passa dal Ponte; un volano economico; una nuova prospettiva di comunicazione; un nuovo assetto della geografia del Sud d'Italia e così via . Ma, proprio come capita allorquando si parla di trapianti con cellule staminali, è oltremodo ingenuo ritenere che tutto ciò non abbia costi altissimi: che, insomma, siano solo i tradizionali "costi" del progresso a dover essere pagati.

Questione di rispetto

In questo caso, c'è molto di più. C'è, innanzitutto, l'abbandono e la rassegnazione a non considerare il mare come risorsa: come recita il titolo di questo Convegno, come via d'acqua, quindi di commercio e di cultura. C'è l'abbandono di quella "quantità" rispetto alla terra emersa, la cui sola proporzione è tale da imporre una riflessione ancora più approfondita, ancora più estesa e penetrante.

C'è, soprattutto, il rischio di disconoscere ciò che il paesaggio dell'area dello Stretto ha rappresentato culturalmente, esistenzialmente, secondo quanto abbiamo detto prima.

C'è, insomma, il rischio di perdere nei confronti del mare e del paesaggio dello Stretto, il rispetto loro dovuto.

L'etimologia di "rispetto" è, in sé, (come ho scritto in altra occasione) una nobile metafora: respicere, con la particella re a sottolineare la ripetizione, valeva nella lingua dei latini a denotare indugio, quindi attenzione, considerazione. Rispetto è, allora, essenzialmente avere riguardo, nel senso innanzitutto letterale di: "guardare più volte", "soffermarsi". Complice la magia della lingua latina, questa metafora possiede il dirompente potere immaginifico proprio di ogni metafora e, al contempo, la capacità, con una sola parola, di arrivare prima al cuore che alla mente, senza il rincorrersi dei concetti, senza sovrastrutture di pensiero. Dunque: l'odierno sviluppo umano rispetta il suo attore e destinatario, cioè l'uomo stesso?

Ed è in questa prospettiva, tanto semplice nella sua formulazione quanto essenziale nei contenuti, che vogliamo ri-considerare il concetto stesso di tutela ambientale nonché (quanto abusato è, talora, il termine!) di "sostenibilità" in ordine a qualsivoglia intervento antropico. Il concetto di "sostenibilità" rappresenta, nel tempo odierno, l'orizzonte di accettabilità di qualunque problematica: ora, perché si possa considerare "sostenibile", un progetto deve assicurare -secondo una istanza eminentemente pragmatica- la "sostenibilità economica" intesa a garantire, in via generica, una produttività sufficiente per le comunità umane ed un profitto gratificante per l'operatore.

Oltre non riesco a spingermi. Non riesco, cioè, a pronunciare un "no" o un "sì" che siano solo di principio e non voglio neppure, ipocritamente, parlare d'altro, in uno scenario congressuale che – mi pare - sia stato allestito quasi esclusivamente per focalizzare, fin dal titolo oltremodo evocativo ed esplicito ("Italia da salvare: il paesaggio dello Stretto…) il problema del Ponte sullo Stretto.

Il mio intervento è sinceramente giocato sul dubbio, proprio in quanto non mi ritengo possessore di verità in tasca. Non ho la sicumera di chi vede nell'idea del Ponte comunque l'incarnazione del Male: perché mi pare una posizione fragile, ideologicamente banale, al limite della vacuità ed assai poco critica.

Ma a cosa rinunciamo?

Ma mi trovo anche a disagio in compagnia di quanti (e di chi lo ha proposto contrattualmente agli italiani e ancora prima dal candidato a premier Rutelli …) sotto un profilo non solo tecnico, ma anche più profondo, si esercitano in giaculatorie assai rassicurative. Il problema non è di tranquillizzare: il problema è di capire a cosa rinunciamo per il Ponte; di cosa –culturalmente, storicamente– siamo chiamati a fare a meno.

Per questo –e mi avvio alla conclusione del mio breve intervento, con un tocco di provocazione- se non convincono gli appelli in funzione di assicurazione, non possono esaltare o convincere neppure quelli improntati alla demonizzazione. Non mi spaventa la campata interminabile, né il tirante che si interra appena sotto Gambarie: non sono le immagini del Diavolo a mettermi paura, ma è ciò di cui mi può privare il Diavolo a farmi riflettere.

Ed allora, accanto ai progettisti del Ponte, vorrei vedere all'opera i progettisti del Mare: non difendere soltanto l'immoto splendore del paesaggio dello Stretto: che è stupefacente, ma che non è, in sé, un argomento contro il Ponte, potendo persino –e non è solo l'azzardo di un progettista– essere integrato da esso. Vorrei vedere all'opera i progettisti del Mare per capire a cosa effettivamente sono chiamato a rinunziare: quali sarebbero le effettive potenzialità di questa via d'acqua; quali potrebbero essere le infrastrutture alternative; cosa potremmo realmente immaginare per fare del mare una via di commercio; come fare autenticamente a trasformare il braccio di mare che separa il Sud d'Europa dal Nord dell'Africa da insidia mortale per i disperati che cercano la ricchezza in Occidente a via di cultura mutietnica.

Senso tecnico e politico

Non basta il progetto di un Ponte per "manipolare" geneticamente una popolazione, così non basta una protesta contro la manipolazione per vincere la malattia.

E che nessuno si azzardi a dire che non c'è malattia.

Allora, il senso di Convegni come questo è tecnico e politico assieme: per evitare che essi siano il luogo della retorica dove parole vecchie e rugose rimbombano soltanto, è necessario che l'ideologia non abbia aggio sulla riflessione e che la libertà di pensare e progettare non sia irretita da finalità ulteriori. A queste condizioni, la riflessione sul paesaggio, su quello dello Stretto, in particolare, diviene, davvero, più che un dibattito, una contemplazione condivisa.

Recita "Il grande dizionario universale del XIX secolo, 1870, di Pierre Larousse: "Esaminiamo gli stretti di mare da un punto di vista che verrà senza dubbio tacciato come fantasioso, ma che noi non esitiamo a chiamare filosofico, politico, economico e sociale". Giunto al termine dell'intervento come viceministro mi sembra doveroso esprimere il mio pensiero anche come responsabile politico del Pri e come cittadino reggino. Mi riferisco, in questo caso, alla costruzione del Ponte sullo Stretto. Mai come in questo caso il tema è trasversale nella classe politica. Questo Governo viene definito dagli ambientalisti come un governo che vuole distruggere l'ambiente e nel nostro caso il paesaggio per creare opere di regime. Non sono d'accordo, facendo parte io di questo governo e avanzando critiche in proposito sull'utilità economica di quest'opera. Devo ricordare ai convegnisti che moltissimi esponenti della cosiddetta sinistra sia nazionali che calabresi erano favorevoli alla costruzione del Ponte senza se e senza ma.

Problema trasversale

Cito a memoria: Rutelli candidato a premier nel 2001 promise che nel maggio del 2012 avrebbe inaugurato il Ponte; Marco Minniti in un convegno sul tema a Milano affermò sì al ponte "senza se e senza ma" e considerando le critiche che anche in quell'occasione avanzavo, il coordinatore della tavola rotonda ammise che aveva dubbi su chi stava al governo e chi all'opposizione; il prof. Ing. Aurelio Misiti, già presidente del Consiglio Superiore dei L.L. P.P., sponsorizza in ogni occasione la realizzazione dell'infrastruttura anche se oggi dopo aver esercitato le funzioni di assessore un una giunta regionale di centro-destra, è "passato" a sinistra; l'ex presidente della Provincia e già sindaco di Villa San Giovanni, Cosimo Antonio Calabrò si dichiarò ripetutamente a favore del Ponte e non da meno fu l'impegno profuso l'ultimo presidente della Provincia di Reggio Calabria on. Pietro Fuda quand'era presidente di una coalizione di centro-destra e recentemente "passato" a sinistra. Potrei continuare a lungo.

Il problema com'è facile evincere è trasversale. Proprio perché tanti sono i dubbi, sarebbe bene ragionarci su a cominciare dall'Università reggina.

Noi proponiamo uno studio in cui attraverso l'ecobilancio si possano valutare soluzioni compatibili con lo sviluppo economico e la conservazione dell'ambiente. E non è affatto vero che la Commissione Europea si sia attivata per l'infrazione all'Italia. La Commissione ha chiesto approfondimenti sulla Valutazione di Impatto Ambientale, che è cosa ben diversa dall'infrazione. Non vorremmo che questo problema fosse patrimonio dei radical -chic che, a pancia piena, hanno l'unica necessità di godersi il panorama. L'ambiente è davvero trasversale. Sarei curioso di sapere come si concilierà la posizione sull'eolico del presidente di Italia Nostra, On. Carlo Ripa di Meana con quella di Legambiente. Le due posizioni sono chiaramente incompatibili visto l'ostracismo culturale di Ripa di Meana sull'argomento. E allora la trasversalità è anche all'interno delle associazioni ambientaliste. Nessuno ha la verità in tasca, facciamoci guidare dalla ragione del dubbio. La verità assoluta non esiste e se davvero esistesse non è patrimonio dell'uomo.

nuvolarossa
08-02-06, 00:21
Corsi d'acqua e programmazione/Presentata a Roma un'indagine conoscitiva
Risorse idriche, porre ordine nel caos normativo

Indagine conoscitiva della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati sulla programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua presenti sul territorio nazionale; intervento del viceministro Francesco Nucara, Sala delle Colonne di Palazzo Marini, Roma, 7 febbraio 2006. Al convegno hanno partecipato: On. Pietro Armani, Presidente Commissione Ambiente; Prof. Bernardo De Bernardinis, Dipartimento Protezione Civile - Responsabile Ufficio Pianificazione e Prevenzione dei Rischi; On. Egidio Banti, Margherita; Avv. Anna Maria Martuccelli, Direttore Generale ANBI; Ing. Giuseppe D'Occhio, Segretario Generale Autorità Bacino Volturno; Dr. Michele Presbitero, Segretario Generale Autorità Bacino Po; Prof. Giovanni Menduni, Segretario Generale Autorità Bacino Arno; Dr. Francesco Puma, Dirigente tecnico Autorità Bacino Po.

di Francesco Nucara

In genere l'opinione pubblica è orientata a pensare che le indagini conoscitive del Parlamento non servano a molto, quando addirittura non siano un'inutile perdita di tempo. Non siamo d'accordo su quest'opinione, e questa "indagine conoscitiva sulla programmazione delle opere idrauliche relative ai corsi d'acqua presenti sul territorio nazionale" ne è una lapalissiana smentita.

La relazione conclusiva della Commissione pone l'accento su tre temi fondamentali per una puntuale conoscenza dei problemi afferenti la questione in esame:

i problemi giuridico-legislativi;

i problemi di pianificazione;

alcuni problemi singolari che con il metodo induttivo ci portano a delineare un quadro generale delle sistemazioni idrauliche nel nostro Paese.

Il primo aspetto è stato già affrontato con il Testo Unico dell'Ambiente che razionalizza e semplifica il quadro normativo con l'integrale recepimento della direttiva 2000/60/CE che prevede l'istituzione dei distretti idrografici e delle Autorità di bacino distrettuali.

Il secondo tema riguarda la pianificazione e più avanti parleremo dello stato dei Piani di Assetto Idrogeologico in tutta Italia.

Il terzo aspetto che viene largamente illustrato nella relazione della commissione, serve a delineare un quadro di tutta la problematica che partendo da casi specifici con il metodo induttivo, spesso applicato in sociologia, ci consente di avere un quadro più generale della problematica di cui oggi discutiamo.

Non so se Governo e Parlamento devono fare un'autocritica per essere arrivati a fine legislatura ad affrontare un problema che angustia gli italiani già dallo Stato unitario. Certo con il tempo si sono diversificati i problemi e diverse sono le soluzioni. Non abbiamo in Italia le alluvioni devastanti degli anni '50 ma abbiamo interi comuni che franano, acque per usi civili contaminate, spiagge che si ritirano, ecc. Vediamo di capire perché e di indicare qualche soluzione con l'idea che qualunque prospettiva sarà patrimonio, nel bene e nel male, della prossima legislatura.

Un programma di governo del territorio non è ipotizzabile prescindendo da una conoscenza approfondita del suo stato. L'Italia, per la sua configurazione geomorfologica e strutturale e l'elevato grado di antropizzazione, presenta una rilevante esposizione al rischio da fenomeni di dissesto idrogeologico.

Un fattore determinante è stata sicuramente l'espansione urbana e periurbana postbellica, sviluppatasi senza porre la necessaria attenzione ai caratteri del territorio e dell'ambiente nella loro complessità e nella loro specificità. Tale impostazione determina oggi elevatissimi oneri per la collettività che si manifestano in devastazioni di interi territori, nel degrado della qualità ambientale e nel ripetersi di eventi le cui conseguenze mettono a repentaglio, a volte, anche la vita umana.

In questo contesto, è forse il caso di elaborare nuove parole d'ordine che partano dal presupposto che non è possibile continuare a inseguire le emergenze e compensare i danni a pie' di lista. In questo modo sarà sempre più ristretto lo spazio per politiche pubbliche virtuose, in grado di incentivare lo sviluppo in un quadro di valorizzazione dell'ambiente.

Anche l'Unione Europea recentemente ha cominciato a porre la dovuta attenzione ai temi della protezione del suolo, poiché il problema del dissesto idrogeologico è rilevante non solo per il nostro Paese, ma anche per i grandi Paesi dell'Unione Europea.

In Italia la riorganizzazione operata dal Parlamento, con il trasferimento delle competenze in materia di difesa del suolo al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, ha di fatto impresso un forte impulso a tutte le attività di pianificazione e programmazione nell'ambito dei bacini idrografici.

Il territorio italiano risulta, infatti, oggi quasi completamente coperto dalla pianificazione stralcio di bacino per l'Assetto Idrogeologico con:

16 PAI approvati;

5 PAI adottati;

13 progetti di PAI adottati;

2 progetti di PAI predisposti;

2 in corso di predisposizione.

Dall'analisi dei PAI emerge che sono oltre 500.000 le situazioni di criticità idrogeologica, cui si aggiungono gli 800 km di tratti fluviali sul fiume Po che devono ancora essere dotati di argini.

Più di 6300 comuni risultano interessati da aree a rischio elevato di frana e alluvione per una superficie complessiva pari a circa il 10% del territorio nazionale.

Tale situazione è stata certamente aggravata anche dalla presenza di un quadro normativo frammentario e confuso che ha reso difficile l'individuazione precisa delle competenze e ancora di più la gestione organizzata e programmata del territorio e delle sue risorse.

Il sistema di gestione proposto per la difesa del suolo nel cosiddetto "Testo Unico dell'ambiente" cerca di risolvere questo aspetto, valorizzando il ruolo dello Stato quale unico soggetto in grado di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate, nonché di armonizzare criteri, contenuti, modalità di approvazione, di applicazione e di aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione.

Per la messa in sicurezza del paese, nei PAI vengono individuati più di 11.000 interventi ed un fabbisogno complessivo di circa 40 miliardi di euro.

A fronte di tale fabbisogno i finanziamenti erogati fino ad oggi ai sensi della Legge 183/89, del DL 180/98 e attraverso Fondi CIPE sono quantizzabili in quasi 4,7 miliardi di euro per più di 7000 interventi.

L'inadeguatezza delle risorse economiche disponibili evidenzia come sia necessario che la riduzione del rischio sia perseguita con un'azione integrata che preveda sia la realizzazione di interventi strutturali preventivi, che un uso del suolo adeguato alle caratteristiche geomorfologiche dei bacini idrografici in grado di non aggravare e, anzi, di migliorare l'assetto idrogeologico del territorio.

Un ruolo fondamentale nella prevenzione del dissesto idrogeologico è sicuramente svolto dalla manutenzione ordinaria del territorio collinare e montano, che purtroppo non viene più attuata come un tempo.

Questo ha favorito l'incremento del dissesto idrogeologico sui versanti, con forti ripercussioni sulla pianura, la quale risulta direttamente influenzata dall'assetto del territorio collinare e montano.

Pensare ad un programma di interventi di manutenzione diffusi sul territorio per la prevenzione del rischio idrogeologico presenta come vantaggio:

la diminuzione degli interventi strutturali in quanto gli interventi estensivi ed intensivi diffusi nella parte superiore del bacino contrastano il fenomeno erosivo all'origine;

il miglioramento dell'efficienza delle sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali, con la riqualificazione di un patrimonio esistente ormai inserito nel contesto socio-economico e paesaggistico del territorio;

la riqualificazione ambientale delle aree in erosione, ottenuta utilizzando tecniche di ingegneria naturalistica e la rinaturazione dei territori con l'aumento della biodiversità;

la riduzione dell'effetto serra attraverso gli interventi di rivegetazione dei versanti, per la CO2 immagazzinata nella biomassa;

il miglioramento delle condizioni socioeconomiche delle aree interne della montagna e della collina con la realizzazione di nuovi posti di lavoro.

Allo stesso tempo vanno presi in considerazione anche gli interventi non strutturali come la delocalizzazione degli abitati a rischio e l'adozione di misure di salvaguardia nelle aree più vulnerabili, per non incrementare i livelli di rischio esistenti.

Per assicurare una adeguata qualità della vita a tutti i cittadini e investire per il benessere delle future generazioni è necessario, in conclusione, promuovere uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e contemporaneamente raggiungere un elevato livello di protezione dell'ambiente migliorandone anche il suo stato, in linea con gli obiettivi fondamentali dell'Unione Europea.

nuvolarossa
08-02-06, 00:47
La meglio gioventù

C'è chi sa opporsi alle prevaricazioni degli estremisti. Mentre si estende il contenzioso fra chi vuole la Tav e chi vuole incoraggiare la protesta, in una condizione che rappresenta perfettamente la paralisi in cui si troverà la società italiana nel caso di vittoria del centrosinistra, vi sono cittadini che si rimboccano le maniche anche con coraggio. L'esempio lo ha dato un imprenditore di Bussoleno, Giovanni Marcon, che ha fermato l'ultima protesta dei No Tav, i quali avevano bloccato il passaggio della fiaccola olimpica a Torino. A sua volta Marcon, da solo, li ha sfidati, bloccando la loro manifestazione. Ci sono dei cittadini che sanno farsi sentire e non si lasciano intimidire. E' un invito che rivolgiamo ai giovani in particolare, quello di difendere una manifestazione voluta proprio dagli italiani e che un gruppo di esagitati tenta di bloccare. Contestare lo sport, di cui le Olimpiadi, con tutti i loro problemi, rappresentano l'essenza, significa dare uno schiaffo allo stesso futuro dei giovani.

http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/cronaca/fiacbloc/fiaccolatav/ansa_7523614_46480.jpg

Il caso di Marcon ricorda, con le debite proporzioni, Luigi Arisio e i quadri Fiat autoconvocati. Chi minaccia il livello di produttività, oltre una certa soglia, subisce una reazione capace di spazzarlo via. Tutti questi nostri rivoluzionari da strapazzo si sono dimenticati che le rivoluzioni funzionano dove non c'è un sistema capitalistico avanzato, dove l'economia non è sviluppata.

Possiamo stare certi che, come a Torino nell'autunno del 1980, vedremo altri quarantamila cittadini alla Marcon pronti a difendere il progresso di una società. Su questo bisogna che l'elettorato rifletta, ed anche il centrosinistra, che vive una contraddizione profonda e sinceramente non sembra troppo interessato a risolverla. L'Unione potrà anche vincere le elezioni tenendo basso il tono del conflitto interno, ma su questa base, poi, di sicuro non governerà il paese. Infine l'onorevole Fassino ha il pieno diritto di ritenere che comunque sia già talmente scontata la vittoria della sua coalizione che tutto il resto dei problemi si affronterà con la debita calma.

Invidiamo la sua flemma, anche perché non ha dato egli in passato prova di particolare lungimiranza sulle capacità di scelta delle masse. Noi ce lo ricordiamo ancora a Torino quando picchettava i cancelli del Lingotto e sfidò Arisio: "Ci conteremo", disse Fassino. E così in effetti fu. Ma le masse scelsero Arisio, non quelli che, come l'onorevole Fassino, volevano mettere in ginocchio la Fiat.

Roma, 7 febbraio 2006
....................................
tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
13-02-06, 20:05
TAV/ VOCE REPUBBLICANA:NELL'UNIONE OGNUNO LA PENSA COME VUOLE
Per sapere cosa faranno bisogna rivolgersi a Oracolo di Delfi

Roma, 13 feb. (Apcom) - Sulla Tav la formulazione programmatica scelta dal centrosinistra non è sufficientemente "esplicita", come dice l'onorevole Fassino, "così ognuno, nell'Unione, la pensa come vuole". E' quanto si legge sulla Voce Repubblicana, il quotidiano del Pri.

Per cui, è scritto, se mai "volessimo sapere cosa poi farà veramente il centrosinistra al governo possiamo giusto rivolgerci all'oracolo di Delfi. La Pizia ci dirà cosa mai accadrà con il governo dell'Unione, se vincesse le elezioni".

Per la voce repubblicana, infatti, "il programma del centrosinistra è un guazzabuglio indistinto in cui si agita tutto ed il suo opposto che supera davvero ogni immaginazione. A confronto appare di buon senso il centrosinistra del '96 che ritenne di fare solo un accordo elettorale con Rifondazione comunista per limitare i contrasti".

"Ma se si pensa di superare le contraddizioni ed i rischi delle stesse con un programma tanto confuso che rende possibile tutte le opzioni contese senza escluderne mai una, - è la conclusione - l'illusione del centrosinista si dimostrerà catastrofica. Fortunatamente ciò è talmente evidente che anche l'elettorato più distratto non potrà che accorgersene".

nuvolarossa
13-02-06, 20:34
Coloro che contestano la fiaccola Robin/Hood fastidiosi che non vuole più nessuno
Dire no al capitalismo e restare indietro col tempo

di Giulio Tartaglia*

Torino 2006. Città di grandi aspettative per l'Italia e per il mondo; città ospitante le olimpiadi invernali. Ma, come ogni evento che pacificamente riunisce il globo, entrano in scena i no-global. Ovvero coloro che di mondo non ne vogliono sapere. Ardenti difensori dell'anti-progressismo, da Seattle, come a Genova, fino ad oggi, hanno affinato la loro tecnica di protesta. Se prima si assaltavano, distruggendole, le camionette blindate delle forze dell'ordine, oltre che le vetrine dei negozi e le macchine dei malcapitati, in "segno di pace" (chi può dire che non sia così), adesso è lecito malmenare il tedoforo portatore della fiaccola olimpica in difesa della libertà. Una volta era una figura sacra agli Dei come per gli uomini, ora è un poveraccio che le prende di santa ragione: eh sì, i tempi cambiano.

Che dire: come sempre la coerenza no-global è quanto mai sconcertante. "Cialtronesca" per Rutelli; "nichilista" la definisce Chiamparino.

Con l'arrivo, poi, della fiaccola olimpica in Bassa Val di Susa i no-global si sono affiancati alla comunità locale protestante contro il Tav. Il tedoforo, accompagnato da giornalisti e fotografi, sponsorizzato dalla Coca-Cola, in questo momento particolare per l'umanità ha gli occhi del mondo puntati addosso. Dall'Olimpia dell'era della mitologia, i giochi erano un'occasione per manifestare lo spirito e la forza di ogni popolo, in competizione ed in pace. Ma con la Coca-Cola la situazione cambia. È un occasione in più per i no-global per farsi della pubblicità gratuita e oltraggiosa. Il problema in fin dei conti è sempre lo stesso. Ovunque una multinazionale o gli Usa giochino un ruolo, anche se marginale, il no-global è presente contro il ricco e in difesa del povero. Il ricco della fiaba, noto ai più come zio Sam, dalla sua Casa Bianca, giorno dopo giorno, si sforza di rappacificare il mondo, esportando democrazia e dando ampio spazio ai suoi collaboratori per poter insediare una minima forza economica. I collaboratori, le multinazionali, sono le corporation, il capitalismo economico del nostro secolo. Sono organizzazioni impersonali con fatturati da capogiro, ma sono le uniche che possono, e fanno, qualcosa nel Terzo mondo. Vedasi l'India, che gradualmente, con l'incremento dell'investimento multinazionale, è una delle più grandi economie cibernetiche del globo, e oramai una seria minaccia all'economia pesante e lenta della nostra cara vecchia Europa. Se lo zio Sam e i suoi non tanto piccoli aiutanti non ci fossero, i bambini, e non solo loro, del Terzo mondo sarebbero costretti alla fame, alla strada, alla prostituzione. I Robin Hood della questione, ignoranti di quanto veramente accada nel mondo, si impuntano su moralità e visioni che per un europeo, con secoli di storia e filosofia democratica alle spalle, può sembrare coerente. Ma in un mondo arabo, indocinese o africano che sia, senza la stessa storia, la stessa filosofia e la stessa cultura, il paragone non regge.

Con l'assalto al tedoforo i no-global, una volta di più, hanno dimostrato di essere degli sprovveduti Robin Hood oltremodo fastidiosi ed obsoleti: che non vuole più nessuno.

*Fgr

nuvolarossa
14-02-06, 19:01
http://www.opinione.it/vignette/2006_31_B.jpg

nuvolarossa
14-02-06, 23:43
http://www.ilgiulivo.com/blog/wp-content/notavor.jpg

nuvolarossa
15-02-06, 01:01
http://img150.imageshack.us/img150/8420/discesalibera0yq.jpg

nuvolarossa
07-03-06, 20:56
Sostenibilità ambientale/Il nuovo e più delicato compito richiesto al laureato in Agraria
Professionista in equilibrio fra consumo e risorse

"Strategie d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile. Il ruolo del laureato delle Facoltà di Agraria": questo il tema di un convegno a Reggio Calabria cui ha partecipato il segretario nazionale del Pri. Riproduciamo l'intervento pronunziato ieri.

di Francesco Nucara

Nel 1992, la Conferenza di Rio de Janeiro dedicata ad "Ambiente e Sviluppo", sanciva definitivamente l'introduzione del principio secondo il quale la tutela dell'ambiente diveniva parte integrante del processo di sviluppo: da quel momento ogni crescita economica che comportasse il progressivo deterioramento delle risorse naturali non rinnovabili, diveniva "in sé" insostenibile. Cosa significa, in parole assai semplici, tutto ciò?

Che la tutela ambientale non è una variabile indipendente dello sviluppo ed, anzi, ne costituisce il presupposto. Significa ancora che, quando si parla di sviluppo, esso non può che essere – necessariamente, inevitabilmente – sostenibile, non potendosi concepire uno sviluppo che non sia, al tempo stesso, tutelante.

In parole più semplici ancora: se con lo sviluppo non si consegue, quantomeno, il non deterioramento delle risorse, non si può parlare di sviluppo, alla luce dei principi affermati a Rio e successivamente, ma siamo in presenza di fenomeni diversi.

E' importante ribadire questi principi affrontando un tema che riguarda la relazione di una professione (quella del laureato nelle facoltà di agraria), di un percorso di formazione (quello delle facoltà di agraria) con lo sviluppo sostenibile. Il senso di tale relazione è plausibile solo a condizione che ne siano chiari i termini di raffronto e che, su di essi, non vi siano equivoci. Ora, il mio ruolo istituzionale mi porta, ovviamente, ad analizzare compiutamente soprattutto l'estremo della correlazione costituito dallo "sviluppo sostenibile", mentre altri, con maggiori competenze specifiche rispetto a quelle da me possedute (penso, ad esempio, al Preside Prof. Fichera) diranno assai meglio dell'altro termine, il laureato delle facoltà di agraria, anche se non rinuncerò ad esprimere qualche idea in proposito.

Dunque, la prima focalizzazione riguarda la nozione di sviluppo sostenibile o, per meglio dire, di sviluppo tout court in agricoltura.

In via di generale definizione, è insostenibile ogni comportamento dell'uomo che trasgredisca alle regole proprie di ciascun ecosistema: cioè ogni azione che abbatte la soglia della "capacità di carico" del sistema stesso ovvero della possibilità che esso possiede di sopportare –sino alla irreversibilità- la pressione delle attività umane. Direi allora che la prima consapevolezza da acquisire è proprio questa: aver chiara la rappresentazione di questo meccanismo, in forza del quale ogni settore ambientale pone dei limiti alla possibilità di intervento umano; ma anche che ogni intervento umano non può, per ciò stesso, risultare veramente indifferente. Eppure, a dominare è ancora l'indifferenza con la quale si stimano, ad esempio, i rapporti tra agricoltura e ambiente, laddove la congiunzione esprime distanza, assenza di relazione, se non addirittura contrapposizione, quasi che l'agricoltura fosse comunque pregiudizio all'ambiente.

Ma se la congiunzione si trasforma in verbo, nel senso di affermare che Agricoltura è Ambiente, questo luogo comune (che vuole Agricoltura ed Ambiente abitare mondi estranei, quando non incompatibili) si dissolve.

Asserendo, insomma, che Agricoltura è Ambiente, si vuole evidenziare un legame profondo tra i due termini, i cui rapporti sono, contrariamente a quanto talvolta si pensa, assai profondi e plausibili, nel senso che l'agricoltura è un termometro piuttosto sensibile dello stato di salute dell'ambiente e, come tale, va considerato. E proprio in siffatta ottica privilegiata desidero inserire la mia riflessione, che, in questa sede, vuole esprimere il ruolo del Ministero dell'Ambiente nelle sue variegate interrelazioni tanto con le politiche agricole, quanto con l'altro versante che è la (prioritaria) salvaguardia della salute umana. Proprio alla luce del concetto minimo di "sostenibilità", sopra evidenziato, perché si possa considerare "sostenibile", l'agricoltura deve assicurare, innanzitutto, la "sostenibilità per la salute umana", vale a dire, al minimo, un non deterioramento di essa nel suo aspetto sociale. Ciò, tradotto in termini concreti, significa requisiti di sicurezza essenziali per gli operatori e livelli igienico-sanitari ineccepibili per i consumatori.

Tale primo assunto pone un primo punto fermo della relazione. A differenza del passato –o, quantomeno, più intensamente che nel passato– il ruolo del dottore agronomo è un ruolo di sicurezza sociale.

Questo, a mio avviso, muta profondamente il solco tradizionale di una professione e, inevitabilmente, i percorsi di formazione per pervenire ad essa. L'odierna società civile vive la contraddizione –che, secondo Ralf Dahrendorf, è una delle quattro virtù dell'intellettuale– della globalizzazione, accogliendone i benefici, ma rifiutandone i pericoli: per questo il tema della sicurezza globale è divenuto, nell'incertezza dei tempi, un nervo scoperto delle società tecnologiche. In particolare, la sicurezza per la salute, ancor di più rispetto a quella dell'integrità fisica, viene vissuta collettivamente quasi in dimensione fobica o sovente irrazionale: ad esempio, sappiamo tutti che il virus dell'aviaria non sopravvive alle temperature superiori ai 70°, eppure il mercato avicolo è in ginocchio, quasi che in passato ci siamo nutriti di pollo crudo oggi non commestibile. E così via. In questa logica della dinamica paura/sicurezza collettiva è indispensabile che la seconda sia recuperata superando, con sistematicità e stabilmente, il periodico insorgere della prima. Proprio per questo, il primo attributo di sostenibilità dello sviluppo in agricoltura –pena la scomparsa stessa del settore agricolo, come oggi sta accadendo per quello avicolo– è rintracciabile nella sicurezza che è in grado di garantire ad operatori e consumatori.

In ciò, io vedo un fondamentale ruolo di mediazione del laureato delle facoltà agrarie. La sostenibilità in termini di "sicurezza sociale del prodotto" non significa che il grande gruppo di settore debba investire milioni di euro in campagne pubblicitarie per "rassicurare" i suoi consumatori: queste rassicurazioni somigliano a quelle etichette dei supermercati in cui, agitando lo spettro degli ogm, si pospone la magica paroletta free e l'incantesimo è realizzato. Viceversa, il ruolo di sicurezza in agricoltura a cui penso è un ruolo di essenziale "componimento" di esigenze contrapposte, da parte di un laureato formato a questo compito, di (integrazione di) istanze di progresso e tradizione, di novità sperimentale e di paure sociali. In questo senso è un ruolo culturale, perché è un ruolo di notevole mediazione sociale: non basta più la competenza tecnica per lo sviluppo sostenibile in agricoltura, occorre altro.

Mediazione culturale

Occorre, precisamente, che questa competenza sia spesa in termini di intercessione culturale tra le esigenze del progresso e le ragioni dei consumatori: che, in breve, la sicurezza non sia uno spot, come sembra (un po' a tutti i livelli, per vero…) accadere oggi in questo Paese, ma divenga un aspetto non secondario di una professione ed una finalità non secondaria di un percorso formativo.

In seconda istanza, la sostenibilità è, propriamente, "sostenibilità economica" in quanto volta ad assicurare, per dirla con il professor Sequi, "una produttività sufficiente per le comunità umane ed un profitto gratificante per l'agricoltore".

Si dirà: la variabile economica è vecchia quanto il mondo e non si scopre certamente oggi che la sostenibilità economica debba essere un presupposto indefettibile di uno sviluppo sostenibile. Vero. Ma oggi la sostenibilità economica assume, proprio in relazione all'esigenza basilare della sicurezza, un valore assai diverso rispetto al passato. Perché, fondamentalmente, essa va intesa non già, come avveniva una volta, quale indice del profitto di impresa, più o meno variabile, più o meno comprimibile anche in ragione di contingenze economiche e storiche. Sostenibilità economica significa, oggi, produttività sufficientemente sicura e dunque costo economico della sicurezza sociale che si persegue: oltre che, naturalmente, gratificazione economica dell'agricoltore. Ma significa, anche, eliminazione di pregiudizi diffusi.

Le solite colpe

Più precisamente, non si può continuare a ritenere - frutto esclusivo di preconcetto ideologico, ormai peraltro demodé - che le attività produttive siano sempre e comunque la causa dei problemi ambientali; o che le infrastrutture, i trasporti, l'agricoltura non biologica, l'energia, siano tutti fattori che, rispetto all'ambiente, rechino il segno negativo davanti. Eppure, credo che nessuno dubiti, ad esempio, che realizzare il passante di Mestre o effettuare il nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (per citare solo due tra le diciotto opere previste dalla Legge Obiettivo) sia tutt'altro che un insulto ambientale. Provate a chiedere a chi è in coda per quattro ore dietro ai tir per entrare a Venezia, respirando, anzi, inalando solo polveri pesanti cosa pensi del passante di Mestre e se un'opera del genere riesca a coniugare l'"economicamente efficiente" con l'"ambientalmente sano".

Anche in tale prospettiva muta –e di molto, rispetto al passato- il ruolo del laureato in agricoltura. Ed anche in tal caso, tale ruolo è progressivamente spinto verso un ulteriore profilo di mediazione: questa volta, tra mondo imprenditoriale e platea dei consumatori.

Il primo deve essere persuaso che il profilo della qualità realizzata (e non solo promessa) è –e non può non essere- un obiettivo produttivo, più importante dello stesso prodotto, nella sua materialità. Gli altri, i consumatori, devono comprendere che la sicurezza sociale ha anche un costo economico –e dunque sociale- e che chi promette qualità assoluta, sicurezza dei prodotti, agricoltura bio e simili sopporta costi non indifferenti, affinché tutto ciò non divenga un facile slogan. Infine, terza condizione –sostanziale, quanto connessa alle precedenti - è quella che delinea la "sostenibilità delle risorse" e si propone la tutela della conservazione delle risorse naturali impiegate: suolo, aria, acqua. Non esiste delimitazione temporale della conservazione delle risorse: non vi è, quindi, limitazione della durata della produttività.

Tre parametri, dunque, imprescindibili per la definizione di una sostenibilità multifunzionale. Ma, proprio perché sfaccettata, l'agricoltura moderna è come se viaggiasse in compagnia, perenne, di un convitato di pietra.

Esso è costituito dalla "coscienza infelice" dell'odierna tecnologia e della sua rapidissima evoluzione, con il rischio che i flussi di emotività collettiva prevalgano sulla razionalità delle scelte.

Qui si apre il discorso sulle famigerate biotecnologie verdi e sugli ogm: ed è questo un imprescindibile assetto di collaudo, per il prossimo futuro, del ruolo del laureato nelle facoltà di agraria. In proposito, giova innanzitutto sottolineare che, a fronte di tale complessità, non esiste certamente un approccio agli articolati problemi dell'agricoltura in grado di garantire soluzioni comunque efficaci e definitive: la via più sicura da percorrere per realizzare un'agricoltura sostenibile, attenta alle necessità dell'uomo ed al contempo rispettosa della salvaguardia dell'ambiente, va individuata nell'utilizzazione corretta e trasparente di tutti gli strumenti che la ricerca mette a disposizione. Si vuole dire, molto semplicemente, che le biotecnologie vegetali non vanno considerate in contrapposizione, ovvero alternative, alle metodologie tradizionali di miglioramento genetico delle piante, bensì come un'irrinunciabile integrazione di queste.

Faziosità e approssimazione

La faziosità e l'approssimazione che caratterizzano l'informazione in materia sono grandemente responsabili dell'ossessione dell' "Ogm-free" e dell'atteggiamento particolarmente negativo da parte dell'utenza.

In effetti, di questo si tratta: stabilire, con un discrimine di ragionevole certezza, il vero e il falso della produzione geneticamente modificata e, dunque, applicare -con rigore, ma anche razionalmente e, quindi, oltre ogni sussulto puramente emotivo- i criteri di sostenibilità sopra enunciati.

Dunque, la sfida del futuro riguarda, per questa professione, il farsi interpreti di uno sviluppo che, per risultare sostenibile, si profili come economicamente efficiente, ma anche politicamente democratico; socialmente sicuro, ma anche ambientalmente sano.

In queste apparenti antinomie – tali, si badi, appunto solo all'apparenza – si spende il valore professionale di un ruolo, quello del laureato in agricoltura, che rammenta, in un mondo proiettato sempre più verso la tecnica dell'industria, l'importanza del mondo agricolo e rurale.

In questa amnesia collettiva, dimentichiamo, spesso, che le zone rurali coprono il 90% della superficie dell'Unione europea e coinvolgono circa il 50% della sua popolazione.

L'agricoltura e la silvicoltura sono le principali "utilizzatrici" dei suoli e rivestono estrema rilevanza nella gestione delle risorse naturali e nella misura in cui esse plasmano il paesaggio. Il contributo globale dell'agricoltura alla prosperità dell'Unione europea è considerevole: il settore agroalimentare europeo rappresenta ben il 14,7% della produzione industriale dell'Ue per un valore totale pari a 792 miliardi di euro.

Un'agricoltura europea sostenibile è il mezzo tramite il quale potremo garantire alle generazioni future la fruibilità del patrimonio ambientale e delle risorse naturali uniche dell'Europa, nella stessa misura in cui ne usufruiamo noi oggi.

Tre sfide

Tuttavia, realizzare la sostenibilità significa affrontare almeno tre sfide, all'apparenza l'una più improba dell'altra. La prima, è naturalmente una sfida economica, laddove occorre aumentare la redditività e la competitività del settore agricolo; la seconda è una sfida sociale e consiste nel fornire alle zone rurali possibilità di sviluppo economico e di miglioramento delle condizioni di vita; la terza, infine, è la sfida ecologica concernente la promozione delle buone pratiche ambientali nonché la creazione di servizi per la conservazione degli habitat, della biodiversità e del paesaggio.

Ora, su ciascuna di queste sfide è chiamato a misurarsi il dottore agronomo: egli è chiamato a modernizzare la concezione stessa della propria professione, a ripensarsi in un tutto tondo che non limiti l'approccio professionale ad un mero nozionismo tecnico di cui la stessa agricoltura non ha più necessità. Ma una produzione agricola sostenibile deve tener conto altresì degli interessi e delle preoccupazioni dei consumatori, in particolare per quanto riguarda la qualità e la sicurezza dei prodotti agricoli ed i metodi di produzione tradizionali e biologici. E qui io suggerirei -rispetto a quanto indicato dalla stessa Unione europea- di riservare una attenzione meno preconcetta al settore agrobiotecnologico.

Nata cinquant'anni fa, quando i membri fondatori della Comunità europea erano appena usciti da un decennio di penuria alimentare, la politica agricola comunitaria, la Pac, esordì sovvenzionando la produzione di derrate alimentari di base, nell'intento di raggiungere l'autosufficienza.

La Pac odierna, invece, privilegia un sistema di pagamenti diretti agli agricoltori, considerato il miglior modo per garantire i redditi agricoli, la sicurezza e la qualità degli alimenti e una produzione ecologicamente sostenibile.

Questo approccio favorisce il riconoscimento del ruolo che gli agricoltori e tutti gli operatori del settore, in genere, sono chiamati a svolgere per migliorare la qualità, preservare la biodiversità e i paesaggi tradizionali e mantenere in vita l'economia rurale. Secondo questa concezione, il denaro viene speso là dove ve n'è più bisogno, i consumatori possono disporre di alimenti sani a prezzi convenienti e le tasse pagate dai contribuenti europei vengono fatte fruttare meglio.

Nuove parole d'ordine

Lo scopo della politica agricola comune è di garantire agli agricoltori un congruo tenore di vita e ai consumatori alimenti di qualità a prezzi equi. Sicurezza alimentare, salvaguardia dell'ambiente rurale e redditività sono diventate le nuove parole d'ordine.

Esse possono essere coniugate, tra loro, innanzitutto, istituendo misure destinate ad aumentare la compatibilità ambientale della produzione agricola (ad esempio mediante investimenti riguardanti metodi di produzione ecocompatibili o la promozione dell'estensivizzazione) e, in secondo luogo, predisponendo misure che garantiscano il ruolo degli agricoltori nell'ambito della tutela dei paesaggi, della conservazione della biodiversità e della ricchezza dell'ambiente naturale.

Ma, soprattutto, la strategia agroambientale comunitaria esige nuovi protagonisti e moderni interpreti: in ciò si gioca gran parte del futuro dell'agricoltura nel nostro Vecchio Continente.

Ignorare tutto ciò o, peggio, disconoscerlo, è già un modo per disertare da un concreto impegno a difesa dell'ambiente: peggio, è uno dei modi in cui si consuma il tradimento dei chierici.

nuvolarossa
28-03-06, 19:40
Metodologie per la difesa del suolo/Nucara a due convegni: Reggio Calabria e Potenza
Sinergie per il territorio fra centro e enti locali

Francesco Nucara partecipa, oggi e domani, a due giornate di studio, rispettivamente a Reggio Calabria (Amministrazione provinciale, Piazza Italia) e Potenza (Università di Basilicata, facoltà di Agraria). Presentiamo di seguito alcuni aspetti del convegno. L'organizzazione è stata curata da Astrambiente.

"Metodologie e buone pratiche per la difesa del suolo" è il titolo –nonché l'egida- all'insegna del quale sono state organizzate dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, due importanti giornate di studio. I convegni si svolgeranno oggi, 29 marzo, a Reggio Calabria, presso la sede dell'Amministrazione Provinciale e domani, 30 marzo, a Potenza, presso la facoltà di Agraria dell'Università di Basilicata. Tema centrale degli incontri sono l'attività di programmazione e le dinamiche poste in essere in forza del Progetto Operativo Difesa Suolo, il Podis.

Le competenze nel sistema della difesa del suolo risultano essenzialmente dall'originario dettato normativo della legge n. 183 del 1989, recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo". Su questo schema si è sovrapposto il decreto legislativo n. 300 del 1999 che attribuisce le competenze in tema di difesa del suolo al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio ed all'APAT, l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici. E' questo, nelle linee generali, il quadro legislativo che accoglie gli interventi nel settore. In particolare, la Direzione Generale Difesa Suolo del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, attraverso il Podis, finanziato dal Quadro comunitario di Sostegno nell'ambito della programmazione 2000/2006, svolge attività di supporto alle Regioni comprese nell'Obiettivo 1, per la realizzazione delle misure previste nei corrispondenti Programmi Operativi Regionali.

Il Quadro comunitario di sostegno è il documento approvato dalla Commissione previa valutazione del piano presentato da uno Stato membro e contenente la strategia e le priorità d'azione dei Fondi strutturali e dello Stato membro, i relativi obiettivi specifici, la partecipazione dei Fondi e le altre risorse finanziarie. Al fine di garantire una maggiore efficacia della dotazione finanziaria, gli obiettivi sono ridotti a tre, di cui due regionali ed uno orizzontale. Così, l'Obiettivo 1 promuove la crescita e l'adeguamento strutturale delle Regioni che presentano ritardi nello sviluppo; per l'Italia le Regioni alle quali si applica l'Obiettivo 1 sono Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Sicilia e Sardegna. L'organizzazione attraverso la quale il Podis espleta la funzione di "strumento" istituzionale, comprende innanzitutto una struttura centrale di coordinamento cui afferisce una rete di unità locali gestite da esperti ai quali spetta il compito di erogare l'assistenza tecnica e l'ausilio operativo richiesti dagli Enti locali. Tale attività trova ideale esemplificazione in due pregevoli volumi dedicati alla illustrazione della organizzazione sul territorio del Podis, nonché delle modalità tecnico-operative che sottendono gli interventi pianificati. La presentazione e, soprattutto, la condivisione con le strutture regionali delle due importanti pubblicazioni, sono oggetto di una serie di Seminari – tra cui quelli in corso a Reggio Calabria ed a Potenza- promossi dal Ministero dell'Ambiente ed animati dagli Autori stessi dei libri. Questa iniziativa è formulata in ossequio a quanto contemplato dalle attività del Podis la cui unità centrale di coordinamento mette a disposizione delle Regioni manuali tecnici e linee guida idonee a suggerire metodologie efficaci nonché ad offrire esperienze consolidate cui riferirsi per affrontare le problematiche più disparate. Dalla idrogeologia alla geotecnica, dalla difesa delle coste e dei litorali alla ingegneria naturalistica, sino agli aspetti tecnico-amministrativi correlati a queste tematiche. Il primo dei volumi presentati ai due Seminari concerne la "Difesa e salvaguardia dei litorali" ed offre una analisi delle caratteristiche meteo-marine a largo e a riva ed una valutazione dei processi evolutivi costieri. Il secondo volume consiste, invece, in un vero e proprio manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica. Si tratta di testi che, sebbene destinati agli operatori di settore, non mancheranno di coinvolgere l'interesse della Pubblica Amministrazione.

nuvolarossa
30-03-06, 19:41
Roma venerdì 31 marzo h. 11,00
Sala Europa del Ministero dell'Ambiente
Nucara incontrerà il viceministro cinese della Scienza e Tecnologia

nuvolarossa
26-04-06, 12:40
La prova della Tav


L'Unione Europea ribadisce che la Tav deve farsi, che è tutto regolare, che la commissione d'esperti, incaricata di valutare l'impatto ambientale dei lavori, non ha trovato alcun elemento di particolare preoccupazione. Si deve andare avanti. Ma non basta: siamo in ritardo, si deve accelerare, e se non lo si fa si perdono i finanziamenti relativi a questa infrastruttura. Per tutta risposta i comitati anti-Tav, nella Val di Susa, chiamano alla mobilitazione di massa, assediano il commissario De Palacio, che si trova in prefettura a Torino, ribadiscono la volontà di bloccare i lavori.
Che si fa? Il governo ancora in carica non ha certo il tempo per sbrigare questa faccenda, ma ha la possibilità, e credo il dovere, di riconfermare che l'Italia rispetterà gli impegni presi e che i cantieri devono diventare al più presto operativi.

I comitati hanno il diritto di organizzare proteste, ma se tenteranno, come in passato hanno fatto, di bloccare comunicazioni e cantieri sarà la forza pubblica ad intervenire. Chiaro e tondo.
Poi la palla passerà ai successori, a quel governo Prodi che il pasticcio istituzionale sta ritardando. Dalle anticipazioni che leggo sui giornali mi par di capire che il ministro per le infrastrutture, o per i trasporti, sarà Alfonso Pecoraro Scanio. Qualora così non sia, comunque, verdi e sinistra antagonista sono e restano determinanti per tenere in piedi il governo. Nel corso della campagna elettorale Prodi disse che, sebbene della Tav non si era trovato modo di parlare, per assenza di spazio nelle 281 pagine del programma, comunque quei lavori dovevano andare avanti. Giusto. Ci faccia vedere come fa.
Aggiungo che spero, per il bene dell'Italia, che il nuovo presidente del Consiglio abbia la forza e l'autorevolezza per farsi valere, superando i blocchi dei comitati ed il desiderio, presente fra i suoi alleati, di cavalcarli. Spero che gli estremismi antagonisti si plachino una volta messi a punto gli equilibri politici ed istituzionali, e che la propaganda lasci spazio alla ragionevolezza.
Da persone responsabili, sulla Tav come su altri problemi, ci piace credere che il governo saprà mostrarsi all'altezza dei problemi e non preda di convulsioni interne. Se le nostre speranze saranno mal riposte, non potrà certo battersi la via dei rimpasti e dei sussulti agonici.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/8572

nuvolarossa
20-05-06, 19:07
IL CASO I DUE MINISTRI SONO IN DISACCORDO SULLE RISPETTIVE COMPETENZE
Il ponte sullo Stretto scatena la prima lite Di Pietro-Bianchi
Il ministro dei Trasporti non lo vuole, quello delle Infrastrutture sostiene che spetta a lui deciderle E sulla Tav l’ex pm si scontra col verde Cento

Amedeo La Mattina

ROMA. Il giorno della fiducia al Senato, è scoppiata la prima vera grana per Romano Prodi. A farla esplodere sono stati i due ministri «sdoppiati» delle Infrastrutture e dei Trasporti, ovvero Antonio Di Pietro e Alessandro Bianchi, le cui competenze non sono state ancora definite. Appena nominato, Bianchi ha subito detto di essere contrario al Ponte di Messina, nonostante il premier gli avesse chiesto di avere prudenza. «Su tutto puoi chiedermi prudenza - gli ha risposto - ma sul Ponte non posso tacere». Ma Bianchi è andato oltre e ha annunciato che intende aprire un dossier sulla vicenda Autostrade-Abertis e incontrare i vertici delle società interessate.

http://www.lastampa.it/redazione/cmssezioni/politica/200603images/di_pietro01.jpg

A questo punto Di Pietro ha reagito con una nota acida: «Il riparto delle competenze a oggi non può dirsi ancora attuato nei dettagli. A questo fine, è necessario un apposito provvedimento del presidente del Consiglio. Ogni decisione di merito, pertanto, sarà necessariamente frutto di valutazioni collegiali in ambito di Governo. Sono dunque prematuri esternazioni o giudizi - conclude il ministro per le Infrastrutture - che prescindano dalle scelte conclusive che saranno prese». Una presa di posizione molto dura che la dice lunga sulla volontà dell’ex Pm di lasciare campo libero al suo collega su materie di primaria importanza.

E sulla guerra delle competenze tra dicasteri sdoppiati che riguarda anche altri casi, complicando la partenza del governo Prodi. Il ministro delle Infrastrutture non si è limitato a stoppare sul nascere il protagonismo dell’ingegnere Bianchi. Anzi è andato oltre. Ha sollevato un altro problema, quello del viceministro Antonio Capodicasa che Di Pietro non vuole a limitazione della sua autonomia. Dietro c’è soprattutto una storia che porta in Sicilia. «Io ho solo tre sottosegretari. Non voglio un viceministro. Poi Capodicasa proprio no! E se il Consiglio dei ministri dovesse nominarlo, non gli darò nessuna delega. Mai». Già durante la prima riunione del governo, il leader dell’Italia dei Valori aveva fatto un salto sulla sedia quando aveva sentito quel nome: «Ma come, mi avete dimezzato il ministero e ora mi piazzate accanto Capodicasa?».

Macché, gli ha risposto Prodi, tutti i ministri con portafoglio hanno uno o più vice; e in ogni caso questo è l’accordo con i partiti. Anche perché la Sicilia è rimasta a bocca asciutta e deve essere compensata. «Neanche per sogno»: Di Pietro è determinato a sbarrare la strada al segretario siciliano dei Ds, che nel ‘98 è diventato presidente della giunta nell’isola in seguito a un ribaltone. Ma cosa c’è dietro a questa storia? Di Pietro sventola un’inchiesta pubblicata da «Il Diario» il 22 febbraio 2002 titolato «Un giorno con Montalbano». Non si tratta del commissario inventato da Camilleri. Il sottotitolo aiuta a capire meglio: «Parla l’imprenditore comunista che affittò la casa al capo mafia (Totò Riina ndr); gli hanno confiscato 400 miliardi di beni; dà consigli ai Ds: per vincere».

A un certo punto dell’inchiesta-intervista, Montalbano dice di non conoscere personalmente esponenti nazionali dei Ds: «Ho buone frequentazioni con quelli siciliani: Michelangelo Russo, Angelo Capodicasa ed Emanuele Macaluso». Nessuna inchiesta giudiziaria ha colpito questi illustri ex comunisti siciliani, ma tanto basta all’ex Pm di Mani Pulite per dire «quello non lo voglio». Poi alle Infrastrutture, sentina di tutti i sospetti, soprattutto quando i soldi devono andare in Sicilia. Tra l’altro, Capodicasa è vicino all’ex uomo forte dei Ds siciliani, Vladimiro Crisafulli, finito nell’inchiesta Messina-Ambiente ma poi prosciolto. Di Pietro, incarnazione del giustizialismo, a certe «strane storie» è sensibile.

Conclusione: se Capodicasa verrà nominato viceministro, Di Pietro non gli darà alcuna delega. In serata un’altra polemica. «Va verificato se per la tratta Tav della Valle di Susa ci siano le condizioni di sicurezza ambientale o se sia il caso di trasferire quella tratta più in là», dice Di Pietro nel corso di «Controcorrente» su SKY TG24, e aggiunge: «Ci sono due modi di realizzare una grande opera: fregandosene delle esigenze ambientali e sanitarie di una popolazione, oppure affrontarle, magari spostandosi qualche chilometro più in là». Ma per il sottosegretario all'Economia, il verde Paolo Cento, «in un Paese dove c’è ancora un binario unico per diecimila chilometri, la Tav non è una priorità». E Patrizia Sentinelli, viceministro degli Esteri, di Rifondazione Comunista, rincara: «Credo che la Tav in Valle di Susa non si farà».

tratto da La Stampa web 20 maggio 2006

nuvolarossa
23-05-06, 19:43
Ambiente e occasioni mancate - Nell'esecutivo divisione vecchio stile fra tutela e sviluppo
"Sostenibilità" un concetto che sembra ignorato

di Giovanni Pizzo

Il nuovo Governo ha visto la luce e comincia la sua difficile avventura. Ci si aspettava molto dalla composizione del Governo per decifrare quali siano i reali equilibri di forza che potranno sostenere la maggioranza di fronte alle scelte complicate che l'attendono. La stessa riorganizzazione delle deleghe avrebbe potuto costituire l'occasione per introdurre le novità legate alla strategia di fondo che Prodi intende attuare. Alcuni segnali sono stati abbastanza chiari, pochi positivi, altri negativi, altri, infine, dipendono da come i singoli Soggetti interpreteranno il proprio mandato. In primo luogo la scelta del Premier è stata quella di lasciare il minore numero possibile di ferite aperte e questo lo ha portato ad una certa "larghezza di manica" nel soddisfare gli appetiti di partiti, correnti, fazioni, ecc. Di certo ha voluto dare un grande peso specifico all'Esecutivo soprattutto per quanto riguarda tutto il tema dell'economia presidiato da Padoa Schioppa, Bersani, Rutelli. La creazione di un Ministero dello sviluppo economico è un fatto positivo: da tempo noi consideravamo poco efficace concentrare in un unico ministero (Economia e finanze) la responsabilità sia della tenuta in ordine dei conti dello Stato che quella di organizzare le politiche di sviluppo. Ma la scelta di considerare lo sviluppo economico come elemento collaterale alle attività produttive risponde ad una logica vecchia e superata che scaturisce da una concezione dello sviluppo come aumento nominale del PIL, che ha già mostrato limiti proprio nei paesi ad alta intensità di ricchezza. La presenza del leader del partito ecologista al Ministero dell'Ambiente potrebbe essere intesa, a questo punto, come la riproposizione di uno schema altrettanto superato: da un lato coloro che promuovono le politiche di sviluppo convenzionale, dall'altro (sia pure al livello massimo di credibilità) colui che si fa garante del rispetto dell'ambiente. Se le cose andranno in questo modo si potrebbe arrivare ad una situazione di empasse in cui le forze interessate allo sviluppo tenderanno a chiedere sconti sui temi ambientali creando oggettive difficoltà per un Ministro leader del partito ecologista. Con l'attuale struttura dei sistemi economici l'aumento della ricchezza tradizionale (PIL) comporta un degrado dell'ambiente non sostenibile soprattutto dai sistemi più "saturi"; per questo motivo le politiche di sviluppo tradizionali, spesso, non producono più i risultati desiderati oppure ci trasci**** verso situazioni come quella dei rifiuti della regione Campania, le crisi energetiche, ecc. La saturazione fisica, i limiti ambientali e la competizione globale impongono politiche di sviluppo mirate alla progressiva trasformazione del modello economico in direzione della "sostenibilità". Noi avremmo auspicato che questo Governo avesse avuto il coraggio di saldare il coordinamento delle politiche dello sviluppo economico e quelle ambientali verso un'unica "politica per lo sviluppo sostenibile". Più opportuno, allora, sarebbe stato accorpare all'attuale Ministero dell'Ambiente le deleghe in materia di sviluppo nonché quelle in materia di energia per creare un vero "Ministero dello sviluppo sostenibile". Ma, e qui ricadiamo nei vincoli negativi, secondo il manuale Cencelli un tale importante ministero non sarebbe potuto andare ai Verdi. Noi confidiamo, però, che il nuovo Ministro dell'Ambiente, che ha già dimostrato di avere una visione allargata della politica ambientale, sappia cogliere comunque questo ruolo attivo delle questioni ambientali nelle scelte di politica economica, a cominciare dalla grande questione che presto sarà sul tavolo del governo: come gestire il rapporto fra spesa pubblica e prelievo fiscale e liberare le risorse per attuare le politiche attive per lo sviluppo. Oggi i due terzi del prelievo fiscale proviene dai redditi (1/3) e dagli oneri sociali (1/3), mentre solo un terzo proviene dai consumi, essendo marginale quello proveniente dalle rendite finanziarie. Questo assetto penalizza chi produce reddito e crea lavoro mentre favorisce l'uso indiscriminato delle risorse ambientali. Un primo punto fermo di politica per lo sviluppo sostenibile è riorganizzare il sistema fiscale, a parità di carico complessivo, per incrementare la quota di prelievo a carico dei consumi e delle rendite, e alleggerire quella sui redditi e gli oneri sociali. Ad esempio, sarebbe in linea con la strategia per lo sviluppo sostenibile approvata dal CIPE nel 2002, recuperare il minore gettito derivante dall'abolizione di imposte inique e distorsive attraverso l'introduzione di una "tassa sul consumo dell'ambiente" una sorta di addizionale IVA pigouviana, determinata in base alla stima del danno o costo esterno ambientale incorporato nei vari beni di consumo.

tratto dal sito del Partito Repubblicano
http://www.pri.it

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nuvolarossa
23-06-06, 09:14
Tav, traccheggio a volontà


Rieccolo, il Treno ad Alta Velocità, che con promettente puntualità ci ricorda come il guasto del sistema istituzionale spezza le gambe all'Italia. Settimane fa avevo invitato a non perdere di vista il tema, giacché sarebbe divenuto rivelatore. Infatti. Questa volta il commissario europeo Loyola De Palacio chiede conto e ragione al governo italiano: volete farla o no, ed in quanto tempo, la linea ferroviaria? Se ne torna a Bruxelles con un bel sacco di fandonie ed ipocrisie.

Riassunto: durante la campagna elettorale Prodi disse che il programma dell'Unione non escludeva la Tav, da completarsi certamente; fatto il governo il sottosegretario Cento affermò che non si sarebbe finita mai. Nel frattempo i presidenti delle regioni Piemonte e Lombardia, espressione di schieramenti opposti, hanno insistito per l'immediata ripresa dei lavori, in questo sostenuti anche dal sindaco di Torino, che è di sinistra ed è anche il più votato d'Italia. Non avevano finito di chiederlo che il cantiere è stato chiuso, nel senso che non muovendosi foglia la ditta appaltatrice ha ritirato le macchine e le ha messe a lavorare altrove. Siccome il tratto piemontese e lombardo è gravemente in ritardo (in realtà è fermo), interrompendo una linea europea, la De Palacio insiste con il governo italiano, che con Prodi e Di Pietro ripete: per noi resta un'opera prioritaria. Avevano ancora la frase a metà che il ministro Ferrero, rifondarolo ufficialmente assiso alla “solidarietà sociale” (tanto non si capisce cosa sia, questo ministero, che il reggente s'occupa d'altro), li brucia dicendo: ma quando mai! La Tav non c'è nel programma dell'Unione, quindi non se ne fa niente. Mentre il verde Pecoraio Scanio, ministro al più pertinente ambiente, si limita a ribadire che non si faranno gallerie, talché la Tav, lungi dall'essere dritta e veloce, debba somigliare ai trenini dei cartoni animati, scalanti le vette. Entro il 4 luglio, dice Prodi, sarà aperto un tavolo. Immagino per fare un picnic dove dovrebbero passare i binari.
Morale: questa volta il problema non sono gli enti locali, ma se il governo fa quel che promette all'Europa si ritrova qualche ministro, un drappello di sottosegretari ed un paio di partiti pronti apertamente a rompere. Non sia mai, piuttosto di tirerà avanti con il traccheggio.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/9143

nuvolarossa
04-08-06, 19:44
Due interrogazioni presentate da Francesco Nucara/Quali interventi si stanno predisponendo per la Regione Calabria. La siccità e gli ogm
Ed è urgente porre il territorio in sicurezza

Due interrogazioni parlamentari dell'onorevole Francesco Nucara. La prima al ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio.

Premesso che:

-immediatamente dopo i tragici eventi alluvionali in provincia di Vibo Valentia, il sottoscritto interrogava il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio per avere notizie circa il Decreto del Ministro dell'Ambiente del 5 maggio 2006 recante "Definizione ed attivazione del 13mo programma stralcio di interventi urgenti per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico";

-il sottosegretario all'Ambiente e Tutela del Territorio, in data 13 luglio, in Commissione Ambiente della Camera rispondeva all'interrogazione 5 - 00053 giustificando i ritardi con le carenze della Direzione Generale competente, colpevole di non aver corredato il provvedimento della relativa istruttoria di rito e di essersi limitata ad "un mero elenco di toponimi con relativo importo finanziario...";

-non risulta al vero quanto affermato nella burocratica risposta del Ministero nella parte in cui si afferma che manca "ogni riferimento al titolo dell'intervento", in quanto i comuni interessati al 13mo programma stralcio hanno da tempo presentato i relativi progetti, spesso addirittura in modo dettagliato;

-non si hanno notizie dello stanziamento di cinque milioni di euro annunciato in modo propagandistico dal Presidente del Consiglio Prodi durante la sua visita in quella zona;

-il governo dei fiumi non si può realizzare con interventi alle foci che, anche quando necessari, per sopperire a improvvisi eventi calamitosi a nulla servono in una strategia di lungo periodo;

-tali rallentamenti nella attuazione di cui al D. M. del 5 maggio sembrerebbero finalizzati a consentire scopi promozionali a professionisti che girano con in mano il suddetto decreto.

Per sapere:

-Quali siano gli interventi che il Ministero sta predisponendo a tutela del territorio calabrese e delle zone a più alto rischio idrogeologico;

-se non ritenga opportuno ed urgente, prima di avviare un nuovo programma, sentire, anche i sindaci che in questi mesi si sono adoperati, in modo trasversale alla politica, per richiedere interventi di messa in sicurezza del territorio dei loro comuni, ed in ogni caso di rispondere, in modo molto chiaro e definitivo, alle innumerevoli richieste di finanziamento regolarmente protocollate;

-quali prospettive voglia garantire alle popolazioni colpite dall'alluvione del 3 luglio;

-se non sia il caso di chiedere alla classe politica regionale di intervenire per il raggiungimento di tali obiettivi con proprie risorse aggiuntive.

*********

La seconda interrogazione al ministro delle Politiche agricole e forestali e al ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio.

Premesso che:

-come si evince dalla letteratura scientifica e secondo quanto diffusamente riportato dalla stampa di settore, i problemi legati alla disponibilità di risorse idriche da destinare all'agricoltura divengono sempre più pressanti in ordine ai seguenti fattori:

Stagioni estive caratterizzate da un numero crescente di giorni consecutivi con temperature assai elevate nonché da una diminuzione significativa delle precipitazioni;

Abbassamento costante del livello dei fiumi e dei laghi del Nord Italia e conseguente riduzione dell'approvvigionamento idrico alle colture;

Insufficienza ed inadeguatezza degli impianti di irrigazione ed inefficienza dei sistemi di recupero e di riutilizzazione delle acque.

-E dato che gli aspetti sopra evidenziati interessano incontestabilmente *sia pure con caratteristiche precipue per ciascuna regione- tutto il territorio nazionale rivestendo, altresì, rilievo sovranazionale e giacché la portata dei danni economici conseguenti alle perdite agricole e zootecniche appare ormai insostenibile;

-dato, inoltre, che la drammaticità del quadro odierno impone, a giudizio del Presidente della Confederazione italiana agricoltori, l'immediata apertura delle chiuse dei laghi alpini, dei bacini delle centrali idroelettriche, allo scopo di far affluire l'acqua ai campi in pianura e scongiurare l'evenienza di una annata tragica come quella che, nel 2003, fece registrare danni alla produzione per oltre quattro miliardi di euro.

-Ed ancora, considerato che, piante di grande interesse economico, quali riso, pomodoro, mais, sono già disponibili nella variante ogm che le rende idroresistenti ed in grado di tollerare concentrazioni di salinità considerevoli garantendo, al contempo una adeguata resa produttiva;

-E che la ricerca scientifica bloccata, di fatto, dalla normativa attuale, potrebbe assicurare la definitiva via d'uscita rispetto a congiunture che si prospettano drammatiche ma ad affrontare le quali mancano totalmente coerenza e progettualità.

Si chiede di sapere:

se non appaia opportuno, alla luce dell'allarme sollevato dalle stesse associazioni corporative e da una rivisitata posizione da parte delle imprese agricole in merito al ricorso alle biotecnologie:

-di abbandonare posizioni di pregiudizio ideologico che hanno precluso sino ad ora il ricorso a tecnologie ogm in grado, con una programmazione tempestiva ed una applicazione corretta del principio di precauzione, di offrire soluzioni definitive a problemi consolidati evitando il ricorso affannoso quanto spesso inutile a rimedi estemporanei e, dunque, necessariamente improvvisati e transitori.

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tratto dal sito del Partito Repubblicano
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nuvolarossa
02-11-06, 20:44
Terra in affanno, interviene Blair/Con un documentato rapporto che bada al sodo
Riscaldamento globale: il costo di un futuro pulito

di Giovanni Postorino

La scorsa settimana il Wwf ha lanciato un allarme tragico sui destini del nostro pianeta e dell'intera umanità: nel suo rapporto annuale sullo stato di salute della Terra, si era catastroficamente prospettato l'esaurimento delle risorse e la necessità di un nuovo pianeta entro il 2050.

In questi giorni, invece, è stato presentato dal premier britannico Tony Blair il Rapporto sui costi per riparare ai danni prodotti dai cambiamenti climatici e dal global warming indotti dall'uomo, redatto da Sir Nicholas Stern.

Questo Rapporto è ben diverso dai soliti allarmanti proclami lanciati dalle associazioni ambientaliste o da scienziati catastrofisti in cerca di un beve momento di celebrità o di qualche finanziamento per le loro ricerche. E questo perché è stato redatto da un ex dirigente della Banca Mondiale e perché è tutto incentrato su una tipica analisi costi-benefici. Il fatto, poi, che sia disponibile (in lingua originale) non sul sito del Ministero dell'Ambiente bensì su quello dell'Economia, è segno della notevole incidenza che i danni ambientali ed il conseguente cambiamento climatico della Terra avranno appunto sull'economia.

Il premier britannico è apparso visibilmente colpito dai dati contenuti nel rapporto tanto da prospettare un vero e proprio disastro se non si interverrà per tempo. Di questo passo il riscaldamento del nostro pianeta sarà ad un livello tale da ripercuotersi irrimediabilmente sulle condizioni di vita di milioni e milioni di persone, il che causerà un costo enorme per il tentativo di raggiungere risultati non sicuri.

Il danno stimato è stato calcolato intorno a 5,5 trilioni di euro. In base ai dati presi in considerazione ed utilizzando modelli economici formali il Rapporto evidenzia come la perdita minima del prodotto lordo globale annuo si aggirerà intorno al 5%. Mentre, se si tiene in considerazione una più ampia classe di rischi e di impatti, il danno potrebbe salire al 20% del prodotto lordo e anche oltre. Se si interviene subito si può limitare all'1% della ricchezza mondiale la spesa per sanare i guasti ambientali e climatici.

Insomma, ci troviamo di fronte ad un rapporto che non ha nulla della stanca retorica ambientalista, ma che contiene dati e date ben precisi e che non lascia spazio alcuno all'incertezza o alla titubanza.

Leggiamo nelle lapidarie conclusioni: "Gli investimenti che verranno effettuati nei prossimi 10-20 anni avranno un profondo effetto sui cambiamenti climatici della seconda metà del secolo e di quello successivo. Le nostre azioni attuali e nei prossimi decenni potrebbero creare rischi di disfacimento dell'attività sociale ed economica su una scala paragonabile a quella delle guerre mondiali o della depressione economica della prima metà del 20° secolo. Sarebbe inoltre difficile o impossibile invertire quei cambiamenti"

La vera novità risiede, insomma, nel contenuto delle proposizioni finali, ed in particolare nel monito che "The benefits of strong and early action far outweigh the economic costs of not acting", cioè: "I benefici di un'azione energica e immediata superano di gran lunga il costo economico del non agire". Ma come agire?

Anche in questo il Rapporto non lascia spazio a dubbi. Il problema del cambiamento climatico riguarda non semplicemente una nazione o un continente ma l'intero globo quindi si richiede una risposta di livello internazionale dagli obiettivi ampiamente condivisi.

In particolare, bisogna puntare su quattro punti chiave ad iniziare dalla strategia cosiddetta di "Emissions trading", cioè commercio delle emissioni inquinanti, in base alla quale, una volta fissato il tetto massimo, se un'azienda continua ad usare impianti inquinanti è obbligata ad acquistare il "diritto ad inquinare" da un'altra azienda il cui impianto produce emissioni inquinanti inferiori al tetto. Altro elemento chiave dei futuri interventi internazionali è la cooperazione tecnologica, fondamentale sia per la realizzazione di impianti industriali e l'utilizzo di nuove tecnologie dalle basse emissioni inquinanti, sia per l'utilizzo su vasta scala di fonti energetiche pulite, per le quali si devono richiedere maggiori investimenti da parte degli Stati. A questo va associata un'azione decisa volta a ridurre il disboscamento globale che, in base ai dati tenuti presenti dal Rapporto Stern, è causa dell'aumento della presenza delle sostanze inquinanti più che l'intero settore dei trasporti. Ed infine l'azione dei Paesi ricchi dovrebbe indirizzarsi ad aiutare i Paesi poveri e quelli in via di sviluppo che sono maggiormente esposti all'impatto che avrà il "global warming".

Ma al Rapporto Stern sono anche rivolte alcune critiche. Intanto tiene conto di dati pessimistici elaborati dall'Intergovernmental panel on climate change (organismo Onu) già ampiamente criticati anche da uno studio della Commissione economia della Camera dei Lords.

Inoltre, le condizioni economiche mondiali saranno, a detta dello stesso Rapporto, migliori rispetto ad oggi, cioè il mondo sarà più ricco, il che però vuol anche dire che lo sfondo su cui questi tremendi scenari andranno a svilupparsi sarà meno duro. Infine, secondo alcuni, il Rapporto non è esente da valutazioni politiche più che scientifiche o economiche.

Tuttavia è un merito del Rapporto Stern, abbandonati i panni del catastrofismo verde e della sua vuota retorica che fino ad oggi non ha portato ad apprezzabili risultati, comunque lo si legga, l'aver posto l'accento sui costi economici del global warming e l'aver puntato tutto sul monito "Spendere oggi per spendere meno".

Il premier britannico, con una buona dose di enfasi, ha definito questo Rapporto come l'atto più importante del suo governo.

Il tentativo inglese è chiaro: dopo il semi-fallimento di Kyoto bisogna dotarsi di nuovi e più convincenti argomentazioni che siano in grado di stanare gli Stati Uniti e le emergenti economie, Cina ed India in testa, il cui impatto sul cambiamento climatico è notevole. Ovvio che senza un loro coinvolgimento qualsiasi strategia contro il global warming fallirà miseramente. Con l'occhio al portafoglio forse si riuscirà a coinvolgerli, raggiungendo così nel più breve tempo possibile un nuovo ed importantissimo accordo sull'ambiente che senza farsi attrarre dalle sirene gnostiche dell'ambientalismo, individui misure puntuali e concrete che risolvano il problema del global warming senza costi (economici e sociali) eccessivi se non addirittura insostenibili.

tratto da http://www.pri.it

nuvolarossa
14-06-07, 10:35
Sfiducia ad alta velocità

I giornali annunciano un fatto mai avvenuto. Trovato l'accordo per la Tav, strilla la Repubblica in prima pagina. Peccato che non sia vero. E sarà bene ricordarsi di casi come questi quando poi si parlerà, con toni sempre più pensosi e preoccupati, della crisi della politica e del risorgere dell'antipolitica. Ricordiamocene, perché c'è una politica che merita il più severo dei giudizi.

http://www.lastampa.it/redazione/cmssezioni/tav/200706images/tavolo_roma01G.jpg

Le cose stanno così: i cantieri della linea ferroviaria ad alta velocità, nati in base ad un accordo che risale a diciassette anni fa, sono fermi perché il governo non ha ritenuto di proteggerli dalla protesta di qualche abitante locale e di qualche sindaco minore non desideroso di amministrare ma allettato dalla facile popolarità. Nel mentre noi ci balocchiamo sul nulla, nel mentre i ministri parlano di gallerie senza sapere quel che dicono, nel mentre il solito ecologista carrierista s'atteggia a difensore di quel che manco conosce, il resto d'Europa va avanti e le linee ferroviarie più importanti ci passano sulla testa, verso nord. In più scadono, il prossimo 23 luglio, i termini ultimi per chiedere i finanziamenti comunitari, con il che ci troveremo senza binari, senza soldi, senza investimenti, lavoro e così via.
Ci si riunisce a Palazzo Chigi (con un anno di ritardo, tanto, che fretta c'è) e, all'evidenza, il tema è quello di stabilire esattamente dove cavolo devono posarsi questi binari, avendo cura di scegliere il tracciato che comporti meno spese ed un impatto ambientale accettabile (quello nullo non esiste, e se qualche cretino lo sostiene, toglietegli l'energia elettrica). Invece che fanno? Terminano la riunione e dicono: trovato l'accordo. C'è un nuovo tracciato? No. Allora va bene quello vecchio? No. E su cosa vi siete messi d'accordo? Sulla necessità di mettersi d'accordo entro il 23 luglio.
Io detesto l'antipolitica, mi fa schifo il qualunquismo, mi ripugna il fare di tutta l'erba un fascio, ma, perdinci, su tali binari d'irresponsabilità e menefreghismo è ovvio che la sfiducia ed il discredito viaggino ad altissima velocità.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/12619

nuvolarossa
12-11-07, 13:32
Un fischio al non governo
Mercoledì parte il primo Eurostar che collegherà Londra a Parigi in due ore e quindici minuti

A parte tutte le considerazioni simboliche sull’ulteriore legame (del resto oramai solido) fra gli inglesi ed il resto d’Europa, sta di fatto che si concludono con successo lavori durati molti anni, naturalmente costosi, ma che oggi segnano un’ulteriore vittoria del treno ad alta velocità.

http://sullestradelmondo.vivilastminute.it/sulle_strade_del_mondo/images/2007/04/01/500_dettaglio_tgv_2.jpg

Da ragazzo, forte dell’esperienza di viaggiatore fra la Sicilia ed il continente, presi il treno a Londra, per andare a Parigi, comperando un biglietto di seconda classe e disponendomi a dormire sul sedile, tanto, mi dicevo, il treno entra dentro il traghetto ed arriva domani mattina. Errore: il treno non entrava da nessuna parte, si doveva scendere e prendere il traghetto, talché se stavi sotto coperta dovevi fare i conti con l’assenza di dogana e la vendita a fiumi di birra (con relativi bevitori chiassosi, rumorosi e non esattamente profumati), e se andavi sul ponte dormivi all’agghiaccio, nonostante fosse estate. Del tutto non attrezzato scelsi la seconda possibilità.
Mercoledì il mio errore di allora diventa realtà: dal treno non si scende. Neanche ci si dorme, semmai sonnecchia, vista la velocità. Se devo andare in Sicilia, però, le condizioni di viaggio sono sempre le stesse, semmai peggiorate, il che non riporta me alla gioventù, ma segna l’intollerabile invecchiamento dei trasporti italiani.
L’alta velocità è un’incompiuta. Il ponte sullo stretto resta una barzelletta. Gli aerei si fermano di tanto in tanto. Le autostrade sono un’opinione, del resto affollata. Il treno funziona solo su alcune direttrici, mentre è un azzardo utilizzarlo nell’interno o nell’andare a costa a costa. Così il Paese europeo a più vasta vocazione turistica non sa far viaggiare né i propri pendolari né i propri ospiti. Massacra i propri cittadini e lascia intendere ai turisti che le Maldive sono più vicine della Puglia.
Mercoledì, quando un fischio darà il via alla corsa dell’Eurostar inglese, noi sapremo con più precisione quanto ci costa questa lunga, interminabile ed estenuante stagione di non governo.

Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/14093

nuvolarossa
26-11-07, 10:54
Pri: ambiente & sviluppo vanno coniugati in modo diverso

Reggio Calabria - Mazziniani del Duemila: molto al di là dell’attaccamento all’inno di Mameli (che s’è voluto “sfoderare” già alle prime battute dell’incontro moderato dal giornalista Pino Toscano), potrebbe essere questa l’intuizione buona per definire i Repubblicani, che stamattina si sono ritrovati a ranghi serrati al cineteatro Odeon, capitanati dal segretario nazionale ed ex viceministro all’Ambiente Francesco Nucara, per fare il punto sul trinomio “lavoro, sviluppo e ambiente”.

Dal vicesindaco Gianni Rizzica al segretario provinciale Pino Nicolò, rappresentanti istituzionali e dirigenti dell’Edera tutti presenti…
E le convergenze assumono aspetti significativi nella dialettica con “un certo modo” di fare ambientalismo.

"Non ha significato mantenere inalterato lo stato dei luoghi: bisogna invece operare, ma a impatto ecosostenibile", ha fatto presente Nicolò. Tra i riferimenti in questa direzione da un lato, sì, l’attenzione alle fiumare che tagliano Reggio, “bomba ecologica” che potrebbe esplodere a ogni istante…, ma anche all’opportunità di rifinanziare la ricerca sul nucleare, senza porre troppa enfasi su fonti rinnovabili che, per i dirigenti pri, non si son dimostrare risolutive su profilo dell’energia e della tutela ambientale.

Quanto alla politica, poi, l’ex ministro junior è decisissimo: nessuna subalternità al Pdl nascente. "Non confluiremo nel Partito unico – afferma Francesco Nucara –, anche se la mossa è stata geniale: Silvio Berlusconi era ormai relegato ai margini del dibattito politico e ne è repentinamente tornato protagonista assoluto… Col Pdl che sta prendendo forma ovviamente manterremo rapporti d’alleanza, ma vedremo anche che eventuale nuova legge elettorale prenderà forma".

il web-log di Mario Meliadò: http://calabria.blogosfere.it

Mario Meliadò

tratto da http://www.reggiotv.it/news.php?id=1689&categoria=3

nuvolarossa
20-12-07, 18:13
Cronache di un pendolare

di Riccardo Masini

Capita, alzatisi la mattina intorno alle sei e mezza, di uscire di casa, affrontare il freddo dei primi minuti di un nuovo giorno d’inverno e trovare ad attenderci all’ormai familiare stazione un ben poco familiare cartello. La linea che da Ostia porta a Roma, che normalmente impiega una trentina di minuti per collegare la Capitale con la sua propaggine marittima, non fa servizio.
Alle orecchie di un pendolare queste tre parole “non fa servizio” suonano come una vera e propria minaccia. Attimi di panico. La causa di tale disastro? Un albero che il fortunale della notte precedente ha proditoriamente fatto abbattere sulla linea elettrica che fa muovere il treno.
Come arrivare al lavoro? Prendere la macchina nemmeno a parlarne, perché affrontare la Via del Mare e poi il traffico di Roma alle sette del mattino è una prova di coraggio degna del più ardito kamikaze giapponese. L’autobus navetta – la cui fermata ci viene indicata da un solerte impiegato della metropolitana – più che un mezzo di trasporto pare un miraggio. Per fortuna al Comune pensano a noi e ci dicono che un treno, forse, passerà.
E il treno passa, salvo fermarsi ad una stazione intermedia nella quale un altoparlante ci informa che il treno per Roma partirà dal secondo binario. Ora, è vero che la stazione di Ostia Antica (di nome e di fatto) ha solo due binari; ma è anche vero che da nessuna parte sta scritto quale sia il primo e quale sia il secondo! Di nuovo, il panico. Concitazione, questa volta nessun impiegato della metropolitana ci soccorre... la stazione pare deserta. Al Comune devono essersi dimenticati di noi. Capiamo alla fine che – orrore! - siamo sul treno sbagliato e in barba a qualsiasi normativa sulla sicurezza ci scaraventiamo verso l’unica rampa di scale della stazione e soprattutto all’interno dell’affollamento da bolgia dantesca (il famigerato girone dei pendolari) che immediatamente si produce. Saliti finalmente sul treno nuovo fiammante, ripartiamo.
Durata dell’avventura: un’ora e un quarto. Coraggio, abbiamo solo un’altra mezzoretta di autobus prima di poter timbrare il cartellino!
Certo, forse è un incidente passeggero. Capita. Come capita che il giorno immediatamente successivo a causa di un guasto tecnico nell’altra stazione intermedia di Acilia il treno faccia un’altra mezzora di ritardo, mentre pensiamo che siamo più fortunati di coloro che abitano non a mezzora ma a un’ora di distanza dalle porte della città...
Mi si potrà obbiettare che questo è un problema eminentemente di Roma. Sicuro, lo è. Come lo è anche di Milano, Torino, Napoli, Palermo, Genova, Bari... di qualsiasi grande metropoli che abbia un hinterland intorno a sé.
Il problema dei trasporti locali, insomma, è sì spezzettato in mille realtà diverse con mille caratteristiche diverse da città a città; ma è anche sempre lo stesso problema: creare una vera mobilità per i cittadini.
Perché la mobilità urbana ed extraurbana ha un valore sociale fondamentale, d’importanza nazionale. Perché solo con dei trasporti efficienti si possono decentrare le masse abitative, rendere realmente funzionali i nuovi quartieri periferici evitando che si trasformino in dormitori, spostare il grosso degli uffici in zone meno trafficate delle città, ridurre l’inquinamento ambientale e i consumi energetici dovuti al trasporto privato. E’ solo creando reti strutturali ramificate, integrate e diversificate tra città e periferie, tra centri metropolitani e piccoli centri limitrofi che si risolvono questi problemi, non con improvvisate domeniche ecologiche a piedi o strampalate iniziative di car sharing, buone solo ad alleggerire la coscienza di qualche assessore o di qualche ministro. Peccato che in tutto questo una finanziaria pur “leggera” come quella per il 2008 abbia operato tagli sostanziali al finanziamento per i trasporti ferroviari locali, con conseguente cancellazione di treni e aumento delle tariffe.
Dobbiamo renderci conto che là fuori c’è un intero popolo di impiegati, liberi professionisti, studenti, semplici cittadini, lavoratori, commercianti e quant’altro che ogni mattina si alza e fa una cosa sempre più difficile ma sempre più indispensabile: si muove.
E ogni mattina, appena uscito di casa, si chiede quale altra sorpresa ha in serbo per lui la rete dei trasporti della sua città.

tratto da http://www.fgr-italia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=254&Itemid=1

nuvolarossa
03-01-08, 15:04
Un polo laico e liberale vs. la demenza bi-partisan: il caso del traffico e dell’inquinamento a Milano e a Roma

di Marco De Andreis

3/1/2008 - Col nuovo anno, i comuni di Milano e Roma hanno inaugurato nuove norme sul traffico. Una giunta è di centro-destra, l’altra è di centro-sinistra. Le norme sono diverse da città e città e, dunque, da schieramento politico a schieramento politico. Eppure condividono una demenza che è il caso di definire bi-partisan. ...

clicca qui per la lettura di tutta la scheda ... (http://www.fulm.org/SchedaPubblicazioni.aspx?ID_Pubblicazione=177)

tratto da http://www.fulm.org/default.aspx

nuvolarossa
09-01-08, 20:22
Il ritorno di De Gennaro
Un governo allo sbando che ormai non sa più a che santo votarsi

Il presidente del Consiglio dei Ministri non ha preso la prima e principale decisione che avrebbe dovuto assumere: quella di chiedere e ottenere le dimissioni immediate di Pecoraro Scanio da Ministro dell'Ambiente. Sarebbe stato, questo sì, il segno di una svolta vera nella gestione dei rifiuti in Campania.

http://dans-mon-hlm.blogspirit.com/images/medium_18460507.jpg

E avrebbe assunto un altro significato anche la nomina dell'ex capo della polizia Giovanni De Gennaro a Commissario per i rifiuti in Campania, che invece è maturata sulla base di un impasse interno alla maggioranza di governo. Il presidente del Consiglio avrebbe voluto affidare la responsabilità dell'emergenza al ministro Amato, il quale non ha avuto un solo attimo di esitazione nel rifiutare la generosa proposta. Allora si è pensato ad un vice di Amato, Minnitti: uomo di partito la cui scelta, di conseguenza, poteva apparire come un provvedimento punitivo nei confronti del presidente della Regione Bassolino. Perché la questione dei rifiuti in Campania a Palazzo Chigi si legge con il metro dei possibili problemi che si possono creare nel partito democratico, a cui appartengono tutti gli esponenti politici citati. Fuorché appunto De Gennaro. E' successo così che dopo averlo defenestrato a causa del G8, il centrosinistra lo richiama in servizio in fretta e furia per affrontare una situazione ben più grave. Tanto che ad applaudire la nomina dell'ex capo della polizia è più l'opposizione che la maggioranza, almeno fino a quando quest'ultima ha compreso che non si poteva dare la zappa sui piedi da sola, pure su questa vicenda.

Evidentemente un governo allo sbando che non sa più a che santo votarsi, e che non rinuncia a commisurare i problemi di una città e di una regione sulla base degli equilibri interni alla coalizione. Ha ragione allora chi come Pierluigi Battista sul "Corriere" considera la crisi dei rifiuti in Campania come la conclusione di una stagione politica, perché il partito dominante nella regione in questi ultimi quindici anni - e che ha potuto godere dell'appoggio di otto anni di governi di centrosinistra - si dimostra omogeneo al sistema di potere napoletano che Francesco Rosi descriveva nel suo indimenticato "Le mani sulla città". Forse oggi è anche peggio di allora. L'appena nato partito democratico faccia bene i conti: in Campania rischia già di avere ereditato incrostazioni e malattie che impediscono uno slancio futuro.

Quanto alla scelta di De Gennaro, che è avvenuta nelle condizioni peggiori ma che ha riguardato comunque un uomo di qualità, essa dà l'idea che fondamentalmente il governo consideri il problema dei rifiuti come un problema di ordine pubblico. Ha ragione in proposito l'onorevole Boselli. Ed effettivamente esiste un problema di ordine pubblico da fronteggiare. Ma ve ne è uno, enorme e di lungo periodo, che è di ordine ambientale. Il principale responsabile di questo problema, il ministro Pecoraro Scanio, che costrinse alle dimissioni il commissario straordinario Bertolaso, non può rimanere al suo posto. E c'è infine un altro problema, di ordine clientelare e amministrativo, che riguarda il modo in cui sono stati sperperati i fondi destinati ad eliminare i rifiuti.

Purtroppo è vero quello che dice Berlusconi in un'intervista al quotidiano di via Solferino e cioè che se ci fossero stati amministratori di Forza Italia invece che di centrosinistra in Campania, sarebbero già in carcere. Questi invece stanno ancora al loro posto e continuano a non dimettersi.

Roma, 9 gennaio 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
11-01-08, 02:32
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg


Riceviamo dal "C.S.E. - Centro Studi Europeo"

INTIFADA PARTENOPEA:
progressisti o conservatori?

L’ANNO NUOVO SI APRE CON LA RIVOLTA DI NAPOLI ed il cittadino comune, italiano ed europeo cerca, negli episodi Risorgimentali, le Giornate gloriose del 1848/49 di Milano, di Roma, di Brescia, di Venezia ... di Napoli. Cerca anche nel Secondo Risorgimento, che qualcuno fa partire dalla lotta al fascismo alla caduta del reame sabaudo e finalmente, alla Repubblica Italiana, 2 giugno 1946. Siamo ormai all’inizio del 2008 e già dovremmo trovarci con gli Stati Uniti d’Europa, in condizioni di sopranazionalità politica, con una vera politica estera, militare, economica, ecc.
Ma la Comunità europea, con la complicità dei nostri governanti (destra, sinistra, non importa) è stata annacquata, allargata, diluita, mantenuta allo Stato confederale, e il Mercato comune lucidato per farci godere ben altri spettacoli.
Buona parte della popolazione napoletana, ammesso che non ci siano i soliti agit-prop e infiltrazioni brigatiste, in questi giorni si pone contro lo Stato nazionale sovrano, la Regione Campania e il suo governatore, la Provincia di Napoli e l’Amministrazione comunale, e sembra che dica esplicitamente “andate a casa”. Sono i tempi della Giovine Italia? Della Giovine Europa? C’è un partenopeo discepolo di Mazzini che riprende la partita in nome dell’Alleanza Repubblicana Universale? Si tratta di un moto utopista, progressista e futuribile che reclama finalmente gli Stati Uniti d’Europa? Nemmeno a parlarne; forse la faida è roba locale da conservatori e compari che non sanno dove far ibernare la sporcizia.
Napoli, bellezza italica del turismo, la troviamo rivoltosa per glorie da bassa corte, maldestramente giocando l’onore per una pattumiera in più, che cresce giornalmente da anni e, proprio a causa della sporcizia, puzzolente e inquinante, si è vista sbandierare a livello internazionale sui teleschermi di tutto il Mondo come vergogna pubblica da gogna. A spaziare col telecomando a volte si incontrano visioni aberranti e incredibili, e oggi ci si imbatte anche in una specie di intifada napoletana, che ricorda certe sassaiole provocatorie del Medio Oriente, dagli anni cinquanta in poi.
Ricordate quel duello senza quartiere e privo di avvenire basato sul lancio non solo di sassi, quella guerriglia orgogliosamente utilizzata dai rivoltosi per non rimboccarsi le maniche e lavorare costruttivamente per la pace? La sassaiola degli scugnizzi arabi era rivolta verso gli infedeli, verso quel laboratorio progressista dei Cittadini di Israele che ci ha dato da vedere come sia possibile rendere giardino fiorente e agronomicamente produttivo parte del deserto del Medio Oriente. Torti da entrambi le parti, ma si può discutere e accordarsi. Ma ai conservatori non va, allora quelle Terre diventano infuocate per infamia, per conservare l’arido deserto piuttosto che la produzione e il benessere, per mantenere nella miseria e nella ribellione la popolazione, per annullare i tentativi di riconciliazione, di collaborazione e di pace fra popoli confinanti, per provocare e alimentare il fuoco dell’odio e del crimine, nonostante palliative premiazioni a favore della Pace, con premi marcati “Pace” a livello internazionale. La Pace lì, a Gerusalemme e dintorni - oramai - potrebbe essere imposta solo da un esercito federale di una entità politica soprannazionale, creata democraticamente dalla popolazione dello stesso Medio Oriente, con denominazione ipotetica Stati Uniti del Medio Oriente compreso Israele. Formazione politica attualmente inesistente, quindi utopia, ma è l’avvenire; e lo auspica anche Mazzini in “Fede e Avvenire”.
Manca lo Stato Federale nel M.O., mancano gli elementi per ”calmare” i bollenti spiriti dei sassaioli di turno, possibili futuri allievi kamikaze da sacrificare contro gli infedeli, il capitalismo americano e i suoi alleati.
Anche i sassi campani, novella intifada partenopea, sono lanciati da esseri umani con la mentalità italiota, perché pensano che le altre Regioni italiane siano più fortunate e che qualche Paese, anche alleato, potrebbe risolvere gli attuali problemi napoletani legati al disordinato consumismo e al caotico cumulo di avanzi domestici.
A livello mondiale sono state intercettate le scenette delle sassate di Napoli; un interlocutore disse che potrebbero starci anche i sassopetardi. Contro chi?
Sassi contro le forze dell’ordine, presenti per la sicurezza e l’incolumità della gente. La sassaiola, si ritiene, è diretta alla loro stessa rappresentanza, alle persone che loro stessi hanno votato, e quindi non aveva e non ha senso logico se non quello di creare disordine. La confusione, la distruzione di beni economici e culturali (come nel ’68), l’uso di violenza e di metodi selvaggi, in un contesto umanamente civile, aumentano solo il tono della psicopatia sociale. Non sono i napoletani che hanno eletto i loro amministratori locali? e quelli regionali? e poi anche i nazionali e quelli europei, per quel che contano e fanno? I napoletani hanno avuto gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri cittadini italiani, in terraferma e nelle isole. Nel Friuli, in Valtellina e nelle altre Regioni gli scarti e le mondezze se li risolvono, senza troppo chiasso, a livello di amministrazioni locali e per via ordinaria. Lo smaltimento dei rifiuti è problema, bene o male, di tutti i centri urbani, pertanto qualsiasi Comunità civile ha i suoi progetti con soluzione democratica, collettiva, operativa a livello locale. Non si può pensare di scomodare il livello nazionale e internazionale per le discariche, non si può colpevolizzare lo Stato, sovrano egoista e tiranno, accusandolo di sevizia per la “povera sporca Napoli”.
Napoli odierna ha creato uno scenario da “spot osè”, più attraente, per ipocrisia e sadismo, della politica estera nazionale ed europea, più allucinante del nostro disavanzo col tesoretto, più orrido dell’inefficienza europea in politica estera.
La TV ha l’orgoglio di mostrare, come prima notizia politica la Napoli di oggi contestataria e sporca, e poi ci fa vedere le sortite di certi maschiotti vip dell’alta politica europea che provano a giocare con le gambe del gentil sesso. In TV, si dice, meglio una bella donna che si arrampica sul fusto di qualche presidente, che vedere le vie di Napoli, sporche e inquinanti, con le scuole che potrebbero essere chiuse per prudenza sanitaria.
La Napoli rispettabile non merita una vergogna simile, ma i colpevoli trovano scuse, i codardi tacciono, i delusi mormorano, i fanciulli si lamentano e alcuni tirano i sassi, il governo salva le chiappe col supercommissario per risolvere ciò che sarebbe solo di competenza dell’ordinaria amministrazione.
Conservatori? E si, perché i progressisti pensano al futuro, al bene comune di tutti, alla fratellanza e alla cooperazione con Fede, sostengono quindi l’Avvenire pacifico dell’Umanità, mentre i conservatori nascondono il più possibile, ormai senza riuscirci, il proprio egoismo, la mancanza di programmazione progressista sulla via della pace e le proprie vergogne.

Cremona, 10 gennaio 2008

L.B.

Centro Studi Europeo onlus - C.F. 93042320197 Conto Corrente Postale n. 72612070 - portavoce dell’Associazione CSE - periodico EVOLUZIONE EUROPEA sorto nel 1961 e diretto da Luigi Bisicchia

nuvolarossa
14-01-08, 11:49
Come risolvere il problema dei rifiuti

http://www.krancic.it/IMAGE_ATTUALITY/Rifiuti.jpg

nuvolarossa
15-01-08, 15:06
L'esempio mancante
Senza autorevolezza per chiedere alle Regioni responsabilità

Non possiamo stupirci che le Regioni italiane non se la sentano di smaltire i rifiuti della Campania e che l'appello del premier al senso di responsabilità cada nel vuoto. La ragione di questo fatto è molto semplice e dipende dal fatto che, per chiedere responsabilità, occorre a propria volta poter fornire esempi di responsabilità. Non se ne abbia a male il professor Prodi se la nostra impressione è che egli invece ne difetti.

http://www.lastampa.it/redazione/cmssezioni/cronache/200801images/Napoli03g.jpg

Innanzitutto perché mantiene tuttora al suo posto il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio, indicato anche da qualificati esponenti della stessa maggioranza come uno dei principali responsabili del disastro in Campania. Di Pecoraro Scanio è l'opposizione ai termovalorizzatori, senza avanzare una proposta alternativa, se non quella, all'ultimo momento e quasi in maniera grottesca, della raccolta differenziata dei rifiuti da affidare a quarantamila addetti ai lavori. Come a New York. Ammesso che tale ipotesi sia sufficiente, occorreva realizzarla immediatamente, il giorno stesso che era stato detto "no" alla costruzione degli impianti per smaltire i rifiuti. Ciononostante, Prodi ha pensato bene di difenderlo e chiesto anche ai colleghi che l'hanno messo sotto accusa, ad esempio Di Pietro, di fare quadrato. Non diverso è stato il comportamento del governo nei confronti del presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino. Bassolino non è un presidente qualunque. Anche se può ormai vantare una esperienza oramai pluridecennale che avrebbe dovuto garantirgli una perfetta conoscenza della macchina amministrativa, è innanzi tutto un leader politico: convinto, vent'anni fa, che una volta cacciata la Democrazia Cristiana dal potere, in Campania sarebbero stati sconfitti la camorra, il malaffare e quant'altro. Ora, dopo quindici anni di giunte legate a Bassolino e al suo partito, è evidente che la Democrazia Cristiana governava meglio. Ed appare incredibile che nemmeno un disastro di queste proporzioni scuota il governatore asserragliato nella difesa della sua posizione. Prodi lo sostiene, visto che il governo si è preoccupato di evitare la nomina di un responsabile che potesse apparire come un commissariamento di Bassolino.

Infine lo stesso presidente del Consiglio ha qualche responsabilità, visto che il sindaco di Napoli ha denunciato di avergli illustrato le condizioni di disagio ed il loro inevitabile aggravamento da almeno un anno, senza avere nessun conforto da parte del premier. Come pretendere, a fronte di una situazione di irresponsabilità così diffusa, che proprio le Regioni italiane che smaltiscono i rifiuti e fanno del loro meglio per supportare le esigenze di vita dei loro corregionali, debbano essere responsabili verso la Campania? E può essere proprio Prodi a pretenderlo?

L'esemplarità in politica è fondamentale per costruire una sensibilità civica ed un rispetto per le istituzioni.

Disgraziatamente, dal governo non vediamo nessun esempio utile in merito, tutt'altro. E abbiamo ragione di temere che in queste condizioni la situazione possa solo peggiorare.

Roma, 14 gennaio 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
15-01-08, 19:35
Rifiuti - Nucara a Napolitano: tv mostrano le immagini di un disastro

"Con tutto il rispetto dovuto al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, crediamo - ha dichiarato il segretario del Pri Francesco Nucara - che le televisioni, riprendendo e mostrando le immagini del disastro sanitario ed ambientale in corso da settimane in Campania, non facciano altro che fotografare la realtà. Se l'Europa ci dedica troppa attenzione, come ha affermato il presidente della Repubblica, è perché l'immagine del nostro Paese è quella di un paese dove si verificano emergenze inconcepibili".

tratto da http://www.pri.it/15%20Gennaio%202008/NucRifiutiNapolitano.htm

nuvolarossa
19-03-08, 20:46
L'ultima bandiera
Se fallisce Alitalia di certo non si salva Malpensa

Se c'è una cosa di cui essere sicuri nella vicenda Alitalia è che, come dichiara il ministro dell'Economia Tommaso Padoa - Schioppa nell'intervista al "Corriere della Sera", "la situazione al 19 marzo 2008 appare leggermente più grave di quella del 19 luglio 2007".

http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/economia/alitalia-15/spinetta-fiducia/ap_12528071_03590.jpg

All'epoca il ministro sosteneva che, se non si vendeva, c'era la liquidazione, vale a dire il fallimento. Quanto all'aggravamento della situazione, il "leggermente" usato dal ministro ci sembra un eufemismo.

Ma sarebbe fin troppo facile scaricare la responsabilità di questa situazione sul governo ancora in carica. Anche se l'esecutivo, nel suo complesso - non certo per colpa del ministro dell'Economia - ha cercato in tutti i modi di vincolare la vendita a delle condizioni capestro (pensiamo alla famosa asta a cui ovviamente non si presentò nessun compratore) e poi di ritardare il momento della vendita. Questo di concerto con le preoccupazioni sindacali, che sono arrivate al punto di degenerare negli scontri di Roma martedì scorso.

Leggiamo poi che il ministro Di Pietro vorrebbe lasciare la patata bollente della decisione di vendita al futuro governo, rinviando ancora.

Capiamo ovviamente tutte le preoccupazioni che concernono i lavoratori di Alitalia e quelli della Sea, che si sentono minacciati nel caso andasse in porto la vendita ad Air France. Ma non crediamo, salvo la discesa in campo di un munifico e fantasmagorico offerente, nella possibilità di una soluzione diversa da quella che sostiene il ministro dell'Economia. Certo, ognuno è libero di sognare quello che vuole, ma la realtà ad un certo momento finisce per mostrarsi per come essa è.

L'esperienza di Alitalia è stata catastrofica e il compratore francese, per quanto abbia un piano di ristrutturazione per Sea e Malpensa, garantisce ancora una possibilità di sopravvivenza alla compagnia. Pensare che piuttosto sia meglio fallire - ha ancora ragione il ministro dell'Economia - significa non valutare a fondo il preso delle conseguenze di un tale esito. Anche perché, se Air France riesce a salvare il salvabile, da questa base si può ancora puntare ad una prospettiva di sviluppo per il futuro. Vi sono clienti esteri e potenzialità che possono stimolare una condizione di ripartenza del settore. Ma se tutto va a rotoli, davvero non capiamo in cosa si possa sperare domani.

Straordinaria la posizione della Sea, che non rinuncia al ricorso contro Alitalia perché non può fare a meno di difendere le sue prerogative. Quali siano poi le prerogative di una compagnia di servizi aeroportuali, una volta distrutta la compagnia aerea, un giorno ce lo spiegheranno.

E' chiaro che abbiamo di fronte una condizione di disastro che è andata maturando negli anni; così come è inevitabile che un compratore dovrà accentrare il livello di controllo decisionale, sacrificando molti comparti della struttura precedente. E dal Nord del paese e dai suoi principali esponenti politici di riferimento ci saremmo aspettati non lo stesso atteggiamento estremizzato dei sindacati, ma la capacità di vedere, nel restringimento delle funzioni di Malpensa e della Sea, una prospettiva di rilancio e di espansione che ora appare negata all'acquirente francese. Così come a qualsiasi altro acquirente possibile.

Anche noi ambiremmo ad avere una compagnia di bandiera degna del prestigio del paese. Ma quando, invece del prestigio, c'è il degrado finanziario e azionario della compagnia in oggetto, inevitabilmente la bandiera non possiamo più permetterci di esporla.

Roma, 19 marzo 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
20-03-08, 13:29
Berlusconi dove tocca, senza il supporto di una legge governativa, fa fallire ....Berlusconi, senza aiuti dallo Stato, ha dimostrato a tutt'Italia (salvo Los Cogliones) come si fa impresa, come si costruisce ricchezza e come si da lavoro alla gente ... Chi ha governato Alitalia in tutti questi anni ... invece ... con il supporto di un pozzo a perdere di quattrini dello Stato ... con lo sperpero di liquidazioni multimiliardarie ... ha messo la compagnia sul lastrico e in odore di fallimento ... in particolare i danni piu' irrevocabili sono stati fatti proprio negli anni dal 1993 al 2001 ... anni in cui e' stata la sinistra pasticciona ed arruffona a governare la Compagnia di Bandiera ...
Magari, ripeto, se la comprasse il Berluska, solo che avesse tempo ... invece gli tocca andare al governo a sistemare il Caos che in solo due anni e' stato creato dal partito di Prodi/Veltroni/Bassolino ...

nuvolarossa
21-03-08, 12:54
Un caffè con Francesco Nucara (PRI) per parlare del caso Alitalia - Guarda l'intervista di Massimo Leoni al segretario nazionale del Pri Francesco Nucara andata in onda su Sky Tg 24 venerdì 21 marzo alle ore 9,30

clicca qui ... per il video ... (http://www.skylife.it/html/skylife/tg24/politica.html?idvideo=66526)

nuvolarossa
21-03-08, 17:53
Nucara a Sky Tg24
"Un caffè con" il segretario del Pri

"Berlusconi ci ha abituato a colpi di scena sia nell'attività politica sia in quella imprenditoriale. Se Berlusconi pensa ad una cordata italiana per Alitalia, avrà sicuramente qualche carta in mano". Lo ha detto il segretario del Pri Francesco Nucara venerdì, nel corso della sua intervista a Sky Tg 24, in "Un caffè con". Nucara si è detto sorpreso "che la sinistra e il leader del Pd Veltroni non dicano nulla sul conflitto di interessi. Questo significa che Alitalia è un problema del paese. E forse gli attuali governanti dovrebbero cercare di dare un aiuto a Berlusconi per realizzare un piano alternativo. Mi pare invece che le prime risposte siano state negative". Il segretario repubblicano sottolinea come "Bonanni dica che la colpa del disastro di Alitalia sia Prodi e del ministro dell'Economia Padoa - Schioppa. Certo è una situazione che si è lasciata incancrenire. Qualche anno fa si poteva fare un accordo alla pari con Air France, oggi c'è il rischio di un'annessione". Alla domanda del giornalista Massimo Leoni se in realtà la sortita di Berlusconi non sia altro che una trovata elettorale. Nucara ha risposto: "E perché mai? A Berlusconi converrebbe accusare l'attuale governo invece di assumersi delle responsabilità. Penso che egli sarà il presidente del Consiglio dopo il 14 aprile e quindi non può permettersi certo impegni a cuor leggero. Certo che la realizzazione della sua proposta è difficile, basta vedere le reazioni che provengono dal mondo finanziario, le posizioni espresse da Corrado Passera". Nel corso dell'intervista Nucara ha sottolineato come il Pri salvaguarderà la sua identità nel Partito della libertà: "Abbiamo la testa dura e siamo convinti delle nostre idee: possiamo stare con chiunque senza lasciarci condizionare in nulla". Infine il leader dell'Edera ha commentato il ministro degli Interni Amato: "E' assolutamente fuori luogo il paragone con Guantanamo. Amato offende la nostra democrazia". Nucara, contrario ad una commissione d'inchiesta sui fatti di Genova ha aggiunto: "I torti stanno da ambo le parti, sia nei comportamenti dei manifestanti - quale quello di assaltare le camionette delle forze dell'ordine - che nelle reazioni di alcuni agenti. Per fare chiarezza non è necessaria una commissione, è sufficiente il lavoro della magistratura ordinaria".

tratto da http://www.pri.it/21%20Marzo%202008/NucaraSkyTg24Caffe.htm

nuvolarossa
23-03-08, 13:01
Il Cavaliere: o si fa Alitalia o si muore

ROMA - 'O si fa Alitalia o si muore’. Silvio Berlusconi, nuovo Garibaldi, per salvare la compagnia di bandiera sembra essere disposto a tutto. E proprio la sua discesa in campo è la garanzia, assicura, che alla fine la cordata italiana la spunterà sui francesi: “Ormai mi sono impegnato io, quindi si fa”, rassicura.

Romano Prodi preferisce non intervenire, e così ieri il botta e risposta è con Walter Veltroni. Il leader del Pd non chiude la porta a un’alternativa ma lancia un ultimatum: se c'è una cordata si deve fare viva entro 48 ore. Una tempistica “assurda”, è la replica: “Servono 3, 4 settimane”.

La campagna di Berlusconi ruota intorno ad alcune certezze: le condizioni di Air France sono inaccettabili; Intesa Sanpaolo non si è ritirata; ci sono imprenditori italiani interessati al salvataggio di Alitalia che “si sono dichiarati disponibili e che ora si stanno parlando”. Sono “nomi grossi - spiega - e tutti in contatto con Toto”. Suona il tasto dell’orgoglio l’ex premier e spiega che consegnare Alitalia a Parigi sarebbe un pò come essere colonizzati. L’Italia sarebbe svilita, basta considerare che anche “la Grecia e il Portogallo hanno una compagnia di bandiera”.

Quindi bisogna ribellarsi, rimboccarsi le maniche e trovare una nuova soluzione. Lui, dice sornione, ha atteso di conoscere le carte di Af; dopo averle viste ha però capito che il piano francese non si poteva mandare giù e si è quindi fatto avanti. A questo punto se la prende con il governo, che negli ultimi sei mesi ha tenuto i conti di Alitalia nascosti ai più. E ora è arrivato il momento che tiri fuori il dossier - è la richiesta - per permettere anche a altri di mettere insieme una proposta.

Air One dice di aver bisogno di tre settimane circa, lo stesso timing indicato da Berlusconi.

La tesi del governo è invece che di tempo ve ne sia davvero poco, la scadenza resta fissata al 31 marzo. Di fronte a un incontenibile Cavaliere, che rilascia dichiarazioni su dichiarazioni, Romano Prodi si trincera però dietro a una risposta laconica: “Non parlo. E’ ora di essere seri...”.

Anche Walter Veltroni invita a evitare che una vicenda così delicata finisca nel tritacarne elettorale. “Non vorrei - aggiunge il leader del Pd - che ci sia una cordata che dopo le elezioni non c'è più” perchè questo significherebbe portare “Alitalia sull'orlo del fallimento”. Su questo almeno i due candidati premier sono d’accordo.

Al loft di Santa Anastasia si deve registrare un certo nervosismo se il numero due del Pd Dario Franceschini a sera sceglie toni ancora più duri di quelli del leader: lo scopo di Berlusconi, afferma Dario Franceschini, è scavalcare il 13 aprile. Francesco Rutelli invece punta il dito contro l’ipotesi che Marina e Pier Silvio Berlusconi possano offrire soccorso: “Berlusconi vuole regalare Alitalia ai figli, solo che il lupo perde il pelo ma non il vizio e vuole i soldi dello Stato”.

Il più duro è però il ministro Antonio Di Pietro: l’accusa è addirittura di insider trading. Attacchi “isterici” che altro non sono che la cartina tornasole del fatto, commenta Maurizio Lupi, che “hanno la coscienza sporca”.

L’affondo al vetriolo però arriva dall’ex alleato Pier Ferdinando Casini: “Dopo quattro anni sempre le stesse cose su Alitalia”, dice il leader dell’Udc citando una dichiarazione di Berlusconi del 17 febbraio del 2004 (“Per fortuna di Alitalia, c'è il signor Silvio Berlusconi che impiegherà tutto il suo talento per risolvere un problema che altri non hanno saputo risolvere”).

Schermaglie che a sentire il Pdl sono destinate a finire nel vuoto: “Ora che si conosce qual è il piano di Air France - afferma il governatore della Lombardia Roberto Formigoni - anche altri possono uscire perchè la cosa era pronta da tempo e Silvio Berlusconi si è mosso benissimo”.

CHIARA SCALISE

tratto da http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=642E36D504933955A89CE1B9E36F2 3E6

nuvolarossa
23-03-08, 14:48
ERMOLLI: E' VERO, STIAMO LAVORANDO A CORDATA

Milano, 23 mar. (Apcom) - Bruno Ermolli, senior advisor dell'investment banking Jp Morgan per l'Italia e presidente di Promos 2001, l'azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, è al lavoro per costituire "una cordata alternativa ad Air France per acquistare Alitalia". Lo scrive Marco Alfieri in un articolo sul "Sole - 24 ore". Il primo passo, secondo il giornalista, è "trovare 7-8 nomi disposti a mettere sul piatto 150-200 milioni di euro ciascuno. Una cordata che dovrà, almeno in qualche volto significativo, concretizzarsi entro il 31 marzo. Tassativo. E' una corsa contro il tempo ma è l'unico modo per convincere il governo a varare il famoso prestito ponte e contemporaneamente il Tesoro ad aprire alla due diligence sui conti Alitalia per cui anche l'a.d. di Intesa San Paolo, Corrado Passera, ha per molto tempo insistito".
"Bisogna evitare di coinvolgere gli imprenditori su un quadro economico sbagliato, di qui le 3-4 settimane invocate da Berlusconi", precisa il superconsulente di area berlusconiana Ermolli. Sui nomi della cordata Ermolli tace. Ma circolano i nomi di Diana Bracco, Bernardo Caprotti, i Versace, Nicola Radici, Tronchetti Provera, i berlusconiani in Mediobanca Ligresti e Doris, i Moratti, Bombassei. E Carlo Toto "se ci sta a fare il mediano di mischia invece che il capofila del progetto". Secondo il Sole 24 ore, comunque, sarà determinante la data del 31 marzo, quando oltre a scadere la dead line "chiesta da Air France entro cui soddisfare le condizioni capestro per il via libera al closing con Alitalia, a Parigi il Bie assegnerà l'expo 2015 scegliendo tra la turca Smirne e Milano". Uno scalo come Malpensa, questo è il ragionamento, riacquisterebbe uno peso internazionale importante.

http://notizie.alice.it/notizie/politica/2008/03_marzo/23/alitalia%20%20ermolli%20%20e%20%20vero%20%20stiamo %20lavorando%20a%20cordata,14362642.html?ARCHIVIO

nuvolarossa
24-03-08, 00:47
A chi sostiene che non ci sarebbero le 3/4 settimane necessarie a preparare la cordata italiana proposta da Berlusconi per "salvare" l'Alitalia, Malpensa e migliaia di posti di lavoro ... propongo queste dichiarazioni:

«Puro terrorismo e ne sono responsabili le varie fonti del Governo o della stessa Alitalia che continuano a propagare falsità». Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, commenta così le recenti dichiarazioni sulla vicenda Alitalia. «La smettano di raccontare che Alitalia non ha più soldi - ha affermato oggi il governatore - e che quindi al 31 marzo l'alternativa capestro è o Air France o fallimento». «Alitalia - ha proseguito - è in grave perdita e deve essere privatizzata, ma soprattutto deve essere privatizzata bene, a un compratore che la valorizzi e che valorizzi tutti i suoi assets». «Non c'è - ha insistito Formigoni - questa data capestro. Alitalia ha tutta la liquidità necessaria per andare oltre l'estate e, comunque, a questo ricatto non cederanno nè i sindacati nè gli imprenditori che stanno preparando la cordata alternativa ad Air France».

«I dati ufficiali dicono che Alitalia ha presentato qualche mese fa un piano cosiddetto di sopravvivenza dove prevedeva che per tutto il 2008 ci sarebbe stata liquidità sufficiente». È intervenuto così nella vicenda della compagnia di bandiera il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, in un'intervista a Popolare Network, che ne ha diffuso il testo. «Ora - ha aggiunto - posso anche pensare che in questi primi tre mesi dell'anno la situazione si sia complicata e aggravata, magari non si può arrivare fino alla fine dell'anno, ma escludo che ci siano solo poche settimane di sopravvivenza. Mi sembra un allarme non giustificato, a meno che Alitalia non ci faccia vedere effettivamente qual è la situazione attuale dei conti. Per ora dobbiamo stare a quello che ha messo per iscritto».
Bianchi ha poi parlato della data del 31 marzo: «Quella data è stata fissata da Air France, non esiste una scadenza perentoria di nessun tipo. Hanno chiesto di avere una risposta per quella data, ma una richiesta non deve essere per forza accolta. Se serve più tempo immagino non ci sarà motivo per non averlo e valutare la situazione». «Non c'è motivo di affrettarci - ha detto ancora il ministro - ci sono molte ragioni che lo sconsigliano, intanto perchè bisogna evitare che la gatta frettolosa faccia gattini ciechi, poi siamo in prossimità delle elezioni e infine credo che come in tutte le trattative bisogna portare avanti quella con Air France con la pazienza e con la determinazione che serve. E intanto aprire l'altra perchè questo ci può consentire di avere due offerte e scegliere la migliore».

La prima e' di Formigoni, Presidente della Lombardia (PdL) mentre la seconda e' di Bianchi, Ministro del Governo Prodi/Veltroni/Bassolino ... vedere al link ...
http://www.corriere.it/economia/08_marzo_23/alitalia_bianchi_c16f7406-f8e6-11dc-8874-0003ba99c667.shtml

nuvolarossa
24-03-08, 12:02
Di Pietro fa il pm, accusa Berlusconi e dimentica che ...

di OSCAR GIANNINO

Ricordate la gag di Totò in vagone letto?
Mario Castellano interpreta il deputato Cosimo Trombetta che infine, stremato dagli equivoci sul nome che Totò smitraglia a occhi strabuzzati - e Tromba e Trombone e Clarino - chiede di essere chiamato solo "onorevole". E si becca da Totò un sonoro «ma mi faccia il piacere... lo vieta la mia coscienza».
Lo stesso effetto, talvolta, ci suscita Antonio Di Pietro. Soprattutto quando poi fa la parte sia di Totò sia dell'on. Trombetta.
Ieri per esempio il ministro Di Pietro se n'è uscito con una battutaccia a effetto. Lui che pure aveva intimato al premier Prodi di non chiudere con Air France perché Malpensa va tutelata e vale da sola dieci volte lo scassato carrozzone di Stato, ha accusato Berlusconi di insider trading.
Cioè del reato che attraverso annunci si compie per manipolare l'andamento di titoli quotati.
Gratta gratta e sotto il titolo di onorevole Trombetta spunta sempre la toga del pm, quando si tratta di Di Pietro. Ma questa volta Di Pietro toppa. E di grosso. Perché se c'è un governo sul quale grava il sospetto di insider trading sul titolo Alitalia, è proprio il governo Prodi, al quale la trombetta-trombone Di Pietro appartiene.
E non lo dico per amor di polemica.
Lo dicono gli atti ufficiali e gli interventi della Consob, l'autorità del mercato che da dicembre 2006, quando Prodi mise in moto la gara-non gara per la cessione di Alitalia, è dovuta intervenire ben venti volte.
Proprio perché le dichiarazioni dei diversi componenti del governo, le modalità stesse della gara fingendo da dicembre 2006 a luglio 2007 che vi fossero in campo chissà quanti concorrenti, nonché molti atti posti in essere dalla stessa Alitalia col consenso del governo, insospettivano la Consob che tutto fosse volto a sostenere o deprimere a comando il titolo in Borsa.
Si tenga conto che dal dicembre 2006 a oggi Alitalia ha ridotto la sua capitalizzazione da 1,2 miliardi di euro a poco più di 300 milioni giovedì scorso, e che in questi 2 anni il titolo è diventato puramente speculativo, per scommettittori e arbitraggisti professionisti, che comprano un giorno per vendere l'indomani o entro la stessa seduta.
Ogni mese la somma delle compravendite si è situata tra 2 e 5 volte la capitalizzazione del titolo.
Con oltre 100mila diversi operatori che intervengono ogni seduta, nei momenti caldi. Una lotteria, insomma.
Rinfreschiamo un po' la memoria alle trombette, ai tromboni, e al ministro Di Pietro.

- Il primo intervento della Consob sul governo Prodi avvenne il 5 dicembre 2006, allorché l'autorità fece uscire il Tesoro dall'ambiguità se la gara imminente fosse volta a un'offerta sul 100% della società o sul 30,1% a trattativa diretta.
- Un secondo intervento il 9 dicembre, quando fu chiaro che nella prima fase si voleva un compratore solo per il 30%, quota che qualche acquirente potenziale poteva facilmente rastrellare a prezzi bassi.
- Terzo intervento della Consob sul Tesoro e sulla compagnia l'8 gennaio 2007, perché non veniva comunicato al mercato lo stato dei conti.
- Il quarto avvenne il 16 gennaio, perché il governo non rispondeva all'interrogativo se considerasse ai sensi dell'articolo 2386 del codice civile ancora in carica o meno il cda Alitalia, malgrado le dimissioni di 3 consiglieri in 6 mesi.
- L'indomani, 17 gennaio, la Consob interviene due volte, sul governo e su Alitalia, perché si era dimesso anche il francese Spinetta ma il governo voleva far riunire il cda lo stesso.
- Settimo intervento Consob il 18 gennaio, richiamando il governo a far approvare piano industriale e di dismissioni che era stato annunciato entro il 31 dicembre 2006, e che veniva rinviato per non deprimere il titolo.
- L'indomani, 19 gennaio, ottavo e nono intervento Consob, per fissare l'assemblea di Alitalia a seguito delle dimissioni di Cimoli e dichiarare le perdite 2006 e la sostenibilità del fabbisogno finanziario per il 2007.
- Decimo intervento dell'autorità presieduta da Lamberto Cardia il 27 gennaio, contro il tentativo del governo di appellarsi all'articolo 114 del testo della finanza unica al fine di non rivelare le perdite per non recare nocumento al titolo. In realtà, perché il dato non fosse noto a chi intanto dichiarava le prime manifestazioni d'interesse per la compagnia.
La Consob continuava a non vederci chiaro, perché il titolo che valeva 0,8 euro a novembre veleggiava ora su 1,2 euro, proprio per il velo opaco tenuto sulle perdite 2006.
- Dunque Cardia interviene l'undicesima volta il 29 gennaio, chiedendo anche una verifica del valore patrimoniale attribuito alla flotta nel bilancio.
Il 12 gennaio 2007 Cardia scrive direttamente a Prodi e a Padoa-Schioppa, stanco delle dichiarazioni di tutti i componenti del governo su Alitalia.
-Tredicesimo intervento il 16 marzo, richiedendo perentoriamente lo stato dei conti, vista l'inattendibilità manifesta di perdite per soli 380 milioni nel 2007 annunciate dal governo al mercato.
Ma Alitalia si prende sino al 23 maggio di tempo prima di approvare il bilancio dell'anno precedente.
Guarda caso, dopo il termine stabilito al 16 aprile per presentare le offerte, nella prima fase della gara-non gara indetta da Prodi.
- Cardia interviene la quattordicesima volta il 2 giugno perché il governo risulta aver fatto pressioni su Deloitte che rifiuta di certificare il bilancio 2006 Alitalia: che registra perdite per 626 milioni, non i 380 che erano stati millantati al mercato.
- Dopodiché, il 26 luglio, quando il governo sta deliberando sul passaggio alla seconda fase della gara-non gara ritiratisi tutti i contendenti, la Conosb deve reintervenire per la 15esima volta, invitando il governo a non far trapelare indiscrezioni che diano ali al titolo.
- Sedicesimo intervento Consob il 1° novembre 2007, per nuove pressioni esercitate dal governo su Deloitte, che obietta alla certificazione dei conti del primo semestre 2007, in teoria dovuti al mercato entro il 3 ottobre. -- Diciassettesimo intervento il 13 dicembre: la Consob chiede spiegazioni su una fantomatica cordata da Singapore che era stata accreditata al mercato da indiscrezioni governative.
- Il 14 dicembre 2007 siamo al diciottesimo intervento. La Consob chiede a governo e Alitalia di chiarire i termini dell'offerta agli obbligazionisti avanzata da Air France.
- Dopo il 19esimo intervento, l'indomani, la Consob gira alla procura di Roma richiesta di aprire un fascicolo per aggiotaggio e turbativa d'asta, e l'indagine è affidata ai pm Nello Rossi, Stefano Pesci e Gustavo de Marinis.
- A seguito del ventesimo intervento di Cardia l'ad di Alitalia Maurizio Prato si presenta per un lungo incontro riservato in Consob il 4 febbraio 2008, sempre per la scarsità di particolari resi al mercato dell'offerta francese. mentre il titolo ha sbalzi paurosi.

Questa è la cronistoria.
È il governo Prodi ad aver agito in modo tale da favorire l'insider trading.
Per 20 volte almeno la Consob si è mossa, sa Dio quante altre volte che io qui ignoro.
Questa volta Di Pietro ha fatto l'onorevole trombetta-trombone.
Ma è gentilmente pregato di attenersi ai fatti.

tratto da http://www.libero-news.it/libero/LF_showArticle.jsp?edition=&topic=4896&idarticle=93830550

nuvolarossa
24-03-08, 13:30
Air France ci guadagna pure
Alitalia svenduta? No, regalata. Ecco perché

Un vero affare. Air France si compra azioni proprie a sconto: paga 138 milioni una quota che ne vale 140. In più, in regalo, una compagnia aerea, una flotta, dei terreni immediatamente vendibili a Fiumicino, degli slot preziosissimi all’aeroporto londinese di Heathrow... Alitalia è un vero «cadeau», da scartare con cura.
Spieghiamoci meglio. Nel 2002 i vettori di Roma e di Parigi «cementarono» gli accordi commerciali appena sottoscritti e la comune appartenenza all’alleanza SkyTeam, con uno scambio azionario del 2%. In virtù di questo patto, al numero uno di Air France, Jean Cyril Spinetta, fu attribuito un posto nel consiglio di amministrazione alla Magliana, e al suo corrispondente italiano - Francesco Mengozzi, prima, Giancarlo Cimoli, poi - una simmetrica poltrona a Parigi. Nel tempo, queste partecipazioni hanno avuto destini diversi: quella in Air France di proprietà di Alitalia si è progressivamente valorizzata, per effetto dei buoni conti della compagnia d’Oltralpe e dell’operazione che l’ha legata all’olandese Klm; quella in Alitalia di proprietà di Air France, invece, si è progressivamente deteriorata, perdendo valore parallelamente alla perdita di quota degli aerei col timone bianco, rosso e verde. Tant’è che alla fine del 2005, quando Giancarlo Cimoli varò un aumento di capitale da un miliardo di euro, Air France dovette mettere mano al portafogli per mantenere intatta la propria quota: visto col senno di poi, quel gesto appare più di un messaggio d’amicizia, e lascia trasparire l’intento chiaro di mantenere un rapporto «forte» con l’alleato italiano. Air France in questi anni ha fatto soldi trasportando passeggeri e merci; Alitalia ne ha persi una valanga facendo volare gli aerei ma dall’investimento in azioni della società francese ha tratto solo soddisfazioni.
Parla il bilancio Alitalia 2006 (ultimo documento ufficiale disponibile): al 31 dicembre di quell’anno la partecipazione di Alitalia in Air France era valutata 140,177 milioni di euro, rivalutata a questa cifra - udite udite - dai 79,517 milioni di un anno prima. Quasi il doppio! La posta era stata inserita tra quelle «disponibili per la vendita», ma non risulta alle cronache (né alle due compagnie, interpellate) che ci sia stata variazione di sorta.Alitalia oggi viene valutata circa 2 milioni meno di quanto valga la sua partecipazione in Air France. Un fatto squisitamente economico o l’estrema prova della «grandeur» (leggi: vanità) francese? È come dire: Alitalia vale meno di zero. Tutto il resto, insomma, è un grande pacchetto regalo nel quale ogni asset è virtuale, con aerei, terreni e diritti trattati come una «manette» alle aste dell’Hotel Drouot, nella quale si vendono cianfrusaglie alla rinfusa.
Sono gli economisti a riportarci alla realtà: il valore di libro dei beni non è il valore dell’impresa. Quest’ultima per valere deve fare soldi, non perderli.

Paolo Stefanato

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=248557

nuvolarossa
24-03-08, 19:55
Sul problema dell'Alitalia ... vista l'enorme gazzarra suscitata ... Ministri contro Ministri ... sconcerto sull'esito delle trattative in corso ... Sindacati giustamente sul piede di guerra nella difesa dei posti di lavoro di migliaia di famiglie ... possibilita' di rinegoziare il tutto con una cordata italiana (sempre che esca allo scoperto) ... ed in considerazione che il Governo Prodi/Veltroni/Bassolino e' stato "sfiduciato" in Parlamento ... e che il Presidente Napolitano, anche su indicazione dell'opposizione, lo ha lasciato in carica solo per svolgere l'ordinaria amministrazione ... e considerando che le sorti future dell'Alitalia non possono essere considerate "normale amministrazione" ... ma grave problema sociale ed economico dell'intero Paese ... credo che sarebbe opportuno che Prodi/Veltroni/Bassolino facciano un passo indietro e lascino al nuovo Governo che andra' ad insediarsi dopo il 14 aprile - e che avra' quindi l'avallo del Popolo Italiano - l'ingrato compito di risolvere la spinosa questione ...

Augh !

saffi aurelio
24-03-08, 22:09
Alitalia: Bonanni, Prodi voleva Air France

Segretario Cisl, Lufthansa si ritiro' per questo motivo

(ANSA) - ROMA, 24 MAR - Il segretario generale della Cisl Bonanni sostiene che Lufthansa si sia ritirata dalla corsa per Alitalia perche' Prodi voleva Air France. 'Il presidente Prodi farebbe bene a non menare il can per l'aia perche' sa perfettamente che Lufthansa si e' ritirata perche' la compagnia tedesca conosceva perfettamente di un rapporto suo con Air France indissolubile, di una sua preferenza, a prescindere, per la compagnia francese', afferma Bonanni, commentando le dichiarazioni del premier su Alitalia.

http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/economia/news/2008-03-24_124178161.html



E oggi l'Italia si trova a dover seguire fedelmente il dettato dei francesi, unici in gara, e a svendere la compagnia di bandiera. Prodi è un pericolo per questo paese, prima se ne va e meglio sarà per tutti.

nuvolarossa
26-03-08, 12:08
La metafora del declino - Crisi della compagnia di bandiera e del Paese vengono da lontano
Quell'allarme del 1973 che è rimasto inascoltato

di Gianni Ravaglia

A ben vedere la crisi dell'Alitalia può rappresentare la metafora del declino italiano. Un declino che viene da lontano. Esso, a grandi linee, è conseguenza di due eventi che hanno radicalmente mutato gli scenari economici internazionali. Eventi cui le classi dirigenti di Alitalia e della nazione non hanno saputo opporre alcuna politica, se non quella dei rinvii e dei debiti. Il primo fattore è stato l'aumento geometrico dei prezzi del petrolio. Fin dal primo manifestarsi di tale fenomeno, nel 1973, la nostra compagnia aerea, pur consapevole dello stratosferico aumento dei costi della materia prima, confidando sulle linee di credito di mamma Iri e sulle tasse dei cittadini, invece di ridurre le tratte in perdita e ristrutturarsi, continuò con faraonici piani di sviluppo, senza alcun controllo dei costi. Lo Stato italiano non è stato da meno. Con il risultato di avere miliardi sprecati nelle tante cattedrali nel deserto del Sud, l'assenza di una vera politica energetica, fino alla chiusura delle centrali nucleari esistenti (mentre la Francia e la Germania ne costruivano di nuove), maggiore rigidità nei costi del lavoro, esplosione del debito pubblico, dell'inflazione e delle tasse. Se, negli anni '80, Reagan e Thatcher avviarono una profonda ristrutturazione delle proprie economie, riducendo il peso dello Stato e delle rigidità del sistema, in Italia sono continuati ad aumentare costi e disservizi del pubblico.

L'unico strumento utilizzato per recuperare competitività è stato la svalutazione della moneta, con pesanti tagli al potere d'acquisto. Il secondo evento è stato la caduta del muro di Berlino e la conseguente globalizzazione. Il processo di liberalizzazione dei mercati che ne è seguito ha dimezzato i costi dei trasporti per cittadini e imprese, a prezzo di un bagno di sangue per le compagnie aeree che non si sono ristrutturate. Ma in Italia, come se nulla fosse avvenuto, ogni provincia si è costruita il suo aeroporto. Milano, per non essere da meno, ne ha costruito un secondo, obbligando Alitalia ad utilizzarlo come secondo centro di smistamento, con oneri aggiuntivi di personale e di gestione. Oneri che la compagnia non ha potuto scaricare sui prezzi dei biglietti, in presenza di compagnie che volavano a prezzi dimezzati. In Europa, la Swissair fallisce, la Klm viene inglobata, la Lufthansa licenzia e si ristruttura. E Alitalia? Nulla! I debiti aumentano, i piloti, meglio pagati in Europa, vestono Valentino e lo Stato, con le nostre tasse, continua i rimborsi a piè di lista: tre miliardi negli ultimi dieci anni, quale che sia stata la maggioranza di governo. La cultura che presiede al governo della cosa pubblica non cambia se volgiamo lo sguardo a ciò che, nel frattempo, è avvenuto nel governo della nazione. Fatti salvi gli anni di governo del centrodestra che, con alcune sue timide riforme, ha tentato di introdurre nel sistema flessibilità, merito, nonché, sulle pensioni, equilibri finanziari più realistici, si è lasciato che tutto andasse alla deriva.

L'ultimo governo delle sinistre, poi, come lo stesso Veltroni ogni giorno conferma, ha dimostrato, con le sue tasse, la sua politica energetica, le sue controriforme di essere distante anni luce dal capire le misure necessarie per la crescita del sistema Italia.

E così l'Alitalia non si è ristrutturata ed è arrivata al punto che, per rinascere e sbloccare lo sviluppo di Malpensa, deve fallire. Ma dobbiamo essere consapevoli che, come ha dimostrato l'Argentina, anche le nazioni, se non si adeguano alle mutate condizioni internazionali, possono impoverirsi sempre più, fino a trovarsi nell'impossibilità di pagare i propri debiti. Nessuno, in questa falsa campagna elettorale, lo dice, ma questo è quello che sta avvenendo all'Italia. La cultura statalista, che ha frenato anche le politiche del centrodestra, solo negli ultimi 15 anni ha fatto pagare agli italiani 12 punti di crescita in meno di quella media europea e ben 35 punti in meno rispetto agli Usa. Si abbia l'onestà di ammettere che se i cittadini non arrivano alla fine del mese è perchè lo Stato italiano, negli anni, ha bruciato risorse per tenere in piedi aziende decotte come l'Alitalia, istituzioni inutili e pletoriche, normative corporative, rigidità legislative. Adesso tutti promettono che contrasteranno la perdita di potere d'acquisto dei lavoratori. Ma un potere d'acquisto non inflattivo, non può aumentare se non c'è crescita dell'economia. E l'economia italiana non crescerà se non si farà dimagrire lo statalismo improduttivo e quindi le tasse pagate da imprese e cittadini. Più che slogan, da vecchia politica, tipo: ‘o si fa Alitalia o si muore', per fare veramente rialzare l'Italia lo slogan nuovo e lungimirante sarebbe: ‘cominciamo con l'abolizione delle province per rimettere 10 miliardi nelle vostre tasche'. L'inutilità delle quali, come ha dimostrato l'Eurispes, al netto del costo del personale, ci mangia, appunto, 10,6 miliardi all'anno.

tratto da http://www.pri.it/25%20Marzo%202008/RavagliaCrisiAlitaliaPaese.htm

nuvolarossa
26-03-08, 12:17
L'offerta di Air France
Proposta indecente, lo dice il mercato

di Gianfranco Polillo

L'appello di Silvio Berlusconi agli imprenditori italiani per Alitalia ha acceso i riflettori su una vicenda che sembrava dimenticata: i lunghi mesi di trattativa che hanno preceduto la scelta di Air France KLM. Procedura insolita. Che ricorda il pericoloso precedente della vendita della SME. Anche allora Romano Prodi cercò di cedere l'azienda, ad un prezzo irrisorio, ad un imprenditore amico. Poi il progetto fallì grazie all'improvvisa apparizione, su input di Bettino Craxi, di una nuova cordata. Le analogie sono evidenti. Come allora, si è tentato di non far ricorso ad una procedura pubblica di gara, ma solo ad una trattativa privata, dopo aver sgombrato il campo dai possibili concorrenti. Ed i risultati sono simili.

Un'offerta inaccettabile. Un piano industriale che prefigura uno "spezzatino". Un prezzo da saldo di fine stagione, accompagnato dal diktat: "prendere o lasciare". E sullo sfondo, dopo mesi e mesi perduti non si sa bene a discutere di che, lo spettro del fallimento: l'argomento utilizzato dalla sinistra per chiedere di concludere l'affaire nel giro di 48 ore. A sostegno di quest'ultima tesi sono scesi in campo tutti i "mercatisti". Non c'è più tempo – si sente ripetere – bisogna vendere. E poco importa se Confindustria, da un lato, e sindacati dall'altro, rimasti con un pugno di mosche, non nascondano la loro più decisa opposizione. L'importante è che Berlusconi venga additato come colui che, per fini elettorali, gioca con la pelle della gente, ignorando la realtà economica del Paese.

Ma è così? Se si crede nel mercato, come sostengono le belle anime del liberismo scolastico, è al mercato che bisogna andare per avere un giusto responso. Guardiamo le quotazioni del titolo dallo scorso aprile ad oggi. Nell'anno il valore di un'azione è oscillato tra un minimo di 65 centesimi ad un massimo di 90. Il controvalore dell'offerta Air France è, invece, di 9,9 centesimi: sei, sette volte meno. Sbaglia quindi la borsa nelle sue valutazioni? E' anche possibile. In effetti negli ultimi 15 giorni il titolo è precipitato. Ma quali ne sono state le cause? Forse l'impressione che ormai non c'era più niente da fare. Sta di fatto che subito dopo l'offerta siamo ritornati a 35 centesimi: quanto la stessa Air France aveva offerto solo tre mesi fa.

L'iniziativa di Silvio Berlusconi va letta alla luce di questi avvenimenti. Non sappiamo se sarà possibile organizzare una nuova cordata di imprenditori italiani. Quello che invece appare evidente è che se Air France vuol compare Alitalia deve modificare una proposta che, a giudizio del mercato, appare indecente.

tratto da http://www.pri.it/25%20Marzo%202008/PolilloAirFranceOfferta.htm

nuvolarossa
27-03-08, 18:17
Nucara su Alitalia e pensioni

Il segretario del Pri Francesco Nucara parlando a Reggio Calabria alla manifestazione dei candidati del Pdl all'Hotel Excelsior ha detto: "Se l'appello per una ‘cordata' lanciato da Berlusconi non fosse servito a niente, è servito sicuramente a far riflettere Air France-Klm, costringendola a rivedere il piano industriale e a venire a più miti consigli con le organizzazioni sindacali, ma la vicenda non è ancora chiusa". Quanto alle proposta di Veltroni sulle pensioni, Nucara ha chiosato: "è estemporanea". Secondo il segretario essa è "dettata dall'affanno di chi si sa già perdente. L'unica cosa da fare per aumentare le pensioni - conclude - è aumentare l'età pensionabile".

tratto da http://www.pri.it/26%20Marzo%202008/NucaraAlitaliaPensioni.htm

nuvolarossa
28-03-08, 00:49
ALITALIA: LA MALFA, PAUSA RIFLESSIONE PER NUOVE SOLUZIONI

ANSA, SENIGALLIA, 25/3/2008 - Sull'Alitalia serve una pausa di riflessione, 'per vedere se ci sono soluzioni alternative migliori'. Lo ha detto parlando a Senigallia, in occasione di un incontro elettorale del Pdl, Giorgio La Malfa. 'Il fatto che Air France abbia deciso di estendere la data limite per la trattativa e di negoziare i contenuti del suo piano - ha sostenuto - dimostra che la situazione non corrisponde a quanto dichiarato dal presidente del Consiglio e dal ministro dell'Economia circa la non negoziabilita' della scelta di Air France'. 'Questo - ha aggiunto - fa nascere dei dubbi sul modo in cui e' stata portata avanti la trattativa, dubbi espressi anche dai sindacati'. Ad avviso di La Malfa e' quindi opportuna 'una pausa di riflessione da utilizzare per vedere se vi siano soluzioni alternative migliori'. 'Certo - ha concluso - l'imbarazzo e l'impossibilita' di prendere una posizione chiara sono evidenti per il candidato premier del Pd Walter Veltroni'

tratto da http://www.giorgiolamalfa.it/

saffi aurelio
29-03-08, 17:20
'Questo - ha aggiunto - fa nascere dei dubbi sul modo in cui e' stata portata avanti la trattativa, dubbi espressi anche dai sindacati'.

Direi. Accusano Berlusconi di insider trading, quando è Prodi ad aver abusato dei suoi poteri di presidente del consiglio per pilotare un'asta.


Ad avviso di La Malfa e' quindi opportuna 'una pausa di riflessione da utilizzare per vedere se vi siano soluzioni alternative migliori'.

Ma La Malfa scherza? Alitalia perde centinaia di migliaia di euro ogni giorno, è una questione morale: ormai è impossibile prendere altro tempo, magari aspettare le elezioni e l'insediamento di un nuovo governo. Se la cordata c'è davvero farebbero bene a sbrigarsi, non va usata a fini elettorali una disgrazia nazionale.

(Anche perché il PDL vincerà comunque)

nuvolarossa
02-05-08, 19:39
Riceviamo da Paolo Bertuccio - Segretario P.R.I. Regione Liguria

VILLANOVA D’ALBENGA

Tra le cose lette sulla situazione del trasporto aereo nel nostro Paese vi è anche l’asserzione secondo la quale i piccoli aereoporti danneggerebbero Alitalia e che i piccoli aereoporti, considerati antieconomici, dovrebbero essere chiusi.
Non soddisfatto delle notizie fornite pure da autorevoli quotidiani ed in considerazione della distanza non eccessiva di Villanova d’Albenga dal luogo in cui vivo, a fine marzo ho ottenuto un appuntamento dal Generale Berta grazie ai buoni uffici dell’amico Gian Luigi Saluzzo e mi sono recato sul posto per apprendere le notizie dalla fonte.
Costruito nel 1922, quando ancora non esisteva l’aviazione italiana, l’aeroporto “Clemente Panero” di Villanova d’Albenga ha una pista perpendicolare al mare ed è racchiuso tra due piccole colline che lo proteggono dai pericoli che allora potevano provenire proprio solo dal mare.
Se escludiamo il “Cristoforo Colombo” di Genova, il “C. Panero” è l’unico aereoporto operativo sul territorio ligure e per la verità non ha nulla da invidiare al più grande e rinomato scalo della Superba, fermo da vent’anni al traffico di un milione di passeggeri all’anno, mentre Villanova cresce ad un ritmo del 10% annuo.
Vi possono atterrare aerei del peso di 45 tonnellate con 150 passeggeri a bordo e dal punto di vista tecnico è dotato di tutti i più recenti e moderni strumenti operativi. Di recente ha ottenuto la certificazione di aeroporto internazionale e l’autorizzazione al volo notturno, dispone di radio assistenza per i voli strumentali (Localizer, VOR Doppler e DME), di nuova aerostazione inaugurata nel luglio 2004 nella quale si svolgono tutti i servizi di finanza, dogana e di frontiera ed ha ottenuto la classe 5 internazionale ICAO antincendio. Tra le principali qualità: la riservatezza in arrivo e partenza, la rapidità delle procedure di imbarco e sbarco, nessuna perdita di tempo in code.
Il massimo splendore l’aeroporto di Albenga lo vive nei giorni prossimi alla gara di F1 di Montecarlo che si disputa tutti gli anni a maggio nel vicino Principato di Monaco. Bernie Ecclestone ha già prenotato da tempo uno spazio di sosta per il suo aeroplanetto e così pure han fatto gli altri big del grande carrozzone della F1.
Domanda: perché servirsi dell’aereoporto di Villanova, che pure dista alcuni chilometri da Montecarlo e non di quelli di Cannes e Nizza? La risposta del Gen. Berta non si fa attendere ed è la più ovvia per chi conosce perfettamente le potenzialità e la dinamicità del piccolo scalo.
“Cannes e Nizza sono ormai al collasso. Non possono potenziare le linee perché non hanno più spazi per la sosta degli aerei ed inoltre la grande quantità di passeggeri che vi transitano creano problemi organizzativi che stanno per diventare insormontabili. Viceversa, il nostro è uno scalo che dispone di tutte le potenzialità per ben funzionare: basta solo metterlo in grado di funzionare al meglio! E poi, affittando un’auto, da qui si può raggiungere la costa azzurra in breve tempo”.
E sulla ritenuta antieconomicità dei piccoli aeroporti?
Partiamo da un dato: l’aeroporto di Atlanta, negli USA, movimenta circa 87 milioni di passeggeri all’anno, cioè oltre duecentotrentamila persone al giorno con rispettivi bagagli al seguito. Le autorità internazionali prevedono che nei prossimi 15-20 anni il movimento di velivoli e passeggeri raddoppierà, con l’entrata in esercizio di grandi velivoli capaci di contenere oltre 600 persone e destinati a raccogliere un 3- 4% del traffico aereo mondiale. Si renderà pertanto necessario decentrare questo grande traffico e rendere operativi anche quegli aeroporti che al momento sono sottoutilizzati o per niente utilizzati.
Negli USA il programma federale avviato nel 2006 prevede il recupero, l’ingrandimento o la realizzazione ex novo di cinquantamila piccoli aeroporti; Francia, Gran Bretagna e Germania sono le nazioni europee con le quali dobbiamo quaotidianamente confrontarci ed hanno un assetto aeroportuale ben superiore al nostro, mentre la Spagna sta per superarci. Se pensiamo che in Italia abbiamo poco più della metà di aeroporti rispetto ai Paesi da ultimo citati, discende l’ovvia conseguenza che sarebbe un’assurdità chiudere i piccoli aeroporti e pertanto sia Villanova d’Albenga, che gli altri piccoli aeroporti dislocati sulla Penisola, hanno un futuro operativo (e lavorativo) assicurato.
A Villanova resta ancora da attivare, a breve, il trasporto merci (fiori, carciofi) per il quale, peraltro è già stato riottenuto il decreto autorizzativo, ed i voli charter. Intanto si sta studiando l’organizzazione di un servizio per la professione forense. Gli avvocati che dal Ponente ligure debbono recarsi in Tribunale od in Corte d’Appello a Genova, sanno quando partono, ma non possono prevedere quando arriveranno nel capoluogo di regione. L’autostrada è un vero inferno ed il servizio ferroviario non è migliore. Un collegamento giornaliero con elicottero e con soste a Sanremo, Imperia, Villanova, Savona, Genova e ritorno, potrebbe garantire maggior speditezza e certezza degli spostamenti.
Sia consentito aggiungere che sullo snodo autostradale intorno a Genova il Pri ligure si è già espresso da tempo.
In conclusione, le notizie di stampa non sembrano veritiere. I problemi di Alitalia, come sappiamo, hanno origine diversa ed i piccoli aeroporti non sono da smantellare a scatola chiusa. Anzi!

Chiavari, 28 aprile 2008

Paolo Bertuccio
Segretario P.R.I. Regione Liguria

nuvolarossa
20-05-08, 19:14
Nella fossa dei Leoni
A Napoli per il governo si prepara la prima prova, la più delicata e difficile

Il governo si prepara al suo primo Consiglio dei ministri nella città partenopea: scelta migliore, per urgenza dei fatti e pericoli correlati, non poteva essere fatta. Il presidente del Consiglio non ha intenzione di chiudere gli occhi sull'emergenza rifiuti (non potrebbe e non gli sarebbe consentito) e intende evidenziarla come la prima questione di rilievo nazionale. Ha ragione.

Non solo perché l'Unione Europea ha chiesto un intervento immediato per fronteggiare una situazione ormai insostenibile, ma perché un fallimento su questa emergenza comprometterebbe in maniera inequivocabile il lavoro del nuovo governo. Per cui i rifiuti sono il primo banco di prova con cui si misureranno le qualità dell'esecutivo. E Napoli è lo scoglio più arduo da superare.

Leggiamo che il Consiglio sarà atteso da nove manifestazioni cittadine, a dimostrazione di una tensione che va oltre la questione dei rifiuti. A Napoli è stato dato l'assalto ad un campo rom, a dimostrazione di una situazione gravissima. A Napoli vi è un problema lavoro costantemente aperto. A Napoli vi è una medesima gravissima questione camorra, oramai documentata a tutti gli effetti, come si ricava anche dal film "Gomorra" proiettato a Cannes.

Non si può dunque dire che il governo Berlusconi non abbia il coraggio di calarsi dal primo momento in una fossa dei leoni. Ma il coraggio da solo non basta per superare la prova: bisognerà disporre anche di buone idee e di validi sostegni. Sulle buone idee aspetteremo di vederle esposte pienamente per valutarle: al momento girano troppe indiscrezioni e poche certezze; sui validi sostegni avremmo fin da ora qualche riserva.

E' vero che il Governatore della Regione Campania ha subito dimostrato la piena disponibilità a collaborare con il governo, sciorinando un lungo elenco di ottime intenzioni; ma stupisce come il sindaco di Napoli abbia preferito invece sottolineare il suo ruolo di opposizione all'attuale esecutivo, nemmeno che la situazione disperata del Comune napoletano non suggerisse almeno una tregua. Se i principali vertici della Campania non sono d'accordo fra di loro, dubitiamo che possano offrire la debita collaborazione al governo. Senza contare il comportamento di molti altri sindaci di Comuni minori che giocano una loro personalissima partita nella vicenda rifiuti e, in base a questa, non troveranno nessuna sintonia con l'esecutivo. Piuttosto con gli interessi della camorra.

Sorvoliamo poi sul fatto che le grane che concernono Bassolino e la sua giunta sono tali che forse sarebbe stato meglio per il governo avere un altro interlocutore, più spendibile sul piano della credibilità. Lo ha ammesso anche l'assessore regionale Claudio Velardi, che ha detto: "Bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare daccapo". Ha ragione. Purtroppo a questo punto, invece, si deve andare avanti con gli stessi giocatori che temiamo siano la spina nel fianco dei piani di risanamento del governo. Bassolino e la Iervolino hanno fallito su tutto il fronte. Perché mai, allora, e con quali proposte o iniziative dovrebbero aiutare il governo perché possa ottenere quei risultati che ad essi è mancato? Un successo di Berlusconi, infatti, toglierebbe loro definitivamente ogni residuo prestigio. Più facile cercare di far fallire il premier, ora e subito. Per questo, fossimo in lui, cominceremmo con il guardarci bene le spalle.

Roma, 20 maggio 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
27-05-08, 00:07
Gli impegni con il Sud
Ponte sullo Stretto, se opera isolata più dannosa che utile

Il successo degli esordi del governo non deve far sì i che i membri dell'esecutivo dimentichino di tenere i piedi per terra. Un esempio: crediamo che la direzione imboccata sul fronte della lotta ai rifiuti in Campania sia giusta ma, come si vede dai fatti di Chiaiano, la partita resta complessa, difficile e delicata. Serve la giusta determinazione ma bisogna mettere in conto proteste tutt'altro che pacifiche nelle aree indicate per la costruzione delle nuove discariche.

Il fatto che il sottosegretario Bertolaso parli di trenta mesi per riuscire a risolvere l'emergenza, rende bene l'idea del grado di difficoltà con cui occorre misurarsi. E pur apprezzando il realismo mostrato da Bertolaso, c'è da tenere presente che in trenta mesi possono verificarsi non pochi imprevisti, così come c'è il rischio di un deterioramento della situazione generale in Campania, anche al di là della questione rifiuti. In tale situazione è necessario che anche i sindaci facciano la loro parte. Se il governatore Bassolino china il capo davanti a Berlusconi (e forse gli conviene), altri amministratori sobillano la folla alla protesta. Tutto il talento diplomatico di cui il governo dispone dovrà essere investito in questo caso, insieme alla ferma volontà di decongestionare l'intera regione. Non aiutano allora, viste le premesse, le parole del ministro Bossi sul fatto che il Nord non vuole i rifiuti della Campania. Nessuno li vuole ma, visto che si tratta dell'interesse nazionale, ciascuno deve fare la propria parte.

E insieme al problema dei rifiuti ve n'è uno, importante, di infrastrutture. Così importante e pressante da far sì che si possa considerare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina come il toccasana per tutti i mali. Consigliamo di evitare facili illusioni. Perchè l'impegno di tempo e risorse nella costruzione di una tale opera, lasciando però arretrata le condizioni dei servizi stradali e ferroviari della Calabria e della Sicilia, avrebbe sicuramente conseguenze negative, non certo positive. E ci fa piacere che questo parere sia condiviso anche dal nuovo presidente degli industriali Emma Marcegaglia, che si è espressa in proposito. Crediamo inoltre che abbia qualche rilievo anche l'opinione del presidente di Dexia Crediop (l'istituto finalizzato ai finanziamenti delle opere pubbliche) Mario Sarcinelli, il quale ha subito detto che l'impegno sui trasporti non prevede come prioritaria la costruzione del ponte.

Il parere decisivo sarà però quello del presidente del Consiglio: egli ha condiviso il programma elaborato dal Pri sul Mezzogiorno nel corso della recente campagna elettorale. Su un punto di questa rilevanza non vi sono dubbi. Nel caso in cui il governo deciderà di intraprendere la realizzazione di quest'opera, sarà bene approntare un piano correlato al potenziamento generale delle infrastrutture dell'intero Sud. E per questo obiettivo non basta spostare le risorse messe a disposizione dal governo Prodi; quanto, semmai, di aggiungerne altre. E anche in questo caso contiamo che il ministro Bossi e il sottosegretario Castelli riconoscano le ragioni dell'interesse nazionale.

Roma, 26 maggio 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
27-05-08, 18:40
Lo Stato debole
Una tempestività dell'azione giudiziaria che lascia perplessi

"Se lo Stato fallisce": è il titolo dell'editoriale di Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera" di ieri. Un dubbio che, purtroppo, è da tempo in noi e che trova motivi per rafforzarsi nelle ultime ore. Panebianco dedica l'articolo al rischio di "libanizzazione" del paese; un rischio che cresce dove l'autorità democratica non viene riconosciuta e si giustificano tutte le proteste di piazza. I timori che egli esprime sarebbero dunque alla base di una democrazia che presuppone uno Stato debole, dove chiunque può ribellarsi alle decisioni prese in nome dell'interesse generale, disconoscendo così quell'interesse. Il giornalista, da liberale, si preoccupa di non confondere la difesa dei diritti dell'individuo con l'anarchia. Anche per tutelare quegli stessi diritti.

Quello che Panebianco non poteva prevedere nel suo articolo era il recente e massiccio intervento della magistratura proprio sulle strutture che dovrebbero intervenire per risolvere il problema dei rifiuti in Campania. Quella stessa magistratura che ha avuto non poca rilevanza negli ultimi 15 - 16 anni di vita nazionale. Si dirà: la magistratura è parte dello Stato, una magistratura autorevole che esercita le sue prerogative rafforza il senso dello Stato.

Ma se la magistratura si muove costantemente contro gli altri apparati dello Stato, ecco che questo non si rafforza affatto. Capiamo perfettamente l'esigenza degli inquirenti di adempiere al loro mandato. Ma quando le inchieste colpiscono costantemente politici ed istituzioni, ecco che lo Stato si dissolve. A meno che non si diano tutti i poteri ai magistrati, nella fattispecie ultima anche quello di preoccuparsi di smaltire i rifiuti.

Non c'è dubbio infatti che l'inchiesta in Campania sia partita tardi e che, mentre le di-scariche si intasavano e le strade venivano invase, i giudici del napoletano si occupavano della tratta delle veline tra la Rai e Mediaset. Inchiesta più divertente che edificante. Quando poi la situazione aveva superato ogni limite di decenza, ecco piovere i primi avvisi di garanzia. Si dirà: meglio tardi che mai. Però non si può ignorare – ora, quando si cerca di risolvere un'emergenza - una formidabile tempistica. Non sono neppure tre giorni che il governo ha dato un incarico a Bertolaso per avviare un piano di smaltimento, che appare serio e complesso. Mentre il sottosegretario fronteggia la protesta, ecco arrivare una nuova ondata di provvedimenti che colpiscono anche alcuni suoi collaboratori al commissariato della gestione rifiuti, in particolare il suo vice.

Nel merito dei provvedimenti, ovviamente, non siamo in grado di pronunciarci né intendiamo farlo. Si parla di presunte irregolarità, che vanno dalla truffa nei confronti dello Stato, allo smaltimento illegale dei rifiuti, fino al falso ideologico. Siamo invece certi che tali provvedimenti rischiano di inibire l'azione e la credibilità del sottosegretario e di ritardare la risoluzione del problema, aggravandolo ulteriormente. Ci chiediamo quindi se i magistrati non abbiano il dovere di considerare le condizioni generali in cui esercitano la loro funzione, valutando anche le conseguenze dei loro provvedimenti. Per ora la tempistica dimostrata è sconcertante. Lo Stato italiano è debole e la magistratura ha concorso in tutti i modi possibili a metterlo addirittura in ginocchio.

Roma, 27 maggio 2008

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
05-06-08, 18:21
Rifiuti: Un consiglio dei Ministri non risolve il problema

Quando si parla degli Italiani si dice che siamo un popolo di Santi, Poeti e Navigatori ma quel che non si dice o meglio viene solo mormorato è che siamo anche un popolo di sozzoni, vorrei aggiungere, non certo per vocazione ma per necessità. E’ ciò che si potrebbe pensare della Campania e Napoli in particolare, un popolo, una lingua, una cultura che sta facendo dell’ immondizia una virtù, visto che a distanza di settimane preferisce vivere con i propri rifiuti sotto casa anziché portarli a discarica e trattarli adeguatamente.
Si dice che la camorra vi giochi un affare di miliardi, ma si dice anche che il nord industrializzato abbia individuato nel sud la pattumiera d’Italia riversandovi quanto di scomodo non si voglia avere in casa.
Mi chiedo se l’atteggiamento dei partenopei sia propenso più a risolvere questo problema che a farne un simbolo così come lo è divenuta la pizza.
Ad un Consiglio dei Ministri “ propositivo “ svoltosi pittorescamente a Napoli con l’intento di risolvere il problema rifiuti,i Napoletani hanno risposto con barricate, riuscendo ad individuare in ogni sito proposto aspetti paesaggistici, ambientali, agricoli e quant’ altro la mente riusciva a partorire.
Salvo verifica, il Cnr ci viene in soccorso con un nuovo sistema di raffinazione dei rifiuti solidi urbani trasformandoli in una risorsa rispettosa dell’ambiente così da soddisfare capre e cavoli come si è soliti dire, si potrebbe dire di aver trovato la panacea di tutti i mali del mondo.
L’impianto chiamato in gergo tecnico Thor attraverso un mulino di nuova generazione riduce i rifiuti in microscopici pezzi della dimensione di micron producendo un prodotto purificato delle parti più dannose e fornendo materiale atto ad essere combusto con un potere energetico paragonabile ad un carbone di ottima qualità.
E’ una valorizzazione dei rifiuti che ritorna in circolo con vantaggi economici per l’elevato utilizzo che se ne può fare dal combustibile per motori a funzionanti a biodisel alle caldaie a vapore ai sistemi centralizzati di riscaldamento.
Non parliamo di futuro o futuribile parliamo di impianti già funzionanti, uno dei quali in Sicilia riesce a smaltire fino ad otto tonnellate ora senza la creazione di aree di stoccaggio.
Conclusione: facciamo che vedi Napoli e puoi muori rimanga solamente un modo di dire.

Gargagli Gianfranco - Partito Repubblicano Italiano - Terni

tratto da http://www.pri.it/html/Home%20pri.html

nuvolarossa
17-06-08, 18:41
Il Pri voterà a favore delle misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza dello smaltimento dei rifiuti
Campania: aspettando i termovalorizzatori

Conversione in legge del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile, lunedì 16 giugno 2008. Dichiarazioni alla Camera di Francesco Nucara.

Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, il Partito Repubblicano Italiano voterà a favore del provvedimento, e non solo perché appartiene alla maggioranza parlamentare, ma per un'attenta valutazione del merito che spinge in questa direzione. Del resto, le argomentazioni portate dalle opposizioni non sono tali da determinare un ripensamento.

Sullo sfondo, vi è la drammatica situazione di Napoli, una città che, per la sua storia, per le sue bellezze naturali e monumentali e per la sua cultura, non merita certo le immagini che i media di tutto il mondo hanno diffuso: una città sommersa dai rifiuti, dove è impossibile vivere se non a rischio di malattie ed epidemie. Speriamo che questo non accada, ma il caldo imminente preoccupa per le conseguenze che potrebbe determinare. Ad ogni modo, la vita di migliaia di cittadini è resa già impossibile per i miasmi che si sprigionano e per il fenomeno della diossina, per non parlare delle altre mille sostanze ancora più pericolose che rischiano di sprigionarsi.

Si tratta, dunque, di una situazione allarmante, resa ancora più drammatica dal lungo periodo di inedia che ha caratterizzato l'amministrazione locale, incapace in tutti questi anni di aggredire un fenomeno da troppo tempo annunciato. Per questi ritardi non vi sono scuse. Essi dimostrano, semmai, che non basta l'uniformità del colore politico delle giunte locali per risolvere i problemi, specie quando le coalizioni sono state costruite per vincere le elezioni, ma non per governare.

Al di fuori questo, resta comunque un problema di carattere più generale: Napoli è oggi il sintomo emblematico di mali più profondi; incarna il malessere accresciuto di tutto il Mezzogiorno che non riesce ad ottenere l'attenzione che merita. Tutti i dati a nostra di-sposizione dimostrano che i divari territoriali, anziché diminuire, si sono accresciuti: mancanza di risorse, carenza delle politiche di sviluppo, incapacità nell'aggredire i nodi strutturali di una società che potrebbe offrire al Paese intero una nuova e rinnovata occasione di crescita.

Il decreto-legge al nostro esame dovrebbe costituire il momento di una riflessione più ampia, capace di offrire al popolo del Mezzogiorno un momento di speranza e anche di attenzione. Non dimentichiamo, infatti, che la base elettorale del Governo è rappresentata soprattutto dal voto del Mezzogiorno, come correttamente ha riconosciuto l'onorevole Cicchitto nella sua dichiarazione di voto nel corso del dibattito sulla fiducia al Governo: speriamo solo che nel seguito della legislatura di ciò si abbia contezza.

Napoli, però, rappresenta anche la punta di un iceberg la cui base è ancora sottotraccia. Fenomeni come quello di cui stiamo discutendo sono latenti in gran parte delle città italiane: a Palermo si sono già manifestati e a Roma potrebbero emergere quanto prima, specie se non si farà fronte ai problemi aziendali e gestionali delle imprese chiamate a gestire il ciclo dei rifiuti.

Ecco, allora, che dalla soluzione che saremo in grado di garantire alla città di Napoli dipenderà un'intera filiera: se riusciremo a liberare Napoli dalla spazzatura avremo una maggiore probabilità che il fenomeno non si replichi in altre città italiane. Tutto ciò spiega l'urgenza, ma anche la necessità di una grande attenzione verso le soluzioni che il decreto-legge individua, che andranno poi gestite con intelligenza e, soprattutto, determinazione.

Qualche segnale negativo (mi riferisco alla compresenza di materiale radioattivo) si è già manifestato, suscitando allarme e preoccupazione non solo nella cittadinanza napoletana, ma in tutta Italia. Risolvere il problema significa far fronte all'emergenza ricorrendo alle soluzioni, anche di carattere straordinario, recate dal decreto-legge, consapevoli, tuttavia, della necessità di accelerare al massimo la realizzazione delle misure di carattere strutturale che consentiranno, in via esclusiva, di porre un punto e a capo all'intera questione. Mi riferisco, come è evidente, alla realizzazione di nuovi termovalorizzatori, senza i quali il problema, nonostante la raccolta differenziata (che comunque è necessario coltivare) è destinato a ripresentarsi.

Su tale aspetto vorrei, tuttavia, sollecitare il Governo a compiere un più vasto giro di orizzonte. Mi risulta che all'estero si stiano sperimentando nuove tecnologie per la trasformazione dei rifiuti in risorse energetiche. Non si tratta soltanto dei tradizionali inceneritori, ma di qualcosa di più avanzato in grado di utilizzare tecniche ibride (calore più enzimi), con risultati di maggior eccellenza. Uno di tali sistemi è caratterizzato dalla cosiddetta pirolisi che ha, tra l'altro, il pregio di dimensionare gli impianti in funzione alle esigenze locali; se non vado errato, qualcosa di simile è stato sperimentato in qualche comune italiano. All'estero, invece, ulteriori perfezionamenti tecnologici sono in grado di produrre come derivati sostanze energetiche particolarmente pregiate. Sono convinto che il Governo non lascerà intentata alcuna strada. Nel frattempo, è necessario affrontare l'emergenza.

Tornando al decreto-legge, vorrei richiamare l'attenzione del Governo su due proposte di modifica in particolare. Per ciò che attiene la città di Napoli, è necessario farsi carico dei riflessi economici (specie per il turismo) che l'accumulo di immondizia ha determinato. In una città già afflitta da rilevanti problemi sociali non sarebbe male se il Governo disponesse, almeno, la sospensione dei pagamenti relativi alle imposte che gravano sulle attività economiche connesse con il turismo. La proposta emendativa che a tale proposito abbiamo presentato in Commissione è stata dichiarata inammissibile: mi auguro che la Presidenza della Camera, facendosi forte anche di molti precedenti, possa esprimersi nel senso dell'ammissibilità della proposta e ciò possa indurre anche il Governo ad accettarla, poiché essa non presenta difficoltà connesse a una maggiore spesa.

Aggiungo, infine, due ulteriori proposte. Per quanto riguarda l'istituendo segretariato generale, ritengo che sarebbe il caso di soprassedere. Personalmente sono favorevole all'istituzione di segretari generali in tutti i ministeri; tuttavia, nel caso in questione, pur comprendendo la ratio della norma, ritengo che a ciò si potrebbe provvedere in un secondo momento attraverso il regolamento di organizzazione del Ministero, al fine di evitare di ricorrere a un provvedimento di carattere legislativo che condizionerebbe la futura struttura del Ministero limitando l'azione dei successivi responsabili politici.

Per ciò che riguarda, infine, quanto previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto-legge al nostro esame, ritengo che sarebbe opportuno estendere la portata della norma anche al personale non dirigente; anche tale ipotesi non comporterebbe oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.

Infine, signor Presidente, desidero complimentarmi con il sottosegretario Bertolaso, che ha fatto finire l'emergenza nella mia Calabria. Mi auguro che questo sia il primo passo, che la Calabria sia la prima regione che possa fare da battistrada, da mosca cocchiera per far finire l'emergenza in tutte le regioni d'Italia.

tratto da http://www.pri.it/new/17%20Giugno%202008/NucaraDichiarazCamera16Giugno.htm

nuvolarossa
24-06-08, 20:25
Giovani e sicurezza stradale

Più sicurezza sulle strade, ma senza eccedere in divieti
Un giusto equilibrio tra la libertà di divertimento e le misure di prevenzione

In questi giorni è tornata alla ribalta l’emergenza stragi del sabato sera. Da Ravenna è il Sindaco Matteucci (PD) a lanciare una crociata contro queste stragi che affliggono la Riviera romagnola, incontrando e sposando le proposte avanzate dal ministro Giovanardi. L’idea dell’inedito binomio è semplice: inasprire la Legge 160 (che vieta la vendita di alcolici dopo le 2 di notte per le discoteche, la confisca dell'auto e il ritorno alla fattispecie penale per il rifiuto dell'esame con l'etilometro) attraverso l’estensione del divieto di vendita di alcolici per tutti i locali pubblici dalle 2 di notte e divieto totale di vendita ai minorenni (dagli attuali 16 a 18 anni).
I giovani repubblicani conoscono bene il tragico legame fra sicurezza stradale e abuso di alcolici. Nel 2006 furono 1900 i morti nel fine settimana, 758 con meno di 30 anni (46% guidavano in stato di ebbrezza), per un costo sociale calcolato in 2,5 punti di PIL all’anno.

E’ inutile girare intorno al problema. E’ ora di dire basta!

Ma per i giovani repubblicani la questione è più complicata di quanto appaia la proposta rilanciata da Matteucci: quanto si può limitare la libertà personale (di divertimento) per debellare queste tragedie del fine settimana? Quali risultati si possono ottenere dalla leva della sanzione, senza investire in prevenzione? Essere troppo repressivi, può sviluppare altri comportamenti a rischio (abuso di droghe)?

Da una parte le statistiche indicano che l’inasprimento delle SANZIONI è stata opportuna, e forse andava fatto anni fa. Dal 3 ottobre 2007, da quando è entrata in vigore la Legge 160 sulla sicurezza stradale, gli incidenti sono diminuiti del 12,3% (fonte Polizia Stradale e Asaps). Da quando le sanzioni per chi guida in stato d'ebbrezza sono diventate più severe, sono state introdotte nuove soglie per il superamento dei limiti di velocità ed è stata vietata la vendita degli alcolici nei locali di pubblico intrattenimento dopo le 2 di notte, i lenzuoli bianchi stesi sulle strade sono stati 215 in meno (-22,1% in totale,– 26% fra i giovani). E' come se questa legge avesse salvato la vita di un giovane su 4 rispetto al 2007. Dopo l’entrata in vigore del D.L. 62 (con la previsione di confisca del mezzo per i guidatori “pizzicati” oltre la soglia di 1,5) si nota un ulteriore miglioramento. Nei primi due week end di giugno 2008 le vittime fra gli “under 30” sono state “solo” 20, con un calo addirittura del 62%.

D’altra parte la sanzione è insufficiente senza la giusta PREVENZIONE.
L’inasprimento delle misure sanzionatorie (giunte ormai ai livelli europei) non sono riuscite a debellare il fenomeno, ma hanno “solo” ridotto il numero degli incidenti stradali. Per carità, è un primo, grande passo, verso la soluzione, però rimane aperto è il problema degli insufficienti CONTROLLI SULLE STRADE. Sono stati circa 800 mila i controlli antialcol nel 2007 (quasi il triplo rispetto all’anno precedente), ma il traguardo dei 2 milioni di controlli programmati dal Governo è ancora lontano. Secondo indagini recenti, l’Italia presenta la più bassa percentuale di controlli su strada rispetto alla media europea: siamo a una percentuale di 2,3 controlli all'anno ogni 100 patentati (in Francia si effettuano 7-8 milioni di controlli l'anno). Gli automobilisti italiani “rischiano” di essere fermati una volta ogni 44 anni!

Molto diverso è lo scenario europeo, dove Inghilterra, Francia e Spagna per debellare lo stesso “problema” hanno investito tanto sulla lotta all’alcol: emanando norme severe e aumentando notevolmente i controlli stradali, ma hanno soprattutto promosso POLITICHE DI INFORMAZIONE E DI EDUCAZIONE STRADALE. In Italia siamo ancora fermi al palo. Non sono coinvolte le scuole, nè gli attori sociali. Tutto è relegato a qualche sporadica iniziativa privata dei manager del divertimento, che possono così scaricare le accuse dei detrattori.

Nuove misure per la prevenzione degli incidenti, inoltre, dovrebbero essere potenziate per iniziativa degli Amministratori locali. Mettere a disposizione delle alternative al trasporto privato in automobile, sarebbe una bella rivoluzione. Nella nostra Riviera, i controlli stradali si stanno intensificando, ma una seria politica di “PUBLIC MOBILITY MANAGEMENT” LEGATA AL TURISMO DELLA NOTTE è ancora un miraggio. Servono molti più autobus pubblici, gratuiti, per accompagnare i giovani nei locali, e riportarli a casa, soprattutto a tarda notte quando il pericolo è più alto. Devono poter favorire il “risveglio” dei ragazzi dopo lo sballo e la musica assordante. Sarà banale, ma la prevenzione è efficace solo se si offre una valida alternativa alla “tolleranza zero” nelle strade.

Noi saremo sicuramente dalla parte dei politici che vogliono affrontare il problema, ma non appoggeremo chi intende solo demonizzare, come il solito Giovanardi. Vietare ogni libertà ai giovani non servirà più di tanto e sarebbe l’approccio sbagliato. Se lo Stato non investe sufficienti risorse in prevenzione, la repressione non sarà mai la SOLUZIONE.

La ricetta FGR per ridurre sensibilmente questo fenomeno è un mix equo: giuste sanzioni, almeno 4 milioni di controlli per le strade, e tanta prevenzione contro l’abuso di alcol. Il primo tassello finalmente c’è. Gli altri due elementi costeranno qualcosa in più al Governo e agli Enti Locali, ma sarebbero un segnale inequivocabile che la VITA dei cittadini è una priorità, e che lo Stato intende davvero vincere questa sfida.

Paolo Montesi
Antonio Pugliese

tratto da http://www.fgr-fc.it/Home.htm

nuvolarossa
08-07-08, 10:24
Rapiti dallo sciopero

Quello dei trasporti è stato uno sciopero contro i cittadini. Inutile e ricattatorio. So bene che il diritto di sciopero è tutelato dalla Costituzione, ma ritengo che quelli che subiamo sono assai diversi da quelli cui i costituenti stavano pensando. Qui non siamo ai diritti dei lavoratori, antagonisti del padronato, ma all’arma del sequestro in mano a chi vuole piegare la politica. E così come non si spiegano all’ostaggio le condizioni del rilascio, ma ci si rivolge a chi può pagare il riscatto, così i sindacati hanno omesso di spiegare ai cittadini perché diamine li hanno lasciati a piedi. Chiedere che “il nuovo contratto della mobilità rappresenti lo strumento per unificare le tutele”, non significa un bel niente. Scagliarsi contro “l’ostilità dichiarata di Asstra e Anav”, equivale a parlarsi sulle scarpe. Non si capisce quel che dicono perché nulla hanno da dire alle vittime.
Le aziende dei trasporti sono pubbliche, statali o municipalizzate. Gli introiti derivano in gran parte da convenzioni, da sovvenzioni fisse, o da tariffe amministrate. Della mancata vendita di biglietti, conseguenza di uno sciopero, se ne fregano, perché presenteranno comunque il conto alla politica. I dirigenti di quelle società non hanno azionisti cui portare risultati e presentare progetti, ma politici cui far riferimento tanto per il prezzo dei servizi quanto per la gestione del personale. Non a caso i sindacati si rivolgono all’Asstra, che nessuno sa cosa sia, ma è significativamente l’associazione delle società pubbliche di trasporto, ed all’Anav, che raccoglie i trasportatori privati convenzionati con gli enti locali.
Lo sciopero, dunque, serve solo sul tavolo politico, quale minaccia di torturare il cittadino fino al punto in cui si rivolterà contro la politica. Chiedono più soldi e meno lavoro, in buona e generale sostanza, facendo aumentare costi che saranno ribaltati sulle casse pubbliche e nelle tasche private, talché l’ostaggio pagherà due volte il proprio riscatto. I soldi spesi, infine, non serviranno a rendere più ricche le aziende e migliore il servizio, ma più generosa la distribuzione improduttiva. Dubito che questa roba possa essere fatta passare per un diritto costituzionale, ma che lo scrivo a fare, in un Paese in cui anche i giudici sono in “stato d’agitazione”?

Davide Giacalone

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/16506

nuvolarossa
28-08-08, 11:00
La nuova compagnia
Alitalia, le insidie di un percorso

di Francesco Giavazzi

Ci sono quattro buoni motivi per cui il piano per Alitalia predisposto da Banca Intesa desta dubbi e perplessità, inducendo, pare, anche qualche membro del governo a suggerire che venga riconsiderata l’offerta di Air France sdegnosamente rifiutata quattro mesi fa. 1) Il piano rischia di costare ai contribuenti oltre un miliardo di euro, un terzo dei tagli alla scuola previsti dalla Finanziaria; 2) Gli imprenditori che dovrebbero acquisire il controllo della Nuova Alitalia corrono rischi seri: sono stati a lungo minimizzati, ma venuti al dunque non è più possibile nasconderli. Vogliamo davvero rischiare di trasferire su alcune nostre imprese, oltre che sui contribuenti, il costo del disastro di Alitalia? 3) Il piano verrebbe immediatamente impugnato dalla Ue e da quel contenzioso temo usciremmo perdenti; 4) Il piano richiede che vengano sospese le regole anti-trust, creando un precedente pericoloso per la politica della concorrenza.

La Nuova Alitalia che è nata ieri sarà un’azienda senza debiti e con molti dipendenti in meno. Gli imprenditori privati che ne sono i nuovi azionisti apportando un miliardo di euro di capitale fresco apparentemente non corrono rischi: non ereditano debiti né dipendenti in eccesso, e soprattutto hanno la quasi certezza — questa infatti è la condizione necessaria, che essi hanno giustamente preteso—di rivendere fra un anno o poco più l’azienda a Lufthansa o a un’altra compagnia internazionale, recuperando così il miliardo speso oggi, magari con qualche profitto. Quest’operazione così ben congeniata nasconde però un’insidia a mio parere non valutata in modo adeguato dai nuovi azionisti. La Nuova Alitalia acquisterà aerei, slot e altri contratti dalla vecchia azienda della Magliana che domani il Consiglio dei ministri porrà in liquidazione. I prezzi ai quali la Nuova Alitalia acquisterà queste attività determineranno se la Vecchia Alitalia sarà in condizione di far fronte ai debiti che le rimarranno. Ad esempio, due anni fa gli aerei valevano 2,2 miliardi di euro: se i nuovi azionisti accettassero di acquistarli a quel prezzo, la Vecchia Alitalia potrebbe agevolmente pagare i propri debiti e poi chiudere.

Ma dubito che i nuovi azionisti siano disposti a pagare tanto: gli aerei sono vecchi e più sale il prezzo del petrolio meno valgono. Le valutazioni internazionali suggeriscono oggi ragionevolmente un miliardo. Se così fosse la Vecchia Alitalia non avrebbe fondi sufficienti per pagare i propri debiti. I nuovi azionisti hanno richiesto una norma che li protegga dal rischio di revocatorie da parte dei creditori della Vecchia Alitalia, prova del fatto che non sono disposti a pagare molto. Che cosa accadrebbe se la Vecchia Alitalia non fosse in grado di far fronte ai propri debiti verso fornitori, banche e investitori che detengono obbligazioni della società? Una possibilità è non pagare. Due mesi fa, quando fu convertito in legge il decreto (DL 23.4.2008, n. 80) che evitò il fallimento concedendo ad Alitalia un prestito ponte di 300 milioni, il governo disse in Parlamento: «Con la presente norma si tende a salvaguardare per i prossimi dodici mesi la continuità aziendale di Alitalia... escludendo in tale lasso temporale, ogni ricorso ad ipotesi di liquidazione o di applicazione di procedure concorsuali ».

Quindi i creditori di Alitalia hanno diritto ad essere rimborsati in quanto sono protetti da una legge che escludeva esplicitamente la liquidazione o anche solo lo scorporo della società— che invece avviene oggi prima della decorrenza di dodici mesi dall’approvazione del decreto. Che lo Stato debba pagare i debiti della Vecchia Alitalia è quindi certo. Nel momento stesso in cui paga, il governo viola le norme europee sugli aiuti di Stato. Consentire la sopravvivenza di un’azienda decotta trasferendone i debiti allo Stato è un classico caso di aiuto. Una condanna di Bruxelles obbligherebbe la Nuova Alitalia a rimborsare l’aiuto impropriamente ricevuto, cioè ad accollarsi quei debiti (questo è esattamente ciò che avvenne vent’anni fa quando Alfa Romeo fu ceduta alla Fiat senza debiti —di cui si fece carico l’Iri, cioè lo Stato. Dopo la condanna di Bruxelles quei debiti tornarono in capo alla Fiat). Sono consci i nuovi azionisti del rischio in cui incorrono e dal quale evidentemente lo Stato non li può manlevare? Ma non basta. Il decreto legge n. 80 prevede: «La somma erogata ad Alitalia è rimborsata il trentesimo giorno successivo a quello della cessione o della perdita del controllo effettivo da parte del Ministero dell’economia e delle finanze». Questo comma fu inserito nel decreto proprio per evitare che il prestito ponte fosse considerato un aiuto.

Il governo ha poi trasformato il prestito in capitale, ma con una formula ambigua che ne consente la restituzione all’azionista qualora Bruxelles lo richieda. Quindi se la Vecchia Alitalia non avrà fondi sufficienti, sarebbe la Nuova Alitalia a dover rimborsare allo Stato i 300 milioni del prestito (che in cassa non ci sono più perché sono serviti a coprire le perdite dei primi mesi dell’anno). Altrimenti la controversia con Bruxelles si aggraverebbe ulteriormente. Vi è poi il problema Air One. I nuovi azionisti non vogliono la fusione fra Nuova Alitalia e Air One perché questa porterebbe nella Nuova Alitalia debiti e dipendenti di Air One. Essi vogliono semplicemente acquistare da Air One gli aerei, tutti gli slot (grazie a una sospensione delle regole anti-trust) e i contratti stipulati per la consegna di nuovi velivoli. Air One rimarrà quindi una scatola vuota, ma con molti dipendenti e 450 milioni circa di debiti: basterà la vendita di slot e aerei a far fronte ai debiti e al costo degli esuberi? Quanti debiti di Air One finiranno essi pure a carico dello Stato? Anche qui c’è un problema europeo: nel 2004, quando lo Stato rifinanziò Alitalia, Bruxelles acconsentì a patto che i nuovi fondi non fossero usati per allargare la quota di mercato: esattamente quello che oggi Alitalia fa acquisendo le attività di Air One. L’offerta di Air France non apriva problemi con Bruxelles e non costava nulla, tranne le indennità per un numero di esuberi comunque inferiore: anzi portava qualche spicciolo nelle casse dello Stato perché i francesi avrebbero pagato, seppur poco, le azioni di Alitalia.

tratto da http://www.corriere.it/editoriali/08_agosto_27/alitalia_insidie_percorso_3e321f26-73f7-11dd-97d8-00144f02aabc.shtml

nuvolarossa
28-08-08, 19:27
La nuova Alitalia
Fallisce il primo affondo degli oppositori alla cordata italiana

Bisogna riconoscere che ai detrattori del piano Alitalia fornito dal governo è fallito subito il colpo. La sortita del professor Giavazzi sul "Corriere della Sera", che evocava il caso Alfa Romeo, sostenuto e rilanciato dal già ministro Bersani, è stata presto smentito dal ministero del Tesoro. Quando si sbaglia in modo tanto clamoroso l'attacco, è meglio subito ridursi a più miti consigli.

Allora per prima cosa bisogna dare atto a Berlusconi di aver fatto quello che aveva detto: il presidente del Consiglio riteneva che Alitalia non potesse essere svenduta ai francesi, riteneva che, quale che fosse il deficit accumulato, il prestigio di una compagnia di bandiera è in grado di arginarlo e quest'ultima di rilanciarsi: annunciò così una cordata italiana. Molti allora lo sbeffeggiarono, ed ecco ora materializzata la cordata italiana capeggiata oltretutto dal capitano coraggioso - secondo l'omaggio di D'Alema alla letteratura di Kipling - Roberto Colaninno. Va da sé che vendere ai francesi fosse la cosa più semplice e meno rischiosa per lo Stato. Il quale, qui il professor Giavazzi aveva ragione, avrebbe guadagnato qualche spicciolo. Solo che va altrettanto da sé che a Berlusconi gli spiccioli non interessano. Anche nella vicenda Sme Berlusconi aprì il mercato, rilanciò sull'offerta, fece saltare i piani di svendita dell'azionista pubblico esponendosi in prima persona. Lo stile è rimasto lo stesso ed è uno stile apprezzabile quando produce risultati. I margini di rischio però esistono.

Lo Stato ha impiegato energie, il governo deve modificare la legge Marzano, la partita con l'Unione Europea sarà comunque delicata, come già si è visto nei mesi scorsi. Ma noi saremmo molto prudenti a dire che l'investimento è sbagliato. Soprattutto, qui, ha ragione Oscar Giannino nel suo commento per il quotidiano "Libero": è singolare che si lamentino dei rischi di perdite per Alitalia proprio coloro che hanno lasciato andare allo sbando la compagnia per decenni ed ancora nella passata legislatura non sapevano che pesci prendere.

In proposito è davvero formidabile la ricostruzione del segretario della Uil Angeletti, secondo la quale il precedente ministro del Tesoro Padoa - Schioppa avrebbe chiesto alla Cgil cosa fare su Alitalia; e la Cgil, immaginiamo per bocca del suo segretario, gli ha risposto: vendetela. Salvo che poi la stessa Cgil si è opposta con tutte le forze alla vendita! Questo è utile per ricordare a chi ritiene Berlusconi responsabile della fuga dei francesi, che se i francesi sono fuggiti è stato solo per i sindacati. E non stupisce che, per fronteggiarli, in Alitalia si allestisca una cordata con dentro quasi tutto il capitalismo italiano, anche quello amico del centrosinistra. Sono stati obbligati?

Sinceramente, se sì, bene avrebbe fatto il premier ad obbligarli.

Il problema è un altro, e cioè la gestione politica di un piano che mostra fin da ora delle differenze profonde fra An - che vuole ricollocare gli esuberi all'interno delle maglie dell'amministrazione pubblica - e i ministri come Brunetta che di tale ipotesi non vogliono nemmeno sentire parlare. O la Lega, preoccupata dei costi dell'operazione. Se il governo e la maggioranza si troveranno in difficoltà di fronte all'esito della cordata Alitalia, allora sì che ne vedremo delle belle. Fino a quel momento bisogna che tutti credano al ministro Tremonti: "Berlusconi ieri ha risolto il problema dei rifiuti in Campania, domani risolverà quello di Alitalia".

Roma, 28 agosto 2008

tratto da http://it.groups.yahoo.com/group/Repubblicani/message/16818

nuvolarossa
29-08-08, 19:16
http://img175.imageshack.us/img175/4991/prilogodp2.jpg

Il cadavere dell'Alitalia

Scritto da Gianni Pardo

Friday 29 August 2008 - ...A proposito dell’Alitalia, Berlusconi e il suo governo cantano vittoria; a proposito dell’Alitalia, la sinistra dice che è un imbroglio molto peggiore e costoso della vendita all’Air France; a proposito dell’Alitalia, molti siamo costretti a confessare: “Non ne abbiamo capito niente”.
Effettivamente, quando si arriva a questi livelli di finanza, la logica non basta più. Per essere accettati nell’area dell’euro, una delle condizioni imprescindibili era un deficit pubblico inferiore al 60% del pil. A questo punto le persone ragionevoli dissero: l’Italia è fuori. Mai e poi mai riuscirà ad avere un debito pubblico di queste proporzioni. E invece è andata che l’Europa non ha tenuto conto delle sue stesse regole, si è accontentata di promesse e l’Italia oggi ha un debito pubblico che è più o meno lo stesso. In queste condizioni, come pretendere che per l’Alitalia si applichi la Tavola Pitagorica?

Andiamo all’essenziale. Da anni, la dichiarazione di fallimento dell’Alitalia sarebbe stata una necessità giuridico-economica. Il suo dissesto non è congiunturale: essa è (dis)organizzata in modo che, rimessa in pari oggi, ricomincerebbe ad accumulare debiti da domani. È un cadavere al di là di ogni sforzo di rianimazione.

Tuttavia in marzo questa società decotta un valore doveva averlo, diversamente Air France non avrebbe accettato di rilevarla: e questo è possibile solo se chi gliela vendeva offriva un attivo superiore al passivo. Ovviamente facendosi carico del passivo stesso. Dunque si vendeva la parte sana della compagnia. La sinistra insiste che l’attuale piano è rovinoso e che quello di Air France sarebbe stato più conveniente, quasi che Air France fosse disposta ad accollarsi tutte le passività, ma questo è impossibile: la Francia non aveva nessun dovere e nessun interesse a farsi carico di debiti italiani.

Se Air France poteva considerare economicamente utile acquisire l’Alitalia, e se ora la compagnia è acquisita da una cordata italiana, come mai quello che era un affare diviene un disastro? Ma, si può dire, le condizioni sono diverse. Benissimo. Facciamo l’ipotesi che Air France offrisse di più: come mai la società francese era più generosa, con le casse dell’Erario italiano, di quanto lo Stato italiano non sia con se stesso? E se invece le condizioni offerte da Air France erano peggiori per l’Erario italiano, come mai ci strugge di nostalgia per il mancato affare con essa?

In realtà il presupposto, chiunque fosse l’avente causa, era che lo Stato italiano – guidato da Prodi o da Berlusconi poco importa – si facesse carico delle passività. Per questo è del tutto inutile protestare: chi compra per cento una cosa che vale cinquanta? E l’opposizione propone forse il licenziamento in tronco di parecchie migliaia di lavoratori?

Il lato drammatico del problema è in effetti rappresentato dalla sorte del passivo e degli esuberi. Per il primo, è inutile che la sinistra (e “la Repubblica” di Ezio Mauro in prima linea) alzino vibrate proteste contro questo debito caricato – sia pure per vie traverse - sulle spalle dei contribuenti. Sulle spalle di chi lo caricava, Prodi? Sulle proprie?

Per quanto riguarda gli esuberi, nell’Italia com’è non c’è un governo che possa permettersi di veder arrivare sul mercato del lavoro, in un sol colpo, ventimila nuovi disoccupati, cioè tutti i dipendenti dell’Alitalia, in caso di fallimento. Meglio farsi carico, a qualunque costo, di tremila, quattromila o anche seimila lavoratori, salvando il resto e la pace sociale. Dunque, anche quelli che sognavamo un bel fallimento di questa compagnia aerea (che lo merita da anni) dovremo rassegnarsi. Oggi come a marzo - Prodi consule - tutti, e in particolare coloro che non hanno mai preso un aereo in vita loro, avrebbero preferito veder portare i libri in Tribunale, senza che questo costasse neppure un euro alla collettività: ma si può chiedere al governo di suicidarsi?

Abbiamo detto che, quando si dibattono questi grandi problemi, la Tavola Pitagorica non vale più: ma i dilemmi esposti rimangono ineludibili. Se acquisire Alitalia conveniva ad Air France, può convenire ad un soggetto italiano. E se invece c’era un costo da pagare per i debiti e gli esuberi, quel costo è da affrontare qualunque sia la soluzione che si adotta.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

tratto da http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=22719

nuvolarossa
17-09-08, 18:55
Tempo scaduto
Su Alitalia ora serve una prova di responsabilità

Per mostrare senso di responsabilità occorrerebbe innanzitutto avere per lo meno un certo senso della realtà, quello che invece è mancato completamente ai lavoratori di Alitalia, scesi in sciopero nel corso di una trattativa. I sindacati, che finora hanno detto di no a tutte le proposte in campo, sono arrivati al paradosso di affermare che, piuttosto che la nuova proposta di riassetto, era perfino migliore la soluzione offerta da Air France.

Peccato che, al momento in cui fu pronunciata, venne rifiutata proprio dai lavoratori. E, per dirla chiaramente: se il sindacato avesse evitato lo scontro con Air France, nei termini in cui si consumò, Berlusconi non avrebbe avuto spazio per lanciare una proposta alternativa. Quindi la cordata italiana nasce proprio dalla provata incompatibilità del piano di Air France verso le esigenze dei lavoratori. Se poi questi ora scoprono come il piano alternativo - da loro stessi auspicato - non si discosti poi molto da quello precedente, c'è davvero poco da fare, perché stiamo parlando di un'azienda sull'orlo della bancarotta, se già non in piena bancarotta, visti i prestiti - ponte erogati dal governo.

Per cui ora Alitalia deve rimodellarsi completamente se non vuole rischiare di diventare un semplice buco nero per il paese, addirittura più gravoso di quello che è stata finora. Pensare, in queste condizioni, di poter negoziare qualcosa o di poter difendere il proprio status è cosa impossibile. E non ci sono scioperi che tengano.

Alitalia ha vissuto al di là dei propri mezzi: e l'esito era scontato almeno dal 2001. Se si vuole rimproverare qualcosa a Berlusconi è semmai di non aver posto la società in liquidazione, pensando di poterla comunque far tirare avanti. Un errore in ogni caso marginale rispetto a chi invece ha portato Alitalia a queste condizioni: sono molte le parti politiche dei due campi ad avere responsabilità in merito. Non ha dunque particolare senso lanciare accuse contro il governo per scaldare animi esacerbati.

E non è "insopportabile" quello che sta facendo il governo: al limite potrebbe essere sbagliato. E' insopportabile, lo diciamo all'onorevole Veltroni, far credere ai lavoratori che potrebbero anche non pagare le conseguenze di una lunga sequenza di guasti ed errori a cui hanno concorso forze politiche di sinistra, di destra, di centro, accompagnando l'errore ad una assoluta e dimostrata incapacità gestionale dell'azienda. Ora su Alitalia cadono tutte le illusioni.

Ci si scordi di poter fare speculazioni su questo: meglio tenere un comportamento serio per vedere se si possono almeno raccogliere i cocci da un danno di queste dimensioni.

Attenzione, però: perché quando diciamo caduta delle illusioni mettiamo nel conto anche quella dell'italianità e della compagnia di bandiera, la quale, magari non quest'anno, ma certo in futuro, sarà assorbita da altre società internazionali più affidabili e con maggiore esperienza nel campo del trasporto aereo rispetto ai nostri volenterosi imprenditori italiani.

Roma, 17 settembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
20-09-08, 14:07
Alitalia: dichiarazione di Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

Sono tutti i lavoratori di Alitalia che devono decidere del loro futuro: a loro spetta valutare se accettare o respingere il piano della Cai.

Le decisioni che riguardano i posti di lavoro non possono essere assunte solo dai sindacalisti, tanto più in Alitalia dove questi stessi sindacalisti non sono votati dai lavoratori.

E poiché, a questo punto, tra pochi giorni, molte migliaia di persone rischiano di restare per strada senza alternative e senza futuro, siano i lavoratori a dire sì o no al piano Cai. E la Cai consideri vincolante il voto di quelli che potrebbero essere i suoi lavoratori.

Si voti subito, dunque, piuttosto che fantasticare su futuri improbabili miracoli. Tanto più che a pagare le conseguenze dei mancati miracoli non saranno gli stessi che li stanno evocando.

Roma, 19 settembre 2008

tratto da http://www.uil.it/segr_generale/dich101.htm

david777
23-09-08, 00:47
Nazionalizzate l'Alitalia - se l'EU non ci stà dite a Bruxelles che l'Italia non può seguire le regole del libero mercato fino agli estremi inaccettabili della competizione internazionale.
Non soltanto i voli ma i trasporti in genere sono un regno malgovernato, dove lo sfruttamento è diffuso e nascosto. Se siete in crociera o su un traghetto, provate a scendere nella sala macchine se vi riuscite e vedrete a qual punto bisogna arrivare per adeguarsi alla competizione. Voli intenazionali: medesima situazione, ma data la visibilità... una bella divisa e fascino indiscutibile coprono tutto.
Bruxelles deve mettere dei limiti agli abusi di mercato, oltre i quali la nazionalizzazione deve essere possibile. L'Alitalia può aver commesso errori di management e trascurato l'impatto della competizione, ma non può scendere al di sotto dei limiti della decenza.
Si può fare però un'altro discorso alla marea d'impiegati di cielo e di terra: i salari saranno in linea con la produzione - ossia quel che avanza dal bilancio in positivo viene spartito tra stipendi, investimenti ed incremento di capitale necessario alla vita della compagnia.
Chi non ci stà può farsi pagare lo stipendio da qualche compagnia a stretto regime di mercato, facendosi però prima sfruttare come succede ormai quasi dappertutto.
Insomma una soluzione alla "socialdemocratica"... che però spartisce sia il bilancio in verde che quello in rosso - e se non basta solo allora si và in cassa integrazione! Dunque si potrebbe scegliere uno stipendio ripartito fino ad un massimo del 50% di liquidità ed il resto in azioni. Con gli "shares" poi... fanno quello che vogliono, e se i profitti vanno in rosso... i lavoratori/azionisti pagano la loro quota di perdite.
Se Bruxelles non ci stà, altra soluzione equivalente è una società costituita da tutti gli impiegati dell'Alitalia: ed a questo l'EU non può opporsi, in quanto come Ben Hur nella stiva... si serve tutti la nave per sopravvivere.
Non ci sarebbe bisogno di coinvolgere compagnie straniere e la cosa si potrebbe fare in 24 ore.

nuvolarossa
23-09-08, 19:11
Le mani sulla cloche
Rinunciare ai privilegi per salvare un'azienda dalla bancarotta

Qualcuno prenda in mano la cloche. E' l'appello - dal sapore disperato - che il ministro ombra del Pd Bersani ha rivolto non sappiamo bene a chi (magari agli stessi dipendenti di Alitalia che dicono di volersi fare avanti con un'offerta), visto che si sono defilati i possibili e realistici acquirenti della compagnia di bandiera, ora proiettata diritta verso il fallimento. Bersani si ricorderà che la via dell'asta fu tentata già dal governo Prodi, con tali e tanti lacci e laccioli di matrice governativa da scoraggiare qualsiasi compratore.

Il governo fu costretto a ritoccare il bando di vendita ed ecco finalmente profilarsi Air France di Spinetta, uno che nel settore sa il fatto suo. La proposta di offerta francese però non piaceva ovviamente al sindacato. E il leader dell'opposizione Berlusconi fu lesto a cogliere l'occasione: visto che si era oramai in campagna elettorale, spalleggiò il fronte del no. Conveniva salvaguardare l'italianità, denunciare l'offerta miserrima di Air France e annunciare, fra mille ironie, una cordata di imprenditori nostrani per salvare la compagnia di bandiera italiana. In effetti Air France, accollandosi tutti i debiti, si sarebbe portata via la compagnia con due lire. La cordata italiana si è alla fine materializzata: al comando di quel Colaninno che certo non dovrebbe essere ostile alla sinistra, viste le sue buone entrature presso il passato governo D'Alema. Eppure proprio Colaninno è stato dipinto a sinistra come un "bandito", i suoi associati come degli sciacalli e si è scoperto alla fine che l'offerta di Air France era perfino più vantaggiosa.

Di questo in fondo non ci si dovrebbe stupire: nel momento in cui una compagnia si avvicina al fallimento e si respinge la prima proposta di salvataggio, solo un autolesionista può fare una proposta migliore. Immaginiamo che, se mai ne verrà una terza, sarà pure peggiore delle precedenti.

Bisognerebbe però valutare l'offerta in base alle possibilità di rilancio dell'azienda. Ad esempio: il fatto che la Cai avesse una clausola di partecipazione agli utili per il personale ad un anno dalla ripresa dell'attività, poteva considerarsi come un impegno serio a rimettere in piedi Alitalia. D'altra parte, visto che c'era un privato impegnato con i suoi soldi nell'azienda, c'era anche finalmente qualcuno interessato a guadagnarci; mentre fino ad ora Alitalia non ha mai avuto qualcuno interessato all'attivo dei bilanci dell'azienda, dato che i soldi erano dello Stato. Fino ad arrivare alla bancarotta.

Senza contare che, se si risana, si può poi tornare ad espandersi; una volta falliti, invece, si resta a terra, i piloti per primi. Ma tant'è. La difesa di una condizione privilegiata, sottratta da tempo ad ogni logica di mercato, ha avuto la meglio. Il leader del Pd Veltroni arriva a chiedere a Colannino di fare un passo avanti verso i piloti e verso la Cgil, nemmeno che un imprenditore iniziasse un'attività per rimetterci o fare delle opere di bene. Ma l'unica opera di bene per Alitalia è quella di riavere un'azienda in attivo. E se continuiamo a seguire le sirene della Cgil e della categoria superprotetta e privilegiata dei piloti, è del tutto inutile mettere le mani sulla cloche di un aereo destinato di sicuro a rimanere a terra.

Roma, 23 settembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
25-09-08, 17:55
Il "passo avanti"

Evitare un pasticcio che metta a rischio il bilancio dello Stato

Se proprio dovessimo dirci soddisfatti per l'improvvisa schiarita sulla vertenza Alitalia, diremmo solo una mezza verità. Perché certo un accordo, anche in extremis, capace di evitare il fallimento è sicuramente positivo. Sono le condizioni dello stesso che preoccupano.

Ad esempio, dopo aver letto i tre punti contenuti nella lettera di Walter Veltroni al premier, il segretario del Pri Francesco Nucara ha dichiarato che uno, quello del "passo avanti" di Cai verso il sindacato, era irricevibile. Soprattutto se si trattava di incrementi nel contratto salariale, maggiori ore di permesso per il personale a terra, norme sul precariato. E non sappiamo quali altri possibili temi, visto che Alitalia è una giungla con regole proprie e fuori da qualsiasi logica di mercato.

Altra cosa sarebbe invece se il sindacato, la Cgil in particolare, dopo le critiche ricevute per i suoi comportamenti e quello dei piloti (il cui fronte ha subìto peraltro una divisione interna) prendesse finalmente atto che l'epoca del privilegio è finita e che occorre rispondere del proprio lavoro sul piano della competitività. Dato che una nuova proprietà, al contrario di quella del passato, non può rischiare continuamente di perdere soldi.

Solo quando vedremo l'accordo siglato, sapremo da quale parte della bilancia penderà il piatto. Un'idea però ce l'abbiamo già, e si basa sul fatto che si sia voluto coinvolgere (in questo la Cgil ha ragione) un partner straniero: Air France, British Airline o Lufthansa, anche se in quota di minoranza. Fino ad ora Air France appare la più ben disposta. Potrebbe apparire strano che proprio Air France, che è stata costretta ad uscire dalla porta principale della trattativa solo qualche mese fa, ora rientri dalla finestra. In realtà questa compagnia, pur prendendo una quota di minoranza nella cordata, ha egualmente una posizione di forza: è infatti l'unico socio davvero esperto di traffico aereo rispetto a tutti gli altri investitori. L'unico che fra questi soggetti si era fatto avanti senza bisogno di particolari sollecitazioni, anzi sconsigliata un po' da tutto il mercato. E' vero, come ha detto il direttore del "Tempo", Roberto Arditti, che Air France voleva solo comprare "il marchio di Alitalia". Però, a ben vedere, quello soltanto c'era da comprare. Perché il resto è un'azienda morta. Per questo non ha senso un tale putiferio su qualcosa che non c'è più in termini di quote di mercato, per questo una soluzione razionale era obbligata. Certo, un paese prestigioso ha una compagnia aerea di bandiera, e il presidente Berlusconi ha ragione su questo punto. Ma l'Italia se la poteva ancora permettere?

Stando ai dati di fatto, l'unica cosa che ci potevamo permettere era la colonizzazione francese. Per evitarla occorreva uno sforzo eccezionale, ed è pregevole che questo sforzo si compia, purché poi si dimostri che ne era valsa la pena. In termini di utili, non di prestigio.

Perché vi siano gli utili, serve l'esperienza di una grande compagnia aerea che sappia il fatto suo nel settore. Spinetta è in assoluto uno dei primi. Ma serve anche una certa determinazione nel non cedere alle rivendicazioni, quando insensate, del sindacato. Solo se si vedranno realizzate queste due condizioni - invece del tradizionale pasticcio all'italiana che ha portato al fallimento - potremo forse tirare un sospiro di sollievo e ritenere che Alitalia possa ripartire senza mettere nuovamente a rischio il bilancio dello Stato.

Roma, 25 settembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
26-09-08, 17:58
Soluzione Alitalia
Alla fine la Cgil è stata costretta ad accettare l'offerta

Nel momento in cui scriviamo avremmo sufficienti ragioni per credere che la vicenda Alitalia non si possa ancora considerare chiusa, anche se l'intesa appare data per certa prima ancora che sia stata posta una parola conclusiva sulla vicenda. Al momento registriamo con favore i commenti positivi sull'esito della trattativa, che ha visto la firma dell'accordo fra sindacati - Cgil inclusa - e la Cai. Speriamo solo che domani nessuno abbia ragione di pentirsene.

Solleviamo però qualche dubbio sul fatto che la soluzione trovata sia stata dettata dalle ragioni del dialogo e della "buona politica", come pure importanti osservatori hanno ritenuto di commentare. Semmai essa è stata determinata dalle ragioni di una "necessità che si fa virtù".

Lo si dovrebbe comprendere anche dal clima che si registra fra governo ed opposizione. Nel governo, tutti contro Veltroni; Veltroni contro tutto il governo, eccezione fatta per Gianni Letta, considerato però niente di più che un libero professionista. E l'attacco personale al ministro Sacconi da parte del leader del Pd appare al limite del provocatorio. Se sono questi i toni che segnano un'ipotesi di dialogo, non osiamo pensare a ciò cui dovremmo assistere in caso di guerra aperta e dichiarata… Veltroni, con la "modestia" che lo contraddistingue, ha rivendicato il suo decisivo contributo al disgelo fra Colaninno e la Cgil. Dice sicuramente il vero su questo aspetto, e non saremo certo noi a volergli sminuire il merito. Ma il leader Pd si è convinto della necessità di portare la Cgil su una diversa posizione soltanto dopo che il complesso dell'opinione pubblica ha criticato i comportamenti della principale organizzazione sindacale. In particolare sottolineiamo l'intervento di un autorevole esponente dello stesso Pd, come il giuslavorista Pietro Ichino. In un'intervista al "Giorno" Ichino aveva dichiarato che la Cgil "preferiva rappresentare i lavoratori di una società morta piuttosto che quelli della futura Alitalia". Giudizio che basterebbe da solo per gettare la Cgil nel baratro. Se però, in tempo ancora utile, Veltroni ha convinto Epifani a tornare sui suoi passi (al punto che perfino lo stesso segretario della Cgil si è messo a lanciare appelli alla responsabilità, lui che mai ne aveva dimostrata fino a quel momento) un riconoscimento al leader Pd va comunque dato.

Non vorremmo però - dato che non conosciamo ancora l'accordo nel dettaglio - che anche la Cai avesse fatto quel passo avanti verso le richieste del sindacato che Veltroni suggeriva. In maniera tale da compensare il passo indietro di Epifani. Perché, se ci fosse stato questo balletto, avremmo forti ragioni di preoccuparci circa le autentiche capacità di risalire la china da parte della nuova compagnia aerea finalmente privatizzata.

Quanto a Berlusconi, il premier ha rischiato molto, ma alla fine sembrerebbe essere riuscito ad ottenere quanto promesso. Se la nuova Alitalia riuscirà ad essere competitiva, lo Stato non avrà fatto un cattivo investimento. Se invece si fosse ceduto alle richieste di Epifani (come voleva Veltroni), possiamo anche ritenerlo un pessimo affare.

Roma, 26 settembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
22-10-08, 17:18
Nucara: su Alitalia necessaria la fiducia al governo

Dichiarazione di voto di Francesco Nucara sul decreto legge per le imprese in crisi.

"I Repubblicani voteranno la fiducia sul decreto legge che riguarda sostanzialmente il salvataggio di Alitalia. Questo problema riguarda tutti: maggioranza ed opposizione.

Se è vero, come è vero, che il leader dell'opposizione è intervenuto per risolvere positivamente la trattativa tra CAI e sindacati, allora oggi si vada fino in fondo.

E, al di là della fiducia che potrebbe porre un problema politico, l'opposizione voti la legge che noi stiamo esaminando.

Si polemizza sulla quantità dei decreti legge che vengono emanati dal Governo e sul numero delle fiducie richieste. In questo caso, però, nessuno può pensare che non ci sia urgenza e che il problema non meriti una soluzione rapida.

Chiunque viaggi con la nostra compagnia di bandiera si rende conto di come gli aerei stiano cadendo a pezzi; a pezzi in senso fisico.

Le attese per il ritiro bagagli hanno del vergognoso, specie quando esse si prolungano per tempi che superano quelli impiegati per raggiungere la destinazione.

E' necessario quindi una rimodulazione complessiva del trasporto aereo che riguardi tutti i soggetti coinvolti e non solo la gestione degli aerei: dei voli, ma anche di aeroporti, e quant'altro necessita per migliorare la qualità dei servizi.

Vale la pena di ricordare quanto scritto da Tremonti: "Il mercato quando si può, lo Stato quando è necessario."

A noi sembra che, in questo caso, l'intervento dello Stato fosse proprio necessario: per motivi politici, e per convinzione sulla necessità del provvedimento, i Repubblicani voteranno la fiducia al Governo".

tratto da http://www.pri.it/new/22%20Ottobre%202008/NucaraVotoFiduciaAlitalia.htm

nuvolarossa
23-10-08, 11:18
Dl Alitalia/ Nucara: Pri vota fiducia,intervento Stato necessario
Problema che riguarda maggioranza e opposizione

Roma, 22 ott. (Apcom) - "I repubblicani voteranno la fiducia sul decreto legge che riguarda il salvataggio di Alitalia. Questo problema riguarda tutti: maggioranza ed opposizione. Se è vero, come è vero, che il leader dell'opposizione è intervenuto per risolvere positivamente la trattativa tra Cai e sindacati, allora oggi si vada fino in fondo". Lo ha detto il segretario del Pri, Francesco Nucara, in Aula alla Camera durante le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia posta dal governo sul decreto Alitalia.

"Chiunque viaggi con la nostra compagnia di bandiera - ha proseguito - si rende conto di come gli aerei stiano cadendo a pezzi, a pezzi in senso fisico. Le attese per il ritiro bagagli hanno del vergognoso. E' necessaria quindi una rimodulazione complessiva del trasporto aereo che riguardi tutti i soggetti coinvolti per migliorare la qualità dei servizi. Vale la pena di ricordare quanto scritto da Tremonti : 'Il mercato quando si può, lo Stato quando è necessario'".

"A noi - ha concluso Nucara - sembra che in questo caso l'intervento dello Stato fosse proprio necessario: per motivi politici e per convinzione sulla necessità del provvedimento, i Repubblicani voteranno la fiducia al Governo".

tratto da http://notizie.alice.it/notizie/politica/2008/10_ottobre/22/dl_alitalia_nucara_pri_vota_fiducia_intervento_sta to_necessario,16547341.html

nuvolarossa
06-11-08, 17:43
Tav,accordo Roma Parigi
A gennaio arrivano i fondi

4-11-2008 - La Torino-Lione imbocca la dirittura d'arrivo che porta ai finanziamenti Ue. Italia e Francia hanno depositato ieri sul tavolo di Antonio Tajani, commissario ai trasporti, il progetto della sezione transfrontaliera del collegamento ferroviario ad alta capacità per il quale Bruxelles si è impegnata a concedere un contributo iniziale di 671,8 milioni, un terzo degli esborsi previsti da qui al 2013.

leggi tutto l'articolo al link
http://www.fulm.org/public/Allegati/marco%20zattein%201%20nov%2008.pdf
tratto da http://www.fulm.org/SchedaPubblicazioni.aspx?ID_Pubblicazione=296

nuvolarossa
11-11-08, 14:02
Segnalazione

Divertente ed umoristica fanta-intervista
all'Arcangelo Michele a questo link ...
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=305172&PRINT=S

nuvolarossa
13-11-08, 11:15
Passeggeri come ostaggi
Danneggiare gli utenti: è la nuova strategia di chi oggi sciopera

di Italico Santoro

"Il soggetto che gli scioperanti, con piena consapevolezza, si propongono di danneggiare è sempre meno il datore di lavoro pubblico, sono sempre di più i consumatori del servizio, gli utenti: attraverso il clamore del danno agli utenti si cerca di ottenere che la controparte sia "politicamente" indotta a cedere … Lo strumento della pressione indiretta è il danno degli utenti, tanto più efficace quanto più grande e clamoroso". Cosi argomentava - nel 1989, mentre il Parlamento discuteva per la prima volta l'opportunità di regolamentare per legge il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali - uno dei padri storici della sinistra italiana, Vittorio Foa.

Quella legge venne poi approvata l'anno dopo, nel 1990. Il testo finale era del tutto inadeguato, e il Partito repubblicano votò contro, perché non si era trovato "il giusto equilibrio tra diritti costituzionalmente garantiti: il diritto di sciopero, che si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano, e il diritto dei cittadini ad utilizzare beni e servizi assicurati dal dettato costituzionale, un diritto spesso ignorato, sicuramente non organizzato in corporazione, ma che è l'essenza stessa delle società democratiche". Lo stesso ministro del Lavoro dell'epoca, Carlo Donat Cattin - la legge era di iniziativa parlamentare - espresse le sue perplessità, ritenendo che mancasse "una norma di chiusura" volta ad assicurare operatività agli indirizzi della Commissione di garanzia. Né le modifiche successivamente intervenute sono servite a dotare il paese di una legge al passo con le mutate realtà socio - economiche.

Abbiamo richiamato questi lontani precedenti non a caso. Al di là della specifica vertenza Alitalia esiste un problema di fondo. Si può consentire, nelle società tecnologicamente avanzate, dove un gruppo esiguo di lavoratori in sciopero può bloccare un intero paese, che una massa enorme di cittadini sia alla mercé di pochi? "Il fenomeno nuovo che lascia prefigurare un più teso rapporto fra utenti e scioperanti - citiamo sempre Foa - è senza dubbio la crescente consapevolezza dei diritti, e in particolare di quelli cosiddetti ‘di cittadinanza sociale', che riproducono sul terreno sociale la materia dei diritti riconosciuta sul piano politico nello Stato moderno".

E' con questi problemi che deve oggi misurarsi il governo Berlusconi. Problemi che venivano già lucidamente individuati venti anni fa e che si manifestano oggi in tutta la loro portata. C'è bisogno, a questo punto e in primo luogo, di applicare fino in fondo la legge, rendendo operative quelle sanzioni - per quanto deboli e inadeguate - che pure essa prevede. E c'è altrettanto bisogno di intervenire legislativamente - magari anche disciplinando la rappresentanza sindacale - per impedire che i pochi possano tenere in ostaggio i tanti; che le sigle corporative si moltiplichino, magari strumentalmente; e che alla fine neppure la loro moltiplicazione basti a tenere a freno quelle spinte anarcoidi che affondano un paese e ne compromettono le istituzioni democratiche.

L'insofferenza dei cittadini - non è la prima volta che si manifesta, soprattutto nel settore dei trasporti - è un sintomo significativo e pericoloso. L'"utente" è cresciuto come soggetto politico e non accetta più di essere coinvolto in controversie che non gli appartengono. Ne prendano atto il governo, il legislatore e gli stessi organi costituzionali, prima che gli uni e gli altri siano travolti, insieme alle istituzioni democratiche, dalla rabbia impotente di chi aspira alla normalità di tutti i giorni.

Roma, 12 novembre 2008

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
23-11-08, 12:31
Lucchi (Pri Forlì-Cesena) interrogazione sui lavori in corso sulla strada provinciale 33

(Sesto Potere) - Cesena - 22 novembre 2008 -Giovanni Lucchi , capogruppo provinciale del partito repubblicano di Forlì-Cesena , ha presentato un' interrogazione al Presidente della Provincia di Forli Cesena Massimo Bulbi, che prende spunto da lavori in corso sulla strada provinciale 33, e riguarda l'esecuzione di opere pubbliche sulle strade.

"I Comuni e le Provincie hanno la gestione delle strade di loro competenza, ed eseguono continuamente delle opere di manutenzione al fondo stradale, opere di miglioria che consistono nell'allargamento della sede stradale, messa in sicurezza di incroci e intersezioni. Tali opere - afferma Lucchi - sono sempre programmate nei bilanci di previsione degli enti. Puntroppo assistiamo in modo ormai sistematico dopo l'esecuzione delle opere a successivi nuovi lavori per posa di cablaggi o condotte interrate in una rincorsa continua a distruggere ciò che si è costruito prima.

La Provincia ha realizzato opere sulla strada provinciale 33 che collega Gatteo a Cesenatico, in località Sala all'incrocio con la Comunale via Vetreto che hanno riguardato il tomibamento di un grosso scolo consorziale per l'allargamento dell'incorcio ove il Comune di Cesenatico ha poi realizzato una rotonda mettendo in sicurezza l'intersezione. Oggi Hera s.p.a. nell'incrocio ha intrapreso lavori per la creazione di un collettore fognario con profondi scavi creando disagio alla circolazione. Un altro caso ove non si è creata una sinergia fra enti al fine di eseguire i lavori contestualmente, limitando i disagi ai cittadini, ma soprattutto non sprecando denaro pubblico.": afferma Giovanni Lucchi

tratto da http://www.quotidianodelnord.it/index.ihtml?step=2&rifcat=110&Rid=187605

nuvolarossa
29-11-08, 12:55
Sulla superstrada Fano-Grosseto il segretario del Pri Gambioli replica all’onorevole Vannucci
“Non si deve perdere di vista il vero obiettivo”

FANO - A proposito della annosa vicenda della superstrada Fano-Grosseto scrive il segretario regionale del Pri Giuseppe Gambioli: “La Regione è stupita dall’intervento dell’on. Massimo Vannucci che sollecita il Governatore Spacca ad intervenire presso il governo a favore dell’infrastruttura E-78 Fano-Grosseto e il Pri regionale a sua volta rimane ancor più stupito dalla superficialità dimostrata con la quale sono affrontate questioni così fondamentali per lo sviluppo della nostra regione. Il Pri manifestò la sua preoccupazione per la realizzazione in projet-financing, stabilito a fine 2007 con un accordo tra la Regione e il Ministro Di Pietro: che la strada Fano-Grosseto venga terminata prima possibile, anche con capitali privati attraverso il project financing, è auspicabile ma al contempo, la Regione dovrà farsi carico dell’onere di un pedaggio virtuale e garantire la libera circolazione su un’arteria di grande utilità socio economica per le popolazioni interne del pesarese.

“Il Pri pertanto - conclude il segretario regionale Gambioli - sollecita il governatore Spacca e l’on. Vannucci a comunicare un po’ di più tra loro, ma soprattutto a non perdere di vista il vero obiettivo che è quello di dare una infrastruttura indispensabile a delle popolazioni locali che vivono in zone molto disagiate e non hanno certamente bisogno di un’altra tassa attraverso un eventuale pedaggio”.

tratto da http://www.corriereadriatico.it/articolo.aspx?varget=1489D66468DA54059AE5130DEF0C0 542

nuvolarossa
12-12-08, 19:18
Nucara a Bruxelles

Il segretario del Pri Francesco Nucara, ha partecipato a Bruxelles alla riunione dei leader e ministri liberaldemocratici dove ha annunciato l'intenzione di intavolare una trattativa con forze politiche omogenee per presentare una lista laica e di progresso sociale alle prossime elezioni europee. Nucara ha detto inoltre: "Sulla riforma della Giustizia condividiamo pienamente gli sforzi del governo, ma sulla questione del federalismo fiscale, se non verranno abolite le province come da programma, non potremo sostenere quel progetto. Anche perché in un periodo di grave crisi economica è necessario risparmiare quei 13 miliardi di euro che sono costate le province nel 2006".

Nucara è anche intervenuto sullo stato di calamità in cui è caduto il paese in questi giorni: "Gli interventi a pioggia dei governi precedenti non sono serviti a niente. Voler ora ripercorrere la medesima strada comporterebbe un nuovo insuccesso. Sotto questo profilo meglio sarebbe concordare gli interventi con le autorità di bacino piuttosto che con le regioni, preoccupate unicamente delle prossime campagne elettorali. Dispiace - ha aggiunto Nucara - che il ministro Prestigiacomo, che noi tra l'altro abbiamo modo di apprezzare, mostri una certa carenza nell'affrontare le emergenze della difesa del suolo. Un settore questo che se non si è in grado di rilanciare, tanto varrebbe abolire".

tratto da http://www.pri.it/new/12%20Dicembre%202008/NucaraBruxelles.htm

nuvolarossa
08-01-09, 18:14
La bufera su Milano
Il Nord Italia si scopre improvvisamente piuttosto fragile

L'anno politico si apre con una "questione del Nord" che rivela singolari e forse inaspettate fragilità. Sarà anche vero che il sindaco di Milano è stata sorpreso della bufera di neve. Noi, ad esempio, che seguiamo le previsioni meteo satellitari con grande attenzione, ci siamo accorti che spesso sono del tutto sballate – ma fa comunque effetto sentire dire che a Milano non c'era più sale perché era stato dato a Torino e a Genova. E com'è che Torino e Genova erano prive di sale? Genova è sul mare e non dovrebbe avere particolari problemi a rifornirsene; e l'altra dovrebbe essere più preparata di Milano a fronteggiare simili emergenze. E, cinicamente, non sarebbe convenuto al sindaco di Milano tenersi strette le sue scorte di sale lasciando le amministrazioni di centrosinistra in difficoltà, piuttosto che finirci lei? Perché ora, suo malgrado, il sindaco Moratti è immediatamente accostato al sindaco Jervolino, tanto per far capire quanto valgono gli effetti disdicevoli di una eccezionale nevicata. E se anche - sotto un profilo oggettivo - essere paragonato al sindaco di Napoli per il sindaco di Milano è peggio di un'ignominia, questo è successo, perché entrambe sono donne in una bufera.

E anche se è successo che, causa il maltempo, non si sono incontrati, quando pure era stato stabilito, il presidente del Consiglio ed il ministro delle Riforme, le difficoltà non si limitano agli imprevisti del meteo. Perché la divisione fra il presidente del Consiglio e il suo ministro sul partner internazionale di Alitalia, è cosa che non si risolverà certo appena il tempo si sarà messo al bello. Anche perché la singolarità del confronto è data dal fatto che Bossi, come spesso gli capita, ha perfettamente ragione nel volere evitare che l'hub di Milano perda di importanza, ma resta il fatto che l'unica offerta concreta resta quella di Air France, come ha detto Berlusconi, "Lufthansa non ha avanzato proposte". E, aggiungiamo noi, escludiamo che ne farà in seguito. Questo lo scriviamo perché la nostra impressione è che l'operazione Cai sia stata solo una dilazione di tempo rispetto all'opzione francese, che ora torna in pista negli esatti termini che conoscevamo. E questo per la ragione che, quando una compagnia fallisce, non è in grado di dettare le condizioni per essere acquistata; e lo sforzo eccezionale degli imprenditori italiani coinvolti in Cai ha inevitabilmente il fiato corto. Per cui Bossi dovrà rassegnarsi perché, per quante ragioni abbia, la sua appare una battaglia persa. Ma si comprende che egli voglia farla e con lui infatti la fanno, senza scrupoli, perché privi di vincoli di maggioranza, anche i dirigenti lombardi del Pd. Perché per il leader della Lega questa è una battaglia per un Nord che appare fragile, un Nord più industrializzato e quindi colpito dalla crisi economica molto più del Mezzogiorno. A Torino, con la chiusura della Fiat per un mese, si chiudono anche le industrie dell'indotto, con drastico dimezzamento della produzione, aumento della cassa integrazione e generale incertezza futura. E Torino è il caso più eclatante, ma non certo l'unico: per questo Bossi vorrebbe evitare ora un caso Malpensa.

Temiamo invece che a breve il Nord del paese si scoprirà più povero e più bisognoso di solidarietà. Un guaio drammatico per il governo e per la Lega.

Roma, 8 gennaio 2009

tratto da http://www.pri.it/new/

nuvolarossa
29-01-09, 13:06
Uragano sulla Calabria: Francesco Nucara ha scritto una lettera al Presidente del Consiglio Berlusconi
Destinare immediatamente i fondi alla Protezione Civile

Lettera di Francesco Nucara al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, pubblicata su "La Gazzetta del Sud" del 28 gennaio 2009

Caro Presidente, come a Te ben noto, nell'ultima consultazione elettorale, sono stato capolista nella formazione del PDL in Calabria, naturalmente a seguito delle Tue indicazioni. Ciò comporta per me dei doveri nei confronti di quelle popolazioni, sia pure nell'ambito del mio più ampio mandato parlamentare.

Qualche giorno prima della visita del Presidente della Repubblica si è abbattuto sulla Calabria, e più specificatamente sulla provincia di Reggio, un "uragano" (la definizione è del sottosegretario Bertolaso).

Ben conoscendo quel territorio - "uno sfasciume pendulo" secondo Giustino Fortunato o una regione che "naviga sull'acqua" secondo Corrado Alvaro - ho atteso il Decreto del Ministro della Tutela del Territorio e del Mare per verificare che gli investimenti relativi alla Difesa del Suolo fossero in linea con le indicazioni del Piano di Assetto Idrogeologico.

Non è stato così e in tal senso, nella seduta n°111 dell'8 gennaio, ho presentato un'interrogazione per ascoltare il governo su questa vicenda.

E' vero che è prevista l'intesa con la Regione Calabria, ma è altrettanto vero che l'art.9 della nostra Costituzione pone in capo allo Stato la tutela del paesaggio.

Al di là delle polemiche che pure sono il sale della politica, giova ricordare quanto segue:

1.a seguito dell'evento calamitoso di cui è fatto cenno in premessa, le condizioni del territorio sono cambiate in modo disastroso;

2.aziende agricole e manifatturiere sono isolate dal già tanto fragile sistema infrastrutturale calabrese;

3.in alcune aziende zootecniche diventa impossibile accudire gli animali ospitati;

4.alcune spiagge sono letteralmente scomparse.

Tutto questo mentre le burocrazie (regionali e nazionali) si dilettano a trovare accordi per i quali non hanno titolo a concludere.

Caro Presidente, è necessario un Tuo autorevole intervento affinché le già disastrose condizioni economiche, sociali e civili della mia Calabria non abbiano a peggiorare.

Ti chiedo, con il massimo rispetto, di valutare se non sia il caso di revocare quel Decreto del 27.11.2008, a firma del Ministro Prestigiacomo, che prevede una serie di inutili interventi a "pioggia" e di utilizzare immediatamente quelle somme trasferendole alla Protezione civile, per aiutarci a risolvere i gravi problemi causati "dall'uragano" del 13 gennaio scorso.

Sono certo che affronterai il problema con la massima determinazione e sono altrettanto certo che troverai una soluzione.

Se lo ritenessi utile sono pronto a fornire, a Te o a chi mi vorrai indicare, tutti i chiarimenti del caso.

Con amicizia,

Francesco Nucara

tratto da http://www.pri.it/new/28%20Gennaio%202009/NucaraLetBerlusconiCalabria.htm

nuvolarossa
30-01-09, 12:23
Interrogazione di Nucara al Ministro dell'Ambiente sullo stato idrogeologico in Calabria
"Non vogliamo morire per negligenza dello Stato"

L'onorevole Francesco Nucara ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, riguardante la situazione idrogeologica della Calabria. Il 13 gennaio scorso la Calabria è stata oggetto di un evento atmosferico particolarmente grave, definito "uragano" dal Sottosegretario Bertolaso; ma senza che successivamente si siano avute notizie di investimenti in proposito. Nelle ultime settimane il precipitare degli eventi meteorologici ha reso ancora più difficile e precaria la situazione idrogeologica della regione Calabria, con intere zone della città di Reggio Calabria e del litorale jonico distrutte ed evacuate. E' seguito un ulteriore disastro ambientale determinato dal crollo di un muro di contenimento dell'autostrada Salerno-Reggio Cala-bria, che ha provocato la morte di due persone e il ferimento di altre, determinando la chiusura della sede autostradale. Nucara ha dunque chiesto di quali elementi disponga il Ministro interrogato "in ordine ad eventuali responsabilità e negligenze in capo a chi ha redatto i piani di difesa del suolo". E' di mercoledì 28 gennaio lo svolgimento di questa interrogazione a risposta immediata.

Francesco Nucara. Signor Presidente, credo che vi sia poco da illustrare: basta leggere i quotidiani nazionali e calabresi su quello che è successo in Calabria. Mi auguro che il Ministro non mi legga la risposta che, probabilmente, ha scritto lo stesso funzionario che, a mio avviso, negligentemente ha prodotto questo disastro calabrese. Più che una risposta che mi dica quello che è stato fatto, vorrei sapere dal Ministro se egli intenda portare all'attenzione del Consiglio dei ministri di venerdì prossimo il disastro che vi è in Calabria. Non vogliamo morire più in Calabria per negligenza dello Stato, perché è stato già detto a chi di dovere che il piano di difesa del suolo firmato dal Ministro Prestigiacomo il 27 novembre era inadeguato, perché la zona dove è successo il disastro sull'autostrada era a rischio molto elevato. Il Ministero competente ci dica se i punti di intervento sulla difesa del suolo erano a rischio molto elevato o erano per fare campagna elettorale.

Gianfranco Rotondi, ministro per l'attuazione del programma di Governo. Signor Presidente, in merito alla prima questione, cioè se gli investimenti previsti siano afferenti a zone a rischio molto elevato, si fa presente che le risorse disponibili per interventi in difesa del suolo nel 2008 sono state utilizzate per la predisposizione dei seguenti piani: piano strategico nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico; programma di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico, annualità che finanzia ben 235 interventi, per un totale di 161 milioni di euro; interventi nelle regioni Calabria e Sicilia in attuazione del comma 1.155 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 (fondi ex Ponte sullo stretto di Messina). A quest'ultimo riguardo, il Ministero dell'ambiente, con appositi decreti, ha approvato il programma di interventi a tutela dell'ambiente e della difesa del suolo nella regione Sicilia. Con specifico riferimento alle richieste dell'interrogante, si evidenzia che tutte le risorse citate fanno riferimento ad interventi di difesa del suolo riguardanti aree critiche individuate e perimetrate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico.

Per quello che concerne, invece, gli elementi di cui disponga il Ministro interrogato in ordine a responsabilità e negligenze in capo a chi ha redatto i piani di difesa del suolo, si fa notare che il portale cartografico nazionale, accessibile dagli interessati, riporta la pianificazione del rischio idrogeologico con l'esatta individuazione delle aree critiche. Si specifica, a conferma del lavoro svolto, che il tratto di strada della Salerno-Reggio Calabria interessato dai tragici eventi di questi giorni è individuato come area a rischio idrogeologico medio nel piano stralcio per l'assetto idrogeologico della regione Calabria.

I dati desumibili dall'analisi dei suddetti piani evidenziano che ben il 10 per cento della superficie italiana è interessato da aree ad alta criticità idrogeologica. A fronte di tale situazione, il fabbisogno necessario per la sistemazione dei bacini italiani è quantificabile in 40 miliardi di euro; per la sola Calabria, la stima delle risorse necessarie ammonta a oltre un miliardo e mezzo di euro. Le risorse messe in campo dallo Stato per interventi urgenti è oggi quantificabile, dal 1989 ad oggi, in circa 7 miliardi di euro.

Alla luce di quanto detto, il vero problema non è la negligenza del sistema, ma l'esiguità delle risorse, e certamente rappresenterò al Consiglio dei ministri la preoccupazione dell'onorevole Nucara, che appartiene ovviamente a tutto il Governo.

Francesco Nucara. Signor Presidente, come prevedevo, il Ministro - che è anche mio amico personale - non ha dato una risposta convincente. Basta una cultura tecnicamente scadente per leggere il piano di assetto idrogeologico della Calabria e capire dove sono prioritari gli interventi. Tra le poche cose di cui la Calabria può andare orgogliosa c'è infatti quel piano di assetto idrogeologico redatto dal mio amico Misiti.

Il problema quindi non è sapere, bensì come evitare i morti, i morti di Vibo Valentia, quelli di Soverato e quelli dell'altro giorno sull'autostrada.

Non sì può realizzare un intervento per la Calabria a difesa del suolo nel quale sono previsti ottantuno interventi, e di questi cinquantasette risultano di importo inferiore ai 400 mila euro: ciò significa una serie di interventi a pioggia per accontentare Tizio e Caio ma non per salvare la Calabria, che non ha bisogno di interventi a pioggia.

I cittadini calabresi non vogliono sapere nemmeno di chi è la colpa: sono cittadini dello Stato italiano, e come tutti gli italiani si preoccupano del salvataggio della FIAT, del salvataggio delle banche e dell'Expo 2015, il Governo si preoccupi del disastro presente in Calabria. Quando avremo assicurazioni dal Governo, saremo pazienti e sapremo aspettare.

tratto da http://www.pri.it/new/29%20Gennaio%202009/NucaraInterrogazAmbiente.htm