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23-03-02, 21:14
- Comitau Studiantis po sa lìngua sarda –



GRAFIA SARDA AUTONOMA

Ogni lingua ha una propria grafia in quanto ogni lingua ha delle proprie caratteristiche fonetiche, cioè ha propri suoni che deve rappresentare con lettere.
Il sardo non ha mai avuto una propria grafia in quanto è sempre stato scritto con la grafia dell’invasore di turno, quindi con grafie di altre lingue, che erano state inventate per rappresentare i suoni di quelle altre lingue, e non del sardo.
Ne è derivato che queste grafie straniere traducevano male i suoni della lingua sarda, facendole perdere il suo carattere.
È un fatto evidente e accertato storicamente che per le lingue minoritarie l’adozione della grafia della lingua dominante è il primo passo che conduce alla perdità di identità e all’assimilazione linguistica (cioè a non essere più una lingua a sé stante ma a diventare nient’altro che un dialetto della lingua dominante) .

Negli anni settanta è stata creata in Sardegna, da uno studioso sardo (Antonio Lèpori), che ha preso il meglio di tutti gli studi precedenti, una grafia fatta apposta per rispettare le esigenze della lingua sarda.
Con questa grafia sono stati scritti dizionari moderni, il primo documento ufficiale di un comune del Campidano, parecchi articoli. Però, come spesso succede fra gli studiosi, l’invidia di pochi ha fermato la diffusione di questa grafia, e purtroppo i denigratori di questa grafia non ne hanno proposte altre, quindi l’ottimo lavoro che stava nascendo è stato fermato senza che nessuno proponesse qualche altra cosa.
Per limitarci alle ultime iniziative, l’uso di questa grafia èin costante aumento, da quando è uscita per la prima volta nella storia una grammatica della lingua sarda scritta tutta in lingua sarda (A. Lepori, Gramàtiga sarda po is campidanesus, Edizioni C.R., Cuartu S. Aleni, 2001) e nei corsi tenuti a Quartu e Quartucciu, dove almeno 400 persone hanno imparato a utilizzare questa grafia.
Inoltre in moltissime scuole elementari questa grafia è stata utilizzata con successo dai bambini che hanno addirittura scritto dei libretti in sardo grazie a coraggiosissime maestre.

Ma vediamo la semplicità di questa grafia, innanzitutto vediamo l’alfabeto sardo, con le lettere e il loro nome in sardo:
· A a
· B b
· C ci
· Ç ci truncada
· D di
· E e
· F efa
· G gei
· GH gei+aca
· I i
· J jota
· K capa
· L ella
· M ema
· N enna
· o
· P pi
· R erra
· S essa
· T ti
· U u
· V vu
· X scesça
· Y i grega o i arega
· TZ tizeta
· Z zeta

Digrammi (cioè unioni di consonanti):
· Nny si pronuncia come la gn italiana
· Lly si pronuncia come la gli italiana

Consonanti che si usano diversamente rispetto all’italiano:

· Ç si usa davanti alla A, alla O, e alla U e si pronuncia come la C di “ciao”, ”cioè”, “ciuccio”.
Per esempio, usando la grafia italiana “prendere” in sardo si dovrebbe scrivere “aciapai”, con la grafia autonomista invece “açapai” (il suono è lo stesso ma la parola è più corta da scrivere), “chiaccherare” si dovrebbe scrivere “ciaciarrai” con la grafia autonomista invece “çaçarrai” (il suono è lo stesso ma la parola è più corta da scrivere).

· J si usa davanti alla A, alla O, e alla U e si pronuncia come la g di “già”, “gioco”, “giusto”. Per esempio, usando la grafia italiana “giocare” in sardo si dovrebbe scrivere “giogai”, con la grafia autonomista invece “jogai” (il suono è lo stesso ma la parola è più corta da scrivere), la parola “giudice” al posto di essere “giugi” diventa “jugi” (il suono è lo stesso ma la parola è più corta da scrivere).

· K corrisponde al suono CH italiano e si usa davanti alla I e alla E, ed è sicuramente molto più conveniente e pratico usare la K per scrivere “kini”, “ki”, e così via al posto di “chini” e “chi”. È presente anche di fronte alla U se c’è un dittongo (cioè se la U si pronuncia legata alla vocale che segue), “acqua” in sardo (nella varietà campidanese) si scrive “akua”.


· SÇ corrisponde al suono italiano SC di “scena” “sciare” e si usa davanti alla A, alla O e alla U. Per esempio, usando la grafia italiana “distruggere” dovrebbe essere “sciusciai”, con la grafia autonomista diventa “sçusçai” (il suono è lo stesso ma la parola è più corta da scrivere, e in più si eliminano tutte le I che possono incasinare chi il sardo non lo sa molto bene).

Inoltre:

· Y si trova sempre tra due vocali e indica che dittonga (cioè che si pronuncia legata) con la vocale che segue. Es. ayò (a-yò), yayu (ya-yu), Mamoyada (Mamo-ya-da), Yertzu (Yer-tzu), mayu (ma-yu).

· Tutte le altre consonanti si usano come in italiano, però in sardo si possono raddoppiare solo la D, la L, la N, la R e la S. Infatti in sardo il suono delle consonanti è sempre intenso (una volta e mezzo quello di una consonante singola italiana), lo sappiamo tutti, e dunque non c’è bisogno di averne due, uno debole (una consonante sola) e uno intenso (due consonanti). Di consonante se ne mette una sola e si risparmia tempo, tanto lo sappiamo tutti che poi il suono ci esce intenso .
Però la D, la L, la N, la R e la S sono eccezioni a questa regola, perché davvero hanno anche un suono debole. Infatti un conto è dire “ala” altro conto è dire “allu”, un conto è dire “manu” altro conto è dire “mannu”, un conto è dire “arai” altro conto è dire “arriu”.

Se siete dei precisionisti, appassionati delle minime questioni di fonetica, precisiamo che per quel che riguarda la D e la S, il raddoppiamento, più che a indicare il rafforzamento della stessa consonante, serve come espediente grafico, per indicare che quella consonante prende un suono sì più intenso, ma anche un po’ diverso, che non è il semplice raddoppiamento della consonante base.
Quindi, raddoppiamo la S, come espediente grafico, per distinguere la S sorda (“cassu” cioè “scopro”) dalla S sonora (“casu” cioè “formaggio”),
e lo stesso discorso vale per la D, raddoppiata a indicare che è cacuminale (“sedda” cioè “sella” invece di “seda” cioè “seta”).


L’accento:
· si mette in tutte le parole tronche (cioè accentate sull’ultima sillaba, come “ayò”) e in quelle sdrucciole (cioè accentate sulla terzultima sillaba, come “època, pòpulu, ànima, fèmina”).

· Quando la parola è piana (cioè accentata sulla penultima sillaba, come “nasu, scaresci, civraxu”) accento non se ne mette, quindi quando accento segnato non ce n’è, vuol dire che va pronunciato sull’ultima sillaba. Non come l’italiano che accenti se ne scrivono e non se ne scrivono, e uno, che non conosce la parola da prima, non sa mai come leggerla!


Come si vede questa grafia rende la lingua sarda molto più vicina alle lingue europee (k, ç, ly, ny, più lo stesso discorso delle doppie, ci sono con la stessa identica funzione anche in molte altre lingue, mentre invece l’italiano è l’unica lingua al mondo che usa ch per il suono di “chiave”) ed è molto più pratica e veloce rispetto all’italiano.
Perché utilizzare due lettere se lo stesso suono si può rendere con solo una lettera?
Perché utilizzare la “ch” al posto della “k”?
E “sci” al posto di “sç”?
E “ci” al posto di una semplice “ç”?

Inoltre, cosa molto importante da dire è che la grafia italiana ha gravi problemi di pronuncia. Per esempio prendiamo le parole “razza” (quella dei cani o, secondo alcuni, pure degli uomini!) e “razza” (il pesce): abbiamo la stessa grafia per due suoni diversi, e uno se non conosce la parola prima, non sa come pronunciare.

Con la grafia sarda autonomista non esistono questi problemi in quanto esiste la distinzione tra z e tz. Infatti un conto è “zente, zogu, zeru, zironnya” e altro conto è “tziu, tzacau, tzùcuru”.
È evidente che anche quando questi due suoni diversi sono al centro delle parole, la regola da seguire è la stessa, perciò si scriverà “putzu” e non “puzzu”, “catzu” e non “cazzu”, o, per quel che riguarda la zeta, “mazina” e non “mazzina”.

Stesso discorso vale per la X, che serve a distinguere due suoni diversi, e peraltro quello rappresentato dalla X in italiano non esiste neanche!
Infatti un conto è dire “pasci” (pascolare), altro conto è dire “paxi” (pace), un conto è dire “pisci” (pesce), altro conto è dire “pixi” (pece), e così via.
In più non c’è nessun bisogno di scrivere “civraxu, muntronaxu, etc.” mettendo una I tra la X e la U, perché tanto quella I non si leggerà mai, non ce n’è nessun bisogno, non ci sta a fare niente, è inutile, e anzi, fa confondere quelli che non sanno la parola, che possono essere tentati di leggere anche la I, pronunciando “civraxìu, muntronaxìù, etc.”.



Queste son le cose fondamentali, che per cominciare bastano e avanzano.
Prendetevi un testo sardo scritto con la grafia italianista, ricopiatevelo usando questa grafia autonoma. All’inizio farete fatica, ma questo dipende solo dall’inabitudine. Piuttosto guardate il lavoro finito, e noterete subito quante lettere in meno ci sono e come non son possibili equivoci di nessun tipo.


E ora facciamo parlare direttamente Lèpori:

«Deu nau custu: ki mi ponemu a scriri su frantzesu cun sa grafia italiana o tedesca, is frantzesus iant a tenni arrexoni a s’inkietai e a mi nai ki sa lìngua insoru est una cosa diferenti de s’italianu o de su tedescu, duncas depit essi scrita de una manera diferenti de cumenti si scrint is atras linguas.
E cumenti mai custu no est bàlliu mai po sa lìngua sarda? Cumenti mai sigheus a scriri su sardu cun grafia italiana? No du pensaus ki fendi di aici seus sballiendi? …

Mi pàrinti justus meda duncas custus fueddus ki sìghinti, ki Massimo Pittau at nau in d-unu libru cosa sua: Siccome stiamo rivendicando al sardo il carattere ed il valore di lingua a sé stante – scrit Pittau - coordinata alle altre lingue neolatine, ma non subordinata a nessuna di esse, è perlomeno molto opportuno scrivere la nostra lingua secondo una maniera sarda, che non segua pedissequamente l’ortografia di nessun altra lingua sorella …

E no mi bengais a nai ki sa grafia italiana esti sa grafia de 250 annus de tradizione: no at mai pensau kini nàrat una cosa aici ki sa de su 1760 sa lìngua italiana est arribada in Sardinnya, e ki a primu sa tradizione fiat sa grafia spannyola [e prus a primu ancoras sa grafia cadelana]?
E agoa, aundi buginu da bieis custa tradizione?
Mi podeis arrespundi ki da bieis in is òberas de Madao, Araolla, Spano, Porru Rossi e atra genti aici, ma custa genti fait biri una cosa sceti: ki no teniat ideas craras, ki teniat una spètzia ‘e timoria faci a sa lìngua de is dominadoris, cunsiderada de totus s’esèmpiu de sighiri, s’arribu aundi lompi.
Nisçunus de-i custus teniat cuscièntzia ki sa natzioni sarda colonizada e oprìmia teniat abisonju no de copiai ma de imbentai, ki depiat caminai cun is cambas suas e no cun is baceddus de s’italianu, de su latinu o a deretura de s’ebràigu o de su gregu, cumenti calincunu de issus est arribau a fai.

Una grafia diferenti podit sçumbullai sa strutura e totu de sa lìngua. Em’a podi fai esèmpius cantu ndi boleis, ma mi nd’abàstat una pariga sceti. Penseus a dus sangunaus, ki castiendi sa grafia pàrinti diferentis, ca imoi dus pronuntziaus unu Sequi e s’atru Sechi. Ma est su pròpiu sangunau Seki, scritu unu a sa spannyola e s’atru a s’italiana.
Penseus a su vìtziu de scriri sc is sangunaus cun sa x (Maxia, Puxeddu e aici nendi) ki anti portau medas a dus pronuntziai a s’italiana».


Antonio Lepori, Passau e presenti de sa lìngua sarda, Atti del Convegno… in «La grotta della vipera» n. …pp. 54 -56.