PDA

Visualizza Versione Completa : L'immensa forza tranquilla



Pier Paolo
24-03-02, 22:24
L'immensa forza tranquilla


di EUGENIO SCALFARI

--------------------------------------------------------------------------------
ERA difficile contarli, i manifestanti di ieri, il mare di bandiere agitate dal vento, le età diverse di quegli uomini e di quelle donne, di quei ragazzi, i loro volti, una moltitudine di volti, di lavoratori, di studenti, di impiegati, di militanti sindacali e politici. Due milioni? Tre milioni? Tutta l'area del Circo Massimo, Porta Capena, l'Archeologica, il Colosseo, le vie fino a Santa Maria Maggiore, l'Ostiense, le pendici del Colle Oppio, un mare di folla.

Ma non era una folla, non era un'indistinta marea, erano persone che pur nella loro diversità anagrafica e sociale avevano alcuni tratti comuni: la compostezza, la maturità degli atteggiamenti, la tranquilla ma ferma decisione di difendere una causa giusta, in nome proprio e in nome di tutto un paese: la causa della democrazia contro la violenza, della certezza dei diritti contro l'arbitrio, della libera eguaglianza contro il privilegio. Per questo non era una folla quella accorsa da tutta Italia alla chiamata del sindacato, ma un soggetto sociale e politico.

La questura di Roma ha detto che erano in settecentomila. Se questi sono gli esperti ai quali affidiamo la sicurezza della popolazione non c'è da star tranquilli perché anche la stupidità dovrebbe avere un limite. Ma il calcolo quantitativo comunque conta poco. Come conta poco la gaffe del segretario della Cisl quando ha sentenziato: "È una manifestazione di parte". Poteva risparmiarsela Pezzotta questa invidiosa battuta poiché è stata la manifestazione di una parte del sindacato, di una parte dei lavoratori e della sinistra italiana, ma una parte rappresentativa anche di chi fisicamente non c'era ma era lì con la mente e con il cuore, anche i lavoratori della Cisl erano lì senza bisogno che ce li portasse per mano il loro segretario.

Di solito ci si commuove quando tante persone si riuniscono per sostenere tutte insieme una visione del bene comune. L'etica tocca le corde del cuore e il bene comune è un fatto etico molto prima che politico. E c'era, la si vedeva su quei volti di giovani e di anziani, una commozione diffusa. Da vecchio cronista che manifestazioni del genere (ma non di queste dimensioni e di questa intensità) ne ha vissute tante, segnalo due momenti nei quali commozione, fierezza, determinazione hanno raggiunto il livello massimo di intensità.

È stato quando quei milioni di persone si sono chiusi nel silenzio di un minuto per celebrare la memoria di Marco Biagi e quando un boato immenso ha interrotto Cofferati mentre diceva: "Noi siamo guidati da un principio che fa la nostra identità ed è quello della solidarietà". Un silenzio e un'esplosione di consenso che hanno unificato milioni di anime. Lì la folla immensa è diventata un soggetto. In televisione il senatore Schifani farfugliava del clima di odio che favorisce il terrorismo. Qualcuno dovrebbe avvertirlo che se c'è un seminatore di odio - peraltro di bassissimo conio - è proprio lui. È un guaio per lui e per la sua parte che nessuno si prenda la briga di dirglielo.

* * *

Di fronte alle immagini di quello sterminato corteo e di altre immagini che abbiamo visto nei telegiornali di venerdì scorso sui funerali del professor Biagi celebrati nella privatezza della famiglia, degli amici e della dolente presenza del presidente della Repubblica, tanto più stridente è risultato lo spot (come altro chiamarlo) trasmesso venerdì sera dalle tv pubbliche di Silvio Berlusconi. Stridente e avvilente poiché il presidente del Consiglio ci teneva a far sapere che Biagi era un consulente del suo governo, che le proposte sociali da lui suggerite riguardavano proprio le modifiche dell'articolo 18, che infine chi lo ha ucciso voleva attaccare il governo e contrastare il suo programma che sabato è stato respinto senza appello dai lavoratori convenuti a Roma. Non avendo potuto celebrare un funerale di Stato per l'uomo che le prefetture di quattro città avevano abbandonato nelle mani degli assassini, si è tentata una sorta di appropriazione ideologica di cadavere per usarla come strumento di lotta politica.

Personalmente sono del tutto contrario a chi parla, a proposito del governo attuale, di fascismo. Sarei meno perplesso sulla parola regime: quando la maggioranza parlamentare è una fotocopia del governo ed anzi del capo del governo e quando una grande maggioranza dei mezzi di informazione dipendono da quella stessa mano la parola regime è abbastanza appropriata o rischia di diventarla rapidamente.

Ma non c'è bisogno di scomodare termini così impegnativi per definire l'operazione mediatica tentata venerdì sera dal presidente del Consiglio come squalificante verso chi la compie, offensiva per la famiglia del morto e non degna della cultura istituzionale di cui il titolare dell'Esecutivo dovrebbe essere uno dei più gelosi custodi.
Sulla figura di studioso del professor Biagi, consulente per la legislazione del lavoro di almeno quattro governi (Prodi, D'Alema, Amato, Berlusconi) bisogna essere molto chiari una volta per tutte. Del resto i suoi scritti giornalistici (i più attuali e impegnati) sono a disposizione di chi voglia consultarli; il Sole-24 Ore, il giornale cui più assiduamente collaborava, ne ha pubblicato proprio ieri un esauriente compendio. Si può consentire o dissentire sulle proposte che vi sono contenute e che vanno comunque molto al di là delle modifiche all'articolo 18.

Biagi, come tutti gli studiosi seri, sapeva che il sistema delle relazioni sociali e delle garanzie che ne sono la tutela è un argomento molto complesso in una fase in cui la natura stessa dei rapporti di lavoro si sta trasformando con grande rapidità e mette in gioco interessi, programmi di vita, dignità personale, profili e identità sociali.

Il suo assillo, tante volte confessato ad amici e collaboratori ed evidente anche nei suoi testi, era quello di rimodellare i diritti e le tutele del lavoro tenendo conto della legislazione esistente, dei mutamenti in corso nella natura dei rapporti, del declino del posto fisso ma dell'accresciuta e non diminuita necessità di assicurare i redditi presenti e futuri dei lavoratori dalla precarietà e dalla varianza dei lavori, dei luoghi, delle qualifiche. In un mondo nel quale un giovane può fare le sue prime prove come lavapiatti di McDonald's a Catanzaro, poi come supplente di italiano a Bari e poi magari come netturbino a Milano (sono casi che si verificano di frequente) è chiaro che bisogna prevedere una carta previdenziale che copra le discontinuità dei rapporti, un sistema di qualificazione professionale (formazione) continuo e pubblico, uno stipendio di disoccupazione che gli assicuri almeno un minimo di sopravvivenza.

Biagi aveva studiato l'insieme di questi problemi arrivando ad alcune conclusioni delle quali l'articolo 18 rappresentava soltanto un aspetto e neppure quello di maggior rilievo. Dava molto spazio anche alla contrattazione individuale, trascurando forse di considerare l'enorme disparità negoziale tra il singolo lavoratore e l'impresa che chiede il suo lavoro.
Problemi dunque molto complessi che non possono essere affrontati a pezzi ma debbono essere oggetto - come lo stesso Biagi raccomandava - d'una trattativa globale.

Lui era insomma tra coloro che avevano scritto la musica ma non tra quelli che l'avrebbero suonata e presentata al pubblico. Una musica del resto soggetta a continue revisioni, integrazioni, nuove trascrizioni, secondo le richieste e i tempi di chi l'avrebbe dovuta trasformare in programmi politici e operativi.
Perciò quella che ho prima chiamato "appropriazione di cadavere" è stata un'operazione d'una mediocrità morale e intellettuale vergognosa, compiuta appena poche ore prima dell'imponente manifestazione della Cgil nel tentativo maldestro di tagliarle le gambe gettandole di traverso quel corpo insanguinato.

* * *

Sergio Cofferati ha detto, parlando ieri al Circo Massimo, che la tempistica dell'omicidio Biagi a tre giorni dal raduno di Roma deve far riflettere.
Certo, deve far riflettere: il terrorismo riconosce solo se stesso e la lotta armata. Tutti quelli che non stanno con lui sono contro di lui, Berlusconi come D'Alema, Pezzotta come Cofferati, Agnoletto come Moretti e Bertinotti come Buttiglione; ma è pur vero che tre milioni di lavoratori in piazza sono un segno potente di democrazia e di partecipazione che asciuga l'acqua in cui potrebbe nuotare il pesce terrorista.
L'incompatibilità tra la cultura della morte e quella della solidarietà e della vita è totale e sta scritta nella storia dell'ultimo secolo. Non c'è bugia o manipolazione che possa offuscarne la nitidezza.

Tuttavia il riemergere dai bassifondi della società d'un terrorismo che speravamo di non rivedere mai più non può essere scadenzato su questo o quell'avvenimento di attualità. Si tratta di operazioni complesse, richiedono tempo risorse appostamenti studio di abitudini logistica di appoggio. Negli anni Settanta nacquero come iniziale reazione alla strategia dello stragismo.

Oggi pensano di utilizzare il disagio e la reazione sociale che la filosofia e la pratica del "pensiero unico" hanno messo in movimento. Non è la campagna d'odio della sinistra che, secondo la vulgata berlusconiana, alimenterebbe il terrorismo, ma semmai è l'arroganza del potere che risuscita i fantasmi e soffia sulle braci ancora non spente di quella terribile stagione.

* * *

Martedì intanto il presidente del Consiglio incontrerà di nuovo le parti sociali "per parlare di tutto" ribadendo però che sull'articolo 18 il governo non cederà di un millimetro. Come mai tanta rigidità? Dicono gli esperti: perché è diventata una questione simbolo, perché si deve pagare la cambiale alla Confindustria e questa è la prima rata, perché nel governo adesso volano i falchi.

Sarà certamente così, ma di ragione ce n'è anche un'altra assai più corposa: tutte le altre misure proposte dal professor Biagi e dagli altri consulenti del governo costano soldi, molti soldi. La sola decontribuzione costa 6 mila miliardi di euro; il salario sociale varrebbe a dir poco 40 mila miliardi di vecchie lire e così via. E chi glieli dà questi soldi al povero Tremonti che è anche in ritardo con la diminuzione delle tasse che stanno anzi addirittura aumentando? C'è una sola riforma (è vero governatore Fazio?) che non costa assolutamente niente ed è quella dell'articolo 18. Quella brucerà soltanto sulla pelle dei lavoratori colpiti. E in fondo in fondo di loro chi se ne frega?

Josto
26-03-02, 21:49
C'è una sola conservazione (è vero sindacalisti e sinistre?) che non costa assolutamente niente ed è quella dell'articolo 18. Quella brucerà soltanto sulla pelle dei disoccupati colpiti. E in fondo in fondo di loro chi se ne frega?