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pietro
25-03-02, 11:16
da www.voceoperaia.it


Sopravviverà Berlusconi al braccio di ferro sull'articolo 18?
O la va o la spacca

n° 16

22 Marzo 2002

Editoriale
In Italia
Nel Mondo
Noi e Loro

Dopo settimane di zig zag in cui sembrava disposto ad addivenire ad un compromesso con i sindacati confederali, almeno con CISL e UIL, il governo Berlusconi ha deciso di tirare diritto, non solo cancellando l'Art. 18 dallo Statuto dei lavoratori, ma pure introducendo una normativa che liberalizza ulteriormente il mercato del lavoro.
Tra le ragioni di questa decisione due sono le piu' importanti. La prima è che solo alzando la posta in gioco, solo trasformando la questione dell'Art. 18 in un referendum pro o contro il governo, la maggioranza di centro-destra può restare compatta, evitare di sbragarsi. Con il muro contro muro Berlusconi ritiene di potere azzittire coloro i quali, nella sua coalizione, lavorano ai fianchi per sostituirlo alla guida del governo e pensano ad un "inciucio" con i settori centristi de l'Ulivo.
La seconda, non meno importante è che la maggioranza si vede obbligata a saldare il suo debito con la Confindustria, o meglio, con quei settori del capitalismo italiano i quali chiedono mano libera dentro le aziende e di procedere senza indugi sulla via neoliberista, ponendo fine alla politica concertativa coi sindacati.
Berlusconi non avrebbe deciso per il braccio di ferro se non fosse infine convinto di vincerlo, sicuro di consolidare in modo sostanziale il governo medesimo. In effetti è improbabile che le opposizioni ottengano il medesimo risultato dell'autunno inverno del 1994, quando riuscirono a far cadere Berlusconi. Un "ribaltone" è altamente improbabile, mentre la capacità di mobilitazione dei sindacati confederali non è più quella di un tempo. Dopo cinque anni di governo di centro-sinistra la maggioranza dei lavoratori non nutre la fiducia di un tempo nei dirigenti de l'Ulivo, e nemmeno in quelli sindacali. Questa sfiducia non impedirà ai lavoratori sindacalizzati di protestare e di scendere in piazza in difesa dell'Art. 18, ma essi lo faranno con minor convinzione e con minor determinazione. Grandi masse si gettano a corpo morto nella mischia, accettano di compiere grandi sacrifici o quando la loro situazione è disperata o quando ritengono non solo auspicabile ma possibile un cambio nella direzione politica del paese. La situazione non è per niente disperata e, d'altra parte, per quanto pochi nutrano speranze su Berlusconi, i cinque anni di centro-sinistra, hanno minato irreparabilmente la fiducia nel gruppo dirigente ulivista, considerato debole e opportunista. Non occorre quindi commettere l'errore si scambiare la disponibilità alla lotta in difesa dell'Art. 18, con la determinazione a lottare fino al rovesciamento di Berlusconi.
Se lo sciopero generale (vedremo fino a che punto riuscira, e riuscira' davvero se coinvolgerà quel 90% di operai salariati non sindacalizzati che lavorano nelle micro-imprese) non porterà a risultati tangibili, se il governo non farà una marcia indietro; se cioè il braccio di ferro non sarà breve ma prolungato, se avremo una battaglia di logoramento fatta di diverse tappe, il governo ha buone possibilità di uscire alla fine vittorioso e le opposizioni di centro-sinistra battute. Una sconfitta sul terreno sociale e sindacale sarebbe una catastrofe per l'Ulivo e accrescerebbe di molto la forza del governo Berlusconi, aprendo un periodo di sostanziale stabilità sociale.
Cofferrati e i leader dei DS, ma pure Bertinotti, sono in un cul de sac. Sono consapevoli che la battaglia potrebbe essere lunga, per questo evitano di caraterizzare lo sciopero generale come "sciopero politico contro il governo". Essi vogliono evitare di giocarsi il tutto per tutto in una volta sola e tentano di sottrarsi alla sfida frontale voluta da Berlusconi riportando la battaglia dentro il quadro istituzionale (le amministrative sono alle porte), nella speranza di addivenire ad un compromesso onorevole. Se Berlusconi vuole imitare la Teatcher, Cofferati non vuole copiare Scargill.
All'estrema sinistra la situazione appare alquanto confusa e incerta.
Bertinotti deve gettarsi nella mischia dovendo affrontare un congresso difficile, in cui chiede al suo partito di schierarsi, armi e bagagli, col movimento no-global. Il suo sodalizio con il "movimento", cioe' con l'ex GSF, sembra decisivo e irreversibile. Nello stesso tempo però non dimentica di fare delle aperture spettacolari all'Ulivo, accettando l'idea di liste comuni alle prossime elezioni amministrative.
Una simile doppiezza indebolisce in realtà la credibilità del P.R.C. in seno al "movimento". Movimento che in questi ultimi mesi vede crescere la divaricazione tra i settori radicali, che puntano all'inasprimento del conflitto sociale e quelli moderati, che guardano con favore ad un accordo con il centro-sinistra, non escludendo "candidature di movimento" alle amministrative di maggio.
Il grande successo della manifestazione del 9 marzo per la Palestina, organizzata dagli antimperialisti indica che sta avvenendo, dentro il "Movimento", un lento ma evidente spostamento su posizioni più radicali. Anche il diffuso mal di pancia per l'esito medicocre e moderato dell'incontro mondiale di Porto Alegre, mostrano che nel "Movimento" è in atto un profondo rimescolamento. L'asse Bertinotti-Agnoletto-Casarini-Bernocchi inizia a traballare. In molte situazioni gli stessi Social Forum si stanno autonomizzando da questa quadruplice alleanza e pongono il problema di una riorganizzazione del Movimento su basi più anticapitaliste.
Di questo gli Agnoletto e i Casarini debbono tenere conto: essi rischiano, se dovessero appiattirsi sulle posizioni della CGIL e/o su quelle dei "girotondi", di perdere il controllo del "Movimento" medesimo. Essi debbono dare una botta al cerchio e una alla botte. Tentare ad ogni costo di tenersi agganciati allo Ulivo via PRC e CGIL, radicalizzando tuttavia, per non perdere la faccia, la loro azione politica. L'azione dimostrativa del 15 febbraio a Roma promossa dai "disobbedienti" contro un ufficio di lavoro interinale, indica quali potrebbero essere le loro prossime mosse. Essi non possono non allearsi con la CGIL e i settori più antiberlusconiani de l'Ulivo, ma nello stesso momento, con azioni spettacolari, magari in occasione degli scioperi dei sindacati confederali, tenteranno di alzare il tiro e di ottenere la massima visibilità. Cofferati ne è consapevole, per questo ha sin qui rifiutato di dare la parola ad Agnoletto in occasione della prevista manifestazione del 23 marzo a Roma. Ponendo Agnoletto in grave sofferenza.
I settori più conseguenti della estrema sinistra, davanti alla cagnara tra Berlusconi e le opposizioni, non dovrebbero commettere, né l'errore di riappacificarsi con lo sputtanato ceto politico ulivista, né quello di pensare che lo scontro sull'Art. 18 cambi radicalmente il contesto difensivo in cui siamo, interpretando questa doverosa battaglia come una specie di Giudizio universale. Chi pensasse che la situazione permetta accelerazioni estremistiche si romperà la testa.
Bisogna far parte ed essere anzi protagonisti del movimento in difesa dell'Art. 18, ma in modo indipendente da l'Ulivo e la CGIL. Occorre opporsi a Berlusconi ma senza dare l'impressione di riappacificarsi con il centro-sinistra. In nessun modo gli anticapitalisti dovrebbero dare l'impressione di fare il gioco de l'Ulivo. Essi debbono dire chiaramente che la sacrosanta lotta contro Berlusconi, non deve essere strumentalizzata per riportare al potere l'accozzaglia di Rutelli-Fassino-D'Alema. Essi non sono un'alternativa al centro-destra.
Questa indipendenza non può tuttavia giustificare un atteggiamento settario verso la CGIL. Nella misura in cui questo sindacato lotta per difendere, addirittura con lo sciopero generale, diritti basilari dei lavoratori, è doveroso e necessario fare fronte, unire le forze nella lotta contro il comune nemico. Ci pare dunque un errore gravissimo quello che il sindacalismo di base rischia di compiere non aderendo all'eventuale sciopero generale di CGIL, CISL e UIL. Un errore parallelo a quello di chi rifiuta ogni dialogo con il cosiddetto "movimento dei girotondi", sulla base della motivazione che in nessun caso si dovrebbe sostenere la magistratura --magistratura vista come il principale nemico del movimento antagonista.
Occorre invece preparare lo sciopero generale, non tanto aiutando la CGIL o rispettando le sue consegne, ma andando oltre, tentando di costruire un vero e proprio movimento di agitazione che non si esaurisca nello spazio di un giorno. In questo senso dovrebbe essere raccolta e creativamente applicata la consegna venuta da alcune fabbriche di Brescia: "Picchettiamo l'Italia", con blocchi stradali, azioni di disturbo, occupazioni di stazioni e aeroporti. Se Cofferati pensa ad uno sciopero e a movimenti tranquilli, noi dobbiamo piuttosto radicalizzarne le forme per dar vita ad uno sciopero articolato, combattivo, autorganizzato, che non torni a casa dopo le otte ore. L'obbiettivo è costruire dal basso un movimento che sappia dialogare con il resto dei cittadini, giovani anzitutto (sui quali è forte la presa delle promesse berlusconiane e del neoliberismo in genere). Se sapremo farlo, non soltanto avremo indebolito il governo Berlusconi e la sua presa sulla società, avremo consolidato l'opposizione anticapitalista e la sua credibilità come forza alternativa, sia alla sinistra social-liberale che a quella massimalista.