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hussita
25-03-02, 12:20
«Biagi aveva ragione e non abbiamo partecipato nemmeno al suo funerale»

«Clima pesante per personaggi che dicono cose di sinistra che non hanno mai fatte»


Caro Presidente Violante, l’ Unità di sabato, nel giorno della grande manifestazione sindacale, ha pubblicato documenti dell’assemblea di redazione, dell’editore, dei direttori, di Giovanni Berlinguer gravemente insultanti verso di me e verso il sen. Debenedetti. Hanno voluto presentarsi di fronte a migliaia di lavoratori come vittime di un’aggressione. Per quanto mi riguarda mi si addebita, in un documento che la direzione ha fatto firmare dall’assemblea di redazione nello stile della confessione di Bucharin (l’amico costretto a denunciare l’amico), di aver accusato l’ Unità di connivenza con il terrorismo. È una bugia ignobile. Che si tratti di una vergognosa bugia ne fa fede la stessa Unità del giorno prima che pubblicava una mia dichiarazione al Velino: dissentivo dal giudizio degli editorialisti dell’ Unità sulla fascistizzazione del Paese e criticavo le rubriche in cui si mettono alla berlina i dissenzienti, tuttavia in quella stessa dichiarazione criticavo anche l’ipotesi avanzata dal sen. Debenedetti sulla necessità di un intervento disciplinare dei gruppi parlamentari Ds sul giornale. Ho ricordato l’Abc, cioè che il rapporto con il direttore appartiene al Cda e alla proprietà della testata. Finché c’è sintonia fra questi e il direttore nulla quaestio. Li ho, paradossalmente, difesi dalla richiesta di Debenedetti, un senatore fatto oggetto sull’ Unità di vergognosi attacchi.
Trovo disgustoso, e mi sorprende che non se ne accorga un uomo gentile e raffinato come Giovanni Berlinguer, che questo attacco mi venga rivolto nel giorno della grande manifestazione sindacale contro i licenziamenti da un direttore e da un editore che hanno «preso» l’ Unità a condizione che vi fossero massicci licenziamenti, senza la tutela dell’art. 18.
Io sono preoccupato per la deriva di una certa sinistra. Penso che ci porterà alla sconfitta definitiva. Rifletti su un fatto: per la prima volta nella storia democratica di questo Paese alcun esponente della sinistra ha potuto partecipare ai funerali di una vittima del terrorismo, una vittima peraltro che appartiene, per cultura e stile di vita, alla sinistra riformista. Biagi non ha fatto girotondi ma ha vissuto per i lavoratori. Questo è il vero evento che segnerà la storia del nostro Paese. Si interrompe un nesso fra noi e la storia nazionale, fra noi e la democrazia. Ho letto gli scritti di Biagi (aveva ragione lui), ho letto gli insulti a Biagi e ho visto che non eravamo al suo funerale. Perché accade solo ora? Ti chiedo urgentemente un’assemblea del gruppo su questi temi. Se non sarà possibile per un riformista come me fare politica, mi dimetterò anche da parlamentare. Ma continuerò la mia battaglia. Mai mi farò zittire da quel Furio Colombo che era portavoce della Fiat che licenziava migliaia di operai negli anni in cui io ero caposervizio sindacale all’ Unità e cercavo di far conoscere le ragioni di quegli operai cacciati.
Il clima a sinistra è diventato pesante per responsabilità di personaggi che dicono cose di sinistra, ma non hanno mai fatto cose di sinistra e per la sinistra e i lavoratori. Amendola, Lama e Chiaromonte si sarebbero ribellati. Noi invece siamo aggrediti, l’ Unità propone un girotondo attorno a D’Alema (fatelo, ci sarò io a difenderlo). Nessuno dice niente. Ci sono arruffapopoli che lucrano sulla sinistra, che ci vogliono mettere in angolo, noi e la storia che rappresentiamo e nessuno dice una parola. Assistiamo al linciaggio di uomini della sinistra reso facile dall’esasperato correntismo dei Ds e nessuno dice una parola. Dal Pci abbiamo imparato questa scuola di viltà? No e poi no. Chiedo una discussione franca e serena prima di prendere le mie decisioni. Voglio capire se questa è ancora la nostra casa comune. Mi conosci, sai che sono una persona seria e determinata, che non cederà un millimetro di fronte a questo attacco delegittimante. Voglio sapere se devo farlo da solo. Sbaglia Berlusconi a dire che l’attacco è al governo e non allo Stato. Sbagliamo noi a non dire che l’attacco al governo è attacco allo Stato. Quando presero Moro noi dicemmo: hanno colpito il presidente Dc ma hanno colpito lo Stato. Caro, Luciano, conosco la tua vita, confido nel tuo coraggio.



Giuseppe Caldarola
Corriere della Sera

Colombo da Priverno
25-03-02, 14:43
Roma. Da qualche tempo, per Massimo D’Alema è quasi un’ossessione: “Noi riformisti dobbiamo riprendere in mano la situazione”, ripete. “Vanno bene i movimenti, ma non si può più delegare ad altri la guida del partito”. Sconfortato, è stato sentito ammettere: “Che differenza con il passato! Una volta si discuteva con Amendola e con Ingrao, adesso tocca polemizzare con estremisti senza nessuna capacità di riformismo”. E’ preoccupato, il presidente dei Ds, e non lo nasconde. Né in privato né, ormai, in pubblico. Spiega Giuseppe Caldarola, che lo conosce bene: “In questa fase, Fassino ha scelto un ruolo di raccordo tra le varie anime del partito, mentre D’Alema è quello che dice: apriamo pure ai movimenti, ma noi riformisti non possiamo più comportarci come se fossimo una minoranza che discute con una maggioranza”. Sa pure, D’Alema, che le trappole più insidiose su questo cammino sono piazzate proprio dentro il partito. Ci sono piccoli e grandi segnali. Per esempio, ieri sulla prima pagina dell’Unità spiccava una vignetta di Staino: “Be’, se continua così dovremo fare un girotondo anche intorno a D’Alema”. E che la voglia del correntone di girotondare il presidente del partito non sia solo una battuta, lo si ritrova anche nelle pagine interne del giornale di Furio Colombo (che D’Alema non ama e dal quale non è amato). L’altro giorno, il suo intervento all’assemblea dei parlamentari diessini è stato rubricato sotto la testatina “Il caso”, come se si trattasse di una qualche curiosa anomalia, e con un titolo fatto apposta per far venire il torcibudella ai compagni che incessantemente girotondano e che l’Unità incensa: “Massimo D’Alema dice: basta parlare di regime”. Nello stesso giorno, pure il Manifesto titolava gongolante: “D’Alema isolato”. Anche se Caldarola garantisce: “Escludo che sia isolato, ha lo stesso consenso avuto a Pesaro, se non maggiore”. Poi ci sono segnali ben più consistenti. Come quello di mercoledì scorso, durante e dopo la riunione del gruppo dei deputati diesse, che in realtà sono state due. Nella prima, D’Alema ha appunto svolto il suo intervento invitando a stare attenti al “linguaggio che si usa”, ad avere “un profilo riformista anche sulle questioni del lavoro” e “una condotta responsabile”. Quelli del correntone non hanno gradito ma hanno taciuto, anzi Giovanna Melandri ha avuto da ridire solo con Fassino, che le ha replicato con un secco “forse non hai capito niente”. Ma finita la riunione – “come fanno spesso”, confida un parlamentare – quelli del correntone si sono trasferiti nell’ufficio di Fabio Mussi, vicepresidente della Camera. Qui il lamento si è fatto generale: Massimo non ci è piaciuto. Giudizio ribadito al direttivo del gruppo, “bisogna prendere le distanze dalle parole di D’Alema”, con la richiesta di una nuova assemblea per ridiscutere della faccenda. “In realtà – spiegano – il tentativo era quello di separare D’Alema da Fassino, che cerca di tenere insieme diavolo e acqua santa, movimenti e riformismo”. Assemblea che poi è stata fatta, ma senza dirigenti di via Nazionale. E che parecchi parlamentari hanno volontariamente disertato. “Non c’era ragione di farla, se non per puntare ancora l’indice su D’Alema – dice uno di questi, Salvatore Buglio – non so se la parola processo è adatta, ma insomma, l’impressione era quella”. Cosa vuol dire “condotta responsabile”? Cosa vuol dire “condotta responsabile”, soprattutto dopo il delitto Biagi, e nel fuoco delle polemiche di questi giorni? Lo spiegano proprio Caldarola e Buglio. Il primo invoca “di fronte alle attuali minacce, un’unità nazionale minima, che non ha niente a che vedere con quella del passato, con ogni ipotesi di governo comune esclusa. Dire di no è una follia totale, di fronte alle Br io e un deputato di FI siamo uguali”. E Buglio è preoccupato per “i falchi che spuntano da ogni parte: quelli della maggioranza che dicono che la colpa è della lotta per l’articolo 18, e quelli dell’opposizione che quasi fanno intendere che a far uccidere Biagi è stato il governo che gli ha negato la scorta; quelli che dicono che governano i fascisti e quelli che attaccano ogni forma di dissenso”. E aggiunge: “Sulla democrazia si deve essere uniti. Sarei orgoglioso di andare in piazza con la mia bandiera insieme a quelle del Polo. E’ un problema di identità di questo paese”. Senza poi nulla concedere agli errori dell’avversario, tanto che ieri lo stesso D’Alema è tornato a battere sul tasto (imbarazzante per l’esecutivo) della mancata protezione a Biagi. Strada comunque difficile, la sua. Perché poi ai compagni, sull’Unità, vengono somministrate paginate massicce del pensiero di Nanni Moretti: “L’antipolitica sono i girotondi o chi ha dato la patente di statista a Berlusconi?”.

"Il Foglio"

Roderigo
26-03-02, 12:25
Prima era un rivoluzionario e mangiava riformisti a mattino e sera, ora è riformista e non tollera che attorno a lui circoli qualcuno che accenni, non dico alla rivoluzione, ma anche solo ad un girotondo. Prima era ex-direttore dell'Unità e si dichiarava vicino a chi non comprendeva il cinismo di D'Alema, ad esempio sui bombardamenti Nato ai danni della ex Jugoslavia, poi è stato fatto deputato in Puglia da D'Alema e ora ne è diventato il portavoce e aspirante guardaspalle (volete fare un girotondo intorno a D'Alema? "Fatelo, ci sarò io a difenderlo"). Giuseppe Caldarola si definisce "persona seria e determinata". Perciò ha detto basta: basta con tanta indipendenza dell'Unità dal partito, basta con gli sfottò di Staino, basta con tanto spazio dato ai sindacati. E "nessuno dice una parola". Ma meno male che c'è Caldarola, con i suoi amici del Foglio e del Velino, diretti da arcinoti e coraggiosi riformisti ex-Pci ed ex-Psi. Così lui, proprio lui, si indigna sulla tradizione tradita: "Dal Pci abbiamo imparato questa scuola di viltà? No e poi no". Ha preso carta e penna e ha scritto al suo capogruppo Luciano Violante. Chiede un'assemblea urgente per mettere sotto accusa e, presumibilmente, per minacciare di togliere i contributi pubblici al giornale fondato da Antonio Gramsci. "Mai mi farò zittire", arriva a scrivere, "da quel Furio Colombo che era portavoce della Fiat che licenziava migliaia di operai negli anni in cui io ero caposervizio sindacale all'Unità e cercavo di far conoscere le raginoi di quegli operai cacciati". E adesso che, come qualche altro ex-direttore dell'Unità, non cerca più di far conoscere le ragioni degli operai cacciati, ma le ragioni della "modernità" e del "riformismo", per le quali è giusto cacciare gli operai, Caldarola minaccia di dimettersi da deputato. Addirittura. Viene la voglia di prenderlo in parola. E di consigliargli di fare, immediatamente dopo le dimissioni, una telefonata a Renzo Foa. Le firme dei riformisti come loro sono molto apprezzate sui giornali della "mera proprietà" di quel gran riformista del Cavalier Banana.

Liberazione 26 marzo 2002