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Visualizza Versione Completa : A cosa serve l'Art. 18 - Il licenziamento di Antonella Barbi



Roderigo
26-03-02, 12:28
Vi racconto il mio licenziamento

MILANO Smantellano l’articolo 18 per avere completa mano libera. Anche se si tratta di farci ingoiare gli scarti del pollo come è accaduto alla «Avicola Monteverde» di Roncato (Brescia), una settantina di addetti. Antonella Barbi, 39 anni, sposata e mamma di due figli ormai grandi di 21 e 19 anni, viene licenziata l’anno scorso per avere disobbedito al datore di lavoro che le ha intimato di reimmettere in commercio una partita di fegati di pollo che lo stesso veterinaio aveva destinato al macero. Sostenuta dalla Cgil di Brescia, Antonella ha impugnato il licenziamento e ora il giudice ha disposto il suo reintegro, ma l’azienda non ne vuol sapere e le offre soldi, tanti soldi.

Antonella, quanti soldi?

«La somma non l’hanno ancora quantificata, comunque si parla di molte mensilità. Io però ho già chiarito che non voglio soldi, ma solo il mio posto di lavoro».

Perché rifiuti tutti quei milioni?

«Perché non ho fatto niente di male, niente di sbagliato, anzi ho fatto solo il mio dovere. Ma a loro dà fastidio una che ha dimostrato che vuole che siano rispettati non solo i suoi diritti e le tutele del sindacato, ma anche la sicurezza alimentare che riguarda tutti i consumatori in generale».

Ma questa è una storia scolvolgente. Se non c’eri tu, qualcuno avrebbe mangiato quelle schifezze. Racconta: come ti hanno licenziata?

«Stavo pulendo dei fegati di pollo, li stavo controllando prima di mandarli nella cella frigorifera. Quando entrano nel frigo, poi non è più possibile distinguere se sono sani o meno. Mentre sono intenta al controllo, arriva il direttore assieme al veterinario il quale, osservando che alcuni fegati sono brutti, mi ordina di gettarli via, e di non metterli insieme agli altri. Ma il giorno dopo il direttore torna e mi dice di portare il tutto nella cella frigorifera, perché tanto il veterinario non c’è, mentre c’è bisogno di tutti i pezzi possibili per far fronte al mercato. Ma io rifiuto, e i fegati li lascio dove si trovano, ossia tra la roba da buttare nella spazzatura. Dopo una decina di minuti rientra il veterinario e gli spiego la faccenda, e lui mi dice: “Ora vado dal titolare a chiarire, lei stia pure tranquilla che non faccio nomi».

E poi?

«Veniamo convocate in ufficio dal titolare, io e la mia collega, e ci riferiscono quanto il veterinario ha dichiarato. Allora io dico al mio datore: “Guardi sono stata io a dirlo al veterinario: che problemi ci sono?”. Ma lui non mi lascia neanche parlare e mi dice: “Allora i problemi te li creo io a te: stasera chiamo tuo marito e gli dico che ti scopi tutti i marocchini dell’azienda”. Io ci sono rimasta di stucco, non sapevo più cosa dire: “Mi scusi, ma qui si parla di lavoro, non di altre cose. E poi perché non mi ha convocata assieme al veterinario?”. Lui mi ha di nuovo insultata e, poiché prima di andarmene anche il direttore ha confermato che il veterinario aveva disposto di eliminare i fegati malati, se l’è presa anche col direttore e mi ha cacciata fuori dall’ufficio. Ho fatto subito intervenire il segretario della Flai Aristide Bertoli, poi mi han dato i cinque giorni e a ruota è arrivata la lettera di licenziamento sostenendo che io volevo fare la paladina della salute pubblica, cosa che non mi competeva perché io ero solo un’operaia addetta ai fegatini».

Ma allora in quell’azienda il rigore dei controlli sanitari dipende dalla buona volontà dei singoli addetti?

«Sì, innanzitutto dalla coscienza dei singoli. Perché se il veterinario mi dice di fare così, e il padrone mi dice di fare cosà, sono io che poi devo decidere: se mi interessa fare tanti straordinari, allora il veterinario è meglio lasciarlo perdere. Il veterinario controlla tutte la fasi della macellazione, ma non si può prentendere che sia sempre sul posto».

Come l’hanno presa tuo marito e i figli?

«Mio marito Giuliano al primo momento era perplesso, quasi non credeva. Mi hanno molto aiutata, lui e i miei figli m dicevano: mamma tieni duro”»

Come hanno reagito i colleghi al tuo licenziamento?

«Mi hanno manifestato solidarietà, ma per strada, fuori dall’azienda».

Perché solo fuori?

«Perché hanno paura».


l'Unità 19 marzo 2002