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tziku
26-03-02, 14:03
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Manlio Brigaglia

Anonimi Dorgali, 15 aprile 1897, mattina. Alla porta del municipio c'è affisso un manifesto. Dice: «Guardate, paese di Dorgali: nessuno voglio di andare a servire a possessioni del signor Dore Antonio, nessuno voglio di portare bestiame alla sua pastura per niente! Guai al servo che entra in casa di Dore! Ascoltate queste parole che vi voglio bene". E sotto:" Mi firmo il delegato speciale di campagna". Il delegato speciale di campagna è Vincenzo Fancello detto Berrina, che sta alla campagna da alcuni anni. E' uno dei più famosi banditi del Novantanove, uno di quelli contro i quali il governo Pelloux dovette mandare la fanteria. Berrina era un bandito, ma si firmava. Nell'Ottocento, in quella che gli antropologi venuti dal mare chiamavano "la zona delinquente", i delinquenti si firmavano col nome e il cognome. Altrettanto facevano i banditi corsi: Bartolu Tramoni, che verso il 1850 da Sartene scappò in Gallura dove fece figli e famiglia, affiggeva alla porta delle chiese le sue lunghe arringhe difensive o i temibili ukase contro i suoi nemici. O gran bontà dei cavalieri antiqui! Cavalieri, si fa per dire. Solo Sebastiano Satta ebbe il coraggio di dirli "belli, feroci, prodi"; belli non erano per niente (possediamo le fotografie), prodi se gli capitava, feroci anzi ferocissimi sempre. Eric J. Hobsbawm, uno dei più grandi storici contemporanei, li ha chiamati "banditi sociali", come fossero una specie di Robin Hood. Invece, è stato detto, erano come quel personaggio dei fumetti che si chiama Ruba Hood, uno che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Tutto quello che volete: però, si firmavano. Le lettere anonime che piovono da qualche anno sui tavoli dei sindaci, degli assessori, dei consiglieri, dei responsabili degli uffici tecnici, appartengono a una fase nuova del costume sardo. O, se si vuole, è la variante epistolare dell'agguato dietro il muretto, che è stato un must della tradizione sarda fin dal momento in cui si cominciarono a costruire i muretti della tancas.
Ha fatto bene il sindaco di Gairo a organizzare questa inedita mostra delle lettere anonime che ha ricevuto negli ultimi tempi. Una collezione che farebbe anche gola ad un sociologo che volesse andare a misurare il rapporto fra alfabetizzazione e civilizzazione nella Sardegna interna. Ma accanto alle lettere anonime con tutti i loro mille errori di ortografia c'è anche una accorata rassegna di tutti gli errori di cultura che sono stati fatti sul paesaggio e sul territorio comunale. Lettere e abusi vanno di pari passo: l'antica idea è che la terra o è roba de guvernu (e se ne può fare quello che si vuole) o è cosa mia e me la gestisco io. La legge deve starne al di fuori, così come deve starne al di fuori il cosiddetto interesse generale: nell'egoismo paleolitico di molti sardi quello che è interesse non può essere generale. S'interessu, in sardo, vuol dire il profitto: il dizionario rispecchia il sugo protocapitalista della visione della società. Un mio amico che è stato in un ente regionale di controllo racconta sempre di una lettera anonima contro non so quale comandante dei vigili urbani che gli arrivò sul tavolo. Finiva dicendo: "Capirà perché, data la situazione, non posso firmarmi". La lettera gli fu portata insieme alla busta gialla che la conteneva. E sul retro della busta, in bella calligrafia, c'era scritto: "Mittente vigile Tal dei Tali", con tanto di nome e cognome. Quando anche in tanti altri paesi della Sardegna avranno questo rispetto della legge, vorrà dire che siamo diventati più civili.

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