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Visualizza Versione Completa : Il modello tedesco? «Prima ci vogliono le 35 ore e salari più alti»



Roderigo
27-03-02, 17:19
Roberto Farneti

Zipponi (Fiom Lombardia) risponde a Ichino: «Strumentale indicare la Germania come esempio sui licenziamenti»
«Citare come esempio la Germania solo per i casi in cui fa comodo è una operazione strumentale. L'articolo 18 non solo non deve essere modificato, ma va esteso anche alle piccole imprese». Maurizio Zipponi, segretario della Fiom Cgil della Lombardia, boccia senza appello la proposta "ragionevole" lanciata lunedì scorso da Pietro Ichino sul Corriere della Sera di utilizzare il modello tedesco per riscrivere l'attuale disciplina sui licenziamenti ingiusti usando una formula che trovi il consenso anche dei sindacati, permettendo così di evitare lo scontro sociale.
«Si tratterebbe di introdurre anche da noi - propone Ichino - una norma che attribuisca al giudice del lavoro di decidere discrezionalmente, secondo buonsenso (...) se disporre la reintegrazione del lavoratore o limitarsi a condannare l'impresa a un risarcimento adeguato. Si tratterebbe inoltre - prosegue l'esperto di diritto del lavoro - di regolare i criteri di risarcimento: in Germania la legge fissa un limite massimo di 18 mensilità di retribuzione; da noi potrebbe essere negoziato un limite massimo doppio rispetto a quello tedesco». D'altra parte, osserva Ichino «nessuno può ragionevolmente rifiutare di discutere una riforma ispirata al modello tedesco, uno dei più protettivi al mondo».

La trappola è tesa ma Zipponi non ci casca. La questione, replica il sindacalista, è ben più complessa di come viene posta nell'articolo del Corriere.


Cosa c'è che non va nella proposta di Ichino?

Parto dal presupposto che ogni sistema è composto da leggi, contratti, salari e diritti. E che ognuna di queste voci funziona da peso e contrappeso. Indicare solo una di esse come esempio da seguire, isolata dalle altre, appare una operazione strumentale. Se volessi usare lo stesso approccio di Ichino, allora potrei ricordargli che un operaio tedesco, pari al quarto livello nostro e che lavora in una grande azienda, percepisce un salario di 4 milioni di lire al mese, con un costo della vita superiore del 20% rispetto a quello italiano. Inoltre in Germania ci sono le 35 ore e i lavoratori hanno una serie di ammortizzatori sociali che noi non abbiamo. La verità è che in Italia abbiamo un altro sistema.


Eppure gli industriali insistono: l'articolo 18 va cambiato per il bene dell'economia. E il governo esegue...

E' possibile rendere più competitiva l'impresa italiana nella globalizzazione facendo l'opposto di quello che vogliono fare governo e Confindustria. Vale a dire, investendo sul lavoro. Se un dipendente è ben pagato e rispettato nei suoi diritti, partecipa con maggior consenso all'andamento dell'impresa. Quindi l'articolo 18 non solo non va modificato ma deve essere esteso e adattato anche alle aziende con meno di 15 addetti. In Italia, dopo vent'anni di mortificazioni del mondo del lavoro dipendente, c'è la necessità di un cambio di rotta che restituisca valore al lavoro. Si deve fare in modo che venga riconosciuto il contributo che i lavoratori danno alla produzione di ricchezza.


A proposito. Proprio in questi giorni il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, Ig Metal, ha dato il via agli scioperi indetti per ottenere aumenti delle retribuzioni del 6.5%. Nonostante ciò, la Germania resta uno dei paesi più competitivi al mondo
Quanto sta avvenendo dimostra che, laddove la forza lavoro ha più diritti e più salario, l'impresa si trova costretta a collocarsi in mercati e prodotti che hanno margini ampi di profitto tali da reggere il sistema. Parliamo di modelli industriali che connettono ricerca, progettazione, ingegnerizzazione e produzione. Agendo sulla riduzione del costo del lavoro e dei diritti, l'Italia colloca invece la sua competizione di sistema solo nell'ultimo anello della catena, condannando sé stessa a misurare la propria capacità competitiva con quella dei paesi in via di sviluppo. La battaglia che prima la Fiom, sul contratto integrativo dei metalmeccanici, e poi la Cgil stanno conducendo non è perciò solo in difesa dell'articolo 18, del sistema previdenziale, sanitario e scolastico pubblico. La nostra lotta è in difesa anche del sistema industriale e produttivo del paese.

Liberazione 27 marzo 2002
http://www.liberazione.it