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Tomás de Torquemada
28-03-02, 00:14
Dal sito http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/

IL CASO CESARI
Libertà di parola non solo di fischio
di Sandro Picchi

l caso dell'arbitro Cesari , deferito alle competenti autorità calcistiche per aver rilasciato due interviste televisive (par condicio: Rai e Mediaset) dopo Inter-Roma, ripropone il dibattito sul diritto alla parola degli arbitri. Per regolamento, gli arbitri debbono chiedere il permesso al presidente dell'Aia prima di rilasciare dichiarazioni. Cesari, invece, ha parlato di sua iniziativa, ha scambiato battute con Capello e con l'attore Amendola e - in un momento in cui l'autostima è apparsa almeno pari all'abbronzatura del personaggio - ha addirittura proposto un monumento a se stesso per aver diretto la delicatissima sfida lasciando alla polemica soltanto uno spunto: le ammonizioni di Cafù e di Totti.

Vedere un arbitro parlare in tv dopo una partita ha sconvolto a tal punto i meccanismi calcistici da autorizzare l'ipotesi che Cesari, alla sua ultima stagione (salvo deroghe in campo nazionale), avesse chiuso la carriera in anticipo. Troppo «scandalosa» la sua libera iniziativa. Ipotesi ridimensionata ieri dal designatore Bergamo («per noi può arbitrare anche sabato»), ma che non sposta i termini del problema. Arbitri muti o arbitri parlanti?

Da una parte è paradossale che al giorno d'oggi (nell'era mediatica, come giustamente la si definisce) ci sia una categoria di persone alla quale è impedito di esprimersi. Tanto più se queste persone - gli arbitri - fanno parte di un mondo nel quale tutti parlano, tutti dicono la loro, tutti si pronunciano. E tutti, per di più, discutono sugli arbitri.

Dall'altra parte è perfino comprensibile la prudenza che ispira la regola del silenzio dopo la partita. Gli avvenimenti sono ancora troppo caldi e una riflessione silenziosa può essere più utile di una dichiarazione avventata. E inoltre, l'arbitro rischia anche di rivelare in anticipo, rispetto al rapporto che invierà al giudice sportivo, le motivazioni di certe sue decisioni.

Ma la parola agli arbitri in qualche modo va concessa. Cesari ha dato voce all'insofferenza della categoria, costretta a un silenzio da clausura che è anche un limite imposto alla personalità del direttore di gara, in qualche caso anche alla sua vocazione a diventare personaggio, probabilmente anche alla sua vanità. Può darsi che, alla fine della carriera, abbia approfittato della grande occasione per rompere il patto, per violare gli accordi e per provocare effetti che potrebbero tradursi in un'apertura per tutti. L'epoca in cui viviamo vorrebbe che il divieto cadesse. Il calcio in cui viviamo indurrebbe a conclusioni più prudenti. Che almeno si trovi una via di mezzo.