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Patrizio (POL)
30-03-02, 00:10
Cinquant'anni fa René Guénon lasciava all'Occidente l’eredità di un’opera incomparabile

André Bachelet

Tratto da Il y a cinquante ans, René Guénon,
Éditions Traditionnelles

Traduzione di Pietro Nutrizio

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Or sono cinquant’anni... ormai, saremmo tentati di dire, moriva al Cairo colui che con la sua opera doveva sconvolgere la vita di quegli Occidentali che sono alla ricerca di se stessi. Per un lettore giovane questo vuol dire una lunga metà di secolo; a noi, invece, la data del 7 gennaio 1951 sembra tanto vicina da sfuggire, se così si può dire, alla successione temporale.

Per le individualità che gli erano più vicine, e per coloro che ebbero l’opportunità –e in certo qual modo la fortuna– di uno scambio epistolare con lui, la scomparsa repentina di R. Guénon costituì un trauma; e questo perché l’improvvisa interruzione di una tale corrispondenza, insieme con l’interruzione dell’opera, segnava la fine di legami privilegiati con un Maestro di dottrina quale l’Occidente da secoli non aveva più conosciuto e che probabilmente conosciuto non avrebbe mai più. In certo qual modo era anche il termine di un periodo fecondo sotto più di un aspetto– nonostante le ombre che già andavano profilandosi–, periodo che aveva visto nascere tali speranze che erano legate a diverse iniziative di spirito tradizionale. Grazie alla mediazione incomparabile che fu quella di René Guénon (la sua opera, insieme ad altri indizi, fa sì che si possa riconoscere in lui uno degli eminenti interpreti dell’Unico e di conseguenza un interprete della Tradizione primordiale), era stato riallacciato per l’Occidente il legame con un’influenza centrale in quest’epoca prossima alla fine del ciclo, fine che tocca la presente umanità nel suo insieme, ma che non sarà, adottando un’espressione che fu sua, se non la «fine di un mondo».

A questo temibile «accadimento» accenniamo in quanto esso occupa una posizione importante e significativa nell’opera di Guénon; possiamo dire, addirittura, che esso ne giustifichi e legittimi la ragion d’essere. Per accertarsi di ciò sarà sufficiente che si consultino i suoi primi testi e i suoi primi libri, fino ad arrivare al Regno della quantità e i Segni dei Tempi. Tale costante preoccupazione condiziona molti dei temi fondamentali da lui trattati, e in fondo la sua intera opera (1), senza tuttavia che occorra attribuire questa preoccupazione a qualche considerazione di tipo individuale; René Guénon era forse afflitto da preoccupazioni individuali? L’attenzione rivolta alla fine dell’«età oscura» discendeva soltanto dalla coscienza «del senso profondo [delle] leggi cicliche» (2) rapportata al destino della presente umanità (legato, quest’ultimo, alla deviazione moderna) e alla componente conservatrice– «noachita» potremmo dire con espressione massonica– che renderà possibile la costituzione dell’«Arca» come ricettacolo volto a ospitare i «germi del ciclo futuro», germi che solo un’élite sarà in grado di salvare (3).
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La comparsa dell’opera di Guénon alla soglia di questa fine di ciclo non manca di avere un suo significato profondo; le implicazioni di questo significato incominciano ad apparire oggi, a cinquant’anni dalla morte del suo autore, e il precipitare degli avvenimenti ha, fra gli altri effetti, quello di influire negativamente su tali persone i cui animi sono agitati– e talvolta squilibrati– dal presentimento di una certa «imminenza dell’ora». In conseguenza di tutto ciò siamo oggi indotti a riproporci certe domande: l’opera di Guénon è stata assimilata come il suo contenuto esigerebbe, e, se sì, le sue conseguenze ne sono state realmente dedotte? Cosa accade, dopo cinquant’anni, della magistrale esposizione da lui lasciata in eredità a un mondo che va occidentalizzandosi sempre più? Non si dovrebbe (non dovremmo noi) esercitare, ora più che mai– secondo le sue indicazioni e le sue ammonizioni–, la vigilanza più estrema, e operare per la realizzazione di quel che quest’opera implica?

Con riferimento a tutte queste domande ci pare prima di ogni altra cosa opportuno mettere in rilievo che lo spirito secondo cui tale opera è stata scritta è profondamente distinto da quello in cui sono state scritte tutte quelle alle quali essa viene associata o comparata, molto spesso indebitamente. Sotto questo profilo è necessario insistere sul punto di vista dal quale R. Guénon si pone, punto di vista che lo porterà necessariamente, nel primo periodo della sua opera pubblica, a denunciare radicalmente tutto ciò che costituisce il fondamento della società occidentale moderna (e i suoi prolungamenti inquietanti, sui quali tornerà verso la fine della vita, in modo più direttamente dottrinale e più rilevato, nel libro Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, apparso nel 1945), quella società che egli diceva essere una vera e propria anomalia e financo una mostruosità a motivo dell’essersi secata completamente, nel suo funzionamento e nella sua «evoluzione», da ogni principio tradizionale.

In particolare, è il caso di ricordare qui in quali termini egli «qualificava» l’origine di tale sovversione, che faceva risalire senza ambagi al «Principe di questo mondo»: «[...] lo spirito moderno [...] è veramente "diabolico" in tutti i sensi della parola [...]» (La crisi del mondo moderno, 1956, pag. 132, ed. francese); è una «formidabile impresa di suggestione [...] quella che ha "fabbricato" la mentalità moderna» (Il Regno della Quantità, pag. 89, ed. it.). Questa «condanna» senza appello non manca di irritare, o addirittura di scandalizzare, coloro che conservano ancora dei legami «culturali» o sentimentali con le cose che costituiscono la nostra «civiltà progressistica» ; ma, per gran fortuna, alcuni dei suoi lettori hanno visto in quest’opera e nel suo tremendo «giudizio» qualcosa di diverso da una vana critica generata da un’elaborazione filosofica (nel senso moderno del termine), o da una semplice prospettiva teorica.

È di tutta evidenza a questi ultimi che Guénon si rivolgeva principalmente, allo scopo di rimediare a quell’abbandono dell’essenziale che caratterizza l’Occidente da numerosi secoli, e più precisamente dall’inizio dei tempi moderni (4), attraverso il rifiuto d’ogni autorità sovraindividuale e delle applicazioni che necessariamente ne discendono nella sfera temporale. Tali lettori, i quali cercano di impossessarsi in modo corretto dell’orientamento dell’opera, ossia di assimilare il punto di vista che la contraddistingue, e che ricolloca la contingenza– così d’altronde come ogni cosa– nel posto che le compete legittimamente all’interno dell’ordinamento dell’intera manifestazione, devono dar prova della maggior vigilanza sotto pena di essere condotti a una comprensione riduttiva e financo gravemente errata. È questa la ragione per la quale, tenendo conto degli equivoci e dei malintesi diversi che persistono, è opportuno che si insista sulla vera natura della prospettiva invariabilmente adottata da Guénon a partire dai suoi primi scritti: l’intera sua opera ne è il riflesso fedele e l’espressione più esatta che possa esserne data, nella misura permessa dal comune linguaggio.

Di conseguenza, in virtù del fondamento metafisico e dello sviluppo delle applicazioni particolari che da esso discendono in modo diretto (si tratta di «prospettive sintetiche, conseguenti ai princìpi»)– in particolar modo per quel che riguarda talune «scienze tradizionali»–, nell’opera di Guénon troviamo esposta la sintesi di una conoscenza di origine primordiale che ci riguarda in primo luogo, e senza la quale non potrebbe verificarsi alcuna «presa di coscienza», da parte dell’essere, del passaggio –necessario– di là dalla dualità.

Sarà senza dubbio indicativo esaminare il modo in cui tale opera è stata recepita negli ambienti ai quali essa era più in particolare destinata (5), così come indicativo sarà l’esaminare in qual modo abbiano reagito le individualità «isolate», alle quali Guénon attribuiva il più grande interesse.

In effetti, quel che procede dal punto di vista universale esposto da Guénon è spesso oggetto di un’interpretazione errata; fra le pietre d’inciampo, la più diffusa e pregiudizievole verte sulla confusione tra exoterismo ed esoterismo. Simile confusione porta frequentemente, e ciò principalmente in ambienti cristiani, a un’inversione dei rapporti gerarchici che ordinano le due sfere, e, conseguentemente, a una subordinazione dell’esoterismo da parte dell’exoterismo, o, più genericamente, alla denaturazione dell’esoterismo. Ciò non va senza generare una situazione nociva per l’insieme di coloro che, dopo essere stati toccati dal contenuto dell’opera, adottano poi– involontariamente– un accostamento che ritengono essere esoterico; mentre è invece caratterizzato dall’applicazione di concezioni di tipo puramente religioso (6). Ne originano allora esiti incresciosi, che portano a circoscrivere la finalità dell’opera esclusivamente al campo specifico dell’exoterismo, e– conseguenza ineluttabile– a una prospettiva unicamente teorica; simile contraffazione della sua vera portata intacca gravemente l’approccio iniziatico– per coloro che adottano una via di questo tipo– in tutte le sue applicazioni intellettuali e «operative», vale a dire principalmente (ma non solo) rituali.

Di fatto, la prospettiva universale, in quanto espressione la più diretta dei princìpi metafisici, costituisce e traduce la vera intellettualità, la quale altro non è che la pura spiritualità svincolata da qualsiasi limitazione. È questa la ragione per la quale, quando la sua vera natura non sia riconosciuta e la sua integralità non sia assunta, ne discende «una certa confusione tra il punto di vista iniziatico e il punto di vista religioso; [in effetti] quest’ultimo non può sostituire il primo o essergli equivalente, giacché né l’àmbito né il fine sono gli stessi» (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, tome I, pag. 268).

Inoltre, non potranno mai essere denunciati in modo eccessivo l’illegittimità e l’inganno d’ogni accostamento teorico quando esso pretenda di essere applicabile, come fine a se stesso, alla vera impostazione esoterica, cioè iniziatica (7). Di conseguenza l’opera di Guénon non può– in nessun caso– venire assimilata a un discorso teorico che sia sufficiente a se stesso. D’altra parte, a tal proposito, non diceva l’autore: «In ogni dottrina che sia metafisicamente completa, come lo sono le dottrine orientali, la teoria è sempre accompagnata o seguita da una realizzazione effettiva, della quale essa non è che la base necessaria; [...] l’intera teoria è ordinata in vista della realizzazione, come il mezzo in vista del fine [...]»? (Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Adelphi Ed., 1989, pag. 121).
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Secondo ogni evidenza il posto occupato dalla Massoneria nell’opera di Guénon è considerevole. Senonché, a motivo di una situazione più favorevole per certe possibilità, sarà soltanto alla fine della vita che l’autore redigerà quella singolare opera che è La Grande Triade (avvenimento significativo: un anno più tardi, sotto questa dizione veniva creata, all’interno della «Grande Loge de France», una Loggia costituita da Massoni desiderosi di «lavorare» in modo tradizionale). Prima di ciò, la maggior parte dei suoi scritti sull’iniziazione in senso proprio avevano costituito l’argomento di articoli pubblicati nella rivista «Le Voile d’Isis», poi diventata «Études Traditionnelles». Tali testi, i quali esaminano l’iniziazione sotto un profilo piuttosto generale, erano rivolti agli Occidentali di spirito tradizionale, e più particolarmente ai Massoni. Fu soltanto qualche anno prima di morire che l’autore riunì taluni di questi articoli nel volume Aperçus sur l’Initiation. Tutti gli altri libri che trattano di tale argomento sono postumi e costituiti unicamente da articoli e recensioni di libri e riviste, queste ultime di grande interesse, non soltanto documentario (8).

L’interesse privilegiato di Guénon per la Massoneria era in primo luogo dovuto al fatto che essa era ai suoi occhi la sola organizzazione occidentale autenticamente iniziatica che persistesse in Occidente (9) e veicolasse un’influenza spirituale from time immemorial; egli precisava però che non si può –nella maggioranza dei casi– sperare da essa più di un’iniziazione virtuale, ciò che era inestimabile e maggiormente lo è oggi. D’altra parte, tale situazione non ha mai –a nostra conoscenza– impedito un sol momento a Guénon di interessarsi alla Massoneria, giacché egli considererà quest’ultima, e tale continuerà a ritenerla fino alla fine, quale il solo supporto possibile di carattere iniziatico occidentale, in grado, beneficiando di un aiuto dell’Oriente (10), di procedere a un eventuale raddrizzamento della civiltà occidentale. Tale raddrizzamento è oggi assai compromesso –non lo era già durante la sua vita?– a motivo dell’aggravarsi generalizzato della situazione, e della defezione, a meno di poche eccezioni, degli Occidentali che avrebbero potuto costituirne gli agenti attivi (11).

È certo che rimarrebbe da fare un esame secondo uno spirito tradizionale, ma non è forse inutile mettere in rilievo fin d’ora alcuni punti capaci di illustrare in qualche modo la situazione. Resta vero che dopo la scomparsa di Guénon il suo uditorio si è accresciuto in modo significativo e che la «cospirazione del silenzio» concernente la sua opera, che ha coinvolto le generazioni precedenti, è ora non più che un ricordo.

La Massoneria «d’obbedienza» –è questo un fatto– non ha riconosciuto in Guénon colui che «l’ha rivelata a se stessa», secondo l’espressione di Denys Roman. Di fatto, se certi Massoni hanno rivolto attenzione –a gradi diversissimi– alla sua opera, le obbedienze, in particolare quelle che hanno qualche pretesa allo spiritualismo e che quindi dovrebbero essere le prime a sentirsi coinvolte, non le hanno accordato l’interesse che merita. Ed è ovvio che dobbiamo anche considerare secondo il loro giusto valore i suoi «avversari» più o meno determinati, i quali hanno sempre vanamente cozzato contro la sua permanente attualità, alla quale non sono mai stati in grado di opporre se non derisorie pretese.

Non esistono dubbi sul fatto che ciò che Guénon poteva attendersi «di ritorno» dagli Occidentali, quanto all’essenziale ha fatto difetto (riserviamo però almeno il caso di qualche notevole eccezione). Questi sono i motivi per cui, oggi, guardando a una situazione che è sotto gli occhi di tutti, qualsiasi possibilità di un raddrizzamento generale sembra –a vista umana– ormai esclusa. Quella che è solo più possibile è una restaurazione della mentalità di ciascuno, a condizione di «lavorare» –e questo in particolare per coloro che seguano la via dell’Arte Regale– in una prospettiva dottrinale e rituale tradizionale rigorosa. A tal proposito D. Roman scriveva nel 1972 (perciò un bel po’ di anni dopo la scomparsa di R. Guénon), parlando dell’eventuale ristabilimento dello spirito tradizionale in Occidente, che: «Il Maestro [René Guénon] vedeva nello studio dei simboli il mezzo per operare "la riforma della mentalità moderna" (12). Una riforma simile non è più concepibile [...]», ma subito aggiungeva: «[...] ma il simbolismo nulla ha perduto delle sue virtù di riforma della mentalità di ognuno di noi». Il risanamento che Guénon si augurava –vale a dire una restaurazione dello spirito tradizionale con le conseguenze che ne deriverebbero in tutti i campi– doveva operarsi secondo modalità che sono esposte, in particolare, in Oriente e Occidente e nella Crisi del Mondo moderno, anche se alcune di esse sembrano non poter più venir messe in opera nell’attuale stato di cose (13). Mettiamo in evidenza che l’organizzazione tradizionale da lui considerata agli inizi come tale da fornire un supporto per l’impegno di qualche individualità, in prospettiva di una possibile restaurazione intellettuale, era la Chiesa cattolica, la sola in Occidente che avesse conservato una dottrina exoterica completa, passibile di fornire una base adeguata. Tale ipotesi, per quanto non sia il caso di chiamarla progetto, non sarà seguita da esito positivo di fronte all’incomprensione, e financo l’ostilità, di taluni rappresentanti di Roma e in generale dei cattolici. D’altra parte, fra coloro di questi ultimi che per un certo tempo avevano aderito a una via iniziatica in seguito allo studio dell’opera di René Guénon, numerosi ve ne furono che ripiegarono su una visione exoterica esclusiva, abbandonando in tal modo qualsiasi punto di vista universale (14).

Guénon dirigerà di conseguenza il proprio interesse verso una Massoneria di cui sapeva meglio di chiunque altro che la degradazione speculativa non poteva impedire ai suoi membri «qualificati» di trar partito delle possibilità e delle virtualità «senza numero» che essa include a onta degli assalti ripetuti della mentalità moderna al suo interno, e financo di attualizzarle. Nel 1935, nel corso di una recensione (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Ed. Traditionnelles, 1964, pag. 254), costantemente attento all’evoluzione «alla rovescia» dell’Occidente, e in conseguenza dell’eco limitata che la sua opera pareva aver suscitato fino allora negli ambienti e nelle individualità ai quali era indirizzata, Guénon affermava: «Il vero rimedio al processo di degradazione della Massoneria e senza dubbio il solo, sarebbe ..., supponendo che la cosa sia ancora possibile, quello di cambiare la mentalità dei Massoni o quanto meno di quelli fra di loro che sono ancora capaci di capire la loro propria iniziazione, ma ai quali –occorre dirlo– finora non ne è stata data occasione; il loro numero, d’altronde, importerebbe poco ...». Oggi che l’opera di Guénon è accessibile nella sua totalità, quali sono i Massoni che possano pretendere senza imbarazzo che l’occasione di capire la loro iniziazione non gli è stata data?

Con riferimento a questo argomento, tenendo conto soltanto di certi «abbandoni» rituali o d’altro genere, alcuni autori che si danno, a torto, come rappresentanti dello spirito tradizionale, e che vengono proposti –o si propongono essi stessi– quali «specialisti» di Massoneria, sono giunti a concludere, attraverso l’artificio di una metodologia di tipo profano –metodologia «analitica e frammentaria»– che la Massoneria è affetta da una totale assenza di «metodo». Questo modo di vedere, che de facto concorda con il modo di vedere di coloro che manifestano la loro ostilità per tutto ciò che permane di esoterismo occidentale vero, li porta altresì, inevitabilmente, ad «avanzare dubbi» sull’esistenza vera e propria di una dottrina all’interno dell’Ordine; in conseguenza di ciò, la Massoneria si ritroverebbe ridotta nelle condizioni di una «società» totalmente sprovveduta dei mezzi che permetterebbero di attualizzare l’iniziazione virtuale ricevuta dai suoi membri. Simile opinione non è accettabile, e invece di concludere in modo così affrettato, occorrerebbe piuttosto esaminare la questione in modo più attento e rispettoso del suo oggetto (15). E, d’altra parte, non ha Guénon risposto in anticipo a tali obiezioni con l’aspetto massonico della sua opera?

Il fondamento artigianale della Massoneria merita più attenzione di quanta non gliene venga generalmente accordata. In effetti, il Mestiere, per essere in certo qual modo di natura «neutra», è con ciò non legato a una tradizione particolare; questo lo fa indipendente da ogni via specifica e di conseguenza gli assicura un carattere di universalità che nello stesso tempo gli conferisce possibilità «operative» estremamente opportune con rapporto alle condizioni cicliche del nostro tempo (16). L’interesse che Guénon accordò a tale stato di fatto, probabilmente unico, si accompagnava al vero e proprio riconoscimento della costituzione eccezionale della Massoneria nel mondo occidentale, costituzione che fa di essa un’Arca che ha goduto nel corso dei secoli, e ciò –cosa notabile– persino arrivando al suo periodo speculativo, di depositi molteplici in provenienza da organizzazioni iniziatiche in procinto di scomparire, le quali l’hanno «eletta» allo scopo di permettere, di tali depositi, la conservazione sotto forma di sintesi simbolica (17). Tali depositi iniziatici sono veri e propri «germi» condensati in questo luogo al fine di integrarsi allo sviluppo del ciclo futuro (18). Essi costituiscono un «arricchimento» della Massoneria del quale non viene sufficientemente misurata l’entità e rappresenta l’equivalente di una «trasformazione». È questo il motivo per il quale la Massoneria non dev’essere più considerata come un’organizzazione puramente e semplicemente artigianale, quantunque la sua base costituita dal mestiere di costruttore sia rimasta per la sua gran parte invariata. Di conseguenza gli apporti cavallereschi e «sacerdotali» impongono una presa di coscienza e una cognizione diversa in quanto costituenti delle virtualità che non dovrebbero lasciare indifferenti i Massoni che siano membri di «alti gradi» o gradi addizionali qualsivogliano.
A tal proposito noi pensiamo –tra altre cose– all’«Idea» del Sacro Impero, vero e proprio coronamento del Rito Scozzese, e all’«apertura» sui grandi misteri che l’Arco Reale comporta, il quale è complemento «sacerdotale» della Maestranza, una delle cui particolarità più «velate» corrisponde a quello che Guénon denominava il «travestimento popolare»; e ciò in rapporto con l’intrapresa iniziatica, la quale deve integrare talune considerazioni escatologiche della maggiore importanza. I lettori che fossero interessati potranno riferirsi principalmente al primo libro di D. Roman, che è più specificamente orientato su questo tema (19), e nel quale, in particolare, l’autore si esprime in questi termini: «Secondo lui [R. Guénon], la Massoneria "aveva ricevuto, e ciò a partire dal medioevo, l’eredità di numerose organizzazioni anteriori", nel cui numero sono da comprendere il Pitagorismo e l’Ordine del Tempio, scuole iniziatiche fra tutte illustri. La Massoneria, inoltre, è la sola fraternità che sia stata favorita da simili eredità, e ciò sembra indicare in modo certo che ad essa sia riservato un destino molto particolare, un destino realmente "provvidenziale", destino simboleggiato nella promessa fatta a Giovanni di "durare" fino al ritorno di Cristo. Guénon assicura che "ci sarebbe certamente molto da dire su questa funzione ‘conservatrice’ della Massoneria, e sulla possibilità che essa le dà di supplire in una certa misura all’assenza di iniziazioni di un altro ordine nel mondo occidentale attuale"» (20).

Il lettore occidentale tende spesso a trascurare una delle caratteristiche dell’opera di R. Guénon che è ricollegata alla sua «operatività» intrinseca: al di là del rifiuto del mondo moderno, il quale rappresenta la componente «critica» di tale opera (essa corrisponde a quanto l’alchimia –una delle tre scienze dell’ermetismo– designa come fase di «separazione», che altro non è se non una «purificazione»), tale caratteristica è costituita da ciò che emana dall’«ispirazione» che presiedette alla sua elaborazione, e che costituisce le virtualità «senza numero» da essa veicolate; denominare queste virtualità quali «germi» è indubbiamente l’espressione più giusta che si adatti alla loro natura. Senonché sotto questo riguardo, riteniamo che sarebbe presunzione investigare sull’opera in modo qualsivoglia, poiché il campo in cui tali virtualità sono situate non partecipa più del razionale e dell’individuale. Ci permetteremo al massimo di dire che l’«edificio» rappresentato da quest’opera presenta tutte le caratteristiche di un’Arca e costituisce il «testamento» spirituale più puro e più ricco che sia stato ricevuto in eredità dall’Occidente. Questo presupporrebbe, nei suoi lettori –in particolare se essi siano Massoni– la coscienza della prodigiosa opportunità da esso offerta per una rivivificazione di alcuni dei depositi di cui tali lettori possono aver avuto la responsabilità. E ciò perché «La Massoneria non avrà mai più un "Visitatore" come René Guénon, che le fornisca, secondo la formula rituale, "l’apporto delle sue luci"» (D. Roman, «Etudes Traditionnelles», n° 396-397, luglio-ottobre 1966, pag. 190).

René Guénon, prevedendo le conseguenze d’ogni tipo della «discesa» ciclica –alcune delle quali diventano oggi un po’ più visibili, mentre altre si stanno manifestando apertamente–, ha formulato, principalmente nei confronti degli Occidentali, avvertimenti solenni. Ciascuno è libero di ignorarli. Per quel che ci riguarda, poiché noi siamo «assenzienti» a quanto egli espone, crediamo che tocchi ai Massoni, prima d’ogni altra cosa, adottare per se stessi l’iniziativa– sempre necessaria– di rettificarsi (21) e di «restaurarsi», iniziativa che può d’altronde riguardare altresì le individualità che siano alla ricerca di un’iniziazione.

R. Guénon aveva la certezza della perpetuità dell’Ordine massonico. Questa perpetuità era stata confermata da Cristo al discepolo «che amava», quando, facendo seguito alla «domanda» di Pietro, Egli aveva dovuto distinguere le attribuzioni rispettive di Pietro, Principe degli Apostoli, e di Giovanni, «Figlio della Vergine» e «Figlio del Tuono», in prospettiva della formazione del Cristianesimo. E la Sua Parola può essere legittimamente riferita, per analogia, all’esistenza «terrestre» della Chiesa e al periodo di oscuramento pressoché totale che la presente umanità conoscerà in questa estrema «fine dei tempi».
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Nella «Conclusione» dell’Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, René Guénon, che affrontava con tale libro l’inizio della sua opera pubblica (tale libro era, come tutti sanno, il primo di una lunga serie di lavori che avrebbe dedicato all’Occidente), terminava il suo dire in un modo che fa intravedere la lucidità con la quale egli si rendeva conto delle difficoltà di comprensione che le sue esposizioni avrebbero presentato per il lettore occidentale: «[...] Se alcuni Occidentali potessero, attraverso la lettura di quanto siamo andati esponendo, prendere coscienza di ciò che fa loro difetto intellettualmente, se potessero, non diremo capirlo, ma solo intravederlo e presentirlo, questo lavoro non sarebbe stato fatto invano». Giacché l’opera di Guénon ha, fra gli altri obiettivi, quello di risvegliare l’essere che è «in attesa», e che, a difetto di un simile incontro e, oggi, nella maggioranza dei casi, sarebbe votato a disperdersi. Quest’opera ha, come dicevamo all’inizio di queste poche riflessioni, suscitato numerose vocazioni religiose e numerose iniziative personali di carattere iniziatico, là, per lo meno, dove persistono ancora, in Occidente, possibilità d’ordine tradizionale. Non fa dubbio che la sua portata vada al di là di ogni opera umana; per questo essa gode del privilegio della perpetuità e dell’universalità.

In occasione del cinquantenario della scomparsa di R. Guénon, è per noi cosa grata rendergli omaggio nella rivista stessa che egli così a lungo animò, e ringraziamo la Direzione delle Éditions Traditionnelles per avercene offerto l’opportunità. La venerazione che portiamo a un tal Maestro, e l’eccellenza che riconosciamo alla sua opera potranno forse sembrare inopportune o eccessive a qualcuno di coloro che leggeranno queste righe. Esse dànno questo suono perché vogliono esprimere la testimonianza della nostra riconoscenza, giacché –per noi– René Guénon è, con la sua opera e in questo periodo di aberrazione e sregolatezza –e di là dall’espressione del «ricordo» delle origini che rappresenta– «la Luce che risplende nelle tenebre».

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1. René Guénon sottolineava «i vantaggi che si hanno a seguire le indicazioni fornite da quelle circostanze, le quali, ben lungi dall’essere "fortuite" [...] sono invece espressioni più o meno particolarizzate dell’ordine generale, umano e cosmico ad un tempo, in cui, volenti o nolenti, tutti dobbiamo integrarci» (Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, «Introduzione»). Egli non ci ha fatto avere certi testi su argomenti quali Errore dell’occultismo, la Scienza delle lettere (sul simbolismo geometrico di talune lettere dell’alfabeto latino), la Teoria del gesto, sul simbolismo di Giano, ecc., per citare solo questi esempi. Sembra che, per qualcuno di questi testi, l’autore non abbia ritenuto opportuna la redazione per ragioni di cui egli solo era al corrente.
2. Una «applicazione» delle leggi cicliche si ritrova nella stessa elaborazione della sua opera.
3. A questo proposito si confronti: Il Regno della quantità e i Segni dei Tempi, «Introduzione» . Nell’induismo la funzione «conservatrice» è attribuita a Vishnu e la funzione «distruttrice», o più precisamente la «potenza» trasformatrice o rigeneratrice, la quale è più essenziale, a Shiva. L’accostamento in questione non è fortuito ed è suscettibile di sviluppi che sono in relazione con i temi fondamentali dell’opera di D. Roman, in particolare quello delle «eredità» toccate alla Massoneria. Questo porta a dar rilievo alla funzione conservatrice dell’Ordine massonico, sotto il suo aspetto escatologico, opportunamente segnalata da Guénon, di cui l’opera è l’espressione più eccellente dell’applicazione delle due «potenze», conservatrice e trasformatrice. La fine del ciclo (passaggio che avviene nell’oscurità) comprenderà per necessità la componente «conservatrice» nell’integrazione rigeneratrice che caratterizzerà tale cambiamento di Manvantara. Quella scienza ermetica che è rappresentata dall’alchimia traduce simili fasi con la formula Solve et Coagula, ed esse, nel rituale massonico, si concretano nel ritmo; la messa in opera di quest’ultimo è capace di applicazioni metodologiche delle quali è inutile sottolineare l’importanza.
4. È noto come Guénon facesse risalire l’inizio dei tempi moderni al periodo dell’abolizione dell’Ordine del Tempio, e come imputasse al potere temporale la responsabilità di quest’atto irreparabile, quantunque anche sull’Autorità spirituale, il cui rappresentante era all’epoca Clemente V, gravasse –come appare– una pesante responsabilità in proposito. Il rammollimento dei rappresentanti della Chiesa romana, il quale denunciava un indebolimento della sua autorità, doveva rapidamente generare conseguenze incalcolabili in rapporto con il divenire dell’Occidente, in particolare con quello delle organizzazioni iniziatiche che erano le depositarie dell’esoterismo cristiano. Per una gran fortuna, e quanto all’essenziale, tale eredità doveva giungere poco dopo alla Massoneria in forma simbolica.
5. Uno degli aspetti dell’attività tradizionale consisteva, per Guénon, nel «denunciare [...] gli errori e le illusioni occidentali dovunque essi si trovassero». Gli avvertimenti che gli toccò emettere nella «Conclusione» alla Crise du Monde moderne (ed. francese, 1956, pag. 132) sono diretti a coloro fra i cattolici ai quali la propria situazione «assegna le più gravi responsabilità». Di tali avvertimenti, quello che egli formulerà in modo solenne e molto più tardi, nel Regno della Quantità e i Segni dei Tempi (ed. italiana 1982, pag. 184), riguarda in modo più preciso i rappresentanti delle organizzazioni tradizionali occidentali «così nel campo exoterico come in quello inizatico». Questo «aggiornamento» sulle modificazioni avvenute nell’ambiente occidentale mostra una percezione delle circostanze che è assai significativa.
6. Per un’assimilazione corretta dell’opera di René Guénon è opportuno, innanzi tutto, che si tenga presente la seguente sua affermazione: «[...] noi non ci poniamo mai dal punto di vista della religione exoterica» (R. Guénon, Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Ed. Traditionnelles, tome I, pag. 169). Di fatto, il punto di vista specificamente exoterico –in sé e per sé legittimo– così com’è preso in esame dall’autore lo è soltanto in quanto sia inteso come supporto, o punto d’appoggio, di un’intrapresa esoterica concepita in modo tradizionale.
7. L’autore degli Stati molteplici dell’essere evocò (e però eccezionalmente, questo è da notare) la possibilità di una realizzazione virtuale, cosa che può sembrare sorprendente da parte sua sapendo quanto abbia insistito, in tutto il corso della sua opera, sul superamento di qualsivoglia intrapresa unicamente teorica al fine di giungere a una realizzazione effettiva. Tale realizzazione virtuale può derivare da una preparazione teorica, ma una delle condizioni indispensabili è che quest’ultima sia fondata su di un insegnamento rigorosamente tradizionale, vale a dire autentico e in conformità con il piano del Grande Architetto: «[...] ogni conoscenza vera e veramente assimilata è già di per se stessa, se non certo una realizzazione effettiva, almeno una realizzazione virtuale [...]» (in Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Adelphi Edizioni, 1989, pag. 199) e «[...] ogni conoscenza vera è essenzialmente, in tutta la misura in cui essa esiste realmente, una identificazione del conoscente e del conosciuto: identificazione che è ancora imperfetta e quasi "per riflesso" nel caso di una conoscenza semplicemente teorica, e identificazione perfetta nel caso di una conoscenza effettiva» (Considerazioni sull’iniziazione, Luni Ed., 1996, pag. 339).
8. Di fatto, il cospicuo numero di recensioni redatte da Guénon rispecchia la sua intensa attività tradizionale e, quantunque queste recensioni siano spesso trascurate dal lettore, esse non possono essere dissociate dall’opera. Il desiderio dell’autore era quello di raggruppare diversi articoli e dare così un seguito al primo volume delle Considerazioni, ma la realizzazione di questo progetto fu ostacolata dalle circostanze. I libri postumi concernenti l’iniziazione in generale e in particolare la Massoneria sono: Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Iniziazione e realizzazione spirituale, Symboles fondamentaux de la Science sacrée (titolo, quest’ultimo, che in seguito divenne semplicemente Simboli della Scienza sacra). Oggi, che si «recuperano» un certo numero di scritti di Guénon (l’autore non sempre aveva ritenuto utile il riutilizzarli), si sembra soggiacere troppo sovente a una tendenza che induce a voler «completare» la sua opera in modo artificiale, mentre è evidente che questa maniera di procedere non aggiunge nulla d’indispensabile all’opera.
9. Tale qualità Guénon la riconosceva anche al Compagnonaggio, sennonché quest’ultimo, a motivo dell’obbligo di pratica di un mestiere manuale (cosa che deve conferirgli in linea di principio un’«operatività» certa), non rientrava nella prospettiva da lui presa in considerazione all’epoca.
10. Qualcuno ritiene, non senza qualche ragione, che in certo qual modo tale aiuto dell’Oriente sia eminentemente costituito dall’opera di Guénon. Indipendentemente dalla base metafisica dottrinale di origine orientale dalla quale essa procede, la quale è incomparabile e insostituibile, è da porsi prima d’ogni altra cosa la questione di determinare la possibilità di trarne correttamente profitto, con rapporto alla situazione presente e sotto un aspetto che vada al di là di una prospettiva individuale. Sennonché, sia da questo sia da altri punti di vista, quel che occorre non fare è assumere l’opera di Guénon per ciò che essa non è, vale a dire intendendola come una sorta di «manuale di realizzazione», facendola così simile a un «sistema» che potrebbe allora essere a ragione qualificato come «guénonismo».
11. Nella circostanza non è di nostra competenza giudicare se taluni di coloro il cui caso stiamo prendendo in considerazione siano stati o no «qualificati»; se le loro «scelte» fossero legittime oppure no, o se siano le circostanze di diverso tipo con le quali essi hanno avuto a che fare a non aver permesso che fossero rese effettive le virtualità da essi possedute (per quelli di loro che avevano ricevuto un’iniziazione reale). A tal proposito, indipendentemente da altre ragioni non meno importanti, certi condizionamenti mentali, aggravati dall’assunzione di legami che non si può fare a meno di definire azzardati, non hanno mancato di falsare l’«angolo visuale» di approccio all’opera, e di fare di conseguenza ostacolo alla presa di coscienza, per alcuni, delle loro possibilità. Quest’ultima constatazione, gravida di conseguenze, ci porta a prendere in considerazione –anche se la rievocazione è in questo caso penosa– la particolare situazione di coloro che, al seguito di tale «maestro spirituale» che attribuiva un carattere iniziatico ai sacramenti cristiani come attualmente dispensati, abbiano, a causa di ciò, confinato la loro intrapresa all’interno di un accostamento puramente exoterico. L’autore di simile aberrazione ha contribuito non poco a generare un disordine che ancora oggi perdura negli ambienti «tradizionali» occidentali.
12. Una simile affermazione può di primo acchito sorprendere; tuttavia, lo «studio» dei simboli che costituiscono «il solo linguaggio che realmente si attagli all’espressione delle verità di ordine iniziatico [...]» «[...] ha come funzione essenziale quella di fare "assentire" [l’]inesprimibile, [e] di fornire il supporto che permetterà all’intuizione intellettuale di avere effettivamente accesso ad esso» [...]. «È per questa ragione che esso è il solo mezzo adatto a trasmettere– per quanto si possa– tutto quell’inesprimibile che costituisce l’àmbito vero e proprio dell’iniziazione, o meglio, per parlare più rigorosamente, a deporre le concezioni di quest’ordine, in germe, nell’intelletto dell’iniziato, il quale dovrà poi farle passare dalla potenza all’atto» (Considerazioni sull’iniziazione, pagg. 238, 156, 245). È con riferimento a ciò che si tratterebbe di «operare la riforma della mentalità moderna» attraverso l’affrancamento dalle limitazioni del linguaggio comune e della riflessione discorsiva.
13. Avendo presente tale nuova situazione, viene oggi proposta una «rivivificazione» della Massoneria a condizioni diverse da quelle enunciate da Guénon. È così che, di recente, il Direttore di una rivista francese che fa riferimento all’eredità di Abramo si è fatto eco –durante un convegno del Grande Oriente d’Italia– di un’iniziativa (che si inscrive nella prospettiva di un aiuto dell’Oriente «riveduta e corretta») che sa tanto di un equivoco dovuto a trascuratezza: essa comporterebbe un «apporto» tecnico specificamente orientale con finalità di «rivificazione» della Massoneria, e a tale scopo sembrerebbe che si avanzi la possibilità di un «innesto» islamico. È noto ciò che Guénon pensava di un procedimento simile: «[...] occorrerebbe non dimenticare che la Massoneria è una forma iniziatica propriamente occidentale, e che di conseguenza non è possibile "innestare" in essa un elemento orientale; quand’anche si possa tenere in conto, legittimamente, un certo aiuto dell’Oriente per rivivificare le tendenze spirituali sopite, non è in ogni caso in questa maniera che esso va inteso» (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, tome II, pag. 174). Per il momento è ben difficile pronunciarsi sulle modalità di questo singolare «apporto operativo» (e sulle eventuali sue conseguenze individuali) perché la comunicazione informativa che su di esso è stata data manca di precisione sotto più di un riguardo, ma il fatto che il suo obiettivo venga attribuito a una «missione» da compiere induce a porsi qualche domanda...
14. Riguardo a qualcuno di questi abbandoni, D. Roman faceva menzione di «[...] coloro fra i cristiani che provano scrupolo a seguire Guénon dopo il suo articolo sulla "mutazione" effettuata dalla Chiesa cristiana all’epoca del Concilio di Nicea» (R. Guénon et les Destins de la Franc-Maçonnerie, p. 161, nota 39).
15. Quando esso provenga da «profani», il giudizio emesso su dati specifici dell’àmbito iniziatico non è accettabile in quanto illegittimo; ed il fatto che ad emetterlo siano autorità exoteriche regolarmente deputate non cambia nulla alla questione, giacché, in un caso simile, esse esorbitano il loro àmbito di competenza: «[...] per quel che concerne un’autorità legata esclusivamente a una determinata forma tradizionale, [...] ricorderemo quanto dicevamo precedentemente [Autorità spirituale e potere temporale, cap. IV]: ciò che è superiore contiene in modo "eminente" ciò che è inferiore; colui che è competente entro certi limiti, che definiscono la sua sfera propria, lo è anche a fortiori nei confronti di tutto quanto si trova di qua da questi limiti, mentre, per converso, non lo è più nei confronti di quel che si trova di là da essi; se questa regola semplicissima, almeno per coloro che posseggono una nozione corretta della gerarchia, fosse osservata e applicata come si conviene, nessuna confusione di sfere e nessun errore di "giurisdizione", per usare questo speciale linguaggio, potrebbe mai verificarsi» [corsivo nostro] [Ibid., fine del cap. IV].
Un esempio dell’ingerenza del religioso in campo iniziatico, con le sue disastrose conseguenze (esso ci ricorda spiacevolmente– su tal punto– le condanne pronunciate, nel corso del medioevo, dalla Sorbona contro le organizzazioni di Compagnonaggio) è rappresentato dalle «condanne» di Roma del 26 novembre 1983, le quali erano una conseguenza della Dichiarazione dell’Episcopato tedesco del 12 maggio 1980. Era stata organizzata una commissione, della quale facevano parte rappresentanti delle Grandi Logge Unite di Germania e membri dell’Episcopato tedesco. I primi, a quanto sembra, non furono capaci di rifarsi a un punto di vista iniziatico conforme a quello che avrebbe dovuto essere, nella loro presentazione delle cose, e conseguentemente non potevano render conto della vera «essenza» dell’Ordine, almeno nella misura di quanto era possibile. Quanto ai secondi, i quali si ponevano da un punto di vista exoterico esclusivo, essi erano alla ricerca– sono i termini da loro stessi utilizzati– di una «realizzazione teologicamente accettabile» (?!). Simili fattori non poterono non essere causa di un grave malinteso che sfociò in un puro e semplice rifiuto da parte delle autorità ecclesiastiche. In occasione di questo episodio i dignitari della Massoneria tedesca dettero prova di imprudenza e ingenuità inimmaginabili, per non dire di più. Non è qui il caso di affermare, con D. Roman, che «la Massoneria, Ordine iniziatico, dalla Chiesa, organizzazione puramente exoterica, non si aspetta nulla. Essa non è, nei suoi confronti, né "penitente" né "supplicante" [...]»? (René Guénon et les Destins de la Franc-Maçonnerie, pag. 108). I motivi che furono addotti alla fine dalla Commissione dovrebbero indurre coloro che vogliono ancora credere in una «riconciliazione» concepita su basi simili– che per l’Ordine equivalgono a una profanazione nel senso indicato da Guénon– a riflessioni istruttive; in effetti, sapendo che nell’occasione non fu tenuto conto– quanto all’essenziale– se non di tendenze o di pratiche incomprese o deviate– che vennero però acquisite come prinicìpi– del tutto estranee all’essenza vera e propria della Massoneria (senza contare l’incomprensione che è da far risalire a un atteggiamento di rifiuto di ogni esoterismo), si deve giungere alla conclusione che quest’ultima fu nell’occasione compromessa in modo indebito mentre di fatto essa non era legittimamente coinvolta: «L’azione dei Massoni, e financo quella delle organizzazioni massoniche, in tutta la misura nella quale sia in disaccordo con i princìpi iniziatici, non può venire attribuita alla Massoneria come tale» (Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, tome I, pag. 276). A evitare ogni possibile ambiguità, precisiamo che, se da un lato non è possibile– secondo i princìpi tradizionali–, accettare una subordinazione dell’esoterismo nei confronti dell’exoterismo, da un altro lato i cattolici coinvolti non possono arrogarsi il diritto di adottare un atteggiamento indipendente dalle decisioni della Chiesa.
16. Per sviluppare questo punto occorrerebbe uno studio tutto particolare.
17. Tali «sintesi simboliche» sono comparabili a «germi» racchiusi nell’Arca intesa quale ricettacolo; simili eredità hanno una duplice funzione, microcosmica e macrocosmica. Le «traslazioni» da noi evocate non hanno lasciato tracce documentabili, e non senza una ragione. Ciò induce qualche storico di mentalità profana, che si sente perduto quando sia mancante di «documentazione» a definire ciò che è veicolato dalla maggior parte di questi depositi come «imprestiti tardi», generatori di «sincretismo»; l’ermetismo (il quale viene spesso confuso con l’alchimia) non è uno degli esempi minori del caso di cui stiamo parlando. È possibile che la storia sia a tal punto incompatibile con l’applicazione del simbolismo?
18. In merito a tali vestigia sono state scritte non poche incongruità (eppure si tratta di vestigia viventi). Si fa perciò capire che i depositi in questione sarebbero costituiti da «residui» (altre espressioni sono state parimenti adottate) di tradizioni pagane «estinte». Ora, è la Massoneria stessa, nella sua costituzione di base (il Mestiere) che è «pagana», inteso che l’Arte di costruire è anteriore al Cristianesimo, e a ciò non si può porre rimedio. Quanto alle eredità di cui essa è stata beneficiata, possiamo avanzare la domanda seguente: il Pitagorismo e l’Ordine del Tempio– ad esempio– possono forse essere considerati «tradizioni morte» per il fatto di essere stati legittimamente integrati, in modo sintetico, all’interno della Massoneria? (per quel che concerne la filiazione pitagorica ci si può riferire all’Ésoterisme de Dante, N. R. F., conclusione del cap. II). Quanto all’ermetismo, anch’esso non meno scartato, coloro che trascurano le sue affinità con la Massoneria potranno sempre rinfrescarsi la memoria rileggendo l’opera di Guénon nella sua totalità, e in special modo l’ultimo libro che sia stato scritto dall’autore, La Grande Triade, che è un vero e proprio «trattato di filosofia ermetica».
19. Si confronti il suo primo libro, René Guénon et les Destins de la Franc-Maçonnerie (Éditions Traditionnelles, 1995), e anche il secondo: Réflexions d’un chrétien sur la Franc-Maçonnerie– l’Arche vivante des symboles (ibid.).
20. D. Roman, tome 2, pag. 49.
21. Per i Massoni si tratta dell’«abbandono dei metalli». La formula rituale «Abbiamo lasciato i nostri metalli alla porta del Tempio» è spesso interpretata in modo restrittivo e incorretto riguardo ai due aspetti che comporta. Di fatto, la natura dei «metalli» è oggetto della più gran confusione e la sua interpretazione contenuta nella maggior parte dei casi al suo aspetto psicologico, morale e sentimentale (stesso destino viene riservato al Regolamento massonico, che occorre trasporre in modo esoterico al fine di riconferirgli il suo significato originario; a questo scopo Guénon commentò il primo articolo del Regolamento nell’articolo: «A propos du Grand Architect de l’Univers» , in Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, tome II). La seconda parte della formula «[...] alla porta del Tempio», viene la più parte delle volte interpretata come se fosse permesso «recuperare» i propri «metalli» al momento dell’uscita dal Tempio! Ma è forse necessario insistere su questo equivoco e sulla messa in pratica che eventualmente ne consegue? Un altro punto del metodo massonico, punto che si fonda sull’applicazione della formula tratta dall’acrostico V.I.T.R.I.O.L. o dalla sua variante V.I.T.R.I.O.L.U.M.– la quale, secondo Guénon, «offre forse un significato più completo»–, ha un’importanza fondamentale nel corso dell’intrapresa iniziatica. Poiché tale formula sintetizza e definisce il processo di «rettificazione», essa presuppone una «vigilanza» e una «perseveranza» costanti nello sforzo personale, all’interno e all’esterno del Tempio, sia ben inteso. È questa la ragione per cui la negligenza rispetto a tale impegno attivo, rappresenta un impedimento al passaggio dall’iniziazione virtuale all’iniziazione effettiva. Simili «devianze» sono in fondo il portato di una carenza nell’esercizio conforme della Maestria massonica (sotto il suo aspetto «funzionale») in rispetto a quanto si riferisce all’àmbito dell’insegnamento iniziatico e del «lavoro collettivo»; giacché simili fondamenti del Mestiere permettono, attraverso la loro messa in opera, la presa di cosceinza, da parte del Massone, dalla base al culmine della gerarchia dei gradi e delle funzioni, della necessità di una sottomissione– non soltanto teorica– al piano del Grande Architetto. Quanto al grado vero e proprio di Maestro Massone e alla funzione che quest’ultimo è chiamato a esercitare in seno all’Ordine, fortunatamente «i Massoni dei tempi antichi» (ed è inutile che si «risalga» al medioevo) se ne rappresentavano un’idea più conforme e più nobile di quella che se ne ha oggi; e ciò perché essi avevano la coscienza che esso costituisce– in linea di principio e in modo eminentemente sintetico– il termine e il compimento dei «piccoli misteri». Per quel che riguarda il piano del Grande Architetto, esso è racchiuso e formalmente e chiaramente enunciato nel rituale, il quale è la base del «lavoro» di Loggia, come dice la formula: «Cosa venite a fare in Loggia?...». In assenza della libera accettazione e della messa in opera della risposta a questa domanda elementare– elementare, sia ben chiaro, semplicemente nella sua formulazione–, l’intrapresa massonica è incoerente e la sua finalità incomprensibile.