Roderigo
30-03-02, 17:56
L'Onu chiede a Israele di ritirarsi
Anche gli Stati Uniti hanno votato a favore - Scarico il telefono di Arafat: è completamente isolato - I gruppi armati palestinesi annunciano «sangue e morte»
Un'altra risoluzione va ad aggiungersi alla lunga lista delle iniziative che nel corso degli anni il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha preso per tentare di risolvere la crici mediorientale. Con 14 voti a favore e la sola, polemica, mancanza della Siria al momento del pronunciamento, il Palazzo di Vetro ha chiesto oggi alle parti di «procedere immediatemente a un vero cessate-il-fuoco», ma soprattutto ha sollecitato «il ritiro delle truppe israeliane dalle città palestinesi, compresa Ramallah» dove da ieri il presidente Yasser Arafat è asserragliato nel suo ufficio circondato da 60 carri armati con la stella di Davide. Gli Stati Uniti hanno votato a favore della risoluzione 1042 e non era scontato, visto che solo poche ore prima il segretario di Stato americano Colin Powell aveva giustificato in qualche modo la reazione israeliana contro Arafat dopo giorni e giorni di sanguinosi attentati.
Il Palazzo di Vetro, dunque, ha inviato ancora un messaggio forte a Israele, sperando che questa volta trovi ascolto. Il Consiglio di sicurezza ha richiamato però anche i palestinesi alle loro responsabilità e ha invitato le parti a «mettere fine agli atti di violenza», garantire «immediatamente una vera tregua» e «collaborare a pieno» con l'inviato americano Anthony Zinni. Ma citando una lunga serie di precedenti risoluzioni mai veramente adottate (242, 338 e 1397), lo stesso testo della 1042 implicitamente ricorda quanto lieve sia la pressione internazionale.
La risoluzione, che era stata proposta dal presidente di turno del Consiglio di sicurezza, il norvegese Ole Peter Kolby, è stata approvata con 14 voti a favore e nessun contrario, ma la Siria non ha partecipato al voto per protesta e ha lasciato seggio del suo rappresentante vuoto, cosa rara nell'esecutivo dell'Onu. Damasco aveva presentato una sua risoluzione in cui puntava l'attenzione sui territori occupati da Israele nel 1967. Subito dopo l'approvazione del documento, l'ambasciatore siriano Mikhail Wehbe è tornato nella sala per criticare la mancanza di qualsiasi riferimento agli attacchi israeliani contro i palestinesi. Lo stesso era accaduto anche il 12 marzo, quando il Consiglio di sicurezza approvò la risoluzione 1397 con cui si sanciva l'idea di due Stati, Israele e la Palestina, internazionalmente riconosciuti. E anche allora la Siria uscì dall'aula e gli Usa votarono a favore di un documento penalizzante per lo Stato ebraico, almeno nell'ottica del premier Ariel Sharon.
Per convincere Washington, oggi, non sono bastate le cinque ore di dicussione di questa notte in seno al Consiglio di sicurezza, a porte aperte su richiesta israeliana. Il rappresentante Usa, James Cunningham, ha attribuito ai palestinesi la responsabilità di avere aggravato lo scontro, ma si è trovato isolato sulla sua posizione. Così è stata necessaria una pausa di riflessione durante la quale l'amministrazione americana ha deciso di schierarsi al fianco della maggioranza e contro Israele, come raramente accade negli ultimi tempi.
L'ambasciatore dello Stato ebraico Yehuda Lancry ha chiesto la parola per criticare il documento che non chiede esplicitamente i palestinesi di smantellare le loro «infrastrutture terroristiche» e non condanna, a suo parere, con sufficiente forza gli attentati degli ultimi tempi. Per motivi opposti, anche l'inviato palestinese Nasser al Kidwa ha commentato che la risoluzione avrebbe potuto essere più forte, ma ha detto di accettare comunque la decisione del Consiglio di socurezza.
Si è intanto spezzato anche l'ultimo filo che legava il presidente palestinese Yasser Arafat, da ieri assediato dall'esercito israeliano nel suo ufficio di Ramallah, al mondo esterno. L'ultima delle batterie del suo cellulare si è esaurita, riferisce il quotidiano 'Haaretz' e senza elettricità, tagliata ieri dai soldati così come linee telefoniche, non può più far sentire la sua voce. Fino a questa mattina, il 72enne leader palestinese non aveva smesso un minuto di contattare gli 'amicì stranieri, capi di Stato e di governo, e di parlare con i giornalisti: prima del black-out totale, l'ultima intervista è stata con la televisione del Qatar al Jazira. Arafat è barricato al secondo piano di uno dei sue soli edifici della Moqata, il complesso delle costruzioni in cui ha sede l'Autorità nazionale palestinese, a non essere stato occupato ieri dai militari dello Stato ebraico; con lui c'è il suo braccio destro Nabul Abu Rudeina ed è circondato dagli uomini di Forza-17, la guardia presidenziale. Fuori, sessanta tra carri armati e mezzi blindati sorvegliano ogni sua mossa.
Assediato da carri armati israeliani, l'Ospedale di Ramallah, in Cisgiordania, non ha quasi più ossigeno e sangue, mentre i soldati hanno sequestrato quattro ambulanze palestinesi e fermato undici medici e infermiere. Lo ha detto in un'intervista telefonica all'Ansa il dottor Mundar al-Sharif, direttore generale del Ministero della sanità palestinese. Il dottore ha confermato quanto riportato in precedenza dall'agenzia palestinese 'Wafa' che i feriti muoiono dissanguati, perchè gli israeliani impediscono la circolazione delle ambulanze. «Non ho idea di quanti feriti ci siano, non possiamo uscire - ha detto il dottor al-Sharif - ci hanno sequestrato quattro ambulanze, le usano per arrestare la gente o come nascondiglio da cui sparare. Hanno detenuto undici persone, fra medici e infermiere. I feriti restano a dissanguarsi nelle strade».
Il dottor al-Sharif ha detto che l'ospedale non ha quasi più ossigeno, una fornitura è ferma da ieri al posto di blocco di Kalandia. Gli israeliani hanno distrutto anche la tubatura dell'acqua e non ne permettono la riparazione. L'ospedale, il principale di Ramallah, sta terminando anche le scorte di sangue, ma la popolazione ha paura a uscire di casa e non può rispondere all'appello per una donazione, ha detto il medico. Solo un gruppo di una cinquantina di pacifisti occidentali, fra cui alcuni italiani, è riuscita a raggiungere l'ospedale per donare il sangue. Il Dottor Odwawan Albarguti, dell'ospedale Arab care, ha detto che circa otto soldati israeliani sono entrati due volte nel nosocomio, con dei cani. Hanno perquisito tutte le stanze, incluso il reparto pediatria e maternità, in cerca di «terroristi». I soldati sono ancora all'interno dell'ospedale.
I gruppi armati palestinesi annunciano «sangue e morte». Lo scrive nella sua edizione on line il quotidiano El Mundo, riferendo che tredici fazioni della lotta armata palestinese hanno fatto fronte comune contro Israele. «L'attacco contro Arafat non raggiungerà il suo obiettivo. Sharon ha iniziato la guerra, ma non potrà terminarla», ha detto un membro delle Brigate Martiti di Al Aqsa, legate al movimento Al Fatah che fa capo a Yasser Arafat, durante una riunione a Beach Camp, campo profughi nella striscia di Gaza.
Un gruppo di 60 attivisti italiani e di altri paesi si trova stamattina a Betlemme, dove la situazione è al momento tranquilla, e si prepara a marciare fino a Beit Jalla. Lo ha detto all'Ansa una partecipante alla manifestazione. Il sobborgo di Beit Jalla, alla periferia di Betlemme, era stato occupato in nottata da militari israeliani. Stamattina la radio militare israeliana aveva detto che l'operazione si era resa necessaria dopo che da Betlemme era stato lanciato un colpo di mortaio contro il rione ebraico di Ghilò, nel settore occupato di Gerusalemme est.
La Stampa 30 marzo 2002
Anche gli Stati Uniti hanno votato a favore - Scarico il telefono di Arafat: è completamente isolato - I gruppi armati palestinesi annunciano «sangue e morte»
Un'altra risoluzione va ad aggiungersi alla lunga lista delle iniziative che nel corso degli anni il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha preso per tentare di risolvere la crici mediorientale. Con 14 voti a favore e la sola, polemica, mancanza della Siria al momento del pronunciamento, il Palazzo di Vetro ha chiesto oggi alle parti di «procedere immediatemente a un vero cessate-il-fuoco», ma soprattutto ha sollecitato «il ritiro delle truppe israeliane dalle città palestinesi, compresa Ramallah» dove da ieri il presidente Yasser Arafat è asserragliato nel suo ufficio circondato da 60 carri armati con la stella di Davide. Gli Stati Uniti hanno votato a favore della risoluzione 1042 e non era scontato, visto che solo poche ore prima il segretario di Stato americano Colin Powell aveva giustificato in qualche modo la reazione israeliana contro Arafat dopo giorni e giorni di sanguinosi attentati.
Il Palazzo di Vetro, dunque, ha inviato ancora un messaggio forte a Israele, sperando che questa volta trovi ascolto. Il Consiglio di sicurezza ha richiamato però anche i palestinesi alle loro responsabilità e ha invitato le parti a «mettere fine agli atti di violenza», garantire «immediatamente una vera tregua» e «collaborare a pieno» con l'inviato americano Anthony Zinni. Ma citando una lunga serie di precedenti risoluzioni mai veramente adottate (242, 338 e 1397), lo stesso testo della 1042 implicitamente ricorda quanto lieve sia la pressione internazionale.
La risoluzione, che era stata proposta dal presidente di turno del Consiglio di sicurezza, il norvegese Ole Peter Kolby, è stata approvata con 14 voti a favore e nessun contrario, ma la Siria non ha partecipato al voto per protesta e ha lasciato seggio del suo rappresentante vuoto, cosa rara nell'esecutivo dell'Onu. Damasco aveva presentato una sua risoluzione in cui puntava l'attenzione sui territori occupati da Israele nel 1967. Subito dopo l'approvazione del documento, l'ambasciatore siriano Mikhail Wehbe è tornato nella sala per criticare la mancanza di qualsiasi riferimento agli attacchi israeliani contro i palestinesi. Lo stesso era accaduto anche il 12 marzo, quando il Consiglio di sicurezza approvò la risoluzione 1397 con cui si sanciva l'idea di due Stati, Israele e la Palestina, internazionalmente riconosciuti. E anche allora la Siria uscì dall'aula e gli Usa votarono a favore di un documento penalizzante per lo Stato ebraico, almeno nell'ottica del premier Ariel Sharon.
Per convincere Washington, oggi, non sono bastate le cinque ore di dicussione di questa notte in seno al Consiglio di sicurezza, a porte aperte su richiesta israeliana. Il rappresentante Usa, James Cunningham, ha attribuito ai palestinesi la responsabilità di avere aggravato lo scontro, ma si è trovato isolato sulla sua posizione. Così è stata necessaria una pausa di riflessione durante la quale l'amministrazione americana ha deciso di schierarsi al fianco della maggioranza e contro Israele, come raramente accade negli ultimi tempi.
L'ambasciatore dello Stato ebraico Yehuda Lancry ha chiesto la parola per criticare il documento che non chiede esplicitamente i palestinesi di smantellare le loro «infrastrutture terroristiche» e non condanna, a suo parere, con sufficiente forza gli attentati degli ultimi tempi. Per motivi opposti, anche l'inviato palestinese Nasser al Kidwa ha commentato che la risoluzione avrebbe potuto essere più forte, ma ha detto di accettare comunque la decisione del Consiglio di socurezza.
Si è intanto spezzato anche l'ultimo filo che legava il presidente palestinese Yasser Arafat, da ieri assediato dall'esercito israeliano nel suo ufficio di Ramallah, al mondo esterno. L'ultima delle batterie del suo cellulare si è esaurita, riferisce il quotidiano 'Haaretz' e senza elettricità, tagliata ieri dai soldati così come linee telefoniche, non può più far sentire la sua voce. Fino a questa mattina, il 72enne leader palestinese non aveva smesso un minuto di contattare gli 'amicì stranieri, capi di Stato e di governo, e di parlare con i giornalisti: prima del black-out totale, l'ultima intervista è stata con la televisione del Qatar al Jazira. Arafat è barricato al secondo piano di uno dei sue soli edifici della Moqata, il complesso delle costruzioni in cui ha sede l'Autorità nazionale palestinese, a non essere stato occupato ieri dai militari dello Stato ebraico; con lui c'è il suo braccio destro Nabul Abu Rudeina ed è circondato dagli uomini di Forza-17, la guardia presidenziale. Fuori, sessanta tra carri armati e mezzi blindati sorvegliano ogni sua mossa.
Assediato da carri armati israeliani, l'Ospedale di Ramallah, in Cisgiordania, non ha quasi più ossigeno e sangue, mentre i soldati hanno sequestrato quattro ambulanze palestinesi e fermato undici medici e infermiere. Lo ha detto in un'intervista telefonica all'Ansa il dottor Mundar al-Sharif, direttore generale del Ministero della sanità palestinese. Il dottore ha confermato quanto riportato in precedenza dall'agenzia palestinese 'Wafa' che i feriti muoiono dissanguati, perchè gli israeliani impediscono la circolazione delle ambulanze. «Non ho idea di quanti feriti ci siano, non possiamo uscire - ha detto il dottor al-Sharif - ci hanno sequestrato quattro ambulanze, le usano per arrestare la gente o come nascondiglio da cui sparare. Hanno detenuto undici persone, fra medici e infermiere. I feriti restano a dissanguarsi nelle strade».
Il dottor al-Sharif ha detto che l'ospedale non ha quasi più ossigeno, una fornitura è ferma da ieri al posto di blocco di Kalandia. Gli israeliani hanno distrutto anche la tubatura dell'acqua e non ne permettono la riparazione. L'ospedale, il principale di Ramallah, sta terminando anche le scorte di sangue, ma la popolazione ha paura a uscire di casa e non può rispondere all'appello per una donazione, ha detto il medico. Solo un gruppo di una cinquantina di pacifisti occidentali, fra cui alcuni italiani, è riuscita a raggiungere l'ospedale per donare il sangue. Il Dottor Odwawan Albarguti, dell'ospedale Arab care, ha detto che circa otto soldati israeliani sono entrati due volte nel nosocomio, con dei cani. Hanno perquisito tutte le stanze, incluso il reparto pediatria e maternità, in cerca di «terroristi». I soldati sono ancora all'interno dell'ospedale.
I gruppi armati palestinesi annunciano «sangue e morte». Lo scrive nella sua edizione on line il quotidiano El Mundo, riferendo che tredici fazioni della lotta armata palestinese hanno fatto fronte comune contro Israele. «L'attacco contro Arafat non raggiungerà il suo obiettivo. Sharon ha iniziato la guerra, ma non potrà terminarla», ha detto un membro delle Brigate Martiti di Al Aqsa, legate al movimento Al Fatah che fa capo a Yasser Arafat, durante una riunione a Beach Camp, campo profughi nella striscia di Gaza.
Un gruppo di 60 attivisti italiani e di altri paesi si trova stamattina a Betlemme, dove la situazione è al momento tranquilla, e si prepara a marciare fino a Beit Jalla. Lo ha detto all'Ansa una partecipante alla manifestazione. Il sobborgo di Beit Jalla, alla periferia di Betlemme, era stato occupato in nottata da militari israeliani. Stamattina la radio militare israeliana aveva detto che l'operazione si era resa necessaria dopo che da Betlemme era stato lanciato un colpo di mortaio contro il rione ebraico di Ghilò, nel settore occupato di Gerusalemme est.
La Stampa 30 marzo 2002