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hussita
02-04-02, 13:58
IN INGHILTERRA UN´OPERA RACCONTA LA NASCITA DEL MITO DELLA CREATURA
Frankenstein disse a Mary: «Mamma»
Pare che la Shelley, sua inventrice, trascorresse ore nei cimiteri


LONDRA
Gli occhi del mostro, «gialli, acquosi, interrogativi», lampeggiano fra le nubi squassate dai fulmini nel cielo su Ginevra. Chi sono, da dove sono venuto? Domandano con insistenza infantile durante la notte tempestosa in cui Mary Shelley concepisce la storia di Frankenstein. Il processo creativo che ha prodotto il celebre romanzo del terrore è al centro della nuova opera «Monster», appena andata in scena in prima mondiale alla Scottish Opera di Glasgow. Scritta da due donne, la compositrice Sally Beamish e la librettista Janice Galloway, l'opera pone Mary Shelley al centro di una complessa galleria di personaggi: Percy Bysshe Shelley, il fragile poeta con cui fugge, sedicenne, sul Continente; Lord Byron, prevedibilmente blasé («Sono figlio di un barone che non mi voleva e di una madre che sventrava pesce», canta); e Coleridge, che tenta invano di convincere il padre di lei a non ripudiare la figlia intelligente e ribelle. Poeti a parte, il rapporto principale in questa vita operistica di Mary Shelley (interpretata dal soprano Gail Pearson) è quello, vissuto solo nell'anima, con la madre Mary Wollstonecraft, scrittrice e protofemminista storica, che morì nel darla alla luce. La madre defunta, verso la quale Mary sente un obbligo di creatività («Sii grande in memoria di lei», è il suo imperativo) aleggia sempre sullo sfondo nei momenti cruciali. Mary, abituata fin da bambina a trascorrere ore sulla sua tomba, fa all'amore con Shelley presso la lapide della Wollstonecraft; ed è lo spettro della madre che, nel momento più commovente dell'opera, porta via dolcemente, cullandolo, il bambino di Mary concepito da Shelley, nato prematuro e morto dopo poche ore. «Figlio mio», sussurra lo spirito sparendo con l'infante tra le tende gonfiate dal vento nella stanzetta in Svizzera dove Mary ha appena partorito. L'implicazione dell'opera è che Mary Shelley concepisce la sua raggelante versione di Prometeo dopo aver perduto la propria creatura: il sogno ricorrente della protagonista è quello di scaldare un bambino morto davanti al focolare e di ridargli vita con le proprie cure. L'ombra della madre presiederà alla nascita finale del mostro di Frankenstein: «La bottega della creazione ha sangue, acqua e occhi interrogativi», dirà tracciando un ovvio parallelo con la nascita di Mary. E fornirà la didascalia finale alla visione creativa della figlia: «L'ho visto là in piedi: le labbra nere, dritte, la pelle gialla, un uomo fatto di pezzi lividi. Che osservava». Se questa è la psicologia da cui scaturisce il mostro, il pretesto della sua genesi è la famosa competizione organizzata da Byron tra «storie capaci di accelerare i battiti del cuore». La compositrice Sally Beamish (le cui citazioni musicali più evidenti sono «Le creature di Prometeo» di Beethoven e il cosiddetto «Accordo di Prometeo» di Scriabin) ha assegnato un diverso strumento musicale a ciascuno dei personaggi di quell'ambiente letterario: Mary è rappresentata dalla viola; Shelley, depresso cronico, dal violoncello; il pomposo Byron da potenti assoli di trombone. E lo sciupafemmine autore di «Don Juan» non è mai più arrogante di quando informa casualmente di avere messo incinta la sorellastra di Mary, Claire, dietro insistenza di lei: «Sotto pressione, amo. E Claire ha premuto». L'unico personaggio fittizio è tale Victor Frankpierre, che incarna il pensiero scientifico nella sua forma più pura: è affascinato dal proprio lavoro ma ne teme i pericoli. «Mio padre si chiamava Frankenstein, e questo è il suo castello in rovina», dice, dando inconsapevolmente a Mary il titolo del romanzo. Nel corso di una discussione sugli esperimenti con l'elettricità, Byron canta: «Galvani suggerisce che con l'applicazione corretta di una carica elettrica, un cadavere possa alzarsi. Le componenti di una creatura saranno fabbricate». A questo punto, il fantasma del mostro cova già nella mente di Mary Shelley. Musicalmente, i suoi ululati conclusivi sopra i ghiacci dell'Artico sono resi tirando una palla di gomma lungo il lato di un pianoforte. Boris Karloff non se ne sarebbe dispiaciuto.
Maria Chiara Bonazzi

AER MACCHI
02-04-02, 20:21
http://web.tiscali.it/frankenstein/images/yfranken203.jpg


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