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benny3
05-04-02, 13:33
Non confondiamo i pacifisti con i pacifondai


di Diego Gabutti

C’è un pacifismo che lotta contro qualsiasi guerra
E poi un altro nemico dell’equidistanza
Oggi ci sono troppi "pacifondai"
E, se potessero, farebbero scoppiare altre guerre
Come tutte le storie, anche il pacifismo ha due facce, una dispari e una pari. C’è un pacifismo pari – il pacifismo propriamente detto – la cui tradizione è nobile e antica. È il pacifismo che parla con autorità, attraverso gesti forti e solenni: il digiuno, la controinformazione, l’evento imprevedibile, l’agitazione non violenta. Questo pacifismo, che la sa lunga e conosce le sue mascherine, ha per stella polare l’equidistanza: il suo nemico è la retorica, lo scetticismo è il suo organo di senso. Non si sogna neanche d’appoggiare una delle parti in conflitto (le cui buone ragioni non lo incantano), ma scende in campo contro il conflitto in sé e per sé (ciò in nome della Ragione, di cui le “buone ragioni” non sono neppure la caricatura). In giorni come questi, di fronte all’ennesima catastrofe mediorientale, il pacifismo “pari” farebbe da scudo umano anche contro gli attacchi dei kamikaze palestinesi ai supermercati di Tel Aviv e Gerusalemme, non soltanto contro l’arroganza dei carri armati israeliani nei territori. Questo per non passare al nemico: la propaganda.


Poi c’è il pacifismo moderno, di scuola soprattutto italiana e postsovietica: un pacifismo “dispari”, inverosimile e taroccato, che ha per stella polare la propaganda, per vocazione il dogmatismo e per nemico l’equidistanza. Pacifismo movimentista, eternamente in marcia come le rivoluzioni e le bande musicali, recluta nelle sue fila quasi esclusivamente le ultime raffiche della guerra di classe: i no pasaran della guerriglia zapatista e della teologia della liberazione, i pifferi e le trombe di tutti i Sessantotti e di tutti i Settantasetti, i sempiterni nemici della globalizzazione e del G8. Agisce a volto scoperto, è vero, ma è un volto in cui si riconoscono le tracce lasciate dal passamontagna: le vene del collo ingrossate e una faccia feroce.


Tra i suoi antenati remoti ci sono qui da noi, nel paese dei campanelli, i “partigiani della pace” stalinisti, che nei primi anni cinquanta inneggiavano al Soviet supremo e urlavano slogan cubisti contro l’imperialismo americano. Antenati più recenti sono i movimenti tardostudenteschi che nei primi anni ottanta, senza aver detto un solo “ba” quando il Patto di Varsavia schierò un putiferio di missili su tutte le sue frontiere, fecero fuoco e fiamme quando anche la Nato schierò prudentemente i suoi. È un pacifismo che abbraccia a colpo sicuro sempre e soltanto la stessa causa: quella “giusta”. Mentre il pacifismo “pari” ha una sola causa da tutelare, la pace, una causa che si difende prendendo con cura le distanze da tutte le ideologie, il pacifismo “dispari” è ideologico fino alla svenevolezza.


Antioccidentale per rivelazione divina, indulgente col terrorismo, sempre pronto alla pace dura senza paura, il pacifismo “dispari” finisce immancabilmente per schierarsi con Saddam Hussein contro Bush sr, con Milosevic contro Clinton e D’Alema, con i taleban e Bin Laden contro Bush jr. è dai ranghi di questo pacifismo sgangherato e corrotto che, dopo gli attentati apocalittici di Washington e New York, si levano le solite voci allucinate: il terrorismo è male, ma anche il capitalismo globale è violento e assassino, quindi per eliminare quello si liquidi per cominciare questo. È un pacifismo astuto e boccalone insieme, che si beve qualsiasi balla gli torni comoda, a cominciare da quella che il superterrorismo moderno, il terrorismo d’al-Qaeda e dei kamikaze palestinesi, sarebbe il prodotto spontaneo e addirittura il frutto inevitabile della rabbia e della disperazione dei “popoli oppressi”, anzi delle “moltitudini”, come immaginificamente le chiama Toni Negri, mentre in realtà è il Golem cannibale delle diplomazie segrete di mezzo mondo, arabe in primis, che si servono della disperazione altrui come d’un pony express per recapitare messaggi anonimi ai loro nemici.

Sempre come vent’anni fa, quando la Nato e il Patto di Varsavia seminavano testate nucleari dall’Alpi alle piramidi e dall’uno all’altro mar, il pacifismo “dispari” continua a coltivare le sue superstizioni antimperialiste. Allora il “pacifismo” non si lasciava distrarre dalle sue idee fisse e stralunate neppure quando la contraerea sovietica abbatteva gli aerei di linea nei cieli dell’Asia centrale. Oggi tuona contro il “fascista” Sharon e finge di credere non solo che gli attacchi dei kamikaze abbiano in fondo un loro onesto perché, ma persino che Arafat sia un martire della causa pacifista. È un pacifismo surreale, italianissimo, e ha per suo campione Giulio Andreotti, il quale ieri ha dichiarato che, se fosse nato palestinese, non avrebbe avuto bisogno d’essere armato dalla Siria per farsi esplodere in un supermercato. È lo stesso Andreotti che vent’anni fa, tornando da Mosca dopo una visita ufficiale, recapitò alla stampa internazionale una velina di Gromiko: “Ricordatevi di Pompei”. Da ieri i pacifisti lo applaudono. Solo che non sono pacifisti. Sono "pacifondai". Non spengono i conflitti: se potessero, li farebbero divampare.